Da Verezzo ai prati di San Giovanni

Lo so che la mia Valle sarà gelosa del post che sto scrivendo, ma oggi vi porto a conoscere un posto che non si trova nella Valle Argentina, bensì nelle zone immediatamente limitrofe.

Se c’è una cosa che di solito ci invidiano tutti della Liguria, è la sua caratteristica di essere a metà tra i monti e il mare, e spesso percorrendo sentieri dell’entroterra si può osservare la distesa d’acqua che lambisce la costa, mentre si danno le spalle alle Alpi.

Ebbene, un giorno d’autunno prendiamo la topo-mobile e allontaniamoci dai miei luoghi, ma non tanto, eh!

Arriviamo fino a Verezzo, frazione di Sanremo, e lasciamo la macchina proprio davanti alla chiesetta di Sant’Antonio.

Mi perdonerete se non farò tante foto, questa volta, ma ho le zampe ghiacciate. Tira un’aria così fredda che si fatica a tirarle fuori dalle tasche, figurarsi a scattare fotografie!

Comunque, dicevo, dalla chiesa imbocchiamo la mulattiera visibile sulla strada e, inerpicandoci, arriviamo su una strada asfaltata che sale ancora tra bellissime villette. Presto l’asfalto si trasforma in cemento, e il cemento in pietra. Si raggiunge così un’altra mulattiera, contornata dalla vegetazione di tipo mediterraneo, dalle campagne curate da mani sapienti e da case di agricoltori.

Il percorso prosegue tutto al sole, non ci sono alberi ad adombrare il sentiero. Lungo il cammino ci imbattiamo nella Ginestra, nel Cisto, nel Timo, in cespugli rigogliosi di Ginepro. E poi, di tanto in tanto, ecco spuntare Querce, Mandorli, Pini e Ulivi.

Si sale sempre, senza fermarsi mai, e la presenza delle mucche è evidente, bisogna fare attenzione a dove si mettono le zampe, se non si vuole finire dritti dritti nella… busa!

Più si va in alto, più la vista diventa mozzafiato. Se volgiamo lo sguardo verso l’interno, possiamo vedere le antenne di Monte Bignone, ma guardando verso sud veniamo invasi dal colore del mare, che oggi è blu intenso, specchio perfetto del cielo terso. E poi si scorgono Sanremo, la Valle Armea, Bussana, Castellaro, da una postazione più elevata possiamo vedere anche Arma di Taggia.

Verezzo

Tornando con lo sguardo verso l’entroterra, riconosciamo il Monte Faudo.

Salendo, la vegetazione si fa più brulla e i Grilli saltano allegri in mezzo all’erba, ormai quasi del tutto secca.

Poi, a un tratto, il sentiero si fa più pianeggiante, la pendenza diminuisce drasticamente. Si procede in mezzo alle Ginestre, i cui rami spogli si impigliano allo zaino, alla giacca e ai capelli. Anche il Rovo si fa spazio in questo ambiente, bisogna fare attenzione a non lasciare che prenda confidenza con noi, perché potrebbe graffiarci le guance, le zampe e lacerare i nostri vestiti. Si sale ancora un po’, ma questa volta la salita è più dolce che in precedenza. Ed eccoci arrivati ai prati, bellissimi, quasi sconfinati, in mezzo ai quali si stagliano ruderi di costruzioni antiche come il tempo e alberi solitari di maestosa bellezza.

Verezzo1

Continuando a camminare in mezzo alle distese erbose, dove pascolano le Mucche, grufolano i Cinghiali e dove passano anche i Cavalli, ci dirigiamo verso la pineta che si vede sulla cresta, poco più in alto rispetto a dove ci troviamo.

E, una volta arrivati, le meraviglie da assaporare non sono poche.

prati Verezzo

Tappeti di pigne ricoprono il terreno e un Pino Silvestre trasuda resina dalla corteccia, si vede anche a distanza. Guardate la meraviglia di questa colata d’ambra!

Sebbene la perdita della resina dalla corteccia non sia un buon segno per la pianta, non possiamo che rimanerne affascinati.

Più avanti ci fermiamo a mangiare un boccone con lo sguardo rivolto al mare, ma facciamo in fretta, perché il vento è forte quassù, non si riesce a rimanere fermi a lungo. Dopo mangiato, proseguiamo il sentiero per pochi istanti e ci ritroviamo alla chiesetta rurale di San Zane, San Giovanni. Subito sotto c’è il paese di Ceriana, un cartello indica che è possibile arrivarci, ma oggi non vogliamo proseguire. Da qui si potrebbe arrivare anche a Monte Bignone, ma neppure questo sarà la nostra meta. In lontananza scorgiamo il Toraggio e, sullo sfondo, le cime innevate delle alture cuneesi.

prati di san giovanni ceriana

C’è pace, il profumo della neve arriva quasi alle nostre narici. Il freddo sferza il viso, ci copriamo di più per sentire di meno il suo schiaffo, ma il vento è potente. E allora decidiamo di tornare indietro, contenti per la bella e rigenerante passeggiata, mentre godiamo dell’oro del sole che ci pervade e illumina ogni cosa intorno a noi.

Pigmy

La Ruota Panoramica

E ditemi… ci siete mai saliti sopra? Io si, quand’ero ancora una topina. Oggi mi tremerebbero i baffi così tanto da non riuscire nemmeno ad aprire gli occhi. E, sicuramente, lei si fermerebbe proprio mentre io sono nel guscio più in alto, lassù in cima.

Vedere il mondo da lassù è però fantastico. Lo ricordo. Forse ancora meglio che essere su un aereo. Si possono vedere distintamente tutti gli angoli della città nella quale si è: Roma, Parigi, Londra, ovunque.

Ricordo l’aria fresca che tagliava il viso, ancora più fredda di quella che sfiora i musi mentre si cammina con i piedi per terra. O forse è solo emozione.

E ricordo le luci. Ancora più luci, più che da qualsiasi altra parte. E le città sembravano immense. Quei puntini luminosi non finivano mai, si allontanavano sempre di più, diventando ancora più piccoli, come a segnare l’infinito.

E ricordo la sensazione di quando il giostraio ci faceva accomodare, e piano piano si saliva, sempre di più, ed era come non arrivare mai.

La testa la sentivo più leggera, il cuore iniziava a scalpitare sempre più veloce e avrei voluto guardare proprio sotto di me ma niente. Anche se ero una cucciola e non avrei dovuto aver così tanto timore, data l’incoscienza che spesso arricchisce i più piccoli, riuscivo a malapena ad osservare l’orizzonte nero a pois dorati.

Sì, le volte che sono salita sull’enorme ruota era sempre sera.

Guarda Pigmy, guarda la gente giù con tutti i nasi in aria! – mi dicevano, ma io ero quasi bloccata. La miriade di narici, al di sotto di me, non era di mio interesse.

E mi tenevo forte alle ghiacciate sbarre intorno.

La cosa che più mi spaventava era il dondolio delle cabine colorate. Bellissime, parevano i giocattoli di una fiaba, le casette dei Puffi o le tane di qualche Bianconiglio ma, quel loro volteggiare leggero, di qua e di là…. Santa Topa che paura! Brrrr.

Però, se cammino sotto di lei, non posso fare a meno di ammirarla. Di perdermi nella sua maestosità fino a sentire male al collo. Mi piacerebbe cavalcarla, tornare ad avere un contatto con lei. Sedermici dentro e lasciarmi cullare sempre più in alto, fino a toccare il cielo. Chissà… un giorno forse.

Per ora ci passo sotto e basta e vorrei non curarmi di lei ma, il mio sguardo, anche se mi allontano, finisce sempre lì, perchè quando c’è, domina su tutto.

Ah! Quanti ricordi. Vabbè, ogni cosa a suo tempo, non fa niente, per ora mi accontento di girare nella ruota di mio cugino il criceto.

Un bacio vertiginoso, vostra Pigmy.

M.