Il sentiero oltre le mura

Triora è un borgo meraviglioso da visitare. I suoi carruggi raccontano di storie antiche, di streghe, di battaglie e signorotti.

È suggestivo camminare per quei vicoli, toccare le pietre che reggono quelle case imponenti, ammirare i contrafforti che parlano di unione.

Appare assurdo notare come, in alcuni punti, i potenti raggi del sole non riescono ad entrare nonostante stiano picchiando su ogni tetto con forza e calore. Si possono ben vedere e ben sentire, fuori le mura del paese.

Ai confini di quell’abitato che da qui, senza più case attorno, mostra la mia splendida vallata. Fuori le mura che, un tempo, chiudevano il villaggio in un mondo a sé, totalmente autonomo. Fuori da mura che proteggevano chi viveva all’interno.

Ed è da qui, verso Sud, che nasce un sentiero panoramico assolutamente da percorrere, costeggiando così Triora dall’esterno. È un sentiero a salire che ci porterà verso la parte più alta del paese ma, soprattutto, ci farà giungere in uno dei luoghi più noti di tutta la Valle Argentina.

Si tratta della “Cabotina”, un piccolo spazio dove molti molti anni fa, secondo la voce del popolo, le streghe si ritrovavano di notte per ballare col diavolo.

La natura è assai presente lungo questo percorso ben delineato in terra battuta e ciottoli.

Oltre ad alberi spogli e arbusti verdi posso già notare fiori di Calendula e Borragini destinati ai più golosi. Preziosi doni di Madre Terra già sbocciati nonostante il freddo mese di gennaio.

È entusiasmante vedere da qui Molini di Triora laggiù in fondo. Lo si vede in tutta la sua grandezza, disteso lungo il torrente. Di lui si notano i tetti rossi delle case, il campanile della chiesa e i monti che lo circondano. Si vede bene anche la Strada Provinciale che si percorre per salire su in Valle, partendo dal mare.

Al di sopra sonnecchia Andagna appoggiata sul monte. E’ riconoscibile anche la sua piccola chiesetta di San Bernardo alla sua destra.

Anche il paese di Corte è una meraviglia visto da qui incorniciato da foglie vive e turgide.

Ebbene sì, da come potete vedere, la vista è ampia e splendida.

All’inizio di questo percorso, ciò che resta di quelle mura in pietra, si vede ancora bene e, in principio, si passa sotto ad una volta, anch’essa in pietra, che un tempo doveva essere una delle varie entrate nel villaggio. E’ stretta e ricoperta di rovi. Immagino guardie davanti a lei a controllare il territorio. Chi si avvicinava e chi usciva dal borgo.

Tratti di quelle rovine accompagnano lungo tutto il cammino, anche se di loro è rimasto ben poco e, quel poco, oggi, è ricoperto da una natura selvaggia e ingorda.

Ci sono delle costruzioni. Sembrano vecchie case. Sono dei ruderi. Si individuano delle finestre e delle porte nelle pareti restanti. Forse erano le case delle sentinelle o abitacoli nei quali accordarsi per decidere come muoversi contro il nemico.

Continuando si arriva in un punto in cui degli scalini e un po’ di salita ci portano sempre più vicino alle zone abitate dalle streghe. Dei paletti di legno servono da ringhiera e muretti in pietra, più recenti, formano quel tratto di strada.

Il piazzale nel quale si giunge è lastricato di pietre piatte e lisce. Ci si può ballare sopra sicuramente ma le bazue, di certo, avranno danzato su un terreno più rude.

Anche da qui un altro splendido panorama arricchisce gli occhi. Si può vedere una parte della Catena Montuosa del Saccarello ed è una meraviglia.

Alcune piccole porte in legno sono dipinte. Sono diverse le porte disegnate in questo paese conosciuto come la “Salem d’Italia”.

L’atmosfera è diversa adesso rispetto a prima. Si entra nell’arcano.

La rappresentazione di una bella strega dai capelli rossi lo conferma. Accanto a lei uno scaffale pieno di erbe essiccate per ricordare gli elisir e le pozioni che queste donne creavano.

Donne vissute nel XV secolo e perseguitate dall’Inquisizione che qui, a Triora, è stata davvero protagonista per molti anni.

Una passeggiata breve, tranquilla, da fare se ci si vuole rilassare e per vedere questo paese, conosciuto in tutto il mondo, e la mia Valle anche da un altro punto di vista.

Ora mi guardo i vecchi casoni che si trovano proprio qui, alla fine di questo sentiero.

Un bacio stregato a voi! Alla prossima!

Regina per un giorno nel Castello di Triora

Oh! Si! So già che state pensando: “Topina! Ti accontenti di poco!” ma è perché non sapete cosa riesco a fare con la fantasia e l’immaginazione. Ma oggi ve lo mostro.

So bene che andiamo verso quello che ormai è solo un rudere ma sono tante le cose che ci attendono quindi seguitemi.

Venite con me, vi conduco nel mio… Castello!

Ci saranno paggi e valletti, guardie e principi, tanta storia e, dalla torre più alta, potremmo vedere un panorama meraviglioso.

Nel bel mezzo dell’antico borgo di Triora prendiamo per Via Castello da Fontana Soprana. In realtà, il mio Palazzo Reale, si può raggiungere da diverse vie ma questa salita di ciottoli, che si srotola tra le case del borgo, mi piace molto.

Mi soffermo a guardare i miei monti. La loro immensità, il loro stagliarsi contro il cielo e cullare i paesi di Corte e Andagna.

Sorrido a quella bellezza e mi dirigo verso la meta di cui vi parlavo conosciuta anche con il nome di Castrum Vetus Triorae e che fu realizzata intorno al XII e il XIII secolo.

Il Capo delle Guardie mi viene incontro per salutare Sua Maestà. Ha un’espressione rude ma in realtà è un coccolone. Dovete capire che deve mantenere un certo contegno e una certa autorità per farsi rispettare da tutti i soldati.

Dopo avermi riempito per bene di pelo, miagolando a più non posso, mi lascia libera di giungere a Casa mia.

Tutti acclamano la Regina suonando trombe e sventolando bandiere. Le fiaccole appese fanno una gran luce grazie alle fiamme ardenti le vedete anche voi?

Ma come no? Guardate bene! Cola persino ancora la cera da quei porta-torce in ferro battuto. Che meraviglia!

Quanta pietra robusta a realizzare quello che un tempo era un fortino inespugnabile.

Quello che posso mostrarvi è poco: un bastione, un torrione dal quale un tempo si poteva scorgere il nemico arrivare e qualche pezzo rimasto del muro di cinta.

La vista da qui, infatti, è ampia e se mi arrampicassi fino in cima potrei vedere anche la strada principale di sotto ma mi accontento di vedere, da varie prospettive, i tetti rossi di Triora, il campanile e tutta la natura che circonda il paese.

E’ uno sguardo pieno di entusiasmo il mio.

Le case sembrano appiccicate le une alle altre e, viste da qui, appaiono decisamente più piccole.

Le restanti rovine mi permettono ancora di percepire l’altezza e la stabilità di questa costruzione.

Eppure dovete sapere che è stata distrutta diverse volte, sembrerebbe quattro volte, persino dagli stessi trioresi arrabbiati a causa delle tasse troppo alte che venivano imposte. Eeeeh… i miei antichi convallesi non erano certo degli smidollati! Perbacco! Siamo nel Paese delle Streghe mica in quello dove si pettinano i criceti!

Questo Castello appartenne infatti anche ai Conti di Ventimiglia i quali, come vi ho già spiegato in altri articoli, non erano proprio molto apprezzati dal popolo.

In un altro tempo, invece, questo luogo storico e fantastico era l’abitazione dei signorotti locali ma appartenente ovviamente anche alla Repubblica di Genova, dal 1267, come tutto questo territorio d’altronde. La torre era infatti definita – bastione difensivo della Repubblica -.

Sotto di lei sorgeva il Cimitero e, durante gli ultimi lavori esterni (avvenuti nella prima metà del 1800) vennero rinvenute parecchie ossa umane trasportate poi in quello che è ancora oggi il nuovo Camposanto e che tuttora riposa oltre il sentiero Beato Giovanni Paolo II.

Sto fantasticando in quello che venne per molti anni considerato uno dei punti più strategici di tutta la Valle Argentina.

Sto cercando la Sala del Trono, dovrò ben sedermi dopo aver fatto tutti questi passi in lungo e in largo, ma la mia attenzione viene nuovamente rapita dai bordi frastagliati di alcune mura. Posso di nuovo vedere i miei amati monti.

In realtà, quei perimetri, sembrano non finire come ad avere un proseguo infinito chissà dove. Mi è facile immaginare un vero e proprio Palazzo dai tratti severi e solenni.

Il piazzale davanti è un lastricato di grigia pietra e oggi è divenuto un balcone che si affaccia sulla mia Valle. In antichità invece era l’entrata del Castello ma anche il centro della cosiddetta “Cittadella”.

La Cittadella era un nucleo abitativo totalmente autosufficiente e racchiuso dentro a delle mura nella quale i trioresi vivevano senza bisogno di nulla se non quello di vendere o barattare i propri prodotti. Essi coltivavano, cucinavano, lavoravano sempre all’interno di questo feudo e protetti.

All’interno del bastione, se si alza il naso all’insù, si può vedere il cielo perché non esiste il tetto ma, oltre al velo azzurro, vedo trecce bionde e lunghissime scendere giù da quelle feritoie e Principi Azzurri pronti a… ehm… ma no, forse questa è un’altra fiaba.

Beh, lo scenario qui è talmente bello che sembra di essere in un mondo magico e in un tempo che fu. E’ assai facile confondersi.

L’entrata della torre è piccola e dalla volta tonda, sembra la porta di una cripta, mentre è interessante osservare la trave in legno che fa da portale a quello che doveva essere un vero e proprio uscio.

Durante la costruzione di questo edificio non era ancora stata usata l’ardesia come architrave.

Compio ancora un giro intorno a tutto ciò che resta del noto Castello e sogno ancora un po’, fino al calar del sole. Il Toraggio si illumina di nuova luce così come le case dei trioresi e il mio animo.

Adesso c’è ancora più silenzio e l’atmosfera è splendida da vivere. Con una zampa accarezzo un’ultima volta quelle pietre. Chissà cosa hanno visto da quando sono qui. Quali abiti? Quali persone? E chissà se hanno sentito urlare, o ridere, o chiamare, o suonare antichi strumenti.

Lascio immaginare anche un po’ voi, io devo rientrare in tana perché ho un altro post da scrivere.

Alla prossima topi! Un bacio regale a voi.

La Chiesa di Santa Caterina e i suoi antichi e misteriosi significati

Cari Topi,

oggi, per venire con me, dovrete aver voglia di fare un salto nel passato, in un mondo per un certo senso sconosciuto e sentire la brama di voler comprendere significati che, per molto tempo, sono restati occulti.

Vi porterò alle rovine dell’antica e misteriosa Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, appena fuori l’abitato di Triora, e finalmente, grazie a vari studiosi e ricercatori, possiamo leggere e capire quel che resta di questo importante santuario.

Purtroppo non rimane molto di lei ma la storia si è tramandata consentendo, oggi, a noi curiosi, di conoscere cosa si cela dietro la realizzazione di questo edificio che risale al XIV secolo e riedificato nel 1390. E sì, avete letto bene, XIV secolo e 1390… quanti secoli! Siamo in pieno periodo medievale e, la sua riedificazione è stata voluta dalla Famiglia Capponi.

La struttura appare dopo aver intrapreso un sentiero che ci consente di ammirare molti monti della mia Valle e i paesi di Corte e di Andagna adagiati sui crinali di montagne vestite con tinte più spente in questo periodo.

Il panorama è meraviglioso, andando ancora oltre con lo sguardo consente di vedere persino il Monte Faudo abbracciato da spesse nubi.

Accanto a me, una natura semi addormentata vuole comunque mostrare tutta la sua bellezza attraverso qualche ciuffo fiorito che sembra bambagia, qualche ramo che forma strani disegni contorti contro il cielo e qualche pizzico di colore rimasto dall’autunno appena terminato.

Per arrivare si qui, si può passare da centro paese, per Via Dietro La Colla, oppure da inizio borgo, salendo verso il Cimitero, osservando il sentiero Beato Giovanni Paolo II a diversi metri dall’incrocio per Goina.

Dopo una dolce curva eccola spuntare in tutta la sua arcaica bellezza. Il suo pallore, dato dalle pietre con le quali è costruita, quasi si mimetizza con il resto del luogo in questa stagione e sembra aspettare che qualcuno vada a farle visita in quel accentuato silenzio che l’avvolge.

A causa della direzione della strada, sembra stagliata nel bel centro della via. In realtà, scendendo, rimane sulla sponda destra, affacciandosi sulla gola della Valle.

La prima cosa che si nota sulla sua facciata principale, che è la parte più integra dell’edificio, è un grosso cerchio forato; all’esterno incorniciato dentro a pietre messe a rombo, mentre, all’interno, altre pietre rettangolari, sono sostenute tra loro a incastro formando anch’esse un cerchio.

La stessa lavorazione vale per le volte di quelle che un tempo erano delle grandi finestre e i massi che le formano si trattengono tra loro in un unico arco.

Per mostrarvi questa lavorazione sono entrata all’interno delle mura.

Ho abbandonato il piccolo cortile esterno che accoglie, circondato da un muretto anch’esso in pietra e dotato di sedute e ho abbandonato un terreno a praticello e ghiaino per poggiare le zampe su larghi e rettangolari lastroni di ardesia che un tempo erano l’umile pavimento della costruzione.

Ho voglia di alzare lo sguardo e osservare cosa mi circonda ma la mia attenzione viene rapita da un’ara quella che doveva essere l’altare.

Un grande rettangolo, sovrastato da un piatto e spesso lastrone, si trova al centro di quella che sicuramente era la navata principale ma che oggi non esiste più. Con un dito lo accarezzo e immagino funzioni predicate accanto a lui e ritrovi di fedeli.

Lo squadro per bene da ogni suo lato e, finalmente, dopo aver appagato la mia curiosità dedicata a lui, posso alzare la testa.

Pareti non altissime ma comunque austere mi guardano dall’alto. Sono diroccate e i loro profili si stagliato contro il cielo celeste e terso. Le parti in cui si percepisce la loro mancanza permettono agli occhi di osservare i miei amati monti, la Catena Montuosa del Saccarello e gli alberi più prominenti che circondano la Chiesa.

Alcuni perimetri raccontano a loro modo di crolli e le loro silenziose parole pervadono di un senso di malinconia che permette di immaginare come potevano essere in passato. Sono come spezzate ma mantengono un senso sinuoso nonostante le schegge aguzze che restano sospese.

Osservo alcuni ciuffi d’erba nati tra quelle piccole rocce e scavalco una ringhiera arrugginita che probabilmente ora serve come balaustra protettiva.

Da qui, verso Valle, ho un’altra prospettiva ancora. Scendo di poco i gradini del bosco adiacente e ora l’edificio sembra più alto.

Come a svettare verso il cielo. Lo aggiro e mi ritrovo di nuovo di fronte alla facciata principale. E’ tutta da osservare con molta attenzione perché ha tanto da dire.

Inizio dalla grande porta, che adesso è solo un vuoto con un gradino alla base da scavalcare, ma sopra di lei c’è il portale che regge il resto della parete.

Al centro del grande architrave, un’effige in rilievo, scolpita nell’ardesia a caratteri onciali, riporta una lunga scritta per me totalmente incomprensibile. In mezzo uno stemma, quello della Famiglia Capponi, che par mostrare due figure uguali, assai consumate, le quali si guardano una di fronte all’altra.

Per la traduzione della scritta devo per forza ricorrere all’utilissimo cartello posto davanti al santuario dal Comune di Triora:

Lo sguardo sale ancora vedendo un semicerchio formato come le volte dei finestroni e poi continua più in su dovendosi però poi dividersi.

Due colonne, permettetemi di chiamarle così anche se colonne non sono, le due colonne principali ai lati della facciata mostrano qualcosa di davvero singolare. Quella a destra della Chiesa permette di vedere una specie di leone alato… forse… non si capisce bene, è corroso dal tempo e dalle intemperie. Ma su quella di sinistra si può ammirare facilmente un simbolo meraviglioso e dai vari significati. Si tratta della Stella a sette punte con al centro un fiore.

Innanzi tutto bisogna sapere che il numero Sette era considerato un numero molto importante in alcune filosofie, arti, pensieri e religioni del passato come ad esempio il Paganesimo o l’Alchimia ma anche per il Cristianesimo, che ha voluto la realizzazione di questo santuario, aveva un’importanza fondamentale perché, avendo esso raccolto le usanze più antiche, considerava questo numero come il numero che rappresentava la totalità dell’Essere Umano data dai Sette Doni dello Spirito Santo: l’Intelletto, la Forza, la Saggezza, il Consiglio, la Scienza, la Pietà e il Timore di Dio.

La Stella a Sette punte, chiamata anche Ettagramma (simbolo sacro a Venere, Dea della bellezza e dell’Amore) rappresentava anche la totalità dell’Universo, riflessa nella completezza dell’Uomo, poiché le punte corrispondevano ai pianeti del sistema solare e ai giorni della settimana che tornavano ciclicamente ma rappresentavano soprattutto i Sette Elementi: Acqua, Aria, Terra, Luce, Magia, Fuoco e Vita.

Mi incanto davanti a quell’emblema e inizio a comprendere quanta storia c’è in alcuni segni della mia Valle che non è solo natura ma è stata anche sede, un tempo, di significati ben precisi esposti laddove venivano realizzati templi di ritrovo per specifici scopi. Segni che possono passare inosservati mentre, un tempo, dichiaravano rappresentazioni ben specifiche. Chissà cosa, la mia terra, ha visto e vissuto!

Rientro dentro alle tre pareti rimaste e mi guardo ancora attorno, per un’ultima volta. E’ bellissimo stare qui. L’atmosfera è surreale. Niente osa rompere quel silenzio ovattato, neanche un uccellino.

Man mano che il crepuscolo si avvicina al suo giungere, quei perimetri sembrano divenire più scuri mentre i monti dietro si incendiano di un color rosa pastello.

E’ arrivato il momento di rintanare e quindi me ne vado ma non riesco a togliermi dalla testa immagini di persone dentro a questa Chiesa. Vedo mani giunte, calici alzati, sguardi fissi su quelle rocce. Riti, messe e voci nel bel mezzo di quella natura, fuori paese, dove il sole fa poca sosta.

Fortunatamente mi viene in mente di riportarvi tutte queste sensazioni e, di conseguenza, ricordo che ho molti altri articoli da scrivere. Perciò me ne vado, dedico un’ultima occhiata alla Chiesa di Santa Caterina, giovane egiziana di Alessandria d’Egitto martirizzata e poi decapitata per volere dell’Imperatore Massimino Daia, e vado a preparare altri post.

Un bacio arcano a voi.

Badalucco – Porta Santa Lucia in notturna

Oggi voglio farvi conoscere la porta di Badalucco in notturna, chiamata Porta di Santa Lucia. Vi ci porto di notte perché la trovo davvero molto suggestiva immersa nell’oscurità, e poi si affaccia su un panorama davvero stupendo, se visto in alla sola luce dei lampioni.

Troneggia sul meraviglioso Torrente Argentina, che brilla di più alla sera, luccicando grazie alle luci artificiali e soffuse del paese.

Porta Santa Lucia è infatti anche la porta di un ponte omonimo, il quale permette di arrivare in Regione Ortai attraversando il fiume, appunto.

Guardate che bellezza, che atmosfera intima e antica. Guardate che luminosità particolare offerta anche dalla luna.

Questa porta, anticamente entrata del borgo assieme ad altre quattro porte, è sorretta dal ponte romano ad archi diseguali che è stato costruito nel 1551 e ultimato nel 1606.

Si tratta della porta a Sud che permetteva l’entrata in paese da chi arrivava da Taggia o dal mare.

Una porta che è anche una piccola e assai minuta chiesetta e dedicata anch’essa alla Santa alla quale gli abitanti di Badalucco sono molto devoti, in quanto guaritrice degli occhi e dei problemi a essi legati. Sotto di essa infatti si trova una targa che riporta la seguente scritta “Divae Luciae Lux in Via Fa B. 1336 Rest. 1936″ che dovrebbe voler dire “Luce per Santa Lucia” o qualcosa di simile.

Attraversando questa porta e calpestando i ciottoli dei quali è formato il lastricato, si prosegue per un sentiero che conduce anche al cimitero, oltre che a un rinomato ristorante, “Il Ponte”, e un nuovo agriturismo, “L’Adagio”. L’attraversamento del ponte così amato, come simbolo dell’”ultimo viaggio”, rende questo luogo ancora più caro per i badalucchesi, nel mio dialetto chiamati anche baucogni.

Un tempo, questa porta si trovava tra mura difensive in grado di proteggere l’abitato dalle irruzioni dei nemici, ma oggi dei muraglioni del medioevo non è rimasto quasi più nulla.

Porta Santa Lucia accoglie chi entra in Badalucco e non si può non vederla. Innalzata sopra la strada, permette anche di far notare, al suo avvicinarsi, di una stradina recentemente rifatta che costeggia il fiume abbracciando il centro del paese e mostrando una natura meravigliosa.

Pare di essere ancora in tempi antichi. Le casette in pietra che si affacciano sul torrente sono davvero carine.

I Conti di Ventimiglia, tra i quali il famoso Oberto, scelse proprio Badalucco come luogo di residenza per molto tempo.

E’ un paese molto particolare e bello già solo per come accoglie i visitatori proprio grazie questa porta, che un tempo rappresentava il punto di accesso obbligato. La strada che si percorre oggi, infatti, non esisteva.

C’è silenzio attorno, ma questa zona è viva. C’è gente che porta il cane a spasso per l’ultimo giretto della giornata, c’è un vociare calmo che esce dai bar e qualche auto che passa lenta. Tutto è splendido ed è magnifico stare un po’ qui seduti, su queste panchine in pietra appoggiati a questo tavolino, proprio sotto Porta Santa Lucia.

Che ne dite, topi? M’invidiate un po’, vero, per questa serata prima di rientrare in tana? Lo so, ma sono stata brava e generosa, ho portato con me anche voi! Squit!

Il Bastione della Biscia

Ancora una volta vi porto qui. Qui in cima al più storico borgo che si conosca. Qui, dove tutto un tempo iniziò; sembrerebbe nel lontano periodo preromano. Questo dicono le fonti locali inerenti ai primitivi insediamenti umani, dove gliSONY DSC storici non escludono un probabile luogo di culto, dedicato al Dio Belleno, nella zona denominata di Capo Don.

La curva, cosiddetta – del Don -, è la curva che collega il paese di Riva con quello di Arma. Nel centro di questa curva, molto ampia, c’è la salita che porta a Castellaro.

La più antica testimonianza del luogo risale tra il X e il VII secolo avanti Cristo, grazie al ritrovamento di antiche tombe cinerarie nella zona detta delle Grange e, più avanti nel tempo, come molti altri paesi e villaggi liguri, subì la dominazione da parte dell’Impero Romano prima, e della Repubblica di Genova poi, diventando sede militare di un importante porto commerciale d’imbarco.

Topini e topine vi sto parlando ed eccovi ancora una volta a Taggia, anzi, in un punto particolare di Taggia. Uno dei primi ad essere “formati” e, più precisamente, davanti al Bastione della Biscia, uno dei tanti bastioni che formavano una fortificazione come sistema difensivo del paese. Un nome buffo non trovate? Non si conosce il perchè di questo nome.

Sono ancora molti i torrioni di Taggia e, alcuni, ve li avevo già presentati l’anno scorso. Questo è uno di quelli più belli, grazie anche al panorama che lo circonda. In quest’angolo, questo baluardo, è stato eretto tra i primi.SONY DSC E’ tra quelli più verso il mare e, dalla sua altezza, si poteva osservare l’arrivo pericoloso dei violenti Saraceni che sbarcavano spesso proprio dove ora sorge la famosa curva di cui vi parlavo e da lì, su verso Taggia.

La via nella quale è situata questa fortificazione è chiamata la Via dei Bastioni, un unico ciottolato con, ai lati, due lastre piatte dove potevano appoggiare le ruote dei carri. Classico Medioevo.

Questo punto fortificato riproduce la struttura del Bastione Grosso con il quale si trova in asse visiva e difensiva. Si tratta, come vi dicevo, di una delle prime strutture erette a proteggere la città. Un bellissimo torrione invaso da qualche margheritina di campo che spunta timida dai buchi che servivano da stazione alle baionette. La forza di gravità le fa pendere verso il basso e questo fa si che, alzando il muso, l’alta torre ci sembra ornata di foglie e fiori. In alto, i merletti hanno vita semplice nel farci immaginare qualche guardia a tenere tutto sotto controllo giorno e notte.

Vicino a lui, il Convento dei Domenicani, un bellissimo luogo panoramico. Si rimane affascinati dalla splendida vista, nonostante alcune serre, a mio parere, seppur indispensabili, rovinino la bellezza naturale del territorio.

Si vede tutto l’inizio della mia Valle, il torrente Argentina, l’Autostrada dei Fiori e laggiù, di fronte, sulla cresta a Est, ecco Castellaro e il suo magnifico Palazzo che spunta facendo le corna alla collina di Ulivi.

bastioni

Le bandiere colorate di azzurro, con la striscia rossa in diagonale, rappresentano uno dei rioni tabiesi o taggiesi, come meglio preferite: quello appunto dei Bastioni. È uno dei rioni più esposti, costituendo il limite Sud-Occidentale.

La parte più antica del rione è caratterizzata da un tipico insieme di costruzioni. È notabile però la presenza della terza cerchia di mura rimaste quasi intatte fra la porta di Parasio e la torre del Ciazo. Quanti angolini ho da mostrarvi ancora amici!

È percorsa dalla strada detta una volta “dei nobili” che fu appunto fatta costruire per il più comodo accesso al Convento nel 1485. Potete trovare la descrizione degli altri rioni di Taggia sul sito sanbenedettotaggia.it dove io ho trovato questo stemma e queste due righe che non conoscevo.

Un altro piccolo posticino che volevo mostrarvi topini, un altro luogo che sa di magia, che descrive una storia, la nostra storia, il nostro passato.

Io vi abbraccio e vi aspetto per il prossimo tour, la vostra Pigmy.

M.

Una fontana, una chiesa e una porta

Oggi, andiamo nella località più antica, presumo, di questo paese. Una fontana, una chiesa e una porta topini. Tre luoghi assai famosi in quel di Taggia.

Tre tappe SONY DSCda non sorpassare, ne sottovalutare, senza prima essersi fermati a capire dove siamo. Una vasca di pietra, guardate. Sembra quello e nulla più. Semidistrutta, che sarà mai? Ahi, ahi, fermi! Non è certo un qualcosa di banale sapete? Questa è una splendida fontana quattrocentesca eretta in questo paese nel 1555. E’ la fontana dell’antico acquedotto di Taggia, punto di arrivo di un canale tardomedievale che dava acqua alla parte alta (e oggi anche la più vecchia) di questo bellissimo e storico borgo. Venne qui posizionata per volere del Podestà Melchiorre Da Monleone e, in Taggia, c’èSONY DSC probabilmente un’altra vasca appartenente allo stesso periodo situata tra il quartiere di Piazza Grande, all’angolo tra Via Littardi e la salita di Via Nicolò Calvi, in quanto si dice che le vasche “ordinate” fossero due. Davanti a lei, uno dei vicoli più impervi del paese, un ciottolato grigio che sale, senza remore. Si è circondati dalla pietra pura, dalla storia, le cose antiche, dal sole caldo e, qualche passo dopo, anche dagli Ulivi.

E’ un bellissimo e vecchioSONY DSC campanile quello che vediamo tra i rami di un verde militare. Un campanile che sembra di pietra calcarea che riveste i mattoni pieni. Una campana, in ottone ormai ossidato, fa pendant con le fronde degli alberi a noi cari e una magra e sottile croce pende leggermente all’indietro. E’ la campana che risuonava negli orti e nelle fasce coltivate da sempre. Il panorama inizia ad essere bellissimo. Un muraglione e poi eccola, bianca, come una chiesa messicana, la piccola chiesa di Santa Lucia. Una chiesa che, a vederla da fuori, sembrerebbe inusata da tantissimo tempo.

Il portone in legno, è devastato, fatiscente, persino pasticciato. Le pareti esterne, godono davvero di ben poca manutenzione ma, nonostante tutto, è affascinante. Una chiesa in bilico su ampi gradini di mattonelle granata e piatti sassi, le sbarre alle finestre in spesso ferro battuto SONY DSCe, di fianco, un muro di epoca romana. Essa viene considerata uno dei titoli più antichi tra tutte le chiese di Taggia. L’aspetto attuale, come recita il cartello di latta verde che la descrive, è frutto di ricostruzioni cinquecentesche rinnovate da interventi barocchi. Vi è ancora oggi, al suo interno, conservata in modo esemplare, l’originale ed elegante acquasantiera di un tempo e, in cima al suo modesto altare, un bellissimo ed enorme dipinto. Oggi, questa chiesa, è sede della Compagnia di SantaSONY DSC Maria Maddalena. Questa topini, è la prima chiesa costruita dagli abitanti di Taggia. Una chiesa costruita fuori dalle mura di protezione, ardentemente desiderata ma, al di qua dei muraglioni non c’era abbastanza spazio.

Questa chiesa, si trova tra due porte importantissime: Porta Soprana, più distante, in cima al paese e che oggi non conosceremo, e Porta Sottana, subito sotto questa piccola chiesetta, sotto la quale passeremo insieme per andare al centro del paese. La parte di paese più moderna. Quest’ultima portaSONY DSC, è chiamata anche Porta di Santa Lucia, prendendo il nome dalla chiesa che vi ho appena descritto. Anche la salita si chiama così. Per arrivarci, occorre discendere la scalinata soleggiata. Da fare in salita non è uno scherzo, ve lo assicuro. E il punto è strategicoSONY DSC; di fronte a noi, in lontananza, si può vedere Castellaro e, dietro, la cresta del monte che porta alle Neviere e a Santa Rita e anche all’Eremo della Maddalena. Una vista stupenda. La discesa, ci conduce dritta, dritta, sotto ad un arco splendido.

Pensate, assieme alla sua “Porta” antagonista, questo è l’accesso più antico della città. E’ tutta in pietra e, le pietre, soprattutto quelle che formano l’arcata, sono messe con grande maestria, lo vede anche una come me che non se ne capisce nulla di architettura. Ti chiedi come possano star lì, ferme, a testa in giù. Dall’alto, a scendere, sono prima larghe e piatte e poi diventano tondeggianti o quasi cubiche. Grosse. Immagino pesantissime.

Il sole fa fatica ad entrare nel centro di questa galleria. Deve fermarsi prima, forse non è gradito. Per attraversare tutta Porta Sottana, bisogna percorrere parecchi passiSONY DSC. Il sole, non riesce a scaldare l’unico portone sotto di lei. Un portone color mogano che, in alto, su un bellissimo e lucido blasone di ardesia, nera come la pece, porta i simboli della chiesa e del paese. Di parecchi di questi stemmi, la Repubblica di Genova, ne volle la distruzione.

Originario dello stesso periodo di Porta Sottana è il famoso castello di Taggia sul quale sventola la bandiera del paese. Questo SONY DSCtunnel, è stato rimaneggiato nel corso dei secoli XVI e XVII e, ai tempi, permetteva un comodo collegamento con un’altra fontana situata in questa zona, che dava acqua alla popolazione. Siamo nel centro storico topini, la vita non era semplice e, ancora oggi, bisogna avere gambe buone ma assaporare tutte queste tradizioni e respirare l’aria di un tempo ripaga ogni fatica.

E ora topi, lo avrete capito, dobbiamo per forza andare a riposare; abbiamo sgambettato anche oggi e abbastanza direi! Se volete, domani vi porterò in un posto nuovo!

Un bacione a tutti, la vostra Pigmy.

M.

Il Castello dei Clavesana

Continuiamo a rimanere nei dintorni di Villa Faraldi ma ci spostiamo in quel nientepopodimenochè: Cervo Ligure, considerato uno dei borghi più belli d’Italia.

Merita sicuramente un post tutto per lui uno di questi giorni.

Oggi però vi parlerò solo del suo Castello. Il suo bellissimo Castello. Il Castello dei Clavesana.

Questa spettacolare costruzione è oggi un Museo Etnografico dedicato a Franco Ferrero, un intellettuale, un ricercatore della storia antica di Cervo. Era una persona stimata da tutti ed era il responsabile dell’Ufficio Informazioni, appassionato di storia; la storia dei suoi luoghi e delle tradizioni.

Questo Castello, costruito dai Marchesi di Clavesana, attorno al XII secolo, non funzionava come era protezione per il paese ma era ovviamente anche la dimora ufficiale di questi nobili signori.

Realizzato completamente in pietra, e con la particolarità di avere quattro torrioni al vertice dei suoi lati, si mostra come una costruzione imponente ma armonica allo stesso tempo.

Durante il periodo estivo è anche sede atta a mettere in mostra stupende opere d’arte, dipinti e sculture da ammirare di diversi artisti. 

Da Piazza Castello, la piazza nella quale è stato edificato, si può notare la più grande torre quadrata costruita su roccia viva e, proprio al suo interno, c’è l’affresco dedicato a Santa Caterina d’Alessandria.

Questo Castello è stato anche infatti, negli anni, un Oratorio e in seguito persino un Ospedale, ambedue dedicati a questa Santa. Come a Cervo, in tante città italiane si venera e si ricorda questa Santa.

A Nord, questa costruzione continua divenendo mura che circondano il paese a Oriente e a Occidente, scendendo in giù verso il mare. E che atmosfera c’è qui! E’ un luogo davvero romantico. Ma proviamo a salire questa scalinata e andiamo a vedere cosa nasconde il Museo al suo interno. Uh! C’è davvero di tutto!

Per prima cosa un grande silenzio come a voler rispettare al massimo tanta ricchezza. Questi cimeli, o per lo meno alcuni, sono davvero introvabili. Quanti oggetti antichi! Oggetti da cucina o utili per l’agricoltura, culle per neonati, madie, ci sono anche dei vestiti e delle macchine fotografiche. Tutte cose antichissime.

A colpire la mia attenzione, una splendida grattugia per il formaggio, un vecchio giradischi e le prime pagine del vecchio “Corriere della Domenica” con veri e propri dipinti al posto delle foto.

E’ tutto meraviglioso e la loro usura li rende ancora più affascinanti.

All’improvviso è come se fossi stata catapultata in un altro tempo.

Mi circondano: armi, uniformi, velieri, attrezzi di ogni tipo. Roba mai vista. Ad alcuni oggetti non ho davvero saputo dare un significato.

Siamo in un Museo che è stato aperto dopo l’ultima ristrutturazione di questo Castello, ossia nel 1980. Un’aggiustatina molto recente che l’ha reso praticabile e ancora più ricco di particolari.

Questo posto è magnifico anche di notte. Illuminato soltanto da dei lampioni che emanano una luce giallognola. Con quel ciottolato tutt’intorno, come pavimentazione, sembra uno scorcio della vecchia Inghilterra.

E’ qui che nel bar di fronte al Castello si possono passare ore liete, in compagnia di amici, nelle calde sere estive, ammirando un bellissimo panorama.

Questa targa, appesa alla parete principale, è proprio di fronte al dehor del locale recintato da piante e fiori e ci rende consapevoli dell’antichità che ha questa enorme, vecchia dimora.

E’ da qui, esclusiva zona pedonale del borgo, che si entra nel cuore di questo affascinante paese.

Il Castello è in alto e, intorno a lui, s’intrecciano come fili di lana aggrovigliati, le viuzze e i carruggi di Cervo che un tempo dominava. E’ da qui che si srotolano fino a portarci al centro di questo villaggio medievale.

Come promesso, un giorno vi porterò a conoscere meglio queste stradine. Per questa volta mi fermo qui sperando che vi abbia fatto piacere conoscere quest’imponente monumento.

Un abbraccio e alla prossima. Vostra Pigmy.

M.

Via San Dalmazzo – la via medievale

A Taggia topi, c’è una via che costeggia le antiche mura della città e che si chiama Via San Dalmazzo.

E’ un percorso che ha mantenuto ancora il suo carattere medievale e un tempo collegava le prime abitazioni del paese con la Valle Argentina.

Per arrivarci saliamo dalla salita di Campo Marzio, un carruggio con pavimentazione di mattoncini rossi e pietra partendo da Piazza della Santissima Trinità e passando sotto le case.

Giunti in cima a questa salita del centro storico, possiamo ammirare un affresco e un altarino dedicati alla Madonna, punto di ritrovo per i taggesi.

Sotto al tettuccio, una scritta incomprensibile ormai scolorita dal tempo e sotto di essa, una fila di vivaci ciclamini color rosso carminio.

Via San Dalmazzo è importante in questa borgata perchè è la via in cui nacque San Benedetto un Monaco che salvò Taggia dall’attacco dei Saraceni ma merita un post tutto suo perchè la sua storia vale la pena di essere raccontata per bene.

In questa via, inoltre, sono erette delle mura appartenenti ad un Palazzo cinquecentesco che raggruppano delle case a schiera medievali.

Si tratta dell’antica residenza di Monsignor Carlo Maria De Fornari, protettore del convento di Santa Teresa.

Queste mura sono alte e lunghe e il cammino sul quale passiamo è un insieme di pietre tonde e quadrate. Siamo nel bel mezzo della sua lunghezza.

A destra possiamo andare verso la Fortezza, il torrione con la bandiera, mentre a sinistra, andando verso la chiesa dedicata al monaco di cui vi parlavo prima, possiamo passare sotto a Porta del Colletto un arco che delinea la fine delle mura.

Intorno a noi, i muraglioni da una parte e le case con i tipici colori della Liguria dall’altra.

Porta del Colletto chiude la città sul percorso diretto alla Valle e alla sua uscita, si può incontrare il borgo del Colletto fuori le mura.

Questo passaggio obbligato è stato definito durante la seconda fase di lavori per le mura ossia dal 1547 al 1550 circa.

Sono noti in questa via anche altri archi e voltoni tra le vecchie case. Archi di sostegno, portali e sopraporta quasi tutti rigorosamente in Ardesia scolpita a bassorilievo con elementi decorativi e religiosi.

E’ una lunga passeggiata questa, ricca di storia come qualunque altra via quassù.

Inizio a incamminarmi piano piano. Alla prossima. Squit!

M.