Il Monte Pellegrino e il suo bosco magico

Il monte che voglio presentarvi oggi, e che appartiene alla mia splendida Valle, è un monte meno nominato rispetto ad altri più “famosi” di lui ma, chi non lo conosce, non sa quello che si perde.

Si tratta del Monte Pellegrino, non altissimo, 1.398 mt s.l.m. ma davvero particolare e con un Passo e un Bosco omonimi.

Lo si raggiunge da diverse zone della Valle, rimane abbastanza centrale, ma c’è un punto, esattamente sopra la zona di Gorda e cioè sopra l’abitato di Triora che ci permette di attraversarne il suo bosco fitto.

Un bosco che non ha niente da invidiare alle magiche foreste dei migliori film.

L’atmosfera che regna in questa macchia è surreale in ogni momento.

Con la nebbia, con la neve, in estate, quando persino i raggi del sole faticano a penetrare quelle fronde che ci abbracciano.

Per questo, una vita assai particolare, può trascorrere le sue giornate tra queste piante, le quali creano un habitat che poche volte si trova in natura.

E’ infatti un monte molto verdeggiante, a partire dalle sue pendici, che si attraversano passando proprio per questa foresta tagliata dal sentiero sterrato.

Ha poche radure e non è per nulla aspro.

In autunno mostra anche vari colori dati dal foliage dei suoi alberi e si presenta come una pietra preziosa e colorata in mezzo a tinte più spente che lo circondano.

A regnare sono le Conifere, soprattutto il Pino Nero, che conferisce la sensazione di protezione e oscurità, ma giovani Latifoglie insegnano la resilienza tra quegli aghi aguzzi.

Tutti quegli alberi donano un senso di mistero e permettono di respirare un’aria mistica fantasticando su figure incredibili che potrebbero spuntare da un momento all’altro. Per non parlare di quando la bruma si posa tra quei tronchi ritti. Sembra di entrare in dimensioni nuove, mai viste prima.

Come ho detto, non c’è un momento dell’anno in cui, questo bosco, non stupisca con il suo carattere e ciò che mostra. In ogni stagione riesce a lasciare tutti a bocca aperta.

La montagna che lo nutre la si può vedere sovente durante le escursioni in Valle, seppur più bassa di molte altre, spicca al centro, davanti alla Catena Montuosa del Saccarello e probabilmente intrattiene lunghi discorsi con Rocca Barbone.

Questo luogo è stato anche teatro di battaglie importanti, tra Francesi e Piemontesi, che videro come protagonista Napoleone Bonaparte. I confini vennero segnati al Monte Saccarello, soprastante, e fu molto il sangue che sgorgò e venne assorbito da questa terra oggi rigogliosa e lussureggiante di verde.

Una terra da proteggere perché assai ricca di piccola vita.

Nonostante un sottobosco pulito, molte sono le specie sia di flora che di fauna che qui abitano. Sono infatti innumerevoli i versi degli uccellini che tra questi rami hanno il nido e qui cresce persino la Pinguicula Comune che è, pensate, una pianta Carnivora! Ebbene sì, la mia Valle stupisce sempre, dal Macrocosmo al Microcosmo che la rappresentano.

Ora vado a lanciarmi in un’altra avventura e a preparare un nuovo articolo per voi!

Squit!

Uluch Alì Pascià

Tempo fa, raccontandovi del paese di Civezza qui vi nominai il pirata turco Dragut. Vi parlai di lui perchè, nel 1564 saccheggiò il paese e i civezzini subirono la sua violenza e le sue angherie fino all’anno dopo, il 1565, anno della morte del terribile corsaro.

Celebre per diverse razzie, lo divenne anche Napoleone Bonaparte durante la campagna d’Italia nel 1796.

La mia terra, la Liguria di Ponente, era considerata un punto strategico sia per il commercio che per le proprie ricchezze e fu per questi motivi, attacchi marittimi e montani, che si decise di provare a difenderla con l’innalzamento di bastioni e fortezze. Ma nonostante questo, la Riviera, come tutta la Liguria del resto, continuava ad essere vittima di crudeli carnefici. A subentrare a Dragut, terrore dei mari, fu un giovane corsaro e ammiraglio ottomano che in fatto di sete di conquista e desiderio di onnipotenza non fu meno del suo maestro.

Ali_Pasha

Questo perfetto seguace nacque probabilmente in Calabria, a Le Castella, con il nome di Giovanni Dionigi Galeni nel 1519, ma tutti impararono a conoscerlo come il grande Uluch Alì Pascià. Di foto sue, ovviamente non ne avevo, quella che vi mostro oggi è stata presa da Wikipedia.

Tenace, sfacciato, coraggioso, uno dei pochi superstiti della battaglia di Lepanto comandando l’ala sinistra della flotta.

Ci mise poco a diventar famoso, fu infatti molto temuto e conosciuto come il suo predecessore e si può dire anche di lui che fu “terrore di tutti i mari”. In effetti, tutto il Mediterraneo era governato da lui.

Ogni costa che lui toccava conosceva la paura. La gente tremava al solo nominarlo ed ebbe ancora più forza nella seconda metà della sua vita divenendo comandante della flotta di Alessandria. Una carriera in totale ascesa. La sua potenza lo spinse addirittura a cercar di rapire il duca Emanuele Filiberto di Savoia e, la sete di conquista, lo faceva avanzare impavido sempre oltre.

Ci fu solo un luogo in cui Uluch Alì dovette arrendersi e tornare indietro e questo luogo è citato anche in molti libri storici. Un posto che si chiama Civezza e si tratta del bellissimo borgo “vicino di casa” della Valle Argentina.

I suoi abitanti subirono pene atroci ma combatterono con tutta la loro forza e la loro passione fino a raggiungere la vittoria.

Scacciarono il pirata e vinsero, con immani sacrifici e subendo gravi devastazioni, conquistarono la loro libertà. Non permisero a Uluch Alì di farli suoi, ne’ loro, ne’ il paese, ed egli, vinto, dovette andarsene.

Ma rientriamo in Valle. Il paese di Taggia, invece, non fu così forte o così fortunato e, dopo il saccheggio violento del pirata nel 1561, costruì ben otto bastioni per salvaguardarsi da ulteriori invasioni. Bastioni di cui spesso vi ho parlato oltre a quelli voluti in seguito dalla Repubblica di Genova.

Uluch Alì era davvero potente e Arma era una delle zone in cui lui si fermava sovente per poi inoltrarsi nell’entroterra e depredare gli altri villaggi. Ovviamente giungeva dal mare con tutta la sua flotta al seguito. Un personaggio da temere, conosciuto ovunque. Pensate che è stato addirittura citato nel famoso romanzo “Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes.

Uomo violento e rinnegato ma famoso per le sue disumane prodezze. I nemici, amava decapitarli e incendiava tutto ciò che gli capitava a tiro.

SONY DSC

Il suo soprannome era Ucciali (Occhiali); così lo chiamava, storpiandone il nome, chi aveva paura di lui. La storia di un uomo che da semplice pescatore è diventato il nemico numero uno dei miei predecessori.

Questa è una parte di storia che ci interessa, ci vede in un modo o nell’altro, nuovi protagonisti. La storia di chi ha contribuito, nonostante mezzi bellicosi e ingiusti, a trasformare, in parte, i luoghi in cui oggi vivo. Nella seconda immagine potete vedere un pezzo del panorama di Arma di Taggia/Bussana con la fortezza dell’Arma come protagonista.

La storia di chi, ancora oggi, ricordiamo attraverso fortificazioni ma anche leggende e soprattutto feste e manifestazioni che altrimenti, chissà, non sarebbero probabilmente esistite. Giornate in cui si risente, con gioia e sentimento, la liberazione. Noi oggi, le viviamo ancora e ancora lo ricordiamo… magari senza saperlo. Sapere che era lui.

Uluch Alì Pascià topini. Buona giornata a tutti.

M.

Conoscere Civezza dirimpettaia della Valle Argentina

Sul montSONY DSCe Faudo convergono i crinali che risalgono le Valli Argentina e Prino, le quali racchiudono al loro interno anche la valle del San Lorenzo, valle governata dall’alto dal bellissimo e soleggiatissimo borgo di Civezza. E’ probabile che da questo luogo si raggiungesse, soprattutto, proprio la valle Argentina, tramite il passo di San Salvatore e la vicina costa presso la foce del San Lorenzo.

E si sa, anch’essa, come i paesi della mia Valle, fu molte volte invasa e saccheggiata da Turchi e Saraceni. E’ a Civezza che si finisce passando per i miei prati, i miei monti, i miei boschi. Un percorso costiero d’altura la collegava direttamente a Pompeiana, Castellaro e Taggia. Nomi che già conoscete.

Leggete cosa si può trovare nel libro di Luciano L. Calzamiglia e del mio amico Giampiero Laiolo intitolato: Civezza – borgo collinare tra le Valli del Prino e del San Lorenzo. “Ci sono pervenuti gli accordi per l’uso dei pascoli del monte Follia e delle “Terre Comuni”, una estesa zona di prati e di boschi, tra i confini di Carpasio, Taggia e SONY DSCl’Argentina concessa nella prima metà del XIII secolo da conte Oberto di Ventimiglia, signore di Badalucco, alla communitas di Porto Maurizio. Civezza non solo faceva parte di questa comunità, ma è il borgo posto sul principale percorso che conduce a quelle terre, che erano i migliori pascoli, boschi, castagneti e il granaio della comunità. Tale concessione comitale fu duramente contestata per secoli dagli uomini di Montalto e di BadaluccoSONY DSC e di questo contenzioso ci è pervenuta una consistente documentazione relativa a quel territorio e al suo utilizzo. La via di crinale che da Civezza porta a  Santa Brigida e al passo di Vena accresce la sua funzione quando, nel 1259, gli eredi del già citato Oberto, «conte» di Badalucco, tramite Ianella Advocatus, cedono il loro feudo alla Repubblica. Genova organizzò le terre della Media e Alta Valle Argentina in poSONY DSCdesteria, sottoponendola al suo vicario generale della Riviera Occidentale residente in Porto Maurizio. Questa via, pertanto, venne ad assumere anche una funzione di collegamento ad uso amministrativo che conservò per i successivi cinque secoli“.

E allora andiamolo a conoscere meglio questo paese. Civezza, paese dipinto, vi accorgerete del perchè appena ci metterete piede. Siamo nello stesso paese in cui, a Natale, vi portai a vedere quel meraviglioso presepe, ricordate?

E’ un paese bellissimo che mantieneSONY DSC le caratteristiche liguri di uno storico passato e quindi merita d’esser presentato. Paese particolarissimo. Guardate bene le immagini che vi posto e noterete che le sue stradine, le sue vie, si distinguono ulteriormente dai borghi vicini. Ancora più chiuse, più dritte, molto ben tenute.

Civezza si sviluppaSONY DSC in alto, a 220 metri sul livello del mare, e si svolge intorno ad una principale via, lunghissima sua spina dorsale.

Baciato dal sole, insistentemente, e circondato dagli Ulivi più folti, esso è stato costruito più nell’entroterra per proteggerlo da chi ne voleva far razzia. Nel 1564, ad esempio, fu saccheggiato dal pirata turco Dragut, celebre nella mia Riviera per le sue razzie e rapimenti in vari borghi marinari e persino montani e, molti civezzini, subirono le più violente angherie di codesto corsaro. Proprio per contrastare il violento fenomeno furono erette le famose cinque torri d’avvistamento del paese, ancora oggi in parte conservate nella loroSONY DSC integralità.

E oltre al pirata, che morì un anno dopo aver deturpato questo villaggio, fu la volta, nel 1796, durante la Campagna d’Italia, di Napoleone Bonaparte.

Oggi Civezza è il paese dei ciottoli, dei carrugi piastrellati da mattonelle rosse e sassi grigi. E’ il paese delle lastre d’Ardesia che indicano sempre simpaticamente la via: “Carugiu de bazue” (carruggio delle streghe).

Domina, colorato,SONY DSC inconfondibile, con delle tinte liguri molto forti, accentuate. Con i suoi vicoli che non lasciano passare un solo filo d’aria e i suoi gradini. Tanti. A passare per queste strade, come ci dimostrano anche i dipinti che man mano andrò presentandovi, ci sono i circensi, i giocolieri e gli acrobati del “Circopaese”, tutti gli anni, il primo di maggio. Una delle feste principali assieme al Plenilunio di agosto. Se volete divertirvi, in questi giorni, non vi annoSONY DSCierete di certo considerando anche i bellissimi mercatini dell’artigianato che vi coinvolgeranno. Queste feste si svolgono per tutto il villaggio; e guardate che meraviglia: la piazzetta del Comune, Piazza Marconi con, al centro, la bellissima fontana di pietra e i ciclamini, il B&B – La Locanda del Gufo -, le case in cerchio, tutt’intorno, i monumenti.

E case importanti anche, come quella di Aurelio Saffi, uomo di Forlì, che è stato un patriota e un politico italiano; un’importante figura del Risorgimento, un politico di spicco dell’ala repubblicana radicale incarnata da Giuseppe Mazzini, diSONY DSC cui è considerato l’erede politico. Nato nel 1819 e morto nel 1890, durante il suo esilio, intorno al 1850, dimorò proprio qui, rifugiato, in questa casa rosa, come testimonia quest’Ardesia appesa alla pareteSONY DSC. Un secolo esatto dopo, invece, Civezza subì un significativo spopolamento. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, parecchi se ne andarono, chi a cercar fortuna, chi a cercar lavoro, chi a rifarsi una vita. Civezza non venne intaccata in modo brutale dalla guerra e dalle sue armi, confronto ad altri borghi della mia provincia, ma ciò bastò a far allontanare da lei, la popolazione. Solo da una ventina d’anni circa, le persone stanno capendo la sua bellezza e vogliono tornare a conoscerla e viverla ogni giorno.

Il monumento dei caduti, davanti all’Oratorio di San Giovanni Battista, all’inizio del paese, riporta comunque una serie di nomi di dispersi e deceduti e, intorno a lui, quattro proiettili di artiglieria pesante, molto particolari, gli fan da cornice.

A Civessa, come si dice in ligure, risiede una centenaria Scuola Elementare Statale. Una scuola particolare. Questa Scuola Elementare è, da decenni, motivo d’orgoglio per l’intera popolazione. Le classi sono uniche e gli alunni di tutte le età stanno assieme. Questo potrà sembrarvi strano ma il sistema funziona bene tanto da diventare una tradizione radicata ormai da decenni. Peccato che, tale istituzione, probabilmente per mancanzaSONY DSC di presenze, stà rischiando la chiusura. Un gran peccato.

Oltre alla scuola, una farmacia; un’unicSONY DSCa farmacia a Civezza. Un paese piccolo, di 650 anime.

Un’Associazione Culturale, la San Marco, ricavata laddove una volta c’era un antico Mulino. In queste ampie sale, sono oggi ospitati oggetti risalenti l’attività contadina e culturale di un passato medioevale ormai scomparso. Un’esposizione visibile durante le feste di cui vi parlavo prima. Questo Forum Polivalente offre anche rappresenSONY DSCtazioni teatrali, esposizioni pittoriche, conferenze e tantissime altre attività solitamente con l’unico scopo di fare della beneficenza.

Un’altra cosa carina da vedere qui a Civezza è il passaggio ipogeo, ripristinato nel 2003, con ancora i due originali tronchi dSONY DSCi colonna a inizio percorso, dell’antica parrocchiale del XV secolo. E’ questo passaggio che ci permette di arrivare in cima alla cresta dove un belllissimo panorama, arricchito da piantagioni di Ulivo, si prospetta innanzi a noi.

Là davanti, proprio di fronte, ecco Costarainera, a destra Torre Paponi e più in su, si sa, Pietrabruna. Ma Civezza è il più vivace di tutti.

Gli sportelloni dei contatori disegnati da mani esperte e fantasiose e sui muri, guardate, leSONY DSC meridiane, allegria per i nostri occhi.

Civezza, circondata da stradine di campagna che ti portano su, in luoghi magici e sconosciuti dai quali, volendo, si può scendere fino a Imperia – Porto Maurizio.

Civezza, circondata da simpatici animali, gli scuri asini e le bianche pecore dal muso nero che brucano tutto il giorno. Civezza che un tempo era sul mare, accanSONY DSCto a San Lorenzo ma poi, come ci informano le prime testimonianze, con la distruzione del villaggio da parte dei pirati di Frassineto, i civezzini decisero di rifare il loro nucleo abitativo molto più in su, in una zona riparata dai colli.

Sotto Civezza passa oggi l’Autostrada dei Fiori e questo dovrebbe farvi capire la sua posizione, simile a quella della nostra Castellaro.

Tutt’intorno a lei le fasce, le tipiche terrazze liguri coltivate, vento e sole, sole e vento, è una pacchia qui lavorare la terra e raccoglierne i frutti. E che frutti. Squisitezze da mettere sulle nostre tavole. E anche l’aria è buona qui: l’aria dei monti e del mare.

Insomma a Civezza potete trovare ogni cosa, vi voglio lasciare infatti con un ultima chicca su questo paese, la descrizione di questo borgo da parte del nostro scrittore e poeta Francesco Biamonti: “Civezza. Che volete di più? Paese in mezzo agli Ulivi e alto sul mare; per arrivarvi si passa in una sinfonia di tronchi di rami; l’orizzonte si apre, oltre che sul mare, su altri paesi dai nomi bellissimi, Pietrabruna, Boscomare, su crinali che se ne vanno lontano, SONY DSCcome melodie su flutti d’argento; le case e le piazzette sono antiche, di un’intimità raggrumata nel vento. C’è un che di sospeso, di dolce, di lieve, una vertigine che viene dalla luce in ascesa. Più su del paese, più su degli ulivi si stende la macchia mediterranea con strade polverose e chiese e sentieri e ovili rosi dai cespugli. La grazia, che sotto era fragile, si fa rude, SONY DSCsi accorda fuori del tempo alla forza del mare. Poiché le prime alture, bisogna pur dirlo, sono le più indifese, di un equilibrio che se si tocca si rompe. Collocata su un costone, arenatavi come una barca, Civezza è fragile e leggera, una nuvola che vi si accosti sembra trascinarla.Basta un palazzo sghembo per offenderla, e una macchina che passi in un vicolo disturba i morti. È un paese che ha bisogno di vivere intatto come un ricordo. Di che sia frutto questa bellezza rimane un mistero: vicoli e cascate di ulivi non bastano a spiegarlo. Che venga dal fatto che ha, sotto, la luce instabile del mare e, sopra, quella più ferma di un paesaggio montano?”.

Che altro aggiungere? Venite a Civezza, sarete i benvenuti. Un bacione, la vostra Pigmy.

M.

Dove cadde Eugène

La maggior parte delle volte che percorro alcune delle mie strade, soprattutto i sentieri, mi viene spontaneo osservare il fiorellino rosa, l’albero alto e imponente, l’animaletto che sguscia via spaventato, la sua tana, il nido… ma non sempre mi rendo conto che le mie zampe, mentre son persa a scrutare l’orizzonte, stanno calpestando una chiazza di sangue, una ciocca di capelli, un vecchio schioppo, un bavero strappato…

No, non sono impazzita. Esattamente là dove poggiano le suole delle mie scarpe, in quello stesso punto, anni prima stava sdraiato un militare ucciso nel difendere la sua terra. La mia terra. Urla, fumo, bombardamenti… Quelli erano i rumori di allora, mentre oggi si sente soltanto il ronzare di un’ape. Un altro palcoscenico e si possono immaginare i mercanti trasportare con i loro muli carichi di formaggi, ortaggi e cereali. Si asciugavano la fronte e canticchiavano inni d’incitamento. Oggi uno stanco pastore alza la mano ad accompagnare il suo “Bona!”, mentre ci saluta senza nemmeno guardarci. Un pastore, probabilmente l’unico rimasto. Ricordate i pascoli di Drego, oggi disabitati? (li trovate nel mio post “Drego, il paesaggio fantasma”) E Bregalla, Creppo, Realdo, Verdeggia, paesi che un tempo vivevano sulla pastorizia?

Le pecore di quest’uomo hanno precedenza su chiunque. Ad accompagnarlo c’è un grosso cane. Sono loro i personaggi che hanno popolato e popolano tuttora le terre della mia Valle che confinano con Francia e Piemonte per diventare brigasche. I crinali furono le prime vie dell’uomo verso le Alpi e la Pianura Padana. Da migliaia di anni sono percorsi da cacciatori, pastori e contadini. Batì Luro, il più vecchio pastore dei Lanteri di Realdo, ci offre una visione leggendaria dell’abbandono delle montagne da parte del pastore. E allora prendo ancora una volta in prestito le parole di un gentile scrittore che, con il sorriso, ha regalato tanto sulla mia terra e mi ha permesso di arricchirmi di conoscenza. Eccomi, quindi, a raccontarvi una storia che ci permetterà di pensare, quando andremo su questi sentieri, che oltre al fiore rosa, alla pianta e all’animale che fugge (esseri degni di stima e affetto), ci sono anche stati dei nostri simili che hanno permesso a noi di vivere l’esistenza che conduciamo ora, grazie ai loro grandi sacrifici del passato. Questa persona è Giampiero Laiolo, al quale simpaticamente invidio tanto sapere.

Il crinale: la strada del pastore, del militare, del mercante e del mulattiere. Sui crinali s’elevarono dalla preistoria luoghi di culto poi riconsacrati da cristianesimo, oggi segni tangibili della continuità tra la nuova e l’antica fede. I crinali furono vie della fede ma anche percorsi di guerra. Nel 1794 su queste terre si affrontarono gli eserciti francesi e piemontesi. Le truppe rivoluzionarie erano comandate dal generale Massena. Tra i suoi ufficiali vi era un giovane corso, Napoleone Bonaparte. Il marchese Costa de Bouregard che dirigeva le difese sabaude trincerate lungo il crinale dei monti Saccarello e Frontè, ci ricorda quei drammatici momenti. Con lui combatteva il suo diciassettenne figlio Eugenio.

Il 27 aprile i Francesi e Piemontesi si affrontarono lungo il ripido crinale. Si avviò la sparatoria e il suo crepitare andò a risvegliare le lontane postazioni nemiche. Repentinamente tutte le creste si coprirono di segnali, da tutte le parti accorsero i battaglioni che si srotolavano nella neve come grandi serpenti neri. L’accanimento di alcuni uomini incassati nella gola diede tempo di arrivare ai rinforzi e la mischia divenne ben presto generale con alternarsi di successi e  sconfitte. Respinti in un primo tempo, i Francesi ritornarono alla carica e lanciarono una colonna alla baionetta protetta da due pezzi da montagna. Il combattimento divenne allora una lotta corpo a corpo dove i repubblicani si mescolavano ai Piemontesi. Eugène assisteva il Capitano Pean. Dietro Eugène suo padre lo guardava. Il marchese avrebbe voluto che il mondo intero fosse là per ammirare il suo figliolo. I proiettili imperversavano. Tutto ad un tratto il conte di Saint-Michel, alla testa di un battaglione di guardie, piomba sul fianco dei repubblicani, essi indietreggiano; i granatieri reali, per un istante scossi, si riuniscono e caricano al grido di: -Viva il Re!-. Eugène marcia per una decina di passi e tutto d’un tratto s’abbatte nella neve. Suo padre lo osserva, il suo animo trepida. Eugène è fra le sue braccia. Il marchese non sa ancora se è morto o vivo. Il piccolo lo abbraccia e gli  mostra il sangue che scorre a fiotti dall sua ferita. Henry cerca di metterlo in piedi, il ragazzo si sforza, ma la sua gamba pende inerte. “Non posso” dice e ricade nelle braccia di suo padre. Due giorni dopo Eugène morì.

A Punta Santa Maria domina  il monumento al Redentore. Da lì si gode un’eccezionale panoramica sulle Alpi Liguri e Marittime. Monte Bego, il marguareis, il Colle di Tenda cuore alpino del Ponente Ligure. Il rapido e convergente degradare di queste montagne sul mare ha reso possibile la formazione di un territorio culturalmente omogeneo. I pastori liguri, provenzali e piemontesi che per millenni s’ incontrarono su queste montagne le chiamarono “la catena del mondo”. Un simbolismo cosmico che rappresenta il perno della loro vita. E nulla, che ci crediate o no, potrà far pensare il contrario. E oggi, ho imparato, quando cammino e i miei occhi scrutano quelle cime meravigliose, quelle infinite distese di fiori viola, e le poiane sorvolano quel mondo da lassù, chissà… forse lì, dove ora stò appoggiando i miei piedi, forse lì è caduto Eugène.  

M.

La prorompente eleganza dell’Ortensia

Sono tanti i suoi colori. Il rosa, il fucsia, l’azzurro, il bianco, il verde… tanti e tutti meravigliosi. Non saprei quale scegliere.

L’Hydrangea, questo il suo vero nome, proprio grazie alla sua forma particolare, alle dimensioni che raggiunge e ai colori, è spesso la protagonista di belle opere in giardini e parchi.

Coltivarla infatti non è difficile ma ci vogliono alcune accortezze che, tra l’altro, ne determinano appunto il colore. La coltivazione in piena terra richiede clima fresco durante l’estate e sempre la mezz’ombra. Esige terreno di brughiera con aggiunta di terriccio di foglie e sabbia, neutro o acido. L’acidità del terreno, influenza appunto il colore dei fiori: il blu indica un terreno più acido.

Non dimenticate poi che essa ha i gambi vuoti al loro interno e può quindi far rifornimento d’acqua. E’ per questo che non dovete esagerare nel darle da bere o la farete marcire.

L’Ortensia, anche nome proprio di persona, significa voler fuggire, evadere, essere freddi ed altezzosi. Avere una spocchia sopportabile ma pur sempre esistente. E’ per questo che è stato usato spesso per i nobili come nel caso di Hortense Eugeniè Cècile Bonaparte, figlia di Giuseppina e figliastra di Napoleone e, in seguito, consorte di Luigi I, fratello sempre di Napoleone.

Oppure Ortensio, al maschile, personaggio della commedia cinquecentesca –La Bisbetica Domata – di William Shakespeare. Esso però, non era un nobile ma un gentiluomo.

Chi porta questo nome, non sta mai fermo. E’ un sognatore. La sua è una continua lotta per raggiungere una meta e, una volta soddisfatto il proprio desiderio, ne cerca un altro e si rimette in moto.

Seconda regina del giardino, invidiosa probabilmente della sua rivale Rosa, porta il nome della Dea Venere e, la radice del suo nome significa proprio “che sta nell’orto”. Dato ciò, si sente probabilmente in diritto, di poterci e volerci star da sola.

E’ così superba da essere addirittura tossica. Se ne sconsiglia quindi l’uso in cucina ma, in antichità, se ne beveva un thè preparato mettendo a macerare le sue foglie durante matrimoni e riti funebri per poter così evadere con la mente e mettersi in contatto con gli spiriti.

Mi fa sorridere pensare che anche i fiori hanno, per così dire, un loro “carattere”. Una personalità.

Si dice comunque, o meglio, alcuni ne sono convinti, che abbia proprietà diuretiche e antimalariche. Non lo so, vi riferisco semplicemente ciò che alcuni studiosi come, Carl Peter Thunberg, dicono di aver scoperto.

L’Ortensia è coltivata ovunque, come vedete dalle immagini, ce l’abbiamo io, la mia amica Niky che mi ha fornito le sue foto, mio nonno, mio padre e tutti quanti, sia sul terrazzo che in giardino ma la sua origine è orientale e asiatica. Sono infatti la Cina e il Giappone i suoi “genitori”. Le patrie nelle quali è spuntata per la prima volta.

Sono piante molto antiche ma, nonostante ciò, di loro, non si conosce ancora molto. Anche catalogarle in una famiglia è difficile. Facendo una ricerca, noterete che ognuno, la colloca in una famiglia diversa. Facciamo attenzione quindi. Magari usiamola solo a scopo estetico che direi essere l’ideale. Soddisfa pienamente le nostre esigenze da questo punto di vista. I suoi fiori, a forma di ombrello, possono formare composizioni davvero pompose. E’ meravigliosa a mio parere anche se un pò scorbutica a quanto pare!

M.

Dal Redentore alla Valle Arroscia

Ebbene si, come vi avevo preannunciato, ora che questa stupenda statua (art. Il Redentore) che vi ho mostrato qualche post fa l’abbiamo vista, possiamo tornarcene a casin casetta. Attenzione però! Non c’è solo il Redentore qui da ammirare, diamo un’occhiata in giro prima di lasciare questo luogo.

Ad esempio, possiamo vedere che è circondato da targhe di ogni sorta. Chi ringrazia qualcuno, chi ha voluto lasciare un ricordo, chi un semplice saluto. Messaggi scolpiti nell’ardesia, altri nell’ottone e uno addirittura con la foto del frate cappuccino, Gian Francesco Filippi, che amava questi luoghi più di ogni altra cosa al mondo. Ognuno, a modo suo, a voluto lasciare il segno. I più affezionati hanno creato vere e proprie opere d’arte.

Vicino a noi c’è anche una minuscola chiesetta. Al suo interno possiamo trovare la carinissima poesia dedicata all’amico viandante, quindi ad ognuno di noi, e un grande quaderno, dotato di penne, sul quale chiunque può scrivere un pensiero e dire perciò “io ci sono stato!”.

Tra le sacre immagini della Madonna e suo figlio, è anche molto carino vedere che i pellegrini, passati di lì, hanno lasciato in parecchi, oggetti personali. Un cappello con visiera, una borsa, una collanina, una borraccia, uno stemma… insomma, una tappa da fare obbligatoriamente. Diamo ancora un’occhiata al panorama, è un dispiacere andarsene.

Notiamo che non vediamo solo Verdeggia ma anche Realdo, un altro piccolo paesetto della Valle Argentina, contornato da una vallata indescrivibile. Bene, è davvero arrivato il momento di andare. Salutiamo il gigante di bronzo. Lui non si volta, continua a guardare innanzi a sè, i suoi monti, i suoi prati, il suo cielo, accecato dal sole.

Per un attimo, ci sentiamo anche noi possenti e dominanti come lui. Dobbiamo percorrere qualche metro a piedi, l’auto, abbiamo dovuto lasciarla all’inizio della piccola stradina, ma non è un male, possiamo ammirare meglio il paesaggio che ci circonda, guardarci in giro e respirare aria pulita.

E’ percorrendo questo sentiero che troviamo qualche, cosiddetto da noi, “masin”, funghi non particolarmente gustosi a dire il vero, ma per nulla velenosi. Grandi, puliti, color dell’avorio.

Saliamo in macchina e facciamo manovra pronti alla discesa; guardate quanta strada abbiamo fatto! Da qui si può vedere tutta. E’ uno spettacolo! Volendo, potremmo percorrere a piedi il Passo del Tanarello per circa tre quarti d’ora, ma non è il caso oggi di stancare le nostre zampette, useremo la comodità.

Andremo giù per il più conosciuto Col di Nava e, strada facendo, sorpassato questo splendido valico montano, ci ritroveremo ad attraversare la Valle Impero, che dà il nome alla provincia di Imperia e la Valle Arroscia che prende il nome dall’omonimo fiume.

E’ quest’ultima valle ad essere così vasta da comprendere anche alcuni comuni della provincia di Savona e, sarà in lei, che ritroveremo i nostri ulivi che qui, data l’altura, non vediamo più. Insomma, un altro bel viaggetto ci attende. Partiamo.

Undici corvi volano sulle nostre teste, mamma mia… erano meglio i falchi incontrati all’andata! Bhè, poverini i corvetti, hanno diritto anche loro. Non soffermatevi però a guardare uccelli che vi svolazzano intorno, capisco che la natura qui sia magnifica ma state attenti alla strada che dovete percorrere. Sono vie bellissime ma senza protezione, quindi mi raccomando, guidate con prudenza senza fare i fenomeni altrimenti, ecco cosa può capitarvi.

Mi auguro solo che al poveretto, il fattaccio, non sia successo di notte. Già c’è poca gente di giorno in questi luoghi, figuriamoci nelle ore notturne! Tra l’altro, gli è andata bene, anche se ha distrutto la macchina, in quanto, ci sono punti in cui il dirupo è veramente profondo e a strapiombo, anche se devo ammettere che una bella botta l’ha presa anche lui. L’auto, come potete vedere, è completamente distrutta. Rammaricati, continuiamo la nostra gita.

Il primo paese che incontriamo è San Bernardo di Mendatica e vi posto la foto di una fontanella carinissima dedicata a “u can de Felipo”, ossia “il cane di Filippo”, chissà, forse un cane particolarmente coraggioso o con qualche straordinaria avventura alle spalle. Non c’è anima viva, non posso informarmi.

Se siamo qui a San Bernardo, significa che siamo già scesi di parecchio, siamo esattamente a 1263 metri. E’ intorno a questo paese che regnano i sentieri della transumanza e scorre il Tanarello, nome del passo che vi spiegavo prima. Tanarello perchè, ovviamente, affluente del Tanaro. E’ da qui che giungiamo al cuore di questo itinerario: Mendatica. E’ Mendatica ad essere il paese con più storia, più turismo, più eventi e monumenti.

Il suo nome deriva da “Mendéiga” che in dialetto ligure significa “Manda acqua”, è un paese infatti, ricco di sorgenti ed è proprio nelle sue vicinanze che, sempre il Tanarello, forma cascate tutte da guardare, le famose cascate d’Arroscia.

Siamo vicini a Pornassio e a Montegrosso Pian del Latte e tutti insieme, fecero parte del Regno di Sardegna dopo la caduta di Napoleone Bonaparte.

Mendatica, circondata da castagni e noccioli, si presenta come un paese immerso nel verde mentre, in autunno, soprattutto nel periodo di ottobre, offre caldi colori adatti ai pittori migliori.

Buonissimo è il miele che viene prodotto in questi luoghi e da non perdere il laboratorio naturalistico e il museo “Civiltà delle Malghe”. Questo paesino, chiamato, della “cucina bianca” è inoltre arricchito da splendidi mulini che sembrano finti tanto sono belli (quasi, quasi, mi trasferisco), ognuno con la sua ruota e rigorosamente fatti tutti di pietra.

Il monumento principale di Mendatica è la chiesa di Santa Margherita ed è da lì, che se prendiamo la mulattiera dietro a questo santuario, possiamo arrivare sul ponte dei Gruppin e inchinarci dinanzi ad un panorama mozzafiato, in un territorio già molto più alpino rispetto a quello intorno al paese, come vi spiegavo più verdeggiante.

Abbandoniamo Mendatica, a salutarci, per ultimo, il Parco delle Canalette, un parco attrezzato per pic-nic e brevi soste all’ombra. Eccoci nuovamente sotto un caldo sole, ed ecco rispuntare i nostri amici ulivi, compagni anche della mia valle.

La zona è meno umida e olive e uva nascono abbondantemente. Se non erro, a regnare qui è l’ormeasco, uva che produce il vino della zona. Tra qualche chilometro arriveremo al mare e ai più sensibili fischieranno un pò le orecchie. Attraversiamo i monti di Pornassio, paese caro a Genova per via della sua posizione ottima per il punto di vista strategico.

E’ da li infatti, servendosi di lui, che il nostro capoluogo può tenere sotto controllo tutti i suoi domini, sia liguri che piemontesi, fin dal ‘600.

Passato anche lui, eccoci arrivare alla cittadina di Pieve di Teco, paese al quale fanno riferimento tutti gli altri più piccoli che vi ho citato sopra e dire che dall’800 a oggi ha subito anche lui una negativa evoluzione demografica.

Il santuario della Madonna dei Fanghi e il convento di San Francesco, sono i suoi monumenti più famosi, peccato però non averli potuti osservare da vicino, come vedete ero in auto e la foto di questa cittadina ve l’ho scattata di sfuggita.

Riparerò, per questa volta accontentatevi dai!

Anche questa passeggiata, più breve di quella all’andata, è giunta al termine e io, me ne sono ritornata nella mia Valle che stava per diventare gelosa, pensa di essere la più bella e per me lo è, ma devo riconoscere che, intorno a lei, ci sono luoghi che meritano davvero anche solo una sbirciatina.

Un caro saluto a tutti Pigmy.

M.