Rio Infernetto è un ruscello che rotola giù per il Monte Gerbonte andandosi poi ad unire con il Torrente Argentina nei pressi di Drondo, antico e minuscolo abitato di un tempo, nei dintorni di Creppo.
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Le vite antiche di Borniga
Pronti? Oggi si zampetterà parecchio. Andremo in Alta Valle Argentina, in terra brigasca e precisamente a Borniga… una metropoli! Scherzo. Un pugno di case, non di più, è pronto ad accoglierci, e dovete credermi: dire che è magnifico è riduttivo. Una borgata montana assai suggestiva che ricorda un presepe, che dona una pace incredibile dove la vita si svolge come un tempo, placida e lenta, e la natura attorno riesce ancora a mostrarsi vera e spettacolare come fosse piena di gioia.
Vi avevo già fatto conoscere questo minuscolo villaggio in questo post: “Angoli di Tibet a Borniga, in Valle Argentina“, ma ho altre cose da dirvi, più antiche e più storiche, perciò serve ripartire.
Borniga (Bornighe o Burnighe nel dialetto del luogo) è rimasta a noi, alla Valle Argentina e alla Liguria, laddove terre smembrate dalla Seconda Guerra Mondiale vennero date alla Francia o al Piemonte.
Siamo sull’Alta Via dei Monti Liguri e Borniga è un bellissimo punto panoramico. Siamo in un luogo dalla bellezza indescrivibile, come per la vicina Realdo e le zona del Pin e Abenin che circondano Borniga, le quali fecero innamorare persino autori come Italo Calvino (che quassù fece anche il partigiano) e Francesco Biamonti, che scrissero di questi luoghi introducendone i paesaggi nei loro romanzi. Zone che furono, per questi scrittori, vere muse ispiratrici. Un altro scrittore assai più recente e nostro contemporaneo ha fatto di queste zone selvagge e a tratti impervie lo sfondo perfetto per il suo romanzo, Giacomo Revelli, di cui vi parlerò prossimamente.
Borniga, che in Valle ora si può raggiungere anche a piedi da un vecchio sentiero che parte da Creppo, il quale è stato ripulito tempo fa da dei volontari, oltre a una natura selvaggia mostra panorami infiniti. E’ infatti definito La Finestra della Valle, essendo anche uno dei punti più alti.
Da qui partivano molti muli a scendere, per vendere legna o carbone, ma anche frutti e vari doni della terra, o a salire trasportando pietre e materiale valido per la costruzione delle dimore che, da come potete vedere, sono state realizzate con materiali del tutto naturali.
E’ una zona ricca di ardesia, questa, e si è trasportata per lungo tempo sulle strade sterrate che attraversano i territori intorno a Borniga. Di ardesia, come vi ho già detto altre volte, è costituita la copertura della maggior parte delle case della Valle Argentina, ma essa serviva anche per i tavoli da biliardo.
Particolari donne di Triora, le nostre amatissime bazue (streghe), durante la notte aiutate solo dalla luce fioca della luna, si mettevano in marcia di buona lena per giungere fin qui, dove una terra incredibilmente ricca di elementi naturali donava loro erbe e altri ingredienti, più rari altrove, utili ai loro incantesimi.
Donne che passeggiavano tra boschi e sentieri, in quegli anni, assai popolati da lupi. Il loro ululato riecheggiava nelle notti buie per tutta l’Alta Valle. Lupi che tendevano agguati a una pecora assai particolare… Mi riferisco alla pecora brigasca, una specie ovina autoctona, proprio di qui.
Siamo sul versante sinistro del torrente Argentina e lo scenario è incantevole. Sappiamo che laggiù in basso gli abitati di Loreto e Cetta ammirano i monti nei quali stiamo sostando.
Da questi luoghi partono diversi sentieri, tutti panoramici, che attraversano zone selvagge, impervie a dagli scenari mozzafiato. Il Gerbonte è a due passi, così come la vicinissima Francia.
E proprio qui, sotto le nostre zampe, proprio dove oggi sorge questo stupendo paesino, sappiamo esistere una cavità importantissima per la Valle Argentina perché risalente al periodo Neolitico. Si tratta di un corridoio sotterraneo chiamato “Arma della Gastea” dove un tempo venivano seppelliti i defunti e nel quale nei nostri tempi moderni sono stati rinvenuti frammenti di oggetti dell’epoca, come pezzi di bronzo o conchiglie. Ci pensate? Appartenenti al mare, ovviamente!
“Arma della Gastea” o anche “Arma Mamela” (vi ricordo che il termine Arma deriva da Barma, ossia Grotta, come vi raccontai per il primo paese sul mare della Valle e cioè Arma di Taggia) si trova a Borniga, nel Vallone Durcan, e nessuno ha mai potuto scoprire quanto sia profonda.
Ma non è finita qui. Sempre in questa zona, un’altra cavità chiamata “Buco del Diavolo” mostra decorazioni e utensili e ha permesso anch’essa di rinvenire ossa di uomini primitivi. I resti ritrovati qui si trovano oggi al Museo Civico di Sanremo, altri reperti si possono ammirare invece nel Museo Etnografico e della Stregoneria di Triora.
Insomma, siamo davvero in un fulcro archeologico, topi! E quelle che vi sto raccontando non sono le sole grotte conosciute, ce ne sono molte altre utilizzate soprattutto come sepolcri.
Vi immaginavate tanta storia in un posto come questo, che sembra solo natura? No. Migliaia e migliaia di anni fa era abitato, e lo è stato per tantissimo tempo, divenendo palcoscenico di diverse culture e civiltà.
Un bacio antico, topi miei.
Il Sentiero dei Nidi di Ragno
E’ a Realdo, paese della Valle Argentina, che la lapide celebrativa dedicata a Don Luigi Peitavino mi ha fatto fermare, per qualche minuto, ad ascoltare le voci del passato.
Questo prete gestiva una tipografia, sicuramente clandestina, a beneficio dei partigiani e, ancora oggi, tutto il paese lo ricorda.
Don Luigi, nella cantina della Parrocchia, stampava il giornale “Il Garibaldino” e, poco mi ci vuole, tra i vecchi del paese, a conoscerne meglio la storia.
Con un grande gesto eroico salvò un gruppo di giovani ragazzi, ormai prossimi a subire la fucilazione, ponendosi davanti all’arma del nemico già puntata. Quest’uomo, e il fratello Fortunato, erano grandi amici di Mario Calvino e questo mi porta alla mente tantissime storie.
La mia valle ha vissuto nel profondo, un momento storico fondamentale come la Resistenza. E’ stato un periodo difficile e, tante persone, hanno lottato insieme per un ideale. Una delle rappresentazioni letterarie più poetiche riuscite sul tema è “Il sentiero dei nidi di ragno” proprio di Italo Calvino, un’opera che descrive le vicende di un ragazzino, Pin, durante la seconda guerra mondiale nelle valli del ponente ligure. E’ un’opera molto particolare in quanto si differenzia nettamente, per stile e contenuti, dai lavori successivi di Calvino, anche se un’impronta poetica e fiabesca già percorre le pagine di questo romanzo. Si tratta in sostanza dell’opera prima del grande scrittore, nato a Cuba ma chiaramente originario di San Remo (Im).
Scrittore che conosceva benissimo il nostro entroterra, i luoghi, i personaggi e gli episodi.
Ma non solo: grazie al lavoro del padre, illustre botanico, era anche un profondo conoscitore di piante e flora in generale, tutti studi che si ritrovano ne “Il sentiero dei nidi di ragno”.
La Resistenza che Calvino racconta è fatta anche di episodi cruenti e tragedie personali e sociali, il fatto però, di tratteggiarla attraverso gli occhi di un bambino, la rende talvolta meno dura e più poetica.
La geografia de “Il sentiero” ha un sapore quasi mitico ma, per chi conosce queste valli, diventa molto riconoscibile e tangibile: boschi in cui sicuramente siamo stati, cime che abbiamo quantomeno intravisto, ruscelli e fiumi in cui sarà capitato di bagnarci… pare di toccare e sentire il cuore di questa parte di Liguria.
Toccante è il finale con il bambino Pin, ormai cresciuto, insieme all’adulto Cugino, a contemplare un mare di lucciole nella notte…
“C’è pieno di lucciole” dice il Cugino.
“A vederle da vicino, le lucciole”, dice Pin, “sono bestie schifose anche loro, rossicce”.
“Sí” dice il Cugino “ma viste cosí sono belle”.
E continuarono a camminare, l’omone e il bambino, nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano.
M.