La vita di Rio Infernetto

Al di sopra delle porte dell’antico Monte Gerbonte (1727 mt) tra le falesie di una delle zone più impervie dell’Alta Valle Argentina, nasce un Rio al quale sono molto affezionata in quanto attraversa luoghi splendidi del mio mondo e seguirlo è sempre una meraviglia.

Nasce tra rocce severe, accarezzando scogli grigi, ma il suo percorso offre poi scenari davvero particolari che ogni volta mi incantano.

Sono diversi tra loro, a volte dolci e morbidi, a volte rudi e spogli ed è difficile far ritorno alla propria tana quando si è nei pressi delle sue acque che rapiscono l’animo.

Si tratta di Rio Infernetto che taglia il sentiero dei Parvaglioni (e cioè dei Larici Monumentali della Foresta del Gerbonte) dando vita ad una natura florida e spettacolare.

Ma ci sono punti in cui attraversa rocce aguzze e sporgenti, austere e taglienti.

Le attraversa placido, con le sue acque linde, per poi tuffarsi in cascatelle impetuose come a dare maggior vita a se stesso e al Creato che lo circonda.

Lo si può infatti incontrare calmo, a formare pozze, oppure vivace, mentre allegramente scavalca grandi massi, sorpassa ponti, si infila in canali di pietra e bagna rive.

Rio Infernetto è tutto questo e anche di più.

Splendido, in qualsiasi stagione dell’anno.

Il punto che preferisco è il suo arrivo dove forma una piccola laguna che in estate è abitata dai Gerridi (i Ragni d’acqua) e le Libellule.

Una laguna cangiante, dalla bellezza che lascia senza fiato sia in estate che in inverno.

Qui l’acqua è così trasparente che si può vedere il fondale e diverse piante scendono a cascata a far da cornice.

Le rocce le danno una forma circolare ed è come essere in un piccolo paradiso.

Il silenzio avvolge, rotto soltanto dal canto di qualche uccellino cordiale.

Trovo molto divertente il modo di fare di questo rio.

In alcuni tratti luccica al sole come a volersi far ammirare in tutto il suo splendore, altre volte invece appare cupo, sembra voler nascondere qualche misterioso segreto che solo chi lo ama profondamente può scoprire.

Sa nutrire ma anche proteggere.

Grazie a lui, molta natura viene alimentata e sono tante le esistenze che prendono vita grazie al suo scorrere perpetuo.

Fiori di ogni tipo spuntano per primi già nei mesi ancora freddi per lasciare poi il posto a quelli più grandi e colorati dell’estate.

Un ciclo che si ripete manifestando la bellezza della Natura.

Enormi foglie sembrano ninfee e molte creature del bosco si abbeverano mentre lui scende a Valle sereno.

Le rane depongono le loro uova nei suoi piccoli laghetti. A loro basta un palmo di acqua e, in certi punti, Rio Infernetto è proprio la tana ideale per anfibi e rettili acquatici.

Anche il Gambero di fiume adora questo piccolo torrente perché offre nascondigli adatti alla vita che conduce questo raro crostaceo d’acqua dolce. Raro perché, purtroppo, non ce n’è più una quantità come un tempo ma qui, gli esemplari rimasti, riescono ad ottenere il loro habitat ideale per vivere e riprodursi.

Amano infatti nascondersi e avere angolini bui dove stare tranquilli e adorano anche una certa vegetazione.

A proposito di questo il Rio Infernetto cambia persino colore sapete?

Il muschio e le alghe gli conferiscono sfumature uniche.

Ci sono zone in cui la sua acqua sembra azzurra come il cielo e nei suoi abissi diventa blu cobalto… ma in altri punti invece è verde come gli smeraldi.

Le rocce si specchiano in lui grazie alla sua limpidezza.

Nascendo tra le alte vette che circondano Borniga, osservando i Bastioni rocciosi del Monte Gerbonte, non può certo inquinarsi.

Lì tutto è arido, pulito, roccia pura, ricca di minerali.

Luoghi in cui un tempo vivevano uomini primitivi in profonde grotte e, oggi, queste montagne, sono vissute solo dagli animali più agili e selvatici.

Dove passa Rio Infernetto tutto è selvatico.

E’ sicuramente una delle parti più selvagge della Valle. L’Alta Valle Argentina. Ed è di una bellezza mozzafiato.

Questo rio incontra il Torrente Argentina poco prima del paese di Creppo.

Al di sopra di alcune delle sue incredibili forre si può vedere gran parte della vallata manifestarsi a Sud, verso Loreto, e il panorama è incredibile.

Dona libertà, senso dell’infinito. Permette di vedere le mie amate montagne.

Sono sempre felice quando giungo nei pressi di questo torrentello.

E’ la vita che si mostra e illumina il mondo.

Fa questo effetto anche a voi vero?

Ma ora vi mando un bacio Topi!

Ci vediamo alla prossima meraviglia della Valle! A presto!

Il divino nella Vite, nell’Uva e la Vendemmia

Topi cari, l’estate ci abbandona e i suoi colori sgargianti si spengono per lasciare posto a tinte più scure. In tutta la Valle e le sue zone limitrofe le aree collinari sono cariche degli acini succosi e tondi dell’Uva, uno dei frutti autunnali per eccellenza. Com’era divertente, quando ero topina, schiacciarli con le zampe per aiutare con la vendemmia! Una vera gioia, una di quelle che difficilmente si possono dimenticare.

vite e uva

Ebbene, proprio una manciata di sere fa è venuta nella mia tana Maga Gemma. L’ho invitata per condividere con lei l’abbondanza del mio raccolto ed è stata entusiasta di  unirsi a me. La mia tavola era imbandita: non mancavano piatti a base di zucca, mele e frutta secca, ma l’attenzione della Maga era rivolta interamente verso quello che è divenuto il vero protagonista della serata…

«Il tuo vino è squisito, Pruna. Ah, la Vite… che pianta divina!» mi ha detto sorseggiando dal bicchiere.

vino rosso

«Sono proprio contenta che ti piaccia, lo abbiamo fatto io e topo-papà. Non è molto, perché non abbiamo una vigna ampia, ma quel poco che ricaviamo è prezioso, lo usiamo per le occasioni speciali, come questa per esempio.»

«Ti ringrazio, Pruna. Davvero molto gentile da parte tua. Un tempo, così come oggi, il vino era considerato una bevanda sacra, legata al Divino: per questo mi fai ancor più onore offrendomelo con la generosità che ti contraddistingue.»

 

«In effetti, ora che ci penso, il vino insieme al pane non manca mai sulle tavole della Valle…»

«Esatto. E come accade sempre, dietro ogni abitudine ci sono origini e motivi ormai quasi dimenticati.»

«Il pane e il vino sono simboli importanti della religione cristiana, alla quale gli abitanti della Valle sono molto devoti. Credo sia noto a tutti il significato di questa usanza… no?»

Gemma ha annuito: «Hai ragione, certo. Ma persino nella gestualità e nelle parole della religione si celano significati più profondi di quelli che siamo abituati a cogliere in superficie. Fin dall’antichità la Vite è stata assunta come simbolo della divinità, dell’amore e della purezza. Si sono celebrate feste e cerimonie in onore di questa pianta e dei suoi frutti…»

vite

«Parli dell’antica Grecia?»

«Certo, ma non solo.» ha puntualizzato sorseggiando ancora un po’ dal calice. «La Vite divenne uno dei simboli per eccellenza dell’immortalità, sai perché?»

Ho riflettuto un secondo prima di darle la mia risposta: «Be’, i frutti della Vite sfamano esseri umani e bestioline d’ogni genere. E poi dall’Uva si produce il Vino e quest’ultimo viene consumato abitualmente da tutti. Non è difficile trovare la sua analogia con il ciclo di vita, morte e rinascita.»

«Brava, topina!» ha detto soddisfatta. «La Vite ci racconta proprio questo. Ci parla del ciclo delle stagioni, della Trasformazione alla quale nessuno è immune e che coinvolge tutti gli esseri viventi del pianeta. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Lo stesso atto della vendemmia, per esempio, rappresentava nell’antichità la morte, il disfacimento del corpo. Il Vino che si ricava da tale procedimento, necessiterà di buio e temperature basse per essere chiarificato e divenire limpido, come noi lo beviamo. Freddo e assenza di luce sono, guarda caso, due elementi che associamo per antonomasia alla morte, ma l’antica saggezza racchiusa anche nella Vite e nel Vino ci insegna che questi due elementi sono necessari per giungere all’essenza delle cose. Accade nella morte fisica, ma anche simbolicamente nelle avversità che tutti siamo chiamati ad affrontare. Si scende metaforicamente in quelli che chiamiamo gli inferi per poi ascendere al paradiso, al regno celeste.»

damigiana vino

Ero affascinata dall’interpretazione di Maga Gemma, i miei occhi brillavano di meraviglia: «Insomma, niente di diverso da quello che tocca a tutti noi in questa stagione appena cominciata, quella autunnale: attraverseremo il buio e il freddo del prossimo Inverno, per rinascere rinnovati in Primavera, in un ciclo che si ripete sempre e che noi bestioline conosciamo molto bene!».

Maga Gemma ha sorriso: «Esatto, Pruna. Non esiste il tempo dei fiori, se prima non viene il tempo del seme: il momento del buio, del riposo, di un’energia che si concentra all’interno per poi manifestare la bellezza della vita all’esterno.»

A quel punto, restava un solo piccolo nodo da sciogliere nella mia testolina di sorcio: «Maga Gemma… che mi dici, allora, del fatto che i cristiani associno il Vino al sangue?»

vino bianco e rosso.jpg

«Una domanda davvero interessante, la tua. Vedi, Pruna, come immaginerai il Vino è diventato sinonimo del sangue per via del suo colore e le sue caratteristiche. E’ il sangue di Cristo offerto per l’umanità. Non siamo abituati a pensare in questi termini, ma il sangue rappresenta la gioia, quella di vivere in armonia con il Creato e le sue leggi, tant’è che perdere sangue, sia esso in piccole o grandi quantità, equivale a perdere un po’ di quella vita preziosa che ci è stata donata. Il sangue che Cristo ci offre è la sua gioia, la gioia di chi vive seguendo i suoi principi. E quella gioia è offerta con amore a tutti noi. Possiamo attingere in ogni istante al suo calice, ma troppo spesso lo dimentichiamo.»

«Wow!» ho esclamato.

vite dipinta

La Maga ha continuato: «Ma il simbolismo in sé nasce dal fatto che, come sai, Gesù ha sempre accettato la volontà del Dio suo Padre “barcollando” molto raramente in fatto di Fede. Ebbene, la prima volta che ebbe paura fu proprio durante la sua notte passata nel Getsemani, nell’uliveto, dove sapeva bene che le guardie sarebbero andato a prenderlo da lì a poco per crocifiggerlo. In quel momento Gesù esclamò: “Padre, tu che puoi tutto, allontana da me questo calice!”, ma subito si riprese e continuò: “Tuttavia, sia fatta la tua volontà, non la mia”. La sua angoscia, Pruna, era così forte e tanti erano il suo spavento e la sua sofferenza che si dice abbia sudato sangue. Quel suo sudore, talmente concreto e intriso di terrore, aveva i bagliori rossi e purpurei del sangue. Lo stesso sangue, sostituito dal Vino, che ancora oggi viene offerto. Ancora una volta, la Fede totale e assoluta verso Dio aveva prevalso in quel cuore puro. Quello venne considerato dai teologi un momento catartico della vita del Messia.»

«Cavoli… non conoscevo questa precisazione. Però, tornando al discorso della gioia… Be’ mi pare proprio di capire che, ancora una volta, gli esseri umani si facciano tanti problemi, quando in realtà avrebbero la soluzione a portata di mano, sotto i loro occhi, dico bene? Basterebbe solo comprendere di avere dentro una riserva preziosa di gioia e amore, per non focalizzarsi sempre e solo sulle cose negative.»

«Hai detto proprio bene, amica mia. Pensaci tu a ricordarlo, ora però propongo un bel brindisi.» ha detto, alzando il calice.

«Alla gioia!»

«E all’Amore, di cui dobbiamo ricordarci sempre.»

«E sia!»

Unitevi a noi, topi! Brindiamo insieme! In alto i calici, allora, e… Cin cin!

Velenosa e bellissima – la Tromba degli Angeli

Velenosa, ma meravigliosa (che fa anche rima) la Brugmansia, chiamata anche volgarmente “la Tromba degli Angeli”.

Questo nome gli è stato conferito a causa della forma dei suoi fiori, che oggi ho fotografato per voi e che sono di colore rosa, sebbene ne esistano anche delle tinte arancio, fucsia, bianco, rosso e bicolor. Esistono diverse specie di Brugmansia, alcune profumano addirittura di Vaniglia. Molti botanici la classificano con il nome di Datura, ma sembra non si siano ancora accordati tra la specie “erborea” e quella “erbacea”. In natura, inoltre, questa pianta non esiste più, o meglio non nasce più spontaneamente; per ricrearla occorre un clima tropicale.

Come ho detto, questa pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae  è molto velenosa, quindi bisogna trattenersi dal maneggiarla troppo, poiché si rischia di avvicinare le mani alla bocca o ad altre parti sensibili del corpo, come gli occhi. La sua tossicità, però, crea seri danni soprattutto se la pianta viene ingerita.

Pensate che alcuni indigeni dell’America del Sud, luogo di nascita di questa pianta, la usavano persino come veleno per la caccia, perciò fate davvero attenzione con lei. Gli Indios, invece, traevano dai suoi semi una sostanza stupefacente da consumare durante riti o feste particolari, ma ne conoscevano bene la dose, che poteva invece essere aumentata per renderla fatale al nemico. Oggi, gli esperti ne traggono un principio attivo molto potente, anche se tossico, che viene messo all’interno di alcuni antidolorifici.

Sarà forse proprio la sua tossicità mortale ad averle conferito anche un altro nome, quello di “Fiore del Diavolo” o “di Strega”. Ebbene sì, dal Paradiso, con tanto di angioletti che la suonano come una trombetta, si scende all’Inferno, dove Satana la fa sua narcotizzando gli ignari grazie alle sue proprietà dannose, che possono provocare anche forti allucinazioni, tanto potenti da condurre alla morte.

Per alcuni sostenitori della divisione delle due specie, infatti, il significato cambia tra il male e il bene delle due piante (Datura e Brugmansia), dove la prima è quella considerata infernale, mentre la seconda sarebbe quella paradisiaca. Questo perché il termine Datura deriverebbe etimologicamente da “mela spinosa” e, quindi, pungente e urticante, perciò malefica. Tutti, però, su una cosa sono d’accordo: per via della sua bellezza poco duratura, simboleggia l’estetica esteriore che ha poco valore e, per via del suo essere anche nociva, simboleggia l’incertezza, la preoccupazione e la magia.

Non è autoctona della mia Valle, come ho detto, ma non manca in nessun giardino. E’ molto ornamentale quando fiorisce e può raggiungere dimensioni notevoli persino in vaso. Si adatta abbastanza bene in qualsiasi tipo di terriccio, pur prediligendo il calcare, e ama il sole. Se messa in piena terra si consiglia assolutamente la potatura durante la primavera.

I suoi fiori sono grandi e le sue foglie una prelibatezza per le lumache che, evidentemente, non la patiscono. Vederla evolvere in tutto il suo splendore è una meraviglia!

E voi Topi? Ne avete, di Brugmansie? O Dature? O Trombe degli Angeli? O…. Oh mammatopa! Quanti nomi!

Un Bacio! Alla prossima!

Da Verdeggia al Passo della Guardia

Topini, oggi vi porto in un posto della mia Valle tanto bello da togliere il fiato!

Andiamo in Alta Valle Argentina, dove il tempo sembra essersi fermato e dove i ritmi rallentano tanto da farci dimenticare di guardare l’orologio. Siete pronti? Bene, partiamo allora.

E’ ottobre. Ci mettiamo in macchina e saliamo su, sempre più su, superando Triora e il ponte di Loreto. Già da qui possiamo godere di una vista bellissima, la Valle si stringe, e il torrente Argentina scorre in basso. Con l’auto passiamo sotto costoni di roccia che incutono quasi timore da quanto sono grandi, incombono su di noi. Proseguendo sulla strada, arriviamo finalmente a Verdeggia. Scendiamo dall’auto e iniziamo a coprirci: sebbene l’autunno quest’anno sia mite, l’aria è frizzante e fredda, non dimentichiamoci che siamo a un passo dal Piemonte e dalla vicinissima Francia!

Il sentiero parte da qui, dall’inizio dell’abitato di Verdeggia (1092 m), ed è subito segnalato da un cartello. Ci condurrà al Passo della Guardia, a 1461 metri di altitudine.

Zaino in spalla, iniziamo a salire, e subito ci inoltriamo nel bosco.

Verdeggia

Sotto di noi ci sono tappeti di foglie, è uno spettacolo guardarle, perché non sono ancora tutte secche e non hanno perso i loro bellissimi colori. Ecco, allora, che ci ritroviamo a camminare su un mosaico variopinto, dove il verde fa coppia con il giallo, il rosso con il marrone e… e poi c’è il lilla, quello dei crochi che tappezzano il sottobosco per gran parte del tragitto.

zafferanoForse voi non lo sapete, ma da questo piccolo e meraviglioso fiore, molto delicato tra l’altro, si ricava una spezia assai amata dalla nostra cucina: lo zafferano! Ci chiniamo ad annusare la sommità del famoso pistillo e anche così possiamo sentirne il caratteristico profumo.

La mia valle, insieme ai numerosi prodotti caseari, alla lavanda con i suoi derivati e ai golosissimi funghi, è rinomata anche per la produzione di zafferano: la vendita al pubblico avviene nella vicina Triora, ma arriva anche – pensate un po’ – a Sanremo, sulla costa! Infatti, potete trovarlo da Sfusa, la spesa senza imballo.

Oltre all’uso culinario, che tutti noi conosciamo, gli stigmi dello zafferano vengono usati nella medicina popolare. Infatti, rinforza l’organismo, regola il flusso mestruale, rinvigorisce e attiva il sistema nervoso e vascolare e favorisce la digestione. Un vero toccasana, insomma!

Tra le altre piante che ci accolgono, mentre continuiamo la salita, possiamo distinguere querce, noccioli e castagni, dei cui frutti si nutrono scoiattoli e altri piccoli animali. I gusci restano vuoti sul terreno, ma siamo fortunati: riusciamo a trovare una nocciola ancora intatta. L’assaggiamo e la sua freschezza e il suo sapore non hanno niente a che spartire con quelle che troviamo nei supermercati! Squit! Una vera squisitezza!

Quando le chiome degli alberi consentono una vista più aperta verso quello che ci circonda al di fuori del bosco, riusciamo a scorgere il Monte Saccarello, vediamo persino la statua del Redentore che domina la Valle.

fronté

Il nostro percorso è accompagnato dai versi gracchianti e allarmati delle ghiandaie che, insieme a corvi e cornacchie, sono i guardiani della foresta. Non c’è passo che non venga segnalato da loro e per i cacciatori rappresentano una vera scocciatura, dato che mettono in fuga gli animali avvisandoli della presenza dell’uomo. Quando la ghiandaia tace, intorno a noi è tutto un cinguettare di cince: non si curano di noi, sono laboriose sugli alberi, impegnate nelle loro faccende. Questo bosco, dove possiamo osservare anche il bellissimo pino silvestre, è popolato anche da caprioli, cinghiali, volpi e persino lupi, ne scorgiamo le tracce in più punti.

Avanzando sempre in salita, il sentiero si interrompe più volte da rivoli d’acqua pura che crea polle e cascatelle. La superficie dei torrenti è coperta di foglie, sembra quasi di potervi camminare sopra.

Verdeggia

Con un’ultima salita nel bosco, ci ritroviamo a svoltare sull’altro versante: da questa parte è soleggiato, fa molto caldo e ci fermiamo per toglierci il maglione e godere del panorama.

Valle Argentina

La vegetazione è cambiata bruscamente: ci troviamo immersi nella macchia mediterranea, bassa e arbustiva. Sulla nuda roccia mettono radici piante di timo, ancora profumatissimo, e poi la lavanda e la ginestra ormai sfiorite. Più avanti troviamo cespugli di ginepro, è il suo periodo balsamico, ma oggi non siamo interessati a raccoglierlo.

Ci sono i ruderi di una vecchia abitazione e un cartello indica “Case di Quin”. Di fronte a essa, un’edicola votiva recita: Capeleta dï Cuin anfaita ‘n l’an 2006 (Cappelletta di Cuin, costruita l’anno 2006).

Il sentiero, adesso, è più pianeggiante, a tratti in lieve discesa, e ci permette di far riposare le gambe godendo della vista sulla valle sottostante e sulla corona di monti che ci circonda. Riusciamo a individuare il Gerbonte e, poco sotto, scorgiamo la borgata di Borniga.

Il sentiero attraversa antiche e ripide fasce e, alla nostra sinistra, è fiancheggiato dai cosiddetti maixéi, i muretti a secco per i quali la mia terra è tanto famosa. Si tratta – ne abbiamo già parlato in passato – di piccoli capolavori di ingegneria: le pietre vengono accatastate le une sulle altre, incastrate con grande cura, e sono appoggiate in lieve pendenza al terreno retrostante. È una vera e propria arte messa in pratica fin dai tempi più remoti, sono rimasti in pochi, oggi, a conoscerne i segreti.

Procedendo, ci troviamo nuovamente di fronte ai ruderi di una vecchia abitazione. L’ortica infesta le rovine, riconosciamo anche qualche pianta di artemisia. Ci fermiamo ad ammirare la maestria con la quale è stato costruito questo casone: non ci sono mattoni né calce, solo pietre poste l’una sull’altra seguendo regole precise e antichissime.

Anche qui è presente un’edicola votiva, la Capëleta dë Barbun. Quella che abbiamo rimirato, infatti, è la Casa di Barbone, ce lo indica un cartello. Siamo a 1309 metri sopra il livello del mare.

case barbone valle argentina

Proseguiamo, manca ormai poco alla meta. Davanti a noi si staglia, con tutta la sua imponenza, Rocca Barbone. Le foto non le rendono giustizia, ma è una parete di roccia spettacolare, con il suo colore chiaro fa contrasto con il blu intenso del cielo, guardate che meraviglia!

rocca barbone valle argentina

Entriamo nuovamente nel bosco, umido e ombroso, e siamo invitati da un cartello a fare una piccola deviazione. Cogliamo l’invito e… Topini, che bellezza! L’acqua sgorga dalla roccia, siamo testimoni di questo spettacolo: la sorgente del torrente Barbone. Acqua fresca, limpida, sacra.

Torniamo sul sentiero maestro, a tratti soleggiato e a tratti all’ombra delle chiome degli alberi, e ogni nostro passo è osservato da lei, Rocca Barbone, sempre più vicina.

rocca barbone valle argentina2

Tronchi caduti e spezzati offrono scenari insoliti: formano piccole caverne, tane per animali di dimensioni ridotte. Alcuni alberi sono sradicati, ne possiamo osservare le radici ancora aggrappate a zolle di terra. È un microcosmo che non si vede certo tutti i giorni!

Con poche, ultime salite, giungiamo alla meta: il Passo della Guardia. E qui, topini, la vista è mozzafiato, sembra di essere in paradiso! Riconosciamo la galleria del Garezzo, il Monte Monega, l’inconfondibile Passo della Mezzaluna, il Monte Faudo, poi gli abitati di Triora, Corte e Andagna.

passo della guardia valle argentina

Il sentiero si congiunge in questo tratto con la vecchia strada militare, oggi percorsa da motociclisti, escursionisti a piedi o a cavallo, e dalle macchine di cacciatori e di appassionati della montagna. Da qui possiamo proseguire per il Passo Garlenda, il Colle del Garezzo oppure per arrivare sulla cima del Monte Saccarello, ma possiamo ancora scendere a Triora. Non oggi, però: riserveremo tutto questo per un’altra gita, vogliamo fermarci a mangiare un boccone e a godere del caldo sole autunnale!

A presto, topini!

Pigmy

Le porte di Valloria, tutta un’altra storia -parte 1°-

E allora eccoci, anzi, ri-eccoci, amici rattini (che bellissima accoglienza mi avete fatto ieri!). Finalmente posso di nuovo accompagnarvi un po’ in giro per i miei amatissimi eSONY DSC bellissimi luoghi. E posso evadere, sconfinare… Sono così contenta di essere di nuovo tra voi, che oggi lo farò: me ne andrò a zonzo un po’ più in là, oltre la mia tana, oltre la mia Valle. Vi farò perdere! Ma no, tranquilli… Voi dovrete solo rilassarvi e aprire gli occhi. Aprirli tanto e godervi lo spettacolo. Uno spettacolo certo non da tutti i giorni. Uno spettacolo di porte. SONY DSCGuardatele bene, quelle di questo post, topi cari. Questa è pura arte e anche un’originalissima idea.

Diversi artisti, infatti, si radunano una volta all’anno per pitturare, nel loro stile e come meglio credono, le porte delle dimore di questo bellissimo villaggio sopra Imperia: Valloria. Non vi sembra una fantastica invenzione? Ci vuole davvero poco per trasformasre un paese normalissimo in una meta turistica ricercata! Eh, sì. A vedere Valloria arrivano da ogni dove, e ne vale la pena, perché ha un bel panorama ricco di ulivi e sole, e si può godere della quiete che c’è. E allora, che abbia inizio il nostro tour e, insieme, ammireremo questa meravigliosa sfilza di opere d’arte.

Partiamo dall’inizio del paese, più precisamente dalla chiesa, una bellissima chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Gervasio e Protasio SONY DSCe da un simpatico museo: “Il Museo delle cose Dimenticate”, creato all’interno dell’Oratorio di Santa Croce. I nostri occhi vengono subito colpiti dai primi tratti di pittura. E’ un’opera di Maria Assunta Alterio, scultrice e pittrice napoletSONY DSCana e, il titolo della sua creazione è proprio “Omaggio a Valloria”. Qui, possiamo ammirare tutta la sua creatività e la sua sensibilità. Una Dea bianca che ci osserva con l’espressione malinconica sotto un arco di pietre, qui, in Piazza Mario Bottino. Ci voltiamo e un’aquilaSONY DSC, che fuoriesce da un’altra porta, sembra spiccare un volo improvviso. Un altro tratto, un altro artista. La nostra gita ha appena avuto inizio e già capisco che nessuno può fermarci. Sono 139 le porte di case, stalle e magazzini che, d’estate, vengono pitturate e io voglio farvene vedere il più possibile. E allora scendiamo e poi saliamo per questi ripidiSONY DSC vicoli e gradini tipici liguri. Abbassiamo la testa in questi carruggi dove nemmeno al sole è permesso entrare. I tacchi non sono decisamente ammessi. Qualche ciuffo d’erba tra un ciottolo e l’altro e qua, in questi angoli bui, ci sono degli interrutori messi appositamente per permettere d’illuminare le opere, se premuti. E’ l’unico luogo in cui i bimbi non vedono l’ora torni il buio per cliccare di nuovo la luce e permettere a tutti di ammirare con entusiasmo. Ed iniziano i colori, quelli più tenui dalle tinteSONY DSC pastello e quelli più accesi dell’astrattismo e il surrealismo. E iniziano i sospiri e le meraviglie. E le mani di quei bimbi che toccano, quasi con timore… “sarà vero?”, sembran dire. E s’immedesimano in questo bimbo dipinto sull’uscSONY DSCio di una casa. E’ Simone che pesca con la sua canna di bambù, e questa porta s’intitola proprio “I sogni di Simone”. E’ un’opera di Salvatore Giuliana, artista nato nel 1960 a Riesi e sempre voglioso di provare e studiare tecniche nuove.

Alcune porte sembrano così reali da trarci in inganno, ma… come può un fiore stare appeso in aria o un fiume scorrere lì, dietro quella sedia? A Valloria è tutta una magia e non ci si annoia mai. L’idea di dipingere le numerose porte che si affacciano per questi vicoli del piccolo abitato è stata, come dice un trafiletto appeso all’inizio del paese, sicuramente la carta vincente per una notorietà che da tempo ha travalicato i confini locali: circa un centinaio di artisti, con una tecnica e un tema hanno segnato e realizzato con la loro bravura, questo museo all’apertoSONY DSC visitabile sempre e gratuitamente sia di giorno sia in notturna, per assaporarne le bellezze di ambedue i momenti. “La fantasia dei naif, il realismo dei figurativi, i sogniSONY DSC e la magia degli astratisti, l’ironia dei grafici, hanno creato a Valloria un caleidoscopio di colori e di indubbie emozioni che non è affatto difficile recepire. Queste porte, divenute opere d’arte, simbolicamente si aprono e inviano un messaggio di sincera ospitalità”. Ma cosa ci sarà dietro questeSONY DSC porte? Splendide famiglie, splendide persone, semplici, ma liete e orgogliose di vivere dietro tanta beltà. E per giocare non c’è che l’imbarazzo della scelta: a chi piace il blu che sembra risucchiarci al suo interno? SONY DSCO il rosso che pare incandescente? E la pacatezza del tenue rosa o del morbido giallino. Ognuno, qui, ha il suo colore, può fare la sua scelta. Meraviglia per gli occhi e per il cuore. E oggi sono tante, lo so, ma come potevo scegliere? Non ce l’ho fatta e, per questo, ve le propongo quasi tutte, un numero esagerato. Potevo scartarneSONY DSC qualcuna? Decisamente no. Se sono qui, è grazie al consiglio del mio caro amico Bruno e devo fargli vedere che le porte le ho viste tutte! Deve sapere di avermi consigliato un luogo davvero stupendo nel quale passare una giornata meravigliosa. Fatelo anche voi! Grazie Bruno! E mi soffermo a guardare alcune immagini che ritraggono il pittore Franco Mora, proprio mentre dipinge una delle tante porte di quesSONY DSCto paese. Un pittore che, nella sua vita, ha dipinto tantissime tele e più di 250 murales dalla Valle D’Aosta alla Sicilia. La sua opera per Valloria SONY DSCs’intitola: “Una scala per il Paradiso” ed è questa che vedete, tutta azzurra. Una scala che va verso un cielo turchese e ha una luna come dondolo. E qui invece? C’è una porta o è una strada che continua? E quest’uomo… da dove è uscito? Mi fanno impazzire i trompeSONY DSC l’oeil, sembrano veri, così reali. Impressionanti. Fan battere il cuore. Emozionano. Mi sposto per far passare… ma chi? Che cosa? Vedo una fontana e pare addiritturaSONY DSC di sentire lo scrosciare dell’acqua a fare da sottofondo a due amanti che ballano il tango. Quanta passione in questo dipinto… Quasi m’incanto a osservarlo. Per loro è come se il mondo si fosse fermato. Hanno gli occhi socchiusi. non hanno bisogno di nient’altro. Una bellissima targa, sotto un carruggio, riporta questa frase che si adatta benissimo a loro: “Tanta gente è triste perchè non ha il superfluo“. Una frase di Corrado Camandone, riportata su questa lastra dorata nel 2007. Parole vere, che mi faSONY DSCnno sorridere. I miei occhi non hanno punti vuoti. C’è ancora tanto, tantissimo da vedere, ma per oggi, cari topi, vi lascio ad ammirare queste bellissime immagini. La nostra passeggiata non è finita. Domani verrete a vedere le altre sorprese che ci aspettano. Ogni porta è un mondo a sé, una personalità, un racconto… Ora riposate le zampe, vi voglio in forma! Su, su! Poche rugne. Coooosa?! Chi è che ha detto “Pigmy, non potevi stare via ancora un po’?!”? Bacioni!

M.

Un angolo di paradiso

Topi, guardate dove vivo! Oggi è uno degli ultimi giorni di questo dicembreSONY DSC.

Guardate. Come posso giurarvi che queste foto sono state scattate davvero oggi? Potete credermi? C’è un sole accecante, i gabbiani volano liberi nel cielo terso e il termometro  segna 22 gradi al sole. Potete immaginare SONY DSCBabbo Natale col suo vestito rosso che vola con le renne, stagliandosi su questo cielo azzurro vivo?

Perbacco, no! Io No! Sarà vero che prima o poi, come dicono, a Natale andremo a fare il bagno al mare?

Comunque sia, non per vanto, ma vi posso assicurare che ogni volta che nei notiziari si sente parlare di clima rigido, pioggia incessante, temporali, disagi e trombe d’aria in altre parti d’Italia, qui non avviene nulla di tutto ciò, e questo vale anche per gli anni passati.

Non ci possiamo davvero lamentare e posso chiamare a me diversi topi a testimoniare della veridicità delle mie parole. Cio che viIMAG2273 mostro nelle immagini è quello che sto vivendo e volevo condividerlo con voi.

Non è magnifico, amici? Potrebbe addirittura scrivermi qualche mio convallese per dirmi: “Ma sei matta?! Sono tre giorni che siamo sotto la neve! Non raccontare panzanate!”. E invece non accade, perchè ciò che vi sto mostrando è la pura realtà. L’odore di neve si è avvertito qualche giorno fa e, verso Albenga, ha anche nevicato IMAG2278un poco. Quella neve ormai sciolta. Qu sembra di stare ai tropici. Presumo che nevicherà a febbraio, come l’anno scorso, mi dà quest’idea. E’ stato molto più umido l’autunno, devo dire. Il post di pochi giorni fa, “Quando tutto dorme“, in cui vi raccontavo della natura in questo periodo, riguardava il mese di novembre, ma oggi, quando ho alzato il muso al cielo, ho detto: “Eh no, è giustoIMAG2279 che i miei amici topi conoscano anche questa realtà!”. E allora clik e clik…, meraviglia! Mi invidiate, vero?

La sera e il mattino presto fa freddo come in Primavera, ma nelle restanti ore è tutto una favola.

E’ un peccato che alle 16:30 sia già buio: tutto questo colore e questo entusiasmo lasciano troppo presto il posto al fascino della notte, l’oscurità fa sparire tutto. Fino a marzo sarà questo l’orario di luce, le giornate saranno corte. Io aspetto quel momento con ansia, quindi voglio poter godere di questa immensa e strana bellezza.

Non vedo l’ora che torni la bella stagione. Con il mio post turchese vi saluto e vi aspetto per la prossima volta dal mio angolo di paradiso!

M.

Filastrocca di San Carlo

Topoli, perbacco! Questa volta per voi ho una vera chicca!

Una filastrocca. Si ma…. struggente eh! Di quelle che raccontano del vero amore! Oh già!

“Di San Carlo vi canto la scena, dei due amanti vi voglio parlar / che mai nessun li potrà separar, perchè eterno era in loro l’amor.

Giulio Binda era giovane e bello, era figlio di ricche persone / ed appunto dirò la ragione, di sua vita finita così.

Egli amava una cara fanciulla, che a vederla sembrava un tesoro / lei campava del suo proprio lavoro, perchè orfana al mondo restò.

Sulla tomba dei suoi genitori, “tu sei ricco ed io povera sono, non ho padre, ne madre lo sai / ed un giorno così sposerai, una ricca si al pari di te”.

Giulio allora abbracciando Maria,  disse lei “non dir tali parole / io ti giuro che se mamma non vuole, io son pronto a morire con te”.

Era un vago mattino di festa, la sua mamma era andata alla messa / i due sposi entraron in salotto, l’orologio suonava le otto, “oh mia cara uniti sarem”.

Giulio allora impugnava quell’arma, che doveva troncar l’esistenza / e con lieta e tranquilla apparenza, all’amante un colpo sparò.

Quando a terra la vide cadere, l’abbracciò e la baciò sul bel viso / esclamò “sol lassù in paradiso, oh mia cara uniti sarem”.

Rientrava la mamma a casa, i due colpi sentì rintonare / quando ella allor fa per entrare, la tragedia ai suoi occhi le appar.

Si strappava i capelli la donna, nel vedere il cadaver del figlio / bagnò di lacrime e pianto quel ciglio, e si mise a gridare “son io la cagion!”.

Essi scrissero due lettere sole, invocando perdono sincero / e che almeno lassù al cimitero, gli recassero corone di fior”.

Che vi dicevo? Vi siete commossi?

Io si…. sniff! Ora vado a soffiarmi il muso e poi vi scrivo un altro articolo…

M.