Topi, la mia Valle è sempre bella e regala spettacoli che non lasciano certo indifferenti. Non vi ho mai mostrato la bellezza del suo cielo notturno e credo sia proprio arrivato il tempo di farlo.
La notte, in alcuni angoli della Valle, si tinge di fascino e magia, coi suoi cieli che si accendono di stelle. Sulla costa le luci sono offerte dai lampioni, dai fari delle auto che scorrono veloci sull’asfalto e dalle case. Ma qui, immersi nel silenzio del bosco e della macchia, in cima alle colline e alle vette che inaspriscono il territorio in cui vivo, il firmamento brilla in tutto il suo fulgido splendore.

Una scia di stelle bianca e nebbiosa attraversa il cielo nelle notti più limpide: la Via Lattea. La si vede ancora, là dove l’inquinamento luminoso non arriva prepotente. Si può scorgere persino da alcuni carruggi dei borghi che costellano la Valle, se si fa un po’ di attenzione. E quando le sere d’estate ci si concede del tempo fuori tana, cercando l’ebbrezza di un’esperienza meno mondana di una sagra, un gelato in riva al mare o una cena in compagnia… si torna a godere di quella bellezza semplice e disarmante che solo Madre Natura sa offrire.

La Via Lattea è la nostra Casa, topi, la Galassia nella quale si trova il nostro Sistema Solare. Guardandola ci si sente piccolissimi, ma al contempo parte di un qualcosa di infinitamente più grande di noi. Restare col naso all’insù a rimirare il suo candore dipinge un sorriso sui nostri musi e gli occhi si spalancano di meraviglia per riuscire a cogliere tanta magnificenza. In tempi antichi, ovviamente, sono nate le storie più disparate riguardo questo fenomeno celeste. Per i Greci era il latte della dea Era, schizzato dal suo seno mentre il piccolo Ercole tentava di berlo. Gli Egizi la consideravano la copia celeste del loro fiume più sacro, il Nilo. Anche in Cina, Giappone e Corea è stata rassomigliata a un corso d’acqua ed è chiamata Fiume d’Argento. Questo mi fa sorridere, se si pensa che il torrente da cui prende il nome la Valle è l’Argentina e io la sto osservando da qui.
Chissà cosa ispirava nei topi di un tempo, questa scia luminosa notturna!

Vi sembrerà bella, vista in foto, ma vi assicuro che dal vivo rende molto, molto di più. Le mie immagini, infatti, non possono farvi desiderare un golfino sulle spalle per il freddo notturno che si sente anche nella bella stagione sulle mie montagne. Non potete udire il profumo che sprigionano le piante, tutto intorno a voi, né i versi degli animali che sono molto attivi nelle ore notturne. Si guarda la Via Lattea stando sdraiati sul plaid, attorniati dal cri-cri dei Grilli, mentre un Gufo canta in lontananza. Le Volpi giocano le loro danze d’amore e di caccia, ce ne sono tante e si fanno sentire con le loro urla buffe. E poi ci sono i Caprioli con il loro abbaio roco e i Cinghiali che grufolano nel buio. Anche nelle ore notturne persino i campanacci del bestiame tintinnano ancora.
Non c’è silenzio: intorno è un brulicare costante di vita, di andirivieni, di faccende del bosco… non siamo soli. Riuscite a sentire tutto questo, topi? No?! Bene, allora non vi resta che fare una gita fuori porta in notturna per assaporare quello che il cielo e la Valle, uniti in un abbraccio ammantato di blu e di stelle, potranno offrirvi.
Mentre me ne stavo lì a osservare quell’arazzo mutevole e luminoso, ho udito un tramestio poco distante da me. Incuriosita, ho dato un’occhiata e ho riconosciuto il mio amico rebattabuse (lo Scarabeo Stercorario, noi liguri lo chiamiamo letteralmente… “ribalta cacche”!). Saprete tutti che fa rotolare pallottole di escrementi nelle quali nasconde il cibo e si nutre degli stessi.
«Oh-issa! Oh-issa!… Uff! Pant… pant…»
«Toulì! Buonasera Metuccuecuje!» l’ho salutato. Ehm… il suo nome significa “Mi Tocco le Balle” perché è un po’… come dire… pessimista, ecco! Ma per gli amici si chiama Metuccu.
«Oh! Uff… Speriamo sia buona, topina! Speriamo! Non si sa mai! Me nona a me dixeva sempre… (mia nonna mi diceva sempre…)»
«Sì, ehm… Metuccu, lo so, lo so cosa ti diceva, tua nonna: se nu ti stai mà o ti sei mortu o ti sei in tu l’al di là! (se non stai male o sei morto o sei nell’aldilà)». Nel bosco, l'”ottimismo” di Nonna Disdetta Stercoiella era famoso.
«Cosa ci fai fuori dalla tana in una notte buia come questa? Lo sai che è pericolosissimo?»
«Mi godo la vista!» gli ho risposto, come fosse la cosa più evidente del mondo, soprattutto per me che non ho certo paura della natura che mi circonda!
«Quale vista? U l’è tütu negru! (E’ tutto nero!)».
Ecco appunto… ve l’ho detto io!
«Proprio tu che ti orienti con le stelle non vedi che su quel nero c’è la Via Lattea? Guarda! Stasera, poi, si vede benissimo!»
«Ah, scì… a Via Lattea… Sì, be’… ghe credu ca’a veggu, a nu sun orbu… a gh’è sempre… stà lì… a nu veggu cose ghe secce de stranu… U l’è cuscì, u sè, de nœtte. Negru! Uff… (Ah, sì… la Via Lattea… certo che la vedo, non sono cieco. Non capisco cosa ci sia di strano, ma c’è sempre, è lì, è così il cielo di notte. Scuro!).» Sospira.
Sospira sempre, in continuazione. Sembra una fatica per lui parlare. Sembra una fatica per lui vivere! Ha una tristezza tangibile che mi fa venire l’ansia… Provo a farlo sentire importante. Santa Topa! Mi sta già opprimendo!
«Metuccu… tu che sai molte cose sulle stelle, che mi dici a proposito di questa scia luminosa?» gli ho domandato per distrarlo dai suoi cupi pensieri.
«Be’, io la uso per orientarmi. Almeno so dove andare, con il mio balun de busa (la mia palla di sterco).»
“Balun”, pensai… al massimo “baletta”… chissà cosa si credeva. Sì che era più grossa di lui, però… mi svegliò dalle mie valutazioni continuando il discorso: «Sai… Uff… in Spagna la chiamano Camino de Santiago.»
«Ah, sì? E ha a che vedere con il famoso pellegrinaggio?»
«Me pà œvviu (Mi sembra ovvio). Infatti nei Secoli Bui, nome azzeccatissimo, si diceva che fossero proprio i pellegrini a creare la Via Lattea, con la polvere sollevata dai loro piedi. E poi Compostela si dice derivi dal latino campus stellae.»
«Sai sempre tante cose interessanti, Metuccu. Questa non la sapevo neanche io!»
«Bah… sono cose così… di poco conto. In fondo che importa? Io sono solo un rebattabuse e queste cose non interessano a nessuno.»
«Ehm… senti un po’… stavo cercando di contare tutte le stelle della Via Lattea. Secondo te ce la faccio?»
«Risparmiati la fatica, topina. Ne conta duecento miliardi. Comunque non potresti mai vederle e contarle tutte insieme. Con ogni probabilità, arriveresti solo a duemilacinquecento.» Sospira e conclude: «Uff… Moriresti prima.»
Ehm… me tuccu infatti… Sospiro anch’io. Lui respira così pesantemente che emette un sibilo, come se quel numero stellare fosse il numero di pietre sul petto. Per tutte le code di topo! Ogni tanto mi fa davvero venire i baffi dritti dal nervoso anche se racconta cose molto curiose. Soprassiedo: «Belin! Così tante? Notevole, davvero.»
«Se lo dici tu… Capirai che interesse… son cose ovvie, banali, insignificanti… Ora, però, devo salutarti, ho la tana da riempire di busa, prima che sorga il sole. Potrebbe piovere, sai…»
«Ma non c’è una nuvola!»
«Eeeh… non si può mai sapere! Bastano poche gocce e mi si allaga la tana!»
«Ma l’hai costruita in discesa!»
«Ma metti che crollano i sassi da sopra?»
«Ratta Santissima! Ma hai solo radici come tetto!»
«Potrebbero staccarsi. Non ci sono più le piante di una volta… Me nona a me dixeva sempre…»
E’ davvero impossibile!
«Va bene, va bene, Metuccu! Corri, corri! Non si sa mai. Grazie di tutto, allora! E buon lavoro.»
«Eh! A sun sempre ca travaju ti nu-u vei? Uff… (Eh! Sono sempre che lavoro non lo vedi?)»
Già… una povera e meschina vita, secondo lui. Però è tanto buono, bisogna solo saperlo prendere.
E con questo, topi, vi saluto anche io, ma rimango a rimirare codesta bellezza, alla faccia di quel disfattista del mio amico Metuccu!
Un bacio galattico a tutti!
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