Il mio grosso grasso incontro montano

A voi è mai capitato di gironzolare nei verdi prati dei monti e fare un incontro come questo? Sì, voglio dire, un incontro un po’ particolare e soprattutto… ravvicinato!  Come potete vedere, amici topini, ho passato un pomeriggio con dei simpatici Maiali. I Maiali sono aggressivi spesso, ma sanno essere anche docili, socievoli e anche, tra di loro, molto affettuosi.

Venite con me, ve li presento.SONY DSCSono chiamati comunemente Maiali o Porci ma il loro nome scientifico è Sus Scrofa Domesticus. Se vogliamo essere ancora più precisi però, solo la femmina è chiamata Scrofa, mentre, il maschio è chiamato Verro.

E’ un mammifero ed è, possiamo dire, onnivoro. Il colore della pelle e delle setole, e qui potete vederne di due tipi, è dato dalla pigmentazione. Quello che vedete rosa, e che è il maiale più comune, è semplicemente depigmentato.SONY DSC Ne esistono però di altri colori come quelli neri o quelli pezzati e possono avere il pelo più lungo o quasi assente. E’ un pelo duro il loro chiamato appunto setola.

E’ un animale tenuto da conto e presente, pensate, anche nell’oroscopo cinese; le persone nate in alcuni anni, e quindi appartenente al segno del Maiale, come quelli del 1947, 1959, 1971, 1983, 1995 o 2007 sono quindi SONY DSCGalanti, e nobili. Avranno veri amici sempre al loro fianco“.

E un po’ di nobiltà, nella sua goffaggine, il Maiale ce l’ha davvero. Beh, insomma, non vi sembra un po’ il Re in una fattoria? Non capisco perchè, in parecchie zone del mondo, il suo nome viene usato più per offendere che non per elogiare.

Gli piace gironzolare, lavarsi nel fango e sonnecchiare al sole.SONY DSCE’ così che si tiene pulito mentre, la maggior parte della gente, associa il suo nome allo sporco e alla schifezza. Prima si rotola nel fango e poi lo fa asciugare. Quando secco, il fango si scrosta dalla sua spessa pelle e porta via anche lo sporco. Un imbrattamento salutare. Si fa uno scrub! Non storcete ‘sto naso… pensate che gli esseri umani, per far la stessa cosa, pagano fior di quattrini nelle SPA e dall’estetista!SONY DSC Il Maiale è un animale che pur non dandolo a vedere è molto curioso. Pensate che, questi esemplari, appena ci hanno visto, si sono avvicinati subito alla macchina. Il timore non gli ha permesso di venirci proprio sotto al muso ma li ho visti vogliosi di fare la nostra conoscenza e, con un po’ di calma e pazienza, ciò è accaduto. SONY DSCChe buffi che sono! Con quel naso umido, moscio e tozzo che usano, grugnendo, quasi come un aspirapolvere e quel codino che vorrebbe scodinzolare ma proprio non riesce. Sono cugini primi con il Cinghiale che, nella mia Valle, è molto presente. SONY DSCBestie possenti, pesanti, dalla forte stazza. Pensate che il Maiale più grosso del mondo è arrivato a pesare ben 900 kg e ad essere lungo 2,5 mt. Queste sono cifre da record ma posso assicurarvi che non sono per niente piccoli. Grandi e anche molto intelligenti.SONY DSC I Maiali non sono assolutamente stupidi e, come la maggior parte degli animali, sanno riconoscere presto chi gli vuol bene e chi no. Potrà sembrarvi strano ma sono tanto sensibili. Adesso però è bene lasciarli un po’ stare, non vorrei disturbarli troppo e approfittare della loro tolleranza. In fondo, siamo in casa loro.SONY DSC Perciò vi saluto cari topini e saluto anche loro con una carezza sul muso.

M.

Un’altra nascita nella mia Valle!

Benvenuta al mondo Capretta! Eh sì topi, io e Niky in questi giorni siamo in vena di regalarvi scoop mozzafiato. Sì, sì, potete farci tutti i complimenti che volete… siamo qui apposta!

Ma no! I complimenti dovete farli a mamma Capra e alla splendida creatura che ha messo al mondo e che, in prima visione, potete veder spuntare a conoscere quella che sarà la sua nuova vita. Uno spettacolare momento.

Queste foto, per me, hanno un grande valore. Non sappiamo ancora il nome del batuffolo (la mia socia deve ancora decidere) ma per notare che è meravigliosa non ci vuole molto. Eccola poi con la sua mamma Nuvola che, da subito, si è presa cura di lei pulendola e annusandola. Una mamma fenomenale e bellissima. Alta, grande, tutta bianca e con due corna affusolate sulla testa.

E la nascita di una Capra cari topi è importante! E sì. Nella simbologia degli animali, ad esempio, la Capra è proprio il simbolo per eccellenza della prolificità e della potenza della stirpe. Non solo, ma viste le sue doti da arrampicatrice quale è, rappresenta anche facilmente la sicurezza in generale. Il potersi fidare di un qualcosa. In Oriente addirittura significa estetica, eleganza, bellezza.

Animo riservato, dignitoso e nobile, proprio come Nuvola che ha regalato amore alla sua creatura senza scomporsi. E la Capra si sa, può essere fedele proprio come il migliore amico dell’uomo! Insomma, mi sembra che la campagna della mia amica, in questo periodo, sia davvero ricca di belle sorprese ma anche di tanti significati. Ma puntiamo ancora i riflettori sul cucciolo.

Un cucciolo tutto luccicante avvolto in un liquido amniotico che brilla sotto il sole.

Potete crederci che dopo nemmeno un secondo già stava in piedi da solo? Quant’è incredibile la natura! E se vi dico che mentre barcollava e tentennava, seguito dalla mamma, il suo naso già sfiorava il terreno come a voler mettere alla prova il suo olfatto? Quelle zampette ancora così tenere riuscivano a reggere tutto il suo esile corpo. Così minuto da far sembrare il suo pelo molto più lungo di quello che in realtà è. Piccola, tenera e senza cornini. Bianca e nera e già tremendamente affettuosa! Ha capito subito come si fa per prendersi le coccole.

E quanti sorrisi da parte di Niky, mentre l’esserino cadeva per terra con un leggero tonfo. Con quelle sue unghiette perfettamente pulite che ancora devono formarsi del tutto e quel codino striminzito che sembra pesare una tonnellata. E quel muso. Quel muso ancora quadrato, ancora poco lungo, reso dolce da occhioni che sembrano enormi e scuri, profondi; sanno ancora più di buono.

Benvenuta al mondo Capretta! Benvenuta tra di noi. Che momento gioioso vederti spuntare e poi, a novembre, chi l’avrebbe mai detto?

E ora, che son passate solo poche ore, sembri già autonoma e indifferente anche se ti piace saltellare vicino a tua madre. E’ come se sapessi di essere bella e la più piccola della casa. E già ti nascondi. Ti avvicini solo se ti viene promessa una carezza. Che buffa sei!

Benvenuta al mondo Capretta.

Avete visto che bell’articolo questa sera topi? Spero tanto sia piaciuto anche a voi questo reportage. Io ora vi saluto e vi do appuntamento a domani e… ricordate, le nascite, non è detto che siano finite! Baci.

M.

Pigmy e le marmotte

Ebbene sì, topi, io con le marmotte ho sempre avuto un rapporto speciale.

Innanzi tutto, vi presento Miss Marmotta del Marguareis. Quel giorno io e la mia socia Niky, facendo una delle più belle gite della nostra esistenza, incontrammo questa madama che, credetemi, seppur impaurita e diffidente, non poteva fare a meno di seguirci e spiarci. Alla fine l’ho fotografata. Purtroppo le immagini sono quello che sono, ai tempi non ero nemmeno in grado di fare click! Accontentatevi.

Era simpaticissima. Aveva l’espressione che diceva “Mmh… Queste qua mi son simpatiche, non sembrano cattive!”.

Andavamo pianissimo in macchina, a passo d’uomo, e lei ci seguiva entrando e uscendo da diversi nascondigli. Siamo state insieme per un bel tratto di strada, poi, quando evidentemente il suo territorio è finito, ci ha lasciato andare continuando a osservarci da lontano.

Le altre avventure marmottesche, invece, le ho avute con il mio topopapà. Ho assistito alla splendida scena di due cuccioli che giocavano tra di loro. E’ difficile vederli, ma sono  meravigliosi, piccoli, piccoli e di colore più chiaro rispetto agli esemplari adulti. Si rincorrevano, si abbracciavano, facevano insieme le capriole, si tuffavano in una tana per uscire da un’altra a dieci metri di distanza. Quel giorno capii che la tana di una marmotta, con tutti i suoi cunicoli sotterranei, può arrivare a essere grande come tutta la montagna. La marmotta sentinella fischiava e tutti sparivano, poi, però, sembrava che, vedendoci buoni nei loro confronti, potevano continuare a fare ciò che desideravano.

Ora vi racconto una vicenda che non dimenticherò mai.

Eravamo io e topopapà in auto. Pian piano salivamo per andarcene in cima al monte “Schiena D’Asino” e ammirare il paesaggio. Fortunatamente, come sempre, andavamo lenti come lumache. All’improvviso, a un certo punto, abbiamo visto una cosa enorme, marrone e grigia, uscire da una roccia e passarci davanti, velocissima. Papà ha frenato di colpo ma…. sbam! Che botta. Ma cos’era?

Scendiamo dalla macchina. Una marmotta!

La poverina corse subito dentro una cunetta per riposarsi e ansimava. Potete immaginare come stavo io. Amante degli animali come sono, sapere di avere investito una marmotta a casa sua, nella sua zona era un sacrilegio imperdonabile! Mio padre era conciato peggio di me.

Stavamo andando davvero piano, tutto ci sembrava impossibile. Ho provato ad avvicinarmi, ma lei ha iniziato a soffiare e a mostrarmi dei denti che, credetemi, un castoro è niente a confronto. Ero preoccupatissima. Sembrava stesse bene, a parte lo spavento, ma poteva avere un’emorragia interna. La botta era stata abbastanza forte, ma lei era veramente grossa e robusta.

L’unica cosa che potevo fare era chiamare quelli del ristorante a fondo Valle, probabilmente loro conoscevano qualche veterinario della zona. I veterinari che conosco io ci avrebbero messo quattro ore ad arrivare, eravamo davvero in alto. Il cellulare non prendeva e così papà è risceso a Valle. “Resta qui con lei” mi ha detto.

Ci ha messo quasi un’ora, che io passai da sola, seduta in mezzo alla strada con una marmotta a cinquanta centimetri da me. Intorno regnava il silenzio.

Dopo un po’ lei ha iniziato a calmarsi, respirava meno velocemente. Avrei voluto avvicinarmi, accarezzarla, provare a capire se stesse bene. I minuti passavano mentre lei mi guardava negli occhi, poi si è alzata con agilità, senza particolari problemi. Ha riattraversato la strada e si è infilata dentro una roccia, tenendo la testa appena fuori dall’uscio.

Se ne stava lì. Si puliva, si leccava, si grattava. Sembrava non avere nulla.

Ecco arrivare papà, infine. Gli ho raccontato l’accaduto e anche lui, vedendola, era abbastanza tranquillo. Si muoveva senza difficoltà, aveva soltanto soffiato un po’ e si era rintanata all’arrivo dell’auto, ma poi è uscita di nuovo.

“Mandano qui uno che dicono sia molto bravo a prendere marmotte, magari la portano da un veterinario.” ha detto papà.

Infatti, dopo poco, arriva un pastore del posto con gabbia, bastone, guanti e…. tanto, tanto alcool in corpo.

“Allora, dov’è la bestia?” ha urlato biascicando. Mio padre ha sgranato gli occhi e ha capito tutto prima di me, così ha risposto: “Se n’è andata”.

L’uomo quasi si è arrabbiato: “Come, se ne è andata?”.

“Sì, guardi, proprio lassù, dietro a quella rocca, ma non dev’essere andata molto lontano, vada a vedere!”.

Il pastore si è diretto dove era stato indirizzato e topopapà venne da me: “Mandala via, Pigmy! Spaventala, falla scappare!”

“Ma se ha qualche problema?” chiesi io.

“Meglio aver qualche problema che morire!” mi rispose.

Che potevo fare? Dopo un’ora quella marmotta si stava quasi fidando di me. Come facevo, ora, a fargli paura? Cosa avrebbe pensato di me? Feci comunque come mio padre mi aveva consigliato. Avevo 13 anni, non potevo fare molto altro.

Andai davanti a quel muso peloso che sbucava dalla pietra e urlai forte: “Psssscccccch! Psssssssccccccch!”, ma niente. Lei mi guardava e stava lì. A quel punto ho commesso l’errore di battere le mani. Il pastore mi ha sentita, mi ha vista ed è arrivato traballando. Puzzava di vino. Aveva capito che lì c’era la marmotta.

Mio padre mi ha fulminato con lo sguardo e io mi sentii morire quando udii le parole del pastore: “Vieni, bella, vieni! Che come te, in pentola, buone non ce n’è!”.

Non potevo fare nulla. Mio padre gli stava dietro, forse, se fosse riuscito a prenderla avrebbe cercato di fermarlo. Non lo so perchè è andata così. Appena quell’uomo si è avvicinato al pertugio, la marmotta ha soffiato violentemente e ha emesso una specie di ringhio, come un digrignare stridulo, ed è scomparsa. Quell’antro era profondissimo, e lei lo conosceva bene. Fin dall’inizio avrebbe potuto andarsene quando voleva e invece aveva continuato a stare lì, con me. Avevo creduto che fosse solo una piccola grotta che non andava oltre.

Il pastore se è imbestialito e ha iniziato a urlare e a tirare calci alla roccia, poi, finalmente se ne è andato.

Mio padre mi ha guardato, mi ha sorriso e mi ha detto: “Meglio così, Pigmy. Credimi che quella marmotta stava bene. Era solo un po’ spaventata per il colpo. Questi animali hanno una forza incredibile, non ti preoccupare, ora lei si cura da sola. Quello là, altro che curarla! Se la sarebbe mangiata!”.

Mi auguro che papà abbia avuto ragione e ne sono convinta, perchè ho visto anch’io che in realtà stava bene. Ho soltanto un piccolo rimpianto. Se lei è stata lì, quando avrebbe potuto andar via, mi sarebbe piaciuto salutarla diversamente.

Queste che vi ho raccontato sono alcune delle mie avventure marmottesche e ogni volta è stata una grande emozione.

M.

Primi piani

Sono favorevole alle riserve di animali, ma non mi piacciono gli zoo. Non mi piacciono le gabbie piccole, quella rete intorno, soffocante.

È in questi luoghi che gli animali hanno espressioni rassegnate, annoiate e tristi. Sono stata recentemente al Parc Zoologique de Fréjus e lì gli animali hanno uno spazio vitale già migliore rispetto ai classici zoo. Hanno spazi grandi e aperti per potersi muovere, anche se non si tratta certo delle immense paludi della Florida, delle infinite praterie del Nord America o della savana africana.

Loro stanno lì, a farsi ammirare dalla gente che passa, sempre nello stesso luogo e sempre con i soliti passatempi ormai logori o sgualciti. I loro musi, però, nonostante tutto, mi affascinano.

Al di là del posto in cui si abitano, i loro sguardi, sicuramente meno felici in cattività, mi rapiscono, permettendomi di stare anche intere ore ad ammirarli senza mai stancarmi.  Rimarrei intere giornate appoggiata a un recinto cercando di immaginare a cosa stiano pensando, osservando attentamente le loro movenze e, dove c’è, far finta che quella rete metallica non esista.

Se fotografo uno di loro, non posso fare a meno di scattare anche un bel primo piano dello sguardo che, spesso, continua a essere infelice, ma anche fiero e orgoglioso.

Sono animali abituati a vivere in questi parchi, una volta liberi andrebbero incontro a morte certa e sono probabilmente convinti che, al di fuori di quei pochi metri quadri, non esista altro. È per questo, forse, che molti – azzarderei dire quelli di dimensioni minori – mantengono comunque la loro vera personalità. Quelli che hanno a disposizione un laghetto e un isolotto grandi a sufficienza, se li dividono in zona notte, zona giorno, zona bisogni, zona nursery, e scavano e lavorano e manipolano sempre le stesse  cose e sempre nel medesimo punto. Anche in natura sfrutterebbero gli spazi conosciuti.

Il problema reale, secondo me, si incontra con gli animali più grandi. Per rendere felice un’antilope, ad esempio, bisognerebbe offrirle un prato chilometrico. Per la fierezza di un puma occorrerebbe un’intera collina; inoltre, quei luoghi palustri di acqua verde e muscosa non bastano, ci vorrebbero dei piccoli torrenti d’acqua limpida e corrente che formino delle polle, ogni tanto.

Ciò nonostante, come vi dicevo, tanti ti guardano dall’alto al basso, quasi con superbia, una superbia naturale, l’unica a poter essere ammirevole in natura. È un’espressione che amo poter portare con me tramite immagini e, come lei, tante altre. Attimi che fanno capire quanto sono simili a noi e proprio con gli occhi ce lo dimostrano.

Gli occhi persi nel vuoto, come ad aspettare un qualcosa che non arriverà mai; gli occhi curiosi, che cercano la provenienza di un rumore; gli occhi assonnati, soprattutto nelle ore più calde della giornata; gli occhi profondi, infiniti, che ti cercano e, quando ti trovano, ti osservano, ti puntano, senza paura, senza rancore, attenti e, spesso, quasi fiduciosi. Ci sono anche gli occhi menefreghisti dell’animale pigro o decisamente spocchioso, al quale non importa della tua presenza. Puoi provare a chiamarlo in tutte le lingue del mondo, cercando d’indovinare quella del Paese dal quale proviene, ma per lui, in quel momento, sei soltanto un microscopico moscerino, magari anche fastidioso, per giunta.

Spettacolari, invece, sono gli sbadigli, gli starnuti, i movimenti delle palpebre, le pieghe del manto a seconda dell’espressione, gli arricciamenti del naso. Anche la coda, le zampe, il corpo intero sono affascinanti, ma il muso mi tocca profondamente. Gli erbivori, con quelle labbra in stile Anna Mazzamauro, sempre alla ricerca di cibo, ti solleticano il palmo della mano; i carnivori si puliscono i baffi, la bocca e il pelo con leccate da dieci minuti l’una; i rettili, alcuni impassibili, mantengono l’espressione del “sicuramente non mi ha visto”, altri invece, muovono gli occhi così veloci da una parte all’altra che sembra stiano seguendo una partita di ping pong tra campioni del mondo. In realtà cercano di tenere tutto sotto controllo, stando sempre all’erta.

Nei nostri parchi, le specie animali sono sempre le stesse e le più comuni. Nel parco del Fréjus – che si visita in auto, data la sua grandezza – ci sono circa 82 tipi diversi di animali. Sono tanti, ma in realtà si contano in questo numero anche le razze di uccelli, che popolano diverse zone del parco.

Ho passato l’intera giornata a scattare con la macchina fotografica quello che loro stessi mi permettevano, e gli scatti che qui vi propongo non sono granché, ma rimarranno comunque un bel ricordo.

Alla gente intorno a me bastava lanciare un biscotto all’animale di turno e andarsene, oppure proferire qualche battuta per poi allontanarsi dal recinto senza osservare con attenzione, senza pensare. Perdonatemi, forse avrò i paraocchi, ma mi sono chiesta più volte che cosa ci facessero lì quelle persone e perché avessero deciso di venire a vedere gli animali. Non possiamo ammirarli come nella loro libertà, ma possiamo comunque studiarne il comportamento, i modi di fare, le tecniche, le abitudini.

Lo scimpanzé ruba il pezzo di mela al compagno, che si è distratto un attimo.

Signora Avvoltoio scruta tutti, incavolata a prescindere, perché sta aspettando che il suo cucciolo esca dal guscio ed è impaziente.

Il leone “dice” alla leonessa: «Piantala di stare sdraiata lì, davanti a tutti: vergognati! Vai dietro la pietra!», e lei, mesta, si alza e lo segue senza proferire parola.

Le tartarughe litigano.

L’agnellino, pur di ricevere una carezza, si butta in picchiata tra i massi.

E poi ci sono le recinzioni al cui interno vive un’intera comunità.

La maggior parte delle persone tende a fermare il suo sguardo sull’esserino più impavido e ardito, quello che picchia tutti per arrivare primo a prendere il biscotto, quello che si mette in pole position distraendoti, per essere ammirato, quello che, soprattutto se si tratta di una scimmia, ti allunga la mano e con quel suo ondeggiare di dita ti ipnotizza, facendoti il gioco di Giucas Casella. Ma non c’è solo lui, non è l’unico. Se spostiamo un po’ lo sguardo – senza offesa per il protagonista – possiamo accorgerci del cucciolo al quale la mamma sta facendo un’accurata toeletta, notiamo che il biscotto che abbiamo lanciato e nessuno ha preso è diventato, in realtà, il premio per l’ultimo, laggiù in fondo, che sta nascosto sotto la foglia.

C’è chi boccheggia, ma non si avvicina, perché emarginato dal gruppo e chi, invece, ci prova, ma viene immediatamente scacciato. Impariamo a osservarli con più attenzione.

E poi i colori, i loro manti, la livrea. Se osservati con attenzione sapranno lasciare senza fiato. Ognuno di loro ha delle tonalità ben definite e  sfumature impressionanti. Anche un geco, nel suo grigio, se contemplato saprà stupirvi. Come può, la natura, essere così perfetta nelle righe di una zebra o in quelle di una tigre? Bianche e nere o arancioni, sembrano disegnate, grandi e piccole, e ognuna lascia spazio all’altra.

Come può, un pavone, possedere quello smerigliare di tinte in una sola piuma, quel metallico fluorescente che diventa argento sotto i raggi del sole?

Com’è possibile che un animale sia completamente bianco, ma abbia le zampe nere, oppure tutto grigio e con la coda rossa? E, soprattutto, può darsi che lo stesso animale cambi il tono del manto in determinate occasioni o periodi dell’anno!

Tutto questo è fantastico.

A parte la coda, che per certi animali è la parte più folcloristica, spesso è proprio il muso o, se vogliamo, la testa, a offrire il meglio di sé e non solo in quanto a colori, ma anche per quanto riguarda la cresta, le corna, i ciuffi di pelo intorno alle guance, le orecchie, davvero buffe a volte, i denti in bella mostra… Ci sono righe o pois che in quel determinato punto si accentuano o diventano più piccoli, come a volerci i stare tutti; macchie che dipingono il contorno occhi e la tinta stessa dell’iride: un arancio intenso, un verde smeraldino, un nocciola tenue, ognuno con una pupilla dalle mille forme. E torniamo agli occhi, quelli che, se guardati bene, sono contornati da ciglia, piccoli peli o, per gli uccelli, da microscopiche piume. Ci sono occhi scuri, grandi, dolci, che ci fanno pensare all’animale mansueto, e gli occhi chiari, vitrei, piccoli, che ci fan credere che quella bestiola sia feroce e inavvicinabile. Gli occhi parlano, è vero, ma tutto dipende anche dal rapporto che può nascere con quel determinato animale. Personalmente, non mi avvicinerei mai a un orso, nonostante i suoi teneri occhioni scuri; preferisco di gran lunga una lucertolina innocua con gli occhi color del mare!

La parola avvicinare mi fa venire in mente che sarebbe stato il massimo poterli accarezzare e avere con loro momenti diversi da quelli che possono essere soltanto un “ti guardo” e un “guardami pure”, ma ovviamente questo è impossibile. Inoltre, non ho né il coraggio né la capacità che possono avere parecchi personaggi televisivi che non conoscono la paura e sopportano il dolore. In più, sono così piccola che qualsiasi esemplare di fauna, in quel luogo, avrebbe potuto fare di me un sol boccone, solo l’elefante si è spaventato un po’! Se davvero fossimo tutti grandi come dei topolini, la maggior parte degli animali ci sembrerebbe enorme, ma penso che non sarebbe male se imparassimo a guardarli così, se pensassimo di avere meno supremazia su di loro. Potremmo usare l’intelligenza che ci è stata donata in modo più costruttivo  nei loro confronti. Per fare questo, a parer mio, bisognerebbe imparare a osservare. Come tra esseri umani è meglio ascoltare, piuttosto che parlare, anche con loro – ne sono convinta – si dovrebbe lasciare più spazio al silenzio e utilizzare gli sguardi  attraverso i quali loro sapranno risvegliare in noi tanti altri sensi sopiti e tante altre emozioni.

Non è possibile rimanere indifferenti davanti a tanto splendore. Sono meravigliosi.

So che questi animali li avete già visti tantissime volte,  ma mi piacerebbe se li osservaste e ammiraste. Anche se possono sembrare banali, conosciuti, di tutti i giorni.

A volte penso che loro ci scrutino più di quanto possiamo vederli noi, ma lo fanno con discrezione, tanto che noi non ce ne accorgiamo. Sono sicura che, se potessero parlare il nostro stesso linguaggio, saprebbero perfettamente ripetere come eravamo vestiti o pettinati o riconoscerci in un mare di folla. Davvero!

Ricordatevi: non approfittate mai di loro, nemmeno se chiusi in una gabbia.

Bene, a questo punto non mi rimane altro che augurarmi che abbiate potuto avere, oltre che una buona lettura, anche una buona visione!

Come sempre, dalla vostra – questa volta zoofila – Pigmy.

M.