Memorie di zona Sciorella

Cari Topi,

vi ho condotti spesso al Passo della Mezzaluna, luogo ben noto della Valle Argentina, ma oggi vi ci porto nuovamente perché voglio farvi conoscere una zona nei pressi di questo posto che per me è davvero particolare.

Andiamo in zona Sciorella.

Si tratta di un’antica e piccola frazione, appartenente al paese di Andagna, che si divideva un tempo in Sciorella Soprana e Sciorella Sottana.

Col dire “un tempo” intendo, grosso modo, fino agli anni ’70 del secolo scorso, dove, nei dintorni di questa borgata, venivano coltivati patate, grano e cavoli. E quindi risultava, in qualche modo, ancora vissuta.

Non solo, anche il bestiame abbondava e poteva far man bassa dell’erba buona del Praetto e della Mezzaluna stessa.

Oggi, di questa località rimangono solo alcuni ruderi in pietra ma credetemi sulla parola se vi dico che questo luogo parla…

Parla e racconta di sé e di chi lo abitava…

Gli orti e le coltivazioni nascevano accanto alle case. Ancora oggi si possono notare rimasugli di terrazzamenti completamente ricoperti dal bosco adesso.

Forse ancora più affascinanti.

Quando gli alberi sono spogli si possono intravvedere bene, altrimenti, il ricco fogliame li nasconde un po’.

Ci sono casette dall’area di pochi metri e altre più grandi, più capienti.

Alcune erano vere e proprie dimore, altre erano Selle e cioè dei ripari nei quali stoccare rifornimenti, soprattutto alimentari, per superare il periodo invernale.

Sopra all’abitato di Andagna, un altro paese, oggi fantasma, è da sempre meta prediletta di parecchi amanti della Valle vista la sua bellezza. Si tratta di Drego.

Sopra a Drego, continuando per raggiungere il Passo della Mezzaluna, si arriva ai Confurzi (un giorno vi parlerò anche di questa località qui) e più su ancora, sotto al Monte Bussana e Cima Donzella, ecco lo svilupparsi di Sciorella.

Il termine “Confurzi”, con cui si conosce l’altra zona, indica la confluenza di diverse acque e questo sta a significare come quei terreni potevano essere ben nutriti e generosi.

Nei pressi di Sciorella troviamo diverse Conifere ma soprattutto, a regnare, sono i Carpini, i Noccioli e i Castagni che un tempo permettevano alle persone di sfamarsi e di avere un commercio. Anche la Rosa Canina, con i suoi arbusti spinosi, è molto presente.

La Fauna selvatica, invece, è formata prevalentemente da Caprioli, Lepri, Cinghiali e Lupi ma, se si alzano gli occhi al cielo, si possono anche ammirare straordinari esemplari di Albanella Reale, Aquila Reale e Corvo Imperiale.

Per non parlare dei tanti uccellini che accompagnano il mio cammino all’interno della macchia come i Picchi, i Cuculi e i Fringuelli. E molte altre specie.

Vi confiderò un segreto… pare che qui, in passato, siano anche stati avvistati dei Cervi di passaggio.

Il Cervo non vive nella mia Valle ma vive nei dintorni di essa e, probabilmente, nello spostarsi e nell’andare a conoscere la vasta Foresta dei Labari, è passato anche da qui.

Da questa zona dei miei monti la vista è splendida, sono a circa 1400 mt di altitudine… mi chiedo come facessero un tempo, gli abitanti, ad attraversare quei boschi e quei sentieri per scendere giù in paese. Tutto sembra lontanissimo, poichè pare di essere in cima al mondo.

Posso vedere tutta l’altra parte della mia Valle che è fatta a ferro di cavallo ma posso vedere anche i paesi principali come Triora.

E’ divertente riconoscerli da qui e spostarmi per vedere quale dei tanti sbuca: Andagna, Molini, Corte….

Guardate come sono lontani però! Ritorno col pensiero alla tanta strada che si doveva percorrere.

Negli ultimi anni, infatti, questa è diventata una località prettamente estiva, usata per portare le greggi di Capre, Pecore e Mucche; ciononostante, indica davvero la tempra di chi ci ha preceduto.

E’ un sentiero ben delineato quello che mi permette di attraverso questo luogo silenzioso.

A volte sono all’interno di un intricato bosco, a volte mi trovo in radure ampie, più spoglie. Ma tutto è magico.

Ci sono punti in cui la vegetazione la fa davvero da padrona. In primavera è un verde intenso a regnare e sembra non esserci nemmeno un centimetro di spazio per passare (a parte per me che sgattaiolo ovunque).

Girandomi da dove sono arrivata rivedo il Passo e ammiro il mio amato Carmo di Brocchi che si innalza sopra ogni cosa.

E’ solenne, sovrano e splendido.

Continuando potrei arrivare fino ai Prati di Corte e ai Casai ma oggi voglio godermi questa bellezza antica e restare ancora ad ascoltare cos’hanno da dirmi tutte queste pietre che, ad una prima vista, appaiono silenziose.

Delineano confini, parlano di guerre, di povertà e ricchezza.

Trasudano del duro lavoro. Inventano leggende e fiabe.

Affermano un passato severo ma ricco di valori.

La loro voce è lieve, mai prorompente.

Appaiono fragili ma non lo sono. Sono lì da tempo.

Chissà quante ne hanno visto! Chissà da chi sono state posizionate in modo tanto ordinato e con maestria. Chissà perchè è stata scelta questa zona per vivere… beh… la risposta è facile… perchè c’è tutto: l’acqua, il bosco con i suoi frutti, il pascolo per il bestiame, la neve in inverno come riserva idrica, i fiori d’estate che nutrono le Api, l’aria salubre, tanto sole, il buon terreno, la selvaggina, le vette incontaminate…

Un paradiso insomma!

I nostri avi pensavano a tutto.

E questo – tutto – è oggi narrato dall’atmosfera di Sciorella. Serve solo restare in ascolto.

Rizzate le orecchie Topi! Ma preparatevi anche per il prossimo post, nel quale, come sempre, vi porterò con me alla scoperta di qualcosa che riguarda la mia amatissima Valle!

Squit!

Dal Tanarello al Saccarello – tra Pecore, Fiori e Montagne

Dopo un po’ di pausa, che mi è servita per andare in perlustrazione, l’escursione che vi porto a fare oggi è meravigliosa e non solo dal punto di vista panoramico.

Ecco, già vi sento che mi state accusando di essere ripetitiva ma cosa ne posso io se la mia Valle e i suoi dintorni sono di una bellezza unica? Giudicate voi stessi dalle immagini di questo articolo, noterete immediatamente che sto dicendo il vero!

Attraversando Passo Tanarello si giunge al Monte Saccarello, il monte più alto della Liguria (2.202 mt) e vetta imponente della Valle Argentina divisa con Piemonte e Francia. Ma prima dobbiamo arrivarci al Tanarello. Mi sembra ovvio.

Giungiamo in questo splendido luogo passando per l’Alta Valle dal piccolo paese di Realdo per poi proseguire verso Passo di Collardente e alla Bassa di Sanson.

Qui incontriamo un bivio. Siamo in un punto che ci permette di andare a Marta e quindi poi a Colle Melosa oppure al Passo della Guardia e al Garezzo ma noi, si va appunto, verso il Tanarello.

Si va quindi verso un valico delle Alpi Liguri che supera di poco i 2.000 mt s.l.m. un’ex strada militare totalmente sterrata.

Si può già vedere la nostra meta stagliarsi contro il cielo e, facendo attenzione, si nota persino la Statua del Redentore, verso destra, che sembra piccolissima da qui. Ebbene sì, dobbiamo arrivare fin lassù.

Sono le prime ore di una calda mattina e la rugiada non è ancora stata asciugata del tutto dai raggi del sole che la fanno brillare. Sembra di essere contornati da diamanti… queste sono le “ricchezze” della Natura.

Sono gli alberi a riparare queste goccioline dal tepore del sole e contribuiscono all’incanto.

Si tratta prettamente di Conifere attraversate dal sentiero che percorriamo, il quale poi diventerà uno sterrato dove è possibile anche passare con un’auto adatta.

Durante la primavera e l’estate il colore dominante è assolutamente il verde, non tanto degli alberi che si diradano sempre di più, ma soprattutto è il verde di una vegetazione florida e dei pascoli infiniti che si tuffano in discesa verso la Francia.

Il verde e il giallo dei fiori di campo. Un’immensità di giallo.

Nel periodo di giugno, questo verde è meravigliosamente contrastato dal rosa acceso dei Rododendri che formano come grandi laghi colorati e romantici su quei versanti incontaminati. I Rododendri non sono gli unici fiori presenti ma sono sicuramente quelli che più stupiscono vista la loro enorme quantità.

Anche le Orchidee selvatiche e i Non Ti Scordar Di Me sono numerosi e propongono varie totalità che non si incontrano sovente, senza tralasciare il viola vivo del Timo e le sfumature di tanti Funghi che, come pietre preziose, abbelliscono ulteriormente questo territorio.

Il colore dello smeraldo, dato da un’erba appena nata, mette in risalto il panna scuro delle pecore che brucano felici su quei prati.

Ce ne sono tantissime e ci sono anche Mucche e Cavalli per non parlare dei Camosci che si possono scorgere sulle creste più alte e più rocciose. Liberi e curiosi.

La Brigue si nota a fondo Valle e i monti che a sinistra vediamo, salendo, sono tutti francesi. Noi viaggiamo sul confine mentre, un tempo, questo era tutto territorio italiano che è stato poi diviso attraverso il Trattato di Parigi.

A perdita d’occhio si possono vedere profili montuosi dalla bellezza selvaggia e indescrivibile. Una meraviglia dalle punte azzurre e spesso baciate da nuvole dense.

La meta è vicina e continuiamo a salire fino ad arrivare in cresta. Una cresta dalla quale ora si può ammirare anche il versante ad Est e i paesi di Monesi e Piaggia. La divisione tra la Liguria e il Piemonte.

Tra le montagne meno aspre della Valle del Tanarello si distingue bene, bianca e serpeggiante, la strada che conduce ad una delle carrarecce più belle e conosciute d’Italia. Si tratta della Via del Sale, che congiunge le due regioni prima nominate e che su di sé ha visto passare soldati e mercanti.

Oggi sono i ciclisti, i centauri e gli escursionisti ad attraversarla e il panorama che offre è splendido.

Ma anche la vista che godiamo da qui non è niente male e, davanti a noi possiamo nuovamente notare la vetta del Saccarello simboleggiata da un obelisco in cemento. Siamo decisamente più vicini ora.

Un emblema però meno “sentito” rispetto alla vicina statua del Redentore conosciuta ovunque.

Chi lo desidera può ristorarsi al Rifugio “La Terza”, qui presente, e aperto durante la calda stagione.

Può rifocillarsi con tante squisitezze proposte oppure… per chi invece preferisce fare un pranzo al sacco… beh… lo spazio non manca di certo.

Si è contornati da monti e valli, ci si sente come in cima al mondo e gli occhi si affrettano a guardare tutto come se quel tutto dovesse finire da un momento all’altro.

Stando sulle creste adiacenti al Saccarello occorre fare attenzione a non sporgersi più di tanto. I dirupi sono davvero esagerati. Quel mondo va in discesa per presentare, laggiù in fondo, piccoli piccoli, i paesi di Verdeggia, Realdo e Borniga.

Sembrano finti visti da qui. Tutti quei tetti di grigio antico e quelle case incastonate tra gli spazi delle montagne. Come siamo alti…

Continuando più avanti, verso Passo di Garlenda, una cima che colpisce è quella del Monte Frontè con la sua Madonna Bianca a vegliare su quell’angolo di paradiso. Sembra vicino visto da qui, in realtà, per raggiungerlo, occorrerebbe fare una passeggiata per niente breve.

Noi abbiamo raggiunto questo luogo a piedi ma, ovviamente, si può salire anche in auto (con un’auto adatta) e quindi volendo si può poi decidere di proseguire per altre mete zampettando.

Un tour che consiglio a tutti, il quale può offrire una spensierata giornata familiare o una ricerca più tecnica del territorio o, per chi semplicemente ama la natura, un momento di relax e stupore. Le possibilità che regala sono diverse, quindi affrettatevi che l’estate sta per finire!

Io vi mando un bacio dalle più alte cime liguri e vi aspetto al prossimo articolo!

Continuate a seguirmi! Squit!

Il Malocchio al bestiame e il rito della scacciabazue

Uno dei malocchi più conosciuti e potenti assumeva nella mia Valle, e in tutta la Liguria di un tempo, il nome di perleguja o sperleguja.

La perleguja spaventava molto, poteva colpire i bambini o qualsiasi altra persona. Si credeva venisse mandato da una strega conosciuta come bazua o stria e la vittima iniziava così a sentirsi male. Poteva soffrire di sonnolenza o apatia, poteva dar di matto, essere troppo euforica e, nel caso dei bimbi, potevano rigurgitare il latte di continuo, avere la febbre o essere particolarmente noiosi. Ma questo maleficio riusciva a colpire anche gli animali e quindi il bestiame che spesso, nel mondo di un tempo, era l’unica fonte di sostentamento di una famiglia. Quando ciò accadeva, le bestie iniziavano a comportarsi in modo strano… Erano irrequiete o spaventate, non producevano più latte, i cuccioli morivano, stavano male o fuggivano recando seri danni all’allevatore o al pastore.

Dopo aver capito che sicuramente il tutto era causa di un malocciu (malocchio) veniva chiamata una scacciabazue (donna in grado di allontanare le streghe o i loro malefici) la quale, prendendo a cuore la situazione, con sicurezza e professionalità iniziava il suo particolare rito per liberare quelle creature dalla fattura che le aveva colpite, risanando anche i guadagni del proprietario.

Il rito consisteva nel far bere loro dell’acqua nella quale venivano prima messe delle foglie di Acacia, albero che si credeva essere portentoso nel combattere le energie maligne. Infatti l’Acacia è simbolo della vita, della connessione a Dio e offre la possibilità di passare da uno stato di “ignoranza” alla conoscenza divina. L’ideale per combattere il demonio che si era impossessato di quei corpi innocenti.

Ma quest’acqua non doveva essere un’acqua qualunque. Doveva essere raccolta a mezzanotte sotto la ruota di un mulino. Perbacco! Ho capito che vivo in una struttura molto importante, quindi!

Prima di porgere la tinozza alla mucca, o alla pecora, o a qualsiasi altro animale da esorcizzare, la scacciabazua recitava sottovoce delle parole completamente incomprensibili come a formare strane filastrocche e, dopo aver fatto bere l’animale, se ne andava sicura di se stessa e del suo lavoro portato a buon fine.

Dopo aver bevuto questo liquido addolcito dall’Acacia stessa, le bestie iniziavano a stare meglio e a tranquillizzarsi e la scacciabazue veniva ripagata o barattando qualcosa o in denaro.

Forse è per questo che per me non hanno mai dovuto chiamare l’esorcista. Io bevo sempre nelle fonti dove galleggia qualche foglia di Acacia la quale assume quel meraviglioso color madreperla. È una pianta molto presente nella mia Valle.

Un bacio benefico a tutti!

La Cucina Bianca della mia Valle

Parlo spesso della Valle, dei suoi panorami mozzafiato, della sua rigogliosa vegetazione e degli animali che la abitano, ma mi soffermo troppo poco sull’aspetto culinario, sull’importanza di questa arte antica e apprezzata ancora oggi.

Quella delle Alpi Liguri e Marittime è definita “Cucina Bianca”. Infatti, a prevalere sono i colori chiari, ma la povertà delle tinte non si rispecchia nel gusto, che invece è ricco e reso unico dai prodotti che la terra offre.

Porri, aglio, cipolle, patate, cavoli, funghi, lumache, fagioli, formaggi, uova, castagne, farina… c’è tutto in abbondanza e le ricette sono antiche, testimoniano lo scandire del tempo di uno stile di vita ormai quasi perduto del tutto. È una cucina talmente preziosa che a essa è stato dedicato un percorso di 70 chilometri quadrati che coinvolge le valli Argentina e Arroscia, sconfinando persino in Francia e Piemonte.

strada della cucina bianca - alpi marittime

La Strada della Cucina Bianca – Civiltà delle Malghe, così è stata soprannominato il percorso, collega i comuni di Cosio di Arroscia, Mendatica, Montegrosso Pian Latte, Pornassio, Triora, La Brigue (in territorio francese) e Briga Alta (Cuneo).

Come dicevo, i prodotti di questo tipo di cucina sono antichi, ma si possono gustare ancora oggi. Ricette della tradizione popolare sono sopravvissute allo scorrere del tempo grazie a pastori e contadini che hanno a cuore le loro radici, non le dimenticano, e resistono con tenacia alla modernità. Un tempo ci si doveva arrangiare: si trascorrevano molte ore sui pascoli alti, il lavoro era duro e c’era bisogno di piatti semplici e nutrienti da poter preparare velocemente.

Il formaggio della mia Valle ha i sapori e i profumi della montagna, grazie all’erba brucata dalle capre, dalle pecore e dalle mucche.

toma di mucca - formaggio ligure - cucina bianca - triora

E, a proposito di questo, nella zona si allevano ancora gli ovini di razza brigasca. È nato persino un presidio Slow Food per il sostentamento della produzione di tome a latte crudo di questa pecora. Insomma, non è una cucina da poco!

pecora brigasca presidio slow food

Continuando a parlare di formaggi, in Valle è da sempre molto usato il brüssu – o bruzzo – ottenuto dalla fermentazione della ricotta. È cremoso, spalmabile e ha un gusto molto forte, per questo non piace a tutti.

Si accompagna con fette fragranti di pane di Triora, prodotto ancora oggi con la ricetta di un tempo. Parlando di questo pane meraviglioso, mi vengono in mente tanti ricordi della mia infanzia, quando ero una topina e vivevo a casa dei miei topononni. Facevo colazione con latte e biscotti, poi mi preparavo per andare a scuola e topononno, non soddisfatto dal mio primo pasto mattutino, mi metteva in una zampina una fetta di “Pane del Nonno”, come lo chiamavo allora, e nell’altra un tocco di formaggio. E così affrontavamo insieme la strada verso la scuola, mentre io davo un morso ora all’uno, ora all’altro.

pane di triora

Il pane di Triora arriva fin sulla costa, dove è venduto anche nei supermercati. È richiesto, rinomato e apprezzato da tutti perché ha un sapore unico, antico e inconfondibile. Acquistato ancora caldo al panificio Asplanato di Triora, però, ha tutto un altro sapore! Camminando per le vie del borgo si può sentire il suo profumo invitante spandersi nell’aria e allora è doveroso entrare nel forno e acquistare una forma per assaporarla ancora fumante, facendo attenzione a non ustionarsi le zampe e la bocca. I segreti di questo pane sono molti e non possiamo conoscerli tutti, ma sappiamo che è realizzato con farina di tipo 1, meno raffinata e più integrale rispetto alla 00. L’impasto viene fatto riposare su un letto di crusca per non farlo attaccare, ma anche per dargli un sapore più rustico. La crosta è sottile, scura come la pelle di chi inizia ad abbronzarsi in estate, trascorrendo tante ore sulla montagna. È un pane nutriente, adatto a offrire la sua genuina energia a chi ne aveva tanto bisogno per il duro lavoro.

Il brüssu, però, non si accompagna solo al pane. Infatti, è protagonista di un altro piatto tipico delle mie montagne: i Sugeli.

Sono gnocchetti realizzati solo con acqua e farina ai quali, tramite le dita, viene data una forma simile a quella dell’orecchietta pugliese. Si “suggella” in questo modo la forma dello gnocco, forse è anche per questo che si chiamano così. Il loro nome, tuttavia, pare avere origine dall’omonima parola ligure “sügélu“, che indica uno strumento che serve per fischiare. Anticamente, infatti, i nonni forgiavano questi strumenti dalle canne o dal bambù e il pezzo che si introduceva in bocca per emettere il suono desiderato aveva proprio la forma che si dà allo gnocco, esattamente come quello della terza foto qui sopra.

I Sugeli, ad ogni modo, vengono conditi con la crema di brüssu e sono un piatto semplice da preparare.

Scendendo un po’ più verso valle troviamo altre squisitezze, come la Frandura (di cui vi ho parlato qui), una squisita torta di patate tradizionale di Montalto Ligure. Roba da leccarsi i baffi, cari topi!

Frandura

Proprio sotto Montalto esiste un’altra esclusiva della mia bella Valle: i Rundin di Badalucco, fagioli bianchi antichi e tipici baiocchi.

In tutto questo mordi e fuggi di antichi piatti e sapori, non vi ho parlato di un ingrediente essenziale della cucina montana: le erbe aromatiche. Sono onnipresenti e, senza di loro, i piatti sarebbero meno profumati. Timo, Maggiorana, Santoreggia, Lavanda, Ginepro, Rosmarino… ci si può davvero sbizzarrire, perché sui monti crescono spontanee e profumatissime, grazie all’aria pura e fresca.

A proposito di fresco, bisogna ricordare che un tempo non esistevano strumenti per la lotta a parassiti e insetti. L’unico modo che permetteva ai cibi di non deteriorarsi era proprio il freddo pungente delle montagne.

Avete notato che non ho parlato di carne? C’è un motivo, e ve lo spiego subito. Un tempo – e si parla soprattutto della popolazione povera di pastori e agricoltori – non era così frequente cibarsi di animali. Il bestiame serviva per la lana, il latte e i formaggi, mentre le galline venivano tenute per le uova. La macellazione di un animale avveniva raramente e in occasioni speciali e di esso si usava tutto, ma proprio tutto. Nulla andava sprecato. L’uomo delle malghe si cibava per lo più di farinacei, legumi, ortaggi e latticini, qualche volta mangiava il coniglio, ma molto raramente sacrificava un capo del proprio bestiame.

E qui possiamo parlare anche di un altro piatto della cucina ponentina ormai diffuso in tutto il territorio nazionale, il coniglio alla ligure. È arricchito dalle olive taggiasche e dall’olio che esse producono, unico e inconfondibile, oltre che dalle preziose erbe aromatiche e dal vino rosso.

Insomma, come vedete ce n’è per tutti i gusti, altro che cucina povera!

In Valle Argentina e nelle zone limitrofe che fanno parte della Strada della Cucina Bianca sono numerosi gli eventi legati alla gastronomia in cui si possono assaggiare i prodotti tipici, di seguito ve ne segnalo alcuni della mia Valle, ma ce ne sono un’infinità:

  • Sagra dei Sugeli – Verdeggia (inizio agosto)
  • Sagra della Frandura – Montalto Ligure (seconda metà di agosto)
  • La Sagra della Lumaca – Molini di Triora (inizio settembre)
  • Fungo nel Borgo –  Triora (fine settembre)
  • La Festa della Castagna – Andagna (seconda domenica di ottobre)

Non vi resta, dunque, che segnarvi tutto sull’agenda e venire a gustare da noi queste prelibatezze!

Ora vi saluto, con le zampe sporche di farina ho imbrattato tutto il computer, vado a finire il mio capolavoro culinario.

Un abbraccio farinoso,

la vostra Pigmy.

(Un enorme grazie a Gianna Rebaudo per il suo prezioso aiuto fotografico. Squit!)

Il Cerchio delle Streghe: Mistero in Valle Argentina

Ecco. Lo vedete nell’immagine quel cerchio sul prato? No, non si tratta dei classici “cerchi nel grano” che tanto hanno fatto discutere la popolazione a livello mondiale.

In questo cerchio, se riuscite a notare bene, la circonferenza non è designata dalla mancanza d’erba, bensì è come se la stessa erba fosse nata sfoggiando un altro lato di sé, oppure ancora, proprio formando un perfetto circolo, sia nata un’altra erba, di un’altra specie, che ha creato questo disegno geometrico.

Vi assicuro che non si tratta di un fotomontaggio. 
Cerchio_delle_streghe1
Un’alone piacevole di mistero e magia. Siamo nell’Alta Valle Argentina ma, il luogo preciso, mi spiace, non posso rivelarlo come anche suggeriscono vari studiosi di questo particolare fenomeno.

Si rischia di creare una sorta di mito che causerebbe l’arrivo di folle probabilmente poi incriminabili di inquinamento e disturbo della quiete di questo luogo meraviglioso dove flora e fauna vivono in perfetta armonia ogni giorno.

Gli abitanti del luogo, inoltre, preferiscono fare gli indifferenti sul caso e non è certo mio volere usurpare la loro intimità.

Questo perchè, riguardo a questo cerchio sospetto, si sono venute ovviamente a creare delle leggende e delle storie che, come spesso accade, non si sa mai quanto possano essere vere. Ma affascinanti sì, su questo non c’è dubbio.

Innanzi tutto, a codesta figura, già è stato dato un nome arcano e suggestivo. “Il Cerchio delle Streghe” si chiama e, nome migliore, non poteva essere scelto.

Per la mia Valle, che ha come protagonista il paese di Triora, conosciuto come la Salem d’Italia, sembra proprio la ciliegina sulla torta.

Pare che, questo cerchio, abbia il diametro di una dozzina di metri. Mi sembrano tanti per come l’ho visto io ma non sono all’altezza di dare una valida misurazione e, inoltre, ero abbastanza lontana in un sentiero stupendo e panoramico.

Ora, potrete ben capire come sia assolutamente interdetta la zona interna, anche se solo moralmente, in quanto, le Streghe, con le loro persecuzioni, potrebbero compiere nuovi atti malvagi nei confronti della popolazione.

Le credenze continuano a vivere ma, su sanremonews, il ricercatore Vittorio Stoinich, racconta che la tradizione è sempre viva nel cuore della Valle. Perciò, quando si sente dire che un pastore, che ha voluto sfidare il potere delle nostre Bazue (streghe), dopo aver messo il piede all’interno del cerchio per raccogliere il fieno, si è ritrovato con le pecore che producevano il latte rosso come il sangue anziché candido come sempre, tutti si sta zitti e ci si fa cullare da questa sorta di affascinante racconto che rapisce gli animi.

E anche la mia Valle, quindi, come se già non le bastassero tutte le varie storie di Wicca e stregonerie che vivono da anni nel suo cuore, vuole avere il suo primato. E, attenzione, questo cerchio pare non essere l’unico nella Valle Argentina.

Ne scoprirò altri? Lo saprete nelle prossime puntate amici! Sgattaiolo immediatamente sui monti come un piccolo segugio! Baci e…. non fatene parola con nessuno!

photo – la seconda immagine appartiene a sanremonews ed è stata scattata da Vittorio Stoinich

Poco più in là: Viozene

AndiamoSONY DSC a Viozene oggi topini. In terra brigasca e, in terra brigasca, è chiamato Viusena, con la S che sibila come una Z leggera. Andiamo ai confini della mia Valle.

Viozene, il paese delle casette che sono baite, lavorate con il legno. Par di essere nel Tirolo. SONY DSCCon le ante delle finestrelle e le ringhiere dei balconi che fanno a gara per sentirsi dire chi è la più bella! Vere lavorazioni impegnative, vere opere d’arte.

Viozene, nel Comune di Ormea, nell’Alta Valle Tanaro, esattamente tra le provincie di Cuneo e di Imperia. Un borgo cullato e protetto dalle Alpi Marittime, tra le quali, spicca sopra di tutte, il Monte Mongioie alto ben 2.630 mt e situato ad Est della Punta del Marguareis. Un imponente dente di pietra che sovrasta l’intero villaggio e regna protagonista.SONY DSC E’ in terre come: Viozene, come Upega, come Carnino, che si parla quel dialetto occitano, particolare, di cui spesso vi ho raccontato. Quella lingua mista di francese che sta andando via via perdendosi. La lingua d’òc, la lingua provenzale, la lingua minoritaria dell’Italia Nord-Occidentale. E Viozene ne è uno degli scrigni più grandi e fervidi.

A 1240 mt circa, sul livello del mare, offre un’aria e uSONY DSCn’acqua superate da poche in fatto di purezza; fredde, limpide, pungenti. E’ la meta preferita delle persone anziane che vogliono stare al fresco in estate, e dei bambini che devono rinforzare i loro bronchi e respirareSONY DSC la buona aria di neve per combattere bronchiti e pertossi in inverno.

E perchè no, è la meta della pace e della quiete per le giovani coppie che vogliono tranquillità e, allo stesso tempo, conoscere e scoprire una natura mozzafiato; particolare, tipica di questo entroterra, a volte aspra, acerba, egoista, a volte più generosa.

E’ qui che si possono svolgere mille attività, dall’alpinismo alla mountain bike, dal rafting al trekking.

E’ la terra delle Madonnine a bordo strada, dentro a cappelle create a mano dai pellegrini fedeli. E’ una terra tipicamente simile alla mia.

Ad arricchirne i confini, vere a proprie meraviglie al di là dei sentieri che portano al Mongioie. Il Canyon chiamato “Passo delle Fascette”, di cui già vi avevo parlato, e tutte le falesie che lo circondano. Il Parco Naturale dell’Alta Valle Pesio e Tanaro, nel quale gongola. I suoi ricchi patrimoni: faunistico SONY DSC– rappresentato da cervi, camosci, caprioli, aquile, galli forcelli ad esempio, e quello floreale – interpretato da abeti bianchi, larici, faggi, borsa del pastore, una bellissima erba di campo.

Sono pochi i suoi abitantiSONY DSC residenti, appena 43. Lui si popola solo in determinati periodi dell’anno, divenendo, come dicevo prima, un vero e proprio rifugio per molti.

Ed è la terra del muschio, delle mele e dei monti che, all’imbrunire, si stagliano contro il cielo color degli abissi. E’ un paese fresco dove ti può capitare di sentire cori che intonano vecchie canzoni o partecipare a “I racconti intorno al fuoco“, dove giovani signorine narrano, spesso accompagnate da un soaveSONY DSC strumento musicale, fiabe che raccontano di quei posti magici e misteriosi della terra brigasca, adatte a grandi e piccini.

E’ il paese dei cortili recitanti davanti a casa, giardini morbidi di prato, i ciottoli per terra, il piccolo campo da petanque che mai può mancare e l’edera che si arrampica indisturbata sulle pareti esterne delle dimore. Il paese delle tegole rosse, degli insetti che svolazzano indisturbati, delle ciappe e dei sentieri. E del bosco. Il magnifico bosco tutt’intorno che finisce all’improvviso. E dei piccoli SONY DSCfiorellini gialli di genepy, dalle foglie verde chiaro, verde velluto.

Il genepy è un tipico liquore che viene fatto in questa terra e prende il nome dalla pianta dalla quale si ricava e che riesce a nascere anche in zone davvero impervie, dal sapore buonissimo e inconfondibile, attraverso il quale, si può percepire tutto il gusto dell’alta montagna.

Qui regnano felici e sazi e anche indisturbati mucche, capre, pecore, cervi e addirittura scoiattoli. E’ un piacere passeggiare per il paese e fare il loro incontro. Sono così carini! E così coraggiosi. Si avvicinano impavidi. E’ giusto.SONY DSC Ogni animale dovrebbe essere sereno nell’avvicinarsi all’uomo e, qui, accade. Spesso, al giungere della sera, è facile imbattersi nella nebbia, in quella ovattata atmosfera che cala piano, nonostante ci sia stata una tersa giornata di sole. Siamo davvero alti e le nubi è come se scendessero per dar la buonanotteSONY DSC alle montagne con un bacio poi… vanno di nuovo via e mostrano un cielo nero dai mille puntini dorati, luccicanti e brillanti. Un cielo splendido come raramente ne ho visto. Nessun tipo di inquinamento luminoso, più nessuna foschia, solo stelle, tante stelle, una miriade di stelleSONY DSC.

Le casette in pietra tornano ad essere limpide, visibili, illuminate da fiochi lampioni giallognoli intorno ai quali svolazzano grandissime falene. Loro hanno una lingua arricciata e lunghissima. Non intendono allontanarsi dalla luce ma nemmeno dal succoso nettare dei lilium. Che buffe! Non stanno ferme un solo secondo. Riuscire a fotografarle è un’ardua impresa davvero. Tramano frenetiche. Stanno sospese in aria come dei colibrì. Per stare qui a guardarle mi devo mettere il golfino.

Alla sera, anche in pieno agosto, non si può stare solo in maniche corte e le vecchineSONY DSC si mettono lo scialle sulle spalle oltre al golf pesante di cotone. Le vecchine che cuciono tutte insieme nel giardinoSONY DSC di una di loro.

 

 

 

I cani sono tutti liberi. ognuno ha un padrone e, alla sera, se ne tornano nella loro cuccia ma di giorno è bello gironzolare e nessuno può impedirglielo. Si conoscono e sono tutti amici.

Il problema giunge quando andate voi, con il vostro cane, legato educatamente al guinzaglio e tutti gli si avventano contro… poco ospitali devo dire. Oh mamma!

Le persone invece sono simpatiche e alla buona. Si trovano senzaSONY DSC difficoltà gentilezza e cordialità e tanta voglia di divertirsi. Si organizzano anche lotterie e mercatini pur di giungere allo spasso. E il paese è in festa!

Per non parlare dell’ottimo cibo! La cucina casalinga è di casa ed è un vero piacere per i nostri palati: sardenaira, coniglio alla ligure, frittata di erbette, fiori ripieni, insomma, da leccarsi i baffi. Dovreste provare. SONY DSCAllora topi, che ne dite? Vi è piaciuto questo posto? Bene, ne sono contenta. E’ meraviglioso, potete credermi. E’ l’ideale per un soggiorno in cui si vuole solamente ritemprarsi un po’ e non si chiede nulla di meglio, nulla di più.

Io vi mando un bacione per ora ma vi aspetto per la prossima mini-vacanza! Un grande squit a tutti voi!

M.

Dove cadde Eugène

La maggior parte delle volte che percorro alcune delle mie strade, soprattutto i sentieri, mi viene spontaneo osservare il fiorellino rosa, l’albero alto e imponente, l’animaletto che sguscia via spaventato, la sua tana, il nido… ma non sempre mi rendo conto che le mie zampe, mentre son persa a scrutare l’orizzonte, stanno calpestando una chiazza di sangue, una ciocca di capelli, un vecchio schioppo, un bavero strappato…

No, non sono impazzita. Esattamente là dove poggiano le suole delle mie scarpe, in quello stesso punto, anni prima stava sdraiato un militare ucciso nel difendere la sua terra. La mia terra. Urla, fumo, bombardamenti… Quelli erano i rumori di allora, mentre oggi si sente soltanto il ronzare di un’ape. Un altro palcoscenico e si possono immaginare i mercanti trasportare con i loro muli carichi di formaggi, ortaggi e cereali. Si asciugavano la fronte e canticchiavano inni d’incitamento. Oggi uno stanco pastore alza la mano ad accompagnare il suo “Bona!”, mentre ci saluta senza nemmeno guardarci. Un pastore, probabilmente l’unico rimasto. Ricordate i pascoli di Drego, oggi disabitati? (li trovate nel mio post “Drego, il paesaggio fantasma”) E Bregalla, Creppo, Realdo, Verdeggia, paesi che un tempo vivevano sulla pastorizia?

Le pecore di quest’uomo hanno precedenza su chiunque. Ad accompagnarlo c’è un grosso cane. Sono loro i personaggi che hanno popolato e popolano tuttora le terre della mia Valle che confinano con Francia e Piemonte per diventare brigasche. I crinali furono le prime vie dell’uomo verso le Alpi e la Pianura Padana. Da migliaia di anni sono percorsi da cacciatori, pastori e contadini. Batì Luro, il più vecchio pastore dei Lanteri di Realdo, ci offre una visione leggendaria dell’abbandono delle montagne da parte del pastore. E allora prendo ancora una volta in prestito le parole di un gentile scrittore che, con il sorriso, ha regalato tanto sulla mia terra e mi ha permesso di arricchirmi di conoscenza. Eccomi, quindi, a raccontarvi una storia che ci permetterà di pensare, quando andremo su questi sentieri, che oltre al fiore rosa, alla pianta e all’animale che fugge (esseri degni di stima e affetto), ci sono anche stati dei nostri simili che hanno permesso a noi di vivere l’esistenza che conduciamo ora, grazie ai loro grandi sacrifici del passato. Questa persona è Giampiero Laiolo, al quale simpaticamente invidio tanto sapere.

Il crinale: la strada del pastore, del militare, del mercante e del mulattiere. Sui crinali s’elevarono dalla preistoria luoghi di culto poi riconsacrati da cristianesimo, oggi segni tangibili della continuità tra la nuova e l’antica fede. I crinali furono vie della fede ma anche percorsi di guerra. Nel 1794 su queste terre si affrontarono gli eserciti francesi e piemontesi. Le truppe rivoluzionarie erano comandate dal generale Massena. Tra i suoi ufficiali vi era un giovane corso, Napoleone Bonaparte. Il marchese Costa de Bouregard che dirigeva le difese sabaude trincerate lungo il crinale dei monti Saccarello e Frontè, ci ricorda quei drammatici momenti. Con lui combatteva il suo diciassettenne figlio Eugenio.

Il 27 aprile i Francesi e Piemontesi si affrontarono lungo il ripido crinale. Si avviò la sparatoria e il suo crepitare andò a risvegliare le lontane postazioni nemiche. Repentinamente tutte le creste si coprirono di segnali, da tutte le parti accorsero i battaglioni che si srotolavano nella neve come grandi serpenti neri. L’accanimento di alcuni uomini incassati nella gola diede tempo di arrivare ai rinforzi e la mischia divenne ben presto generale con alternarsi di successi e  sconfitte. Respinti in un primo tempo, i Francesi ritornarono alla carica e lanciarono una colonna alla baionetta protetta da due pezzi da montagna. Il combattimento divenne allora una lotta corpo a corpo dove i repubblicani si mescolavano ai Piemontesi. Eugène assisteva il Capitano Pean. Dietro Eugène suo padre lo guardava. Il marchese avrebbe voluto che il mondo intero fosse là per ammirare il suo figliolo. I proiettili imperversavano. Tutto ad un tratto il conte di Saint-Michel, alla testa di un battaglione di guardie, piomba sul fianco dei repubblicani, essi indietreggiano; i granatieri reali, per un istante scossi, si riuniscono e caricano al grido di: -Viva il Re!-. Eugène marcia per una decina di passi e tutto d’un tratto s’abbatte nella neve. Suo padre lo osserva, il suo animo trepida. Eugène è fra le sue braccia. Il marchese non sa ancora se è morto o vivo. Il piccolo lo abbraccia e gli  mostra il sangue che scorre a fiotti dall sua ferita. Henry cerca di metterlo in piedi, il ragazzo si sforza, ma la sua gamba pende inerte. “Non posso” dice e ricade nelle braccia di suo padre. Due giorni dopo Eugène morì.

A Punta Santa Maria domina  il monumento al Redentore. Da lì si gode un’eccezionale panoramica sulle Alpi Liguri e Marittime. Monte Bego, il marguareis, il Colle di Tenda cuore alpino del Ponente Ligure. Il rapido e convergente degradare di queste montagne sul mare ha reso possibile la formazione di un territorio culturalmente omogeneo. I pastori liguri, provenzali e piemontesi che per millenni s’ incontrarono su queste montagne le chiamarono “la catena del mondo”. Un simbolismo cosmico che rappresenta il perno della loro vita. E nulla, che ci crediate o no, potrà far pensare il contrario. E oggi, ho imparato, quando cammino e i miei occhi scrutano quelle cime meravigliose, quelle infinite distese di fiori viola, e le poiane sorvolano quel mondo da lassù, chissà… forse lì, dove ora stò appoggiando i miei piedi, forse lì è caduto Eugène.  

M.

Il Bosco delle Navette

… dei fiori, degli Abeti e dei Cavalli. Questo è il Bosco delle Navette. Un bosco che quasi confina con la mia Valle, in terra brigasca; è il bosco di Upega.

Upega è un paese che fa parte del Comune di Briga Alta ed è situata nella Val Tanaro. Siamo sul confine tra la provincia d’Imperia e quella di Cuneo. Potrei dire di fianco a me per un certo senso.

Questo bosco, si trova esattamente appena sopra Upega e si estende per 2.770 ettari.

Lo si può definire uno tra i più spettacolari e interessanti boschi delle Alpi Marittime.

Si chiama così perchè un tempo, con il legno dei suoi alberi, Larici e Abeti bianchi secolari, si costruivano le imbarcazioni tipiche liguri per la Repubblica di Genova, oggi, gli stessi alberi, sono tana di animali stupendi come Camosci, Lupi, Marmotte, Caprioli e Forcelli.

Siamo nell’Alta Valle Tanaro e, nel cuore e nei confini di questo bosco meraviglioso, si snodano due itinerari che offrono spettacolari vedute di una natura incontaminata e padrona.

Essi sono la Colletta delle Salse che regala piacevoli scorci e il pregio di vivere ambienti creati da un ecosistema di rara bellezza e il Colle delle Selle Vecchie che permette di godere di panorami particolari e suggestivi per chi ha gambe e volontà allenate.

Considerati i tratti esposti in prossimità di Cima del Ferà e i punti tra Selle Vecchie e Case Nivorina, il cui sentiero è ridotto a tracce non chiare, si consiglia la percorrenza ad escursionisti esperti e competenti della zona. Quindi è bene ch’io me ne stia buona buona dove sono e vi mostri il bosco dai lati che son riuscita a vedere.

Come ad esempio l’area pic-nic, attrezzata, del Giarretto presso il ponte della provinciale sull’omonimo torrente ricco di fiori colorati di un fucsia acceso e spighe dorate.

Un torrente che, scendendo, accarezza ninfee e felci.

Ma per fortuna non sono tutti come me e, questo bosco, è visitato tutti i giorni da alpinisti e amanti della mountain bike oltre che da chi ama camminare.

Siamo ai piedi di Cima Bertrand, un monte alto 2.481 metri.

Dall’area pic-nic parte una pista forestale che s’inoltra salendo nel Bosco delle Navette e raggiunge la rotabile ex-militare Monesi-Limone. Ma questo non è l’unico sentiero, varie mulattiere, stradine e tagliafiamme ci portano ognuna in un luogo incantato ed è facile poter fare piacevoli incontri. Mucche, Pecore e Cavalli vengono spesso a pascolare e a correre felici.

Per arrivare qui, abbiamo preso la Provinciale 6 e sorpassato prima Viozene e poi Upega. Abbiamo attraversato la piazzetta dei camper e la Sorgente della Salute dove l’acqua, freddissima, passa dentro a tronchi cavi.

Intorno a noi, alte falesie e un vero Canyon, ci facevano sentire piccolini come non mai. Quelle rocce austere, quegli alberi, quel silenzio. Rocce che sembrano volerci chiudere in una morsa mentre ci passiamo sotto e le guardiamo dal basso verso l’alto.

E immagino correre i Lupi, i nostri soldati a scavalcare quelle montagne come fossero semplici vie.

Quante grotte s’intravedono da qui. Rifugi da primo soccorso.

Il Bosco delle Navette, sorge qui, a 1.580 metri circa sul livello del mare. Dopo questi aspri monti, quasi ad addolcire un pò il territorio. E’ un Parco Naturale dal grande fascino e dalla lunga vita ricca di storia ed avventure. Basta pensare che accanto a lui passa una delle più famose Vie del Sale.

All’inizio del bosco la piccola chiesetta della Madonna della Neve ci accoglie. Immersa nel verde, da’ le spalle alle alte conifere e ai cespugli di Rododendri che circondano questo paesaggio incantato. Vicino a lei, un rifugio di pastori vende latte e formaggio prodotto dalle loro Pecore e, a far da guardia, due splendidi Maremmani che si mimetizzano tra i velli degli ovini. Vere Pecore brigasche, ricce, pelose, bianche come la neve.

Qui si sogna. Qui vi ho voluto portare perchè possiate rimanere affascinati.

Qui potete ascoltare ad occhi chiusi, la voce del bosco, il suo accogliervi e il suo salutarvi. Una voce che echeggia rimbalzando tra Cima Missun, Cima Bertrand e Colla Rossa. Una voce che chiede rispetto ma sa darne altrettanto. Un parlare interrotto solo, di tanto in tanto, da un ululare, un frinire, un bubbolare, un belare e uno scalpiccio di zoccoli che trottano felici.

Un abbraccio.

M.

Caselle Fenaira – il fienile della valle

Quello in cui vi porto oggi è un luogo incantato. Siamo sul confine tra la Valle Argentina, appena sorpassata, e la Valle Arroscia. Abbiamo lasciato il vecchio insediamento rurale di Drego e stiamo per entrare nella foresta incantata di Rezzo, che conta 5.000 anni. Qui, a metà percorso, ci fermiamo ad ammirare gli alberi, che creano un’atmosfera davvero particolare.

Siamo a Caselle di Fenaira, a 1351 metri sopra il livello del mare. Un torrente forma  spettacolari cascate e il sentiero che si snoda nel bosco, le piante e il cinguettio degli uccelli danno vita a un ambiente suggestivo, da vivere intensamente.

La strada asfaltata passa nel bel mezzo di tanta meraviglia, un’architettura naturale delle più alte terre della Liguria. Se proseguissimo, scenderemmo giù fino alla città di Imperia, ma non ne ho la minima intenzione oggi. Il baccano cittadino non fa per me.

Me ne resto qui ad ascoltare la natura che mi parla e mi racconta la sua storia. Un tempo, la frequentazione di queste zone era legata soprattutto alla presenza di pascoli ricchi e abbondanti molto graditi per attività quali l’allevamento di mucche, capre e pecore. Se zampettassi un po’ più su, oltrepassando questi alberi dalle alte chiome, giungerei su prati ampi, distese erbose tanto belle da togliere il fiato. Le zone prative costituivano uno dei punti essenziali dell’organizzazione territoriale ed economica della valle ed esistono ancora le tracce degli insediamenti estivi delle tribù liguri protostoriche, come il Castellaro della Rocca di Drego, che vi avevo fatto conoscere in un articolo precedente (si intitolava “Drego: il villaggio fantasma”, se volete leggerlo). Il Castellaro è prossimo ai pascoli più ricchi proprio come accade alle borgate costruite ad alta quota in età più moderna.

All’inizio dell’estate, dai prati si ricavava il fieno per l’inverno, poi vi pascolava il bestiame. La zona di Caselle Fenaira era tra le migliori per la raccolta del fieno, tanto che si giungeva a proibirvi il pascolo per tutta la stagione. Questa zona consentiva, infatti, notevoli guadagni dalla concessione ai forestieri (i fuestei, in dialetto) del diritto di taglio del fieno per le greggi. Durante il giorno, il bestiame era condotto a brucare e rientrava nei recinti la sera, dopo l’abbeverata da sorgenti o fonti d’acqua. Alla sera, nelle marghe, avveniva la mungitura e il latte veniva raccolto e conservato separatamente a seconda che si trattasse di vacche, capre o pecore in attesa di essere lavorato nel modo più opportuno. La lavorazione permetteva di ottenere burro e formaggio in particolar modo il “bruzzo” (u brussu) una sorta di ricotta fermentata dal sapore deciso, famosissima nella mia Valle. Può essere più dolce oppure più stagionato, dal gusto molto forte, ed è buonissimo spalmato sul pane.

In questo luogo giungono numerosi anche gli sportivi. Sono tante le passeggiate a piedi, a cavallo o in bicicletta che si possono fare, e l’aria che si respira apre i polmoni. I Noccioli sono quasi i padroni qui, e il bordo strada ricco di fogliame ormai secco che produce ad ogni passo uno scricchiolio.

Che pace!  E’ un angolino che non dovete perdervi, se passate da qui!

Un bacio scricchiolante dalla vostra Pigmy.

M

Dalla radura ai Cianazzi

I Cianazzi, topi, sono un insieme di grandi prati pianeggianti (“cian” nel nostro dialetto vuole appunto  piano) che si trovano sopra il paese di Ciabaudo. Da lì, praticando una stretta strada non asfaltata che passa in mezzo a un bosco, possiamo raggiungerli in auto, ma io vi ci voglio portare a piedi e quindi partiremo dalla radura del Monte Ceppo. In questo modo, non solo avremo un maggior feeling con la natura, ma godremmo anche di un panorama meraviglioso.

Partiamo allora. Siamo nello spazio contornato da un viale di Pini da una parte e da una catena di Alpi dall’altra, dalla quale si scorge, come già vi avevo detto, persino il Monviso. Qui si può cucinare. Sono sette le pietre messe in cerchio che permettono di cuocere la carne e di contenere le braci e il fuoco. Ci sono le panchine, l’erba, i tavoli e l’aria pura. Da qui parte un sentiero sempre pulito e aperto. Solo nell’ultimo tratto si passa in mezzo al bosco di noccioli e si possono trovare anche buonissimi funghi. In estate questo sentiero è ricco di fiori di ogni tipo, ma adesso, dato che qui fa ancora freddo, troviamo soltanto Crocus bianchi e rosa, che sono stupendi, e altri fiori dai colori sgargianti. Siamo a 1.600 metri e, anche se può sembrarvi impossibile, ma da qui si vede persino il mare. A seconda della stagione, si può vedere anche la Corsica! Non sono esclusi dalla vista panoramica i paesi marittimi della Valle Argentina: Riva Ligure, Pompeiana, Cipressa.

Oggi il mare è a pecorelle. Si distingue perfettamente la schiumetta bianca delle onde che s’infrangono ancor prima di aver toccato gli scogli. La pace è assoluta, a rompere il silenzio ci pensano soltanto gli uccelli, spesso rapaci, e qualche cicala che prova a uscire, timida, per vedere se il sole ha deciso di iniziare a scaldare oppure no. Prima del mare, si mostrano davanti ai nostri occhi un’infinità di monti. Belli, verdi, sembrano panettoni spumeggianti e morbidi, ma questi bizzarri aggettivi non intendono sminuire la loro austerità.

Le lucertole si godono i primi raggi e poche farfalle svolazzano in cerca di qualche nettare dolce da succhiare. Non è ancora periodo, l’inverno sta per uscire di scena, ma all’imbrunire il freddo si fa ancora sentire. Siamo a maggio, eppure in qualche curva è rimasta della neve dura che non vuole sciogliersi, e il termometro segna solo 7°C. Non si può fare  a meno di ammirare il cielo azzurro, gli alberi grandi che ombreggiano la nostra stradina e i piccoli Pini appena nati, che avranno sì e no un anno di vita. Tra poco, la tenera erba che ricopre questo luogo verrà rosicchiata da tante caprette e mucche. Il Monte Ceppo in estate è pieno di questi animali che i pastori portano a far pascolare. E’ un luogo incontaminato, meraviglioso. Un leggero venticello fa muovere i boccioli del Maggiociondolo e si sente la nostra voce che si allontana seguendo il vento e, piano piano, si arriva a destinazione: il prato.

Ci vuole circa una mezz’oretta, è una passeggiata abbastanza breve. Lo vedete quel piano laggiù? Quello è il primo grande prato dei Cianazzi, dove in estate viene fatta anche una bellissima festa e si mangia e si beve tutti in compagnia, giocando con i bambini al tiro alla fune e alla corsa nei sacchi.

Corro a rotolarmici in mezzo, topi! Vi saluto e vi lascio promettendovi di portarvi presto a fare qualche altra passeggiata. Questa è tra le più belle che offre la mia Valle, ma ovviamente non è l’unica. Alla prossima!

M.