Il Camoscio – superare i propri limiti proteggendo l’amore

Cari Topi, oggi ho intenzione di presentarvi un altro dei tanti miei amici e, per farlo, andrò alla ricerca del mio solito mentore che conosce ogni più piccolo segreto sugli animali; il mio caro Lupo Odoben Malcisento.

Ve lo ricorderete, immagino, il Generale di Corpo d’Armata del branco ehm… del I° Scaglione della Valle Argentina? Come no? Beh, allora potete andarlo a conoscere in questi due articoli che avevo scritto tempo fa sul Biancone https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/12/09/il-biancone-la-forza-del-guerriero/ e sul Capriolo https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/05/27/il-capriolo-la-sua-vita-e-quella-di-tutta-la-natura/ se vi interessa sapere tutto, ma proprio tutto, su alcuni animali della mia bella Valle.

Io, intanto che voi leggete, mi appropinquo a cercarlo, starà sicuramente facendo qualche esercitazione sul Garlenda… anzi… starà facendo – FARE – qualche esercitazione sul Garlenda.

A chi? Ovvio, al branco che con infinita pazienza lo ascolta per assecondarlo! E’ ancora convinto di essere in guerra quello! Santa Ratta! Che pazienza ci vuole a volte! E tu guarda se deve farmi fare ‘sta salita ogni volta che lo cerco!

Puff! Pant! Oh, meno male che lo sento! E’ proprio laggiù, avevo pensato bene, tornare indietro sarebbe una faticaccia… Lo sentite anche voi vero?

<< Forza! Branco di spelacchiati! Avaaaaaantiiiiii! March!!!! >>

Non cambierà mai… << Generale Odoben! >> finalmente mi sono ricordata di chiamarlo con il suo titolo, ci tiene molto, guai se lo scordo. << Generaleeee!!!! >>. Sempre sordo come una campana!

Niente, devo andargli sotto il muso.

<< Generale! >>

<< Piccola Ratta rammollita! Cosa ci fai qui?! >>

A volte gli azzannerei la coda per come mi chiama poi si che se ne accorgerebbe di quanto io sia rammollita << Generale! Buongiorno Generale! Signorsì Generale! Po- potrei disturbarla un secondo esimio? >>

<< Mhmm… Sai che non amo essere interrotto durante un’esercitazione roditore, ma è un po’ che non ti vedo in effetti… attendi sull’- Attenti -, metto la mia squadra a riposo >> brontola << Battaglion! At – tenti! Ri – poso! Eccomi denti lunghi, sono tutto tuo >>

Sgrunt! Più invecchiava e più diventava insopportabile.

<< Avrei tanta voglia di raccontare, ai miei amici umani, di un nuovo animale! >>

<< Un canale? Che canale?! Televisivo? >>

La sua sordità era proverbiale in Valle Argentina ma riusciva sempre a stupirmi! << A-ni-ma-le! Animale Odoben! >> urlai.

<< Ah! Animale! E di quale animale vorresti parlare? >>

<< Del Camoscio! >>

<< Puah! Quel quadrupede smidollato! >>

<< Mi scusi se mi permetto di contraddirla Signore ma non definirei uno smidollato un animale che si butta giù a rotta di collo per crinali impervi e impraticabili dalla maggior parte di noi! >> pronunciai con un tono quasi imperativo

<< Bof! Se ti bruciasse la punta della coda dalla paura lo faresti anche tu Topo storto! >> boffocchiò.

Era inutile discutere con lui…

Provai a insistere però << Sarà anche timoroso ma, nel linguaggio della Natura, egli indica che ci sono diversi ambiti della propria vita nei quali ci si sente al sicuro vero? Esso stesso è un gran protettore verso chi ama, verso i luoghi a lui cari ed è disposto a fare di tutto pur di aiutare nel momento del bisogno >>

<< Sì, è vero. Tanto pauroso fisicamente, quanto impavido nei sentimenti… una contraddizione, ne convieni? >>

Lo lasciai dire.

Per osservare il Camoscio da un punto di vista spirituale occorre indirizzarsi alla Capra che, in ambito totemico, ha molto da dire su di sé. La Capra, infatti, è l’emblema del “riuscire”, del raggiungere (metaforicamente parlando) altezze del nostro essere che non si credevano possibili. Racconta delle potenti energie della Natura e indica anche un essere un po’ capriccioso ma, su tutto questo, Odoben, era poco istruito.

Compensava però con tutto il resto del suo sapere. Conosceva i movimenti del Camoscio come fosse esso stesso un Camoscio.

So che a molti umani in ascolto, ciò che sto per svelare farà rabbrividire, ma chissà quanti ne ha cacciati in gioventù per sfamarsi!

Eeeeh… lo so, dispiace anche a me, ma sono le leggi del bosco e della Natura tutta… cosa devo dire io, allora, quando i Gufi non mi riconoscono e mi rincorrono finché non sentono la mia voce? Non voglio neanche pensarci, fatemi cambiar discorso per favore…

<< Qual’è la qualità più grande di questo animale, secondo te, Odoben? >>

<< Beh…  quella di cui parlavamo prima. ‘Sto capretto tremolante non lo ammiro granché ma devo ammettere che come riesce a correre e a saltare sulle rocce lui, nessun altro è in grado! Una saetta anche nei luoghi più impervi! Pensa che, per la sua agilità, lo associano all’Antilope >>

<< È vero! È incredibile vederlo muoversi velocemente tra i massi, come faccia non lo so… incanta! >>

<< Beh, più che cantare, il Camoscio, soffia o fischia… >>

<< In – canta! >>

<< Ah! Sì, incanta, ma non bisogna rimanere incantati a guardarlo! Spesso, quando galoppa prorompente sui crinali, fa cadere pietre molto grosse in basso e chi è sotto rischia di prendere un grosso sasso in testa. Pericolosissimo! >>

Il Generale aveva ragione. Ho visto anch’io, sovente, pezzi di roccia staccarsi e rotolare violentemente in giù, sotto gli zoccoli dei Camosci durante le loro veloci corse. Ma le loro pazze discese restano affascinanti, soprattutto in inverno, quando il ghiaccio e la neve rendono ancora più ostici certi percorsi.

Sul manto bianco, inoltre, quelle bestiole si vedono meglio. Si mimetizzano di più, con il territorio circostante, durante la bella stagione.

Vero? Chiesi per sicurezza

<< Assolutamente. Il colore del loro pelo cambia. In inverno è di colore bruno, parecchio scuro, e composto da due tipi di pelo, un tipo più ruvido e uno, sottostante, più lanoso. In estate invece, resta maggiormente quello più ruvido e più esterno, il quale si schiarisce divenendo grigiastro, arancionato >>

Ero contenta di non aver detto stupidaggini.

Il Camoscio, chiamato scientificamente Rupicapra rupicapra proprio perché ungulato appartenente alla famiglia dei Bovidi e molto simile alla Capra, deve molto al suo mantello che lo protegge dal clima, dai rovi e persino dagli attacchi di alcuni predatori. E se vi parlo del suo mantello non posso non nominarvi anche le sue corna.

Le corna del Camoscio, seppur piccole e ricurve, sono perenni, mentre i palchi dei Caprioli e dei Cervi invece cadono con la muta. Questi uncini d’osso, sulla testa, presentano degli anelli sulla loro superficie e questi possono servire a comprendere l’età dell’animale. Difficilmente, però, superano la lunghezza di 30 cm circa.

Si parlava con Odoben di quanto male possa fare un colpo preso da quei cornini che sembrano piccoli e sottili. Sarei stata ad ascoltarlo per ore ma non potevo più trattenermi, dovevo rintanare, scendere giù dal Garlenda, di notte, non è mica così semplice sapete? Decisi quindi di salutarlo.

<< La ringrazio Generale! Come sempre è stato bellissimo parlare con lei! >>

<< Devo dire che, nonostante tu mi abbia disturbato, inutile roditore, sono stato anch’io volentieri a parlare con te >>

(Sempre gentilissimo).

Bene Topi, ora corro in tana a scrivere tutto quello che ho scoperto oggi così potete leggerlo con calma e, nel mentre, potete guardare anche due immagini di questo animale splendido che vive le nostre Alpi!

Vi mando un bacio leggero… leggero come il salto di un Camoscio ma anche sincero quanto lui.

Alcune foto sono state gentilmente concesse da Andrea Biondo

Via Camurata e il quartiere Sambughea

Topi, la festa di Halloween è già passata, ma oggi ho da raccontarvi una storia che mette davvero i brividi. Munitevi di coraggio, perché ve ne servirà per attraversare i luoghi che voglio mostrarvi in questo articolo.

Siamo a Triora, il paese più misterioso della mia bella Valle.

Vi ho parlato spesso delle sue meraviglie nascoste e delle dolorose vicende che si susseguirono qui, ma c’è una cosa che ancora non vi ho raccontato.

Seguitemi, entrate con me dentro il paese. Percorrendo tutta la via principale, si giunge alla piazza Beato Reggio, quella con lo stemma di Triora raffigurato al centro del pavimento lastricato. Alla nostra sinistra c’è la chiesa della Collegiata, sorta – così si dice – su un antico tempio pagano.

Alla nostra destra, invece, ci sono i tavoli colorati del Ricici Caffè e del Cocò Café. Le persone qui si siedono a sorseggiare qualcosa in compagnia, scambiandosi due chiacchiere.

Dirigendoci verso i portici, imbocchiamo la via che ha inizio sulla destra. Il suo nome è già tutto un programma, topi miei. Si chiama Via Camurata e c’è una leggenda che spiegherebbe il motivo particolare e spaventoso dietro questo appellativo.

Via Camurata - Sambughea - Triora

Una targa arrugginita ci comunica dell’accesso a un quartiere molto suggestivo, quello della Sambughea, “dove il borgo mostra i suoi più genuini aspetti”, così cita l’insegna.

Credo non ci sia niente di più vero, topi, perché ci troviamo nel cuore nascosto di Triora, quello che non si spiega facilmente agli occhi dei turisti. Era – ed è ancora – il limite più basso della città, il suo confine, ed è rimasto uno scrigno dai mille misteri.

La via Camurata è buia, coperta da volte più o meno alte, raramente intervallata dalla vista del cielo. I lampioni la illuminano notte e giorno, si respira un’aria molto suggestiva. Si procede in discesa, mentre non si può fare a meno di notare che il borgo, che mostrava il suo volto più allegro e giocondo in Piazza Beato Reggio, qui fa trapelare una faccia assai diversa, cupa e ombrosa.

Il silenzio pervade ogni cosa, non c’è traccia degli schiamazzi dei bambini, delle voci lontane della televisione, né del chiacchiericcio delle persone che fanno comunella davanti ai negozietti di souvenir.

Si ode il fruscio del vento, lieve, ma costante, come se ci trovassimo nel bosco. Gli uccelli cinguettano in lontananza, la loro eco, però, qui sembra meno gioiosa. Ovunque c’è odore di pietre umide, a tratti si percepisce quello tipico delle cantine.

La maggior parte delle case di questa via sono abbandonate, in rovina, sembrano grotte, talmente sono buie. Il tempo pare essersi fermato a decenni, forse secoli fa, come avvolto da un terribile incantesimo.

Via Camurata - Triora3

Persiane rotte e scardinate, infissi usurati dal tempo, porte ricoperte di ragnatele, piume di uccello sui muri e vetri rotti alle finestre la fanno da protagonisti in questo scenario surreale.

Sembra di sentire cigolare i cardini al vento, ma è solo suggestione. Ci si accorge che qualcosa non va, si percepisce.

Stando alla leggenda di cui vi parlavo prima, questa via racchiuderebbe segreti terribili.

Pare, infatti, che un anno in cui la peste si fece particolarmente feroce, la gente ammorbata che viveva in questa via e resisteva tenacemente alla malattia senza voler spirare per ricongiungersi al Creatore, venisse murata ancora viva all’interno delle abitazioni.

Non mi credete? Lo so che è difficile e che penserete che io abbia alzato un po’ troppo il gomito, ma sembrerebbe vero, a giudicare da quello che ho potuto vedere nel mio tour. Guardate!

La via, tutta, è costellata di porte evidentemente murate. Ce ne sono a bizzeffe, alcune nascoste, altre più irriverenti nel mostrare il loro passato, ma sono numerose, è impossibile non notarle.

Come se ciò non bastasse, ad accrescere la tetraggine dell’atmosfera che qui si respira sono alcuni soffitti delle volte che fanno da tetto alla via.

Triora - Via Camurata

Forse dalle foto si nota poco, ma sono neri come la pece, perché questo quartiere fu interessato anche da un devastante incendio, forse lo stesso appiccato dai nazisti nel luglio del 1944 e che interessò in particolar modo Molini di Triora.

Insomma, non ci si stupisce che questa stradina sia rimasta disabitata per tantissimo tempo!

Sotto la Via Camurata scorre un altro carruggio, altrettanto suggestivo: la Via Sambughea, dalla quale il quartiere trae il suo nome. Anche qui una leggenda ne spiega l’appellativo. In seguito all’abbandono della zona, pare che tutto il quartiere sia stato invaso dai sambuchi, piante che, tra l’altro, sono considerate tra le più care alle streghe.

Anche qui il tempo sembra essersi fermato, ma qualche coraggioso abita ancora tra queste pietre affastellate le une sulle altre.

Gli scorci che si vengono a creare sono stupendi, a metà tra l’abbandono e il recupero. Casette rustiche curate da mani sapienti si alternano a ruderi pericolanti, che paiono tenuti insieme solo dalle tenaci radici dell’edera.

In Via Camurata sorgono ben due Bed&Breakfast: La Stregatta e Casa Grande. Nelle vie adiacenti, invece, ce ne sono altri due, La Tana delle Volpi e Ai Tre Cantici. Sapete dove andare, se volete sostare qualche giorno a Triora per attraversare gli scorci più suggestivi che il borgo nasconde.

Qualcuno di voi topi sa dirmi di più riguardo queste due vie e le porte murate? Son solo leggende per spaventare i topini, o in esse c’è un fondo di verità? Fatemi sapere!

Io vi saluto, adesso. Ho i brividi ai baffi, con tutto questo parlare di misteri.

Un bacio terrificante dalla vostra Prunocciola.

 

Pruni Jones e le api “chi se sun intestardie”

Topi, me n’è successa un’altra! Che volete farci, ormai conoscete tutte le mie (dis)avventure, e questa che sto per raccontarvi è l’ultima di una lunga serie.

Mi trovavo su un sentiero insieme a topoamico. Avevamo percorso 9 chilometri sotto un bel sole rovente, per la gran parte in salita anche ripida e stavamo scendendo a valle. Per il caldo, avevo messo un cappello a tesa larga che mi riparasse la testa e mi facesse un po’ d’ombra, cosa che mi è valsa l’appellativo di “Indie” per quel giorno. Mi sentivo molto Harrison Ford, a dire il vero, mi ero calata perfettamente nella parte.

Come si sa, la discesa non sempre è semplice, a volte le zampe sembrano quasi cedere per la fatica, ed è quello che è successo a me: “Ho bisogno di riposarmi cinque minuti, sono proprio stanca”, ho detto a topoamico.

“Se resisti ancora un po’, credo non manchi molto alla fine del sentiero. Vedi, Pruni? Lì c’è la strada. Ci vorranno ancora una decina di minuti al massimo.”

“Va bene, ce la faccio.”

Avete presente quella sensazione di stanchezza che vi impedisce quasi di ragionare? Ecco, io ero esattamente in quello stato, cosa che non mi accade mai, con le zampe traballanti che si muovevano per inerzia. Non vedevo l’ora che la discesa terminasse, ma era stupido fermarsi a quel punto.

Scendevamo a zig zag sul versante di una collina, su un sentiero a tratti un po’ ripido, quando abbiamo visto emergere dalla rigogliosa vegetazione una fila di arnie. Le api svolazzavano operose, affaccendate nel loro lavoro. Non eravamo vicinissimi, ma il sentiero passava proprio lì davanti.

Ero molto felice, adoro le mie amiche api!

arnie api valle argentina2

Abbiamo fatto qualche passo e topoamico ha iniziato a sventolare le mani davanti alla testa: il ronzio di un’ape si era fatto molto insistente. A un certo punto, però, la poverina si è ingarbugliata nella lunga chioma di topoamico, che ama portare i peli più lunghi intorno al capo. In quel garbuglio l’ape non si raccapezzava più, e il mio compagno di avventure continuava a sentirsi assediato da quel bzz bzz fastidioso e irritato. Ha sciolto la chioma e l’ha scrollata con forza, vedendo l’ape cadere al suolo, rimbalzare su un masso e tornare indietro alla carica, imbestialita dall’affronto subito.

Poveri, nessuno dei due poteva far nulla per quell’incomprensione di linguaggio. Topoamico non poteva tenersi l’ape in mezzo al pelo, e quella, dal canto suo, si è spaventata e arrabbiata per essere stata trattata – dal suo punto di vista – tutt’altro che coi guanti di velluto.

Insomma, topoamico ha iniziato a correre sotto i miei occhi increduli e impotenti, ma nessuno di noi due si aspettava che più avanti ci aspettassero altre due file di arnie pullulanti di api e che il sentiero ci sarebbe passato proprio nel bel mezzo! Provavo a chiamare amica ape ma, lei, niente… non ne voleva sapere! Lo aveva preso di mira!

arnie api valle argentina

Dieci metri più avanti, topoamico pensava di aver seminato la sua inseguitrice, ma quella, testùna, gli stava alle calcagna e già cominciava a richiamare a sé i rinforzi al punto che anche io ho iniziato a udire un ronzio molto irritato vicino alle orecchie. Sapete quanto io ami gli animali e le api e tutte le creature di questo pianeta meraviglioso, ma topi, con certe cose non si scherza davvero. Stavo quasi per spaventarmi, non lo nego. Mi sono calata il cappello così tanto sul muso, da non vedere più nulla. Per me era notte in quel momento, non vedevo a un palmo dal naso, e quando ho sentito una di loro più alterata delle altre, ho iniziato a correre a rotta di collo come un fulmine, scendendo più veloce possibile e senza vedere un belin di niente. Mi sarei rotta qualche osso, se non ci fosse stato un angelo a proteggermi, ne sono sicura, perché davvero con quel cappello alla Indiana Jones ben sceso sugli occhi non sapevo neppure dove mi stessi dirigendo.

Quando poi, sono arrivata sull’asfalto della strada, sana e salva e del tutto dimentica della stanchezza che poco prima mi impediva persino di ragionare, ho visto topoamico che rideva divertito dalla mia reazione. Nella fuga, a lui era caduto lo zaino e a me i bastoncini da trekking. Dovevamo recuperarli, ma per farlo saremmo dovuti passare di nuovo in mezzo alle api.

“Ci vado io, Pruni”, mi ha rassicurata con gran cavalleria.

Mentre aspettavo che topoamico recuperasse i nostri averi, ho visto dirigersi verso di me un topo di mezza età. Camminava con la flemma di un bradipo e mi ha domandato: “Avete avuto problemi con le api?”

“Ehm… veramente sì!”

“Avete bisogno che vada a prendervi lo zaino?”

Probabilmente aveva sentito la conversazione tra me e topoamico, ma lui nel frattempo era già di ritorno, con lo zaino in spalla e i bastoncini stretti alle zampe. Insomma, che lentezza!

“Vi hanno punto?”, ha domandato poi a topoamico, vedendolo tornare.

“Sì, ma una puntura da nulla”, ha risposto lui.

“Eh, le ho aperte oggi, sono un po’ nervose…”

Era il 25 aprile e il sentiero era molto frequentato da famiglie. Cosa gli era saltato in mente di aprire le arnie in quel giorno di festa?

Questo resta un mistero, topi miei.

Io e topoamico siamo tornati in tana ridendo di quella disavventura conclusa bene, a ripensarci la scena ci è sembrata comica ed esilarante.

E voi, cari topi, siate prudenti: le api sono dolci come il miele, ma testùne come loro… proprio non ce n’è!

E dire che mi vengono anche addosso ma non ho nessun problema con loro! Dev’essere stata colpa di quel peloso di topoamico! Gli ordinerò di rasarsi!

Un saluto ronzante,

la vostra Prunocciola.

 

Altro che scherzetto di Halloween!

Queste notti di pioggia mi fanno venire in mente una sera di qualche anno fa.

Ero nella tana da sola, mi capitava spesso in quel periodo, ora fortunatamente non più. Saranno state circa le 22:00. Da qualche giorno pioveva ma, come fosse stato fatto apposta, solo di notte. Pochi i danni, fogliame per le strade, nessuna stella in cielo e nessuna anima viva per le vie. Ero al computer e non c’erano disguidi alla linea elettrica.

A un certo punto squillò il telefono fisso.

Risposi: «Pronto?»

Non sentii nessuno dall’altra parte, solo una specie di click e un brusio, e allora ripetei: «Pronto?».

Iiniziai a sentire respirare in modo pesante e restai in ascolto. Dopo pochi secondi, dall’altra parte della cornetta, mi risposero in questo modo: «Prontoooo…..sono iooooo….prontooo!».

La voce era gracchiante, metallica, ansimante. Era sicuramente lo scherzo di qualche amico idiota e non mi preoccupai più di tanto.

Feci per posare il cordless sul tavolo ma squillò di nuovo. Ripetei la stessa parola di pochi minuti prima con tono più deciso: «Pronto?»

Attesi.

Ancora quel click e lo stesso brusio, come un collegamento che viene effettuato.

Questa volta la voce rispose prima: «Ciaooooo…. sono ioooo…. chi parlaaaa?»

La storia iniziò a piacermi poco, un amico non avrebbe continuato a schernirmi e perchè, poi, chiedere a me chi stesse parlando? Non dissi nulla, aspettai e la voce continuò: «Chi seiiiii? Chi seiiii?» .

Ero nervosa. Deglutii e d’istinto chiusi la comunicazione.

Mi guardai intorno, come ad aspettarmi di vedere una nera figura venirmi incontro. Iniziai a correre per le stanze, ad accertarmi che le finestre fossero ben chiuse e, mentre giravo il chiavistello alla porta d’entrata, il telefono squillò di nuovo.

Risposi, credendo di poter tenere sotto controllo le mosse del malintenzionato: «Pronto?!»

«Pig……!», click, ssshssh. Poi, silenzio. Era la mia amica, la riconoscerei tra mille.

Mi stava chiamando, ma non fece in tempo a ultimare il mio nome, qualcosa interruppe la comunicazione.

Cosa stava succedendo? La voce della mia amica era agitata, ma non potei finire di pensare. Quella voce, di nuovo, interruppe le mie riflessioni: «Sentiiiii….sentiiii….sono iooo….»

«Ma io chi?» domandai innervosita.

«Sono iooo! Ciaooo…sonooo… »  sibilò.

Chiusi, presi il cellulare e chiamai la mia amica.

«Pigmy, sono tre volte che provo a chiamarti, perchè mi rispondi e non parli?»

«Ma sì che parlo, però sento una voce gracchiante che continua a dirmi “sono io”!»

Dissi alla mia amica che quella voce, probabilmente maschile, era davvero fastidiosa, lasciava un senso di freddo nelle ossa.

«Hai paura?» mi chiese lei preoccupata.

«Non proprio, mi sono assicurata di aver chiuso tutto, ma sto bene. Eventualmente ti farò sapere, lascia il cellulare acceso.»

Tuttavia quella sera non accadde più nulla. L’indomani sera, però, si verificò la stessa scena, ad ampliare la suspense cerano i tuoni e i lampi che brillavano nel cielo nero.

Squillò il telefono fisso, erano le 21:00, questa volta.

«Pronto?»

Nessun click e nessun brusio. La voce iniziò: «Ciaooo…sono iooo….devooo parlartiii….» e nel mentre un respiro affannato, oppresso. Per dire due sillabe impiegava mezz’ora.

Non ne potei più: «Ma chi sei?! – urlai – La vuoi finire?!»

La voce mi rispose nel modo peggiore possibile:  «Non avereeee pauraaaa….»

Se in quel momento mi avessero fatto un prelievo, probabilmente non avrebbero trovato nemmeno una minima stilla di sangue dentro di me.

Dovevo chiamare i carabinieri? Non lo sapevo nemmeno io. E se fosse stato solo uno stupido scherzo? Forse potevo dire loro di mettere il telefono sotto controllo ma…. CSI esiste solo in America. Quelli, con tutto il rispetto, avrebbero iniziato a fare ciò che meno avrei voluto e, cavoli, dovevo finire assolutamente dei lavori per l’indomani.

Se avessi chiamato la mia amica, si sarebbe precipitata a casa mia e non volevo metterla in pericolo né spaventarla.

Mi risolsi che avrei fatto finta di niente. Avrei fatto credere alla mia amica che volevo prendere delle precauzioni.

«Ascolta, – le dissi al cellulare – non ha telefonato, ma richiamami lo stesso sul fisso. Anche se non mi senti parlare, dimmi una qualsiasi frase da far capire che in casa con me ci sono i miei genitori, io non parlerò, perchè di fatto non riesco a sentirti. Parla da sola, fai botta e risposta»

«Ok.» mi rispose lei convinta, e così fece.

Non so se fu quello a funzionare, ma quella sera non accadde più nulla.

Mi tranquillizzai e, non so come, andai anche a dormire.

L’indomani sera la scena fu la medesima, o quasi.

Driiiin…driiiin…

Alzai di botto lo sguardo verso la parete davanti a me.

Avevo il terrore a rispondere, ma allo stesso tempo, questa volta, avrei dovuto chiamare davvero le forze dell’ordine, non avevo più dubbi. Potevano fare ciò che volevano, anzi, sarei andata direttamente a dormire in caserma.

Di colpo non era più né uno scherzo né un malintenzionato: nella mia testa il misterioso interlocutore si era trasformato in un omicida seriale che aveva preso di mira proprio me, per ammazzarmi nel modo più cruento ch’io abbia mai visto in qualsiasi film dell’ hor……

Interruppi il mio chiacchiericcio mentale e risposi, sebbene fossi meno sprintosa delle sere prima: «P…pronto?» chiese la mia flebile voce.

«Pronto, signora Pigmy?» la voce era quella di una donna.

Mi destai immediatamente: «Chi parla?»

Quella che doveva essere una signora di mezz’età si presentò: «Signora Pigmy, mi chiamo Euridice.»

Chi strafunchia è Euridice?, mi chiesi con un’espressione incomprensibile in volto, ma me lo disse lei: «Ascolti, signora Pigmy, sono la figlia del signor Taldeitali. Vede, devo parlarle per un disguido che c’è stato.»

E se fosse la moglie del serial killer che verifica se sono in casa?

Non dicevo nulla, lasciavo parlare lei: «Io abito in via Vattelapesca, ha presente dove c’è il negozio di computer? Ecco, lì, al secondo piano. Mi chiamo Euridice Taldeitali, volevo avvisarla che i tecnici della telecom, quando l’altro ieri c’è stato quel problema per il maltempo, hanno collegato il suo numero di telefono alla nostra centralina. Penso abbiano invertito i cavi o messo tutti e due i cavi al suo numero.»

Stavo ragionando, non riuscivo a rispondere. Pronunciai solo un “Ah…” e allora lei continuò: «Signora Pigmy, mio padre ha provato a spiegarle, ma vede,  è stato operato alla gola e parla con una macchinetta che gli dà una voce artificiale…»

Non ho altro da dirvi, cari amici topi.

So che state faticando a crederci, ma è la verità! Mi trovai di colpo a provare due sentimenti contrastanti. Il primo era una tenerezza infinita per quell’uomo anziano, che poi conobbi e che avevo praticamente maltrattato; il secondo era continuare a chiedermi:

  1.  quante probabilità ci fossero che, tra milioni e milioni di linee telefoniche, con un temporale, dovesse saltare proprio la mia.
  2. quante probabilita ci fossero che, tra milioni e milioni di tecnici telefonici, l’unico idiota a collegare due numeri sulla stessa linea capitasse a me.
  3. quante probabilità ci fossero che, tra milioni e milioni di persone, si dovesse collegare la mia linea con quella di un uomo di circa novant’anni con la voce da robot grazie a un gracidante marchingegno.

In ultimo, tanto per darmi anche il ben servito, questa gentilissima signora mi disse anche: «Certo, Pigmy, che lei ha un nome davvero strano!»

Sorrisi, nonostante tutto:  «Già, ha proprio ragione signora E-U-R-I-D-I-C-E!»

Un urlo a tutti con abbraccio, perchè Halloween mi fa un baffo!

 

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M.