Da Colle Belenda a…

È da Colle Belenda che si può giungere, attraverso un magnifico sentiero in mezzo alla natura, agli abitati di Triora, Cetta, Loreto e Case Goeta; a piedi o in mountain bike.

Colle Belenda si trova per la strada che va a Colle Melosa e, in questo periodo, lo trovo ancora imbiancato da una neve che cade a fiocchi persino nel mese di maggio.

La topo-mobile fa presto a diventare bianca e… santa ratta! Ma non eravamo in primavera?!

Il nome di questo luogo, che discende dal Dio Belenos, significa “brillante” come già vi avevo spiegato qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2018/05/04/belenda-belenos-belin/ e sono, per la precisione, tra la Valle Argentina e la Val Nervia.

Non ho intenzione di raggiungere i luoghi che vi ho citato poc’anzi, mi fermerò prima, perché dopo il piccolo Passo dell’Acqua, che attraversa il mio sentiero, giungo ad un punto panoramico meraviglioso e me lo voglio godere per bene.

Posso sdraiarmi su queste grandi rocce che si affacciano sul vuoto e guardare la meraviglia, il mio mondo.

Il vento oggi è potente e gelido, mi taglia il muso col suo soffio incessante, ma ciò non mi impedisce di continuare, per molto tempo, ad ammirare la bellezza che si staglia davanti ai miei occhi. Sono così contenta che, il tempo, è libero di fare quello che vuole. Io sono incantata.

Una grande parte dei monti della mia Valle si presenta a me con tutto il suo splendore, permettendomi di vedere i Sentieri degli Alpini e le borgate di Realdo, Borniga, Creppo e il Pin.

Lo sguardo gira e perlustra, di qua e di là: la punta del Toraggio, Carmo Gerbontina, Monte Ceppo… quanti… ma su un monte in particolare si posa anche il mio animo.

Sul Monte Gerbonte.

Ci sono stata da poco e c’ero stata diverso tempo fa. L’affetto mi lega a lui per le sue caratteristiche e perché appare proprio come il regno del Lupo.

Vedo da qui la piccola Caserma Lokar che mi ha ospitata meno di una settimana fa ed è bellissimo guardarla in mezzo ai quei Larici secolari e le radure che la costeggiano.

Un grande rapace mi distrae, non mi permette di fotografarlo per voi. È veloce e il vento gli è amico com’è giusto che sia. Non so dirvi di che si tratta. È marrone, come il guscio di una nocciola, ma non sono un’esperta.

Due massi più in là si percepisce la presenza dei Camosci ma oggi, visto il clima, non è proprio giornata di presentazioni.

Non importa, la meraviglia mi circonda ugualmente.

Sotto di me, un vallone molto profondo e ampio, con pietraie che diventano dirupi al di sotto delle creste montane di fronte. La profondità mette i brividi, è come stare su una nuvola e vedere tutto dall’alto. Sono emozionata. Che spettacolo! Non faccio altro che guardare e questo è tutto. Il mio tutto.

Passa un bel po’ di tempo prima che decido di tornare indietro.

Ora non nevica più e il vento pare essersi calmato ma alcuni fiori sembrano non essere molto entusiasti.

Le Violette sono le più fortunate, basse e rase al suolo non subiscono il peso della neve. Persino le foglie secche, a terra, riescono a proteggerle da tanto che sono piccine. La Primula (la Veris) invece, deve piegarsi al cospetto della Bianca Signora, così come la Campanella. I fiori del Brugo hanno deciso di attendere ad aprirsi, fa ancora troppo freddo per loro, e sono solo turgide palline color avorio rosato.

Stille ghiacciate non riescono a cadere dai loro rami e da quelli degli abeti e sembra Natale.

Quelle piante, quel bosco… ricoperti di polvere candida permettono di immaginare fiabe del Nord Europa.

Cammino su un terreno morbido. L’unico pericolo è dato dalle radici delle conifere che fuoriescono dal suolo e sono molto scivolose.

Piccole pigne mi imbrogliano tra il fango e la neve, sembrano i “regalini” di qualche animale selvatico. Una volpe? Un lupo? Una faina? Niente di tutto questo, solo i frutti degli alberi balsamici. Frutti di ogni tipo e di ogni grandezza, caduti al suolo a causa delle forti correnti e del loro tempo trascorso.

Diversi passeriformi cinguettano nell’aria, ognuno ha il suo verso e tengono molta compagnia.

Come vi ho detto, mi sono fermata presto a osservare quel creato attorno a me ma, da Colle Belenda, si può arrivare in diversi luoghi della mia Valle.

Ora vi saluto, vi mando un bacio ghiacciato e faccio ritorno alla tana. Voi scaldatevi per bene che dobbiamo ripartire per la prossima escursione e non c’è tempo per oziare. Stay tuned!

Larice, il principe dei miei monti

Ah, il Larice! Che albero meraviglioso!

Questa conifera (Larix decidua) appartiene alla famiglia delle Pinacee ed è un albero molto alto e a crescita veloce. Vive molto bene in alta montagna, sapete? Mette radici fino a 2000 metri di altitudine, con la sua chioma a cono. A differenza delle altre conifere, non è sempreverde, infatti in Inverno perde il fogliame… ma in Autunno tinge i miei boschi di colori mozzafiato, le tinte dell’oro più brillante che possiate immaginare.

 

E in primavera, invece, i suoi abiti sono color verde smeraldo nelle foglie fresche e tenere, e fucsia intenso e giallo nei suoi bellissimi fiori. In Estate, poi, sapete che fa? Dà da mangiare alle api trasudando quella che viene chiamata la “manna di Biançon”, grazie alla quale gli impollinatori producono un ottimo miele.

gemme di larice

Si trova in climi freddi e rigidi e ha bisogno di molta luce, come la sua amica Betulla, ma in molte zone della mia Valle cresce rigoglioso. Infatti, sebbene ci troviamo in Liguria e non di certo tra le foreste del Piemonte, della Val D’Aosta o del Trentino, Larice qui si trova a proprio agio. Per il suo timore nei confronti dell’umidità, cresce sulle cime delle mie amate Alpi Liguri, dove può essere sempre baciato dal suo amato sole.

larici primavera

Guardatelo e abbiate il coraggio di dirmi che non vi trasmette vigore, vitalità e rigenerazione! Eh sì, topi, Larice è proprio così, una forza della natura. Larice è così saggio che i suoi rami hanno dei punti di rottura ben precisi: in questo modo riesce a resistere alla tempeste più furiose, perché i rami si spezzano prima che l’albero venga danneggiato. Che meraviglia, che perfezione! Ma non è mica finita così, no no! Laddove i rami si sono spezzati, Larice fa spuntare nuove gemme a colmare il vuoto lasciato dai caduti nella battaglia contro gli elementi.

larici

Plinio il Vecchio già nel I secolo a.C. preparava l’unguento di Larice, che ricavava dalla resina ed è un rimedio per i reumatismi, la gotta e le infezioni della cute, ma anche per tutti quei disturbi legati all’apparato respiratorio di voi esseri umani. Pensate che la sua resina, senza abusi, può essere ingerita per stimolare i reni, o masticata per calmare la tosse e il mal di gola.

Se queste sue proprietà non vi bastassero, le terapie offerte dai suoi fiori aiutano chi soffre di sensi di inferiorità, di malinconia e a chi si scoraggia facilmente, stimolando la fiducia in se stessi. Con la sua forza, Larice insegna a superare i propri limiti, così come lui supera i suoi, crescendo anche nelle zone più impervie. E dovete sapere che era anticamente considerato l’albero in grado di unire la terra al cielo, in grado di decifrare anche il messaggio cosmico del “Così in alto e così in basso“.

Nel nord Europa e in tutte le zone alpine si credeva che Larice fosse abitato da creaturine benedette, spiritelli benevoli e di bell’aspetto amici degli esseri umani quanto degli animali. Questa credenza portò a realizzare incensi e talismani con il  legno del suo tronco, più resinoso e duro di quello dei cugini Abete e Pino. Noi del bosco, nelle tane, abbiamo tutti un rametto di Larice perchè sprigiona energia positiva e protettiva!

Da me si trova soprattutto in Alta Valle, ce ne sono di monumentali nella Foresta di Gerbonte, ma anche i dintorni di Realdo, Verdeggia, Triora, Colle d’Oggia e Colle Melosa lo ospitano volentieri.

foresta di gerbonte bosco di larici primavera

I boschi di Larice sono radi e luminosi e ospitano varie specie di uccelli tipiche dell’ambiente alpino, come la Cincia, il Picchio, il Crociere e il Gufo Reale. Sul Gerbonte sono stati impiantati dall’uomo per avere sempre a disposizione legname utile  e, pensate: un tronco di Larice della Foresta di Gerbonte regge ancora oggi il soffitto della Chiesa di San Giovanni Battista a Triora!

Larice è delicato nell’aspetto, raffinato ed elegante, e sembra più vicino alle latifoglie che alle conifere, complice il rinnovamento annuale delle foglie. Larice può anche cambiare la geometria della sua chioma, sapete? Di anno in anno può assumere forme differenti.

Per la gente di montagna è sempre stato un albero robusto, tanto che il suo legno veniva usato per le palificazioni e per la costruzione delle case, ma anche per le navi e le fondamenta di chiese e palazzi.

Insomma, topi, ne sapete un po’ di più su questo albero meraviglioso, abitante dei miei luoghi?

Io vi saluto e vi do appuntamento al mio prossimo squittio.

Un bacio balsamico dalla vostra Prunocciola.

Da Verezzo ai prati di San Giovanni

Lo so che la mia Valle sarà gelosa del post che sto scrivendo, ma oggi vi porto a conoscere un posto che non si trova nella Valle Argentina, bensì nelle zone immediatamente limitrofe.

Se c’è una cosa che di solito ci invidiano tutti della Liguria, è la sua caratteristica di essere a metà tra i monti e il mare, e spesso percorrendo sentieri dell’entroterra si può osservare la distesa d’acqua che lambisce la costa, mentre si danno le spalle alle Alpi.

Ebbene, un giorno d’autunno prendiamo la topo-mobile e allontaniamoci dai miei luoghi, ma non tanto, eh!

Arriviamo fino a Verezzo, frazione di Sanremo, e lasciamo la macchina proprio davanti alla chiesetta di Sant’Antonio.

Mi perdonerete se non farò tante foto, questa volta, ma ho le zampe ghiacciate. Tira un’aria così fredda che si fatica a tirarle fuori dalle tasche, figurarsi a scattare fotografie!

Comunque, dicevo, dalla chiesa imbocchiamo la mulattiera visibile sulla strada e, inerpicandoci, arriviamo su una strada asfaltata che sale ancora tra bellissime villette. Presto l’asfalto si trasforma in cemento, e il cemento in pietra. Si raggiunge così un’altra mulattiera, contornata dalla vegetazione di tipo mediterraneo, dalle campagne curate da mani sapienti e da case di agricoltori.

Il percorso prosegue tutto al sole, non ci sono alberi ad adombrare il sentiero. Lungo il cammino ci imbattiamo nella Ginestra, nel Cisto, nel Timo, in cespugli rigogliosi di Ginepro. E poi, di tanto in tanto, ecco spuntare Querce, Mandorli, Pini e Ulivi.

Si sale sempre, senza fermarsi mai, e la presenza delle mucche è evidente, bisogna fare attenzione a dove si mettono le zampe, se non si vuole finire dritti dritti nella… busa!

Più si va in alto, più la vista diventa mozzafiato. Se volgiamo lo sguardo verso l’interno, possiamo vedere le antenne di Monte Bignone, ma guardando verso sud veniamo invasi dal colore del mare, che oggi è blu intenso, specchio perfetto del cielo terso. E poi si scorgono Sanremo, la Valle Armea, Bussana, Castellaro, da una postazione più elevata possiamo vedere anche Arma di Taggia.

Verezzo

Tornando con lo sguardo verso l’entroterra, riconosciamo il Monte Faudo.

Salendo, la vegetazione si fa più brulla e i Grilli saltano allegri in mezzo all’erba, ormai quasi del tutto secca.

Poi, a un tratto, il sentiero si fa più pianeggiante, la pendenza diminuisce drasticamente. Si procede in mezzo alle Ginestre, i cui rami spogli si impigliano allo zaino, alla giacca e ai capelli. Anche il Rovo si fa spazio in questo ambiente, bisogna fare attenzione a non lasciare che prenda confidenza con noi, perché potrebbe graffiarci le guance, le zampe e lacerare i nostri vestiti. Si sale ancora un po’, ma questa volta la salita è più dolce che in precedenza. Ed eccoci arrivati ai prati, bellissimi, quasi sconfinati, in mezzo ai quali si stagliano ruderi di costruzioni antiche come il tempo e alberi solitari di maestosa bellezza.

Verezzo1

Continuando a camminare in mezzo alle distese erbose, dove pascolano le Mucche, grufolano i Cinghiali e dove passano anche i Cavalli, ci dirigiamo verso la pineta che si vede sulla cresta, poco più in alto rispetto a dove ci troviamo.

E, una volta arrivati, le meraviglie da assaporare non sono poche.

prati Verezzo

Tappeti di pigne ricoprono il terreno e un Pino Silvestre trasuda resina dalla corteccia, si vede anche a distanza. Guardate la meraviglia di questa colata d’ambra!

Sebbene la perdita della resina dalla corteccia non sia un buon segno per la pianta, non possiamo che rimanerne affascinati.

Più avanti ci fermiamo a mangiare un boccone con lo sguardo rivolto al mare, ma facciamo in fretta, perché il vento è forte quassù, non si riesce a rimanere fermi a lungo. Dopo mangiato, proseguiamo il sentiero per pochi istanti e ci ritroviamo alla chiesetta rurale di San Zane, San Giovanni. Subito sotto c’è il paese di Ceriana, un cartello indica che è possibile arrivarci, ma oggi non vogliamo proseguire. Da qui si potrebbe arrivare anche a Monte Bignone, ma neppure questo sarà la nostra meta. In lontananza scorgiamo il Toraggio e, sullo sfondo, le cime innevate delle alture cuneesi.

prati di san giovanni ceriana

C’è pace, il profumo della neve arriva quasi alle nostre narici. Il freddo sferza il viso, ci copriamo di più per sentire di meno il suo schiaffo, ma il vento è potente. E allora decidiamo di tornare indietro, contenti per la bella e rigenerante passeggiata, mentre godiamo dell’oro del sole che ci pervade e illumina ogni cosa intorno a noi.

Pigmy

Purificandoci… Pini di montagna, di mare e di città

Devo fare subito un appunto al titolo di questo articolo, topi: in realtàSONY DSC i Pini di città non esistono. E’ l’uomo che addobba i suoi paesi con questi speciali alberi e, per farlo, utilizza soprattutto l’esemplare detto Pino Marittimo che, come il cugino Silvestre, prettamente montano, Pinus Pinaster è l’albero che sa purificare l’aria che respiriamo in modo fresco e preciso.

E’ il polmone del bosco e, ambizioso com’è, dona a tutti la giusta carica. E’ un albero altissimo (supera i 20 m. con gran facilità) penso sia tra i più numerosi qui, nella mia Valle, soprattutto nelle cittadine sulla costa. Le abbellisce, o almeno così pensano gli esseri umani. Abbellire… mmm… tutti quegli aghi che, una volta secchi, cadono e fanno scivolare non so quanto possano abbellire, ma così è stato deciso. Le sue fortissime radici, inoltre, hanno il potere di spaccare qualsiasi terreno sopra SONY DSCdi esse. Strade, marciapiedi, gradini di marmo, ogni cosa cede sotto la loro potenza. Descrivendolo così, Marittimo sembra quasi un killer, in realtà è che questa bellissima pianta, nonostante l’aggettivo “Marittimo”, appunto, non è adatta ad abitare tra le case o a dividere i parcheggi delle auto dei bei villaggi della Riviera. Riderete, ma alle elementari un mio amico si prese una pigna in testa e non fu per nulla piacevole. Sì, perché è posiziSONY DSConato anche nei cortili delle scuole. Pare proprio che egli si ribelli. Sfruttato soltanto per la sua ombra e i suoi gustosissimi e pregiatissimi pinoli, si dà letteralmente alla rivolta e lancia resina, aghi e pigne senza pietà. Lui vorrebbe stare in collina! Il mare vorrebbe poterlo respirare per contoSONY DSC suo e trasformare quella salsedine che gli rinfresca le narici in aria sana per tutti noi. Il  mare vorrebbe vederlo dall’alto. Vorrebbe stargliarsi contro di esso in un panorama, nello skyline di una splendida foto, dove possiamo ben distinguere il brillante turchese e il suo verde scuro e sfavillante.

Meno offeso è invece il Silvestre. Lui, nel suo habitat naturale ci sguazza assai e nessuno osa tenergli testa. Con la sua irraggiungibile altezza e quel suo verde che pare di vSONY DSCelluto, dà proprio l’idea di essere un tipo molto saggio. E il suo aroma è adorabile quando sotto la doccia si mischia assieme ai vapori dell’acqua tiepida. Adatto anche ai topi maschi. Quei topi …che non devono chiedere mai! Per noi topine, invece, è troppo pungente, siete d’accordo? E poi c’è il Mugo per noi, un po’ pretenzioso e col naso all’insù. E’ probabilmente convinto che la terra sia tutta sua. Si allarga, espatria, sconfina. Vuole colonizzare tutto il terreno che ha a disposizione, se ne approfitta perché tanto sa di essere amato a prescindere; il suo olio essenziale è profumatissimo e molto utile come quello di tutti questi esemplari.

Appartenenti alla famiglia delle Pinaceae, queste piante ricoprono non solo il territorio della Valle Argentina ma sono presenti in tutta Italia e in parecchie zone mediterranee, spesso scambiati con gli Abeti, i famosi alberi di Natale. Eppure sono diversi e sicuramente meno… umili, se mi è concesso, ma buoni e simpatici. Le pinete formate dal Pinus Pinea, meglio conosciuto come Pino Domestico, offrono in estate meravigliosi luoghi nei quali campeggiare e le loro radici possono offrire impervi e divertentiSONY DSC percorsi agli amanti della Mountain Bike. E’ una Conifera e, quindi, un sempreverde. Questo ci fa pensare all’immortalità, alle cose che perdurano senza lasciarci, e Pino è proprio così. Ne simboleggia pienamente il significato. Una curiosità appartenente al Pino ,inoltre, è da ricercareSONY DSC nelle sue foglie aghiformi, definite più semplicemente aghi. Questi aghi sono solitamente riuniti in gruppi di 2, 3 o 5 esemplari e, nelle piante adulte, non sono inserite direttamente nel ramo (contrariamente agli Abeti), ma su corti rametti verde chiaro chiamati brachiblasti. E quando questi aghi, in alcuni, sono a coppie di due, si può ovviamente definire come quest’albero rappresenti la fertilità e la felicità coniugali. Il poeta Virgilio, infatti, ci racconta che le fiaccole per le nozze erano proprio di legno di Pino. Nelle leggende greche, poi, oltre ad avere il significato di eternità, appare come albero sacrificale, l’albero del supplizio iniziatico. Anche in SONY DSCOriente, il Pino simboleggia l’immortalità. Per questo motivo in Giappone si usa il suo pregiatissimo legno per costruire templi e strumenti legati alle celebrazioni religiose. Sempre in Giappone, così come nella Roma antica, Pino è presentenei riti nuziali: era usato fino a pochi anni fa che gli sposi bevessero del té davanti a un alberello di Pino, simbolo dell’aSONY DSCmore eterno come sempreverdi sono i suoi aghi. In Cina, invece, il Pino fa parte dei simboli che ricordano la longevità. Noi topi, invece, bruciando degli aghi di Pino ancora freschi, possiamo ottenere un profumatissimo deterrente per zanzare e altri fastidiosi insetti estivi. E’ l’odore con il quale si creano incensi per aromatizzare luoghi particolari circondandoli di mistero. Lo stesso  incenso era usato nei secoli scorsi per celebrare le sante messe.  Pino è meraviglioso anche in campo cosmetico, oltre che aromaterapico.  Il Pino, infaSONY DSCtti, è un ottimo astringente, deodorante, antinfiammatorio, balsamico, sebonormalizzante, disinfettante, vasocostrittore e rinfrescante. Queste sue proprietà venivano utilizzate già in tempi antichissimi. Nel manuale di terapia medica Thesaurus Medicaminum del 1479 (ma Plinio e Ippocrate già ne facevano largo uso) il Pino, ad esempio, era citato come rimedio nel trattamento di piaghe e dermatiti. Questo perchè il Pino ha un forte potere antiossidante e tanti radicali liberi, per SONY DSCcui previene e rallenta l’invecchiamento di una pelle che, senza le sue difese, tende a deteriorarsi colpita dai più disparati agenti. È stato inoltre dimostrato che l’estratto della corteccia di Pino è in grado di stimolare la biosintesi delle principali proteine strutturali del derma come il collagene e l’elastina, prodotti dai fibroblasti rivelandosi così molto utile per il contorno occhi, il mento e il decolletè.

E insomma Pino, oltre a farci respirare bene ci fa divenatre anche belli, cosa possiamo volere di più? Un albero che è ovunque. Un amico per sempre. Un bacio fresco, topini.

M.