Il Corbezzolo – Vivi e colora il tuo mondo

Poi qualcuno osa dire che l’Autunno è una stagione triste e spenta, poco colorata… Ma meno male che c’è qui la vostra Prunocciola, pronta a mostrarvi la Natura come la vedete di rado!

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Cari topi, in questo periodo dell’anno i monti e la Natura tutta si colora di tinte assai calde e accoglienti, complici anche le giornate ancora per lo più terse e molto tiepide. Ed è in questo momento che giungono a maturazione anche dei frutti coloratissimi, che inondano i sentieri offrendo ulteriore bellezza agli occhi, come se non fosse già tanta quella offerta dai generosi Castagni dalle foglie d’oro, dai colori bronzati dei Larici, dalle tinte solari e delicate delle faggete e di tante, tantissime altre piante che fanno i fuochi d’artificio pur di farsi notare.

Sto parlando del Corbezzolo, il cui nome scientifico è Arbutus unedo, pianta appartenente alla famiglia delle Ericaceae. I suoi frutti paiono palline natalizie di colore giallo-arancio quando sono immaturi e rosso quando invece giungono a maturazione.

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La pianta è sempreverde e vanta la presenza in contemporanea di fiori e frutti sui rami. I suoi colori prevalenti (il verde delle foglie, il bianco dei fiori e il rosso dei frutti) la assimilano alla bandiera italiana, e per questo motivo ne è divenuta il simbolo patrio. Fu nell’Ottocento che assunse il significato di unità nazionale.

Plinio il Vecchio, naturalista e filosofo romano, riteneva i corbezzoli talmente insipidi che a suo parere era impossibile mangiarne più di uno, ecco spiegata la derivazione del nome scientifico della specie – “unedo” -, che deriverebbe da “unum” (= uno) e “edo” (= mangiare).

I suoi colori vivaci lo accostano alla Vita, e infatti è una pianta assai longeva, tanto da poter divenire addirittura plurisecolare. Cresce anche rapidamente, e con questo Madre Natura ci vuole lanciare un messaggio importante: chi sa colorare la propria esistenza, chi guarda con gioia ai colori, alla positività, cresce (e vive) con più facilità.

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Il verde è il colore del cuore secondo le discipline orientali, è la tinta che più di ogni altra riguarda l’energia d’Amore Incondizionato che permea ogni cosa nel Creato. E, in effetti, è il colore di Madre Natura… chi sa amare più e meglio di lei? Qualcuno lo attribuisce anche alla speranza, ma una creaturina del bosco come me non conosce questa emozione: noi bestioline, insieme alle piante e a tutti gli elementi naturali, non siamo soliti sperare, semplicemente siamo, esistiamo e agiamo, senza aspettative. Ecco perché per me il verde del Corbezzolo – e di tutte le altre piante meravigliose della Valle e del pianeta – rappresenta la Vita, la gioventù delle tenere foglie appena spuntate sui rami e dalla terra.

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Che dire, poi, del bianco? E’ la Purezza per antonomasia, la pagina ancora bianca prima di essere scritta, il principio di ogni cosa, l’insieme di tutti i colori esistenti e la tinta attraverso la quale si esprime la Luce… e, ancora una volta, la Luce è… Vita!

Giallo, arancio e rosso sono invece colori legati al Sole, al fuoco, quello della creazione e del calore fisico, avvolgente e prorompente. Anche in questo caso sono tinte strettamente legate alla Vita. Ed ecco che allora il Corbezzolo, racchiudendo in sé tutti questi colori, non fa che rimarcare, evidenziare e sottolineare con allegra e sfacciata enfasi il suo essere così profondamente legato alla Vita gioiosa, all’esistenza terrena.

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A proposito di fuoco… è una pianta originaria del Mediterraneo, e la terra lambita da questo meraviglioso mare è battuta dal Sole e spesso viene investita da incendi. Ma tutto in Natura è perfetto, topi, per cui questa mamma amorevole su cui poggiamo tutti le zampe ha escogitato un modo efficace e geniale per far sopravvivere le proprie creature durante manifestazioni apparentemente così estreme e violente. Come il Cisto, infatti, il Corbezzolo possiede una “memoria” di fuoco. Cosa significa? Vuol dire che si infiamma molto facilmente e questo gli permette di far passare velocemente le lingue infuocate sopra le proprie radici, in modo tale da preservarle intatte. In pratica la parte alta della pianta si incendia e si incenerisce molto in fretta, e dunque le fiamme, non avendo altro da “mangiare”, passano oltre. Le radici restano integre e da lì a breve il Corbezzolo rigetterà, concimato dalle sue stesse ceneri come l’Araba Fenice, crescendo velocemente come solo lui sa fare! Una meraviglia, insomma! Se non è Vita questa…

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Il Corbezzolo ha dimensioni arbustive, arrivando a raggiungere però fino ai 10 metri di altezza. I suoi fiori a grappolo sono ricchissimi di nettare, particolarmente apprezzato dalle mie amiche api, soprattutto se quando la pianta fiorisce – ovvero tra ottobre e novembre – non sono ancora giunti i primi freddi a farle rintanare. Il miele di Corbezzolo, molto pregiato, aromatico e amarognolo, è l’ultimo a essere prodotto prima del riposo invernale.

I frutti, come già dicevo, hanno forma sferica tanto da apparire come colorate palline decorative, sono grandi circa due centimetri e sono molto carnosi, possiedono in superficie dei tubercoli che danno alla bacca la sembianza di una pralina ricoperta di granella. Maturano tra ottobre e dicembre e non tutti ne amano il sapore e la consistenza, come ricordava Plinio, eppure in molti lo apprezzano, soprattutto per l’utilizzo in diverse preparazioni, tra cui le confetture.

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Se non lo apprezzano gli esseri umani, altrettanto non si può dire delle bestioline! In particolare esiste una farfalla che adora nutrirsi dello zucchero presente nei frutti, ne fa grandi scorpacciate, e per questo motivo la bellissima Charaxes jasius è meglio conosciuta più semplicemente come farfalla del Corbezzolo.

Se ne ricavano, oltre alle marmellate, anche vini, liquori, acquaviti e dolciumi.

Un tempo le sue foglie, ricche di tannini, erano utilizzate anche per conciare le pelli.

Il Corbezzolo cresce in mezzo alla macchia mediterranea, motivo per cui è più facile trovarlo sui sentieri costieri o che si affacciano quasi sul mare. Personalmente ne ho visti davvero molti sulle alture di Sanremo, tra San Romolo e Monte Caggio, così come anche tra Verezzo e i Prati di San Giovanni. Ama ambienti semiaridi, a un’altitudine che va fino agli 800 metri sul livello del mare, e cresce tra i cespugli, nei boschi in cui domina il Leccio o anche nei sottoboschi di pinete litoranee.

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Un’antica leggenda latina narra del salvataggio di un neonato da parte della ninfa Carna avvenuto grazie a un ramo di Corbezzolo. Per questo motivo la pianta è divenuta una delle piante che si dice respingano le streghe, soprattutto nella notte di San Giovanni (24 giugno).

I toscani l’hanno addirittura adottata nel gergo come esclamazione di meraviglia: “corbezzoli!”, dicono. E in effetti, topi, io non riesco proprio a dare loro torto. E’ una pianta assolutamente meravigliosa!

Un bacio tricolore a tutti voi.

Da Verezzo ai prati di San Giovanni

Lo so che la mia Valle sarà gelosa del post che sto scrivendo, ma oggi vi porto a conoscere un posto che non si trova nella Valle Argentina, bensì nelle zone immediatamente limitrofe.

Se c’è una cosa che di solito ci invidiano tutti della Liguria, è la sua caratteristica di essere a metà tra i monti e il mare, e spesso percorrendo sentieri dell’entroterra si può osservare la distesa d’acqua che lambisce la costa, mentre si danno le spalle alle Alpi.

Ebbene, un giorno d’autunno prendiamo la topo-mobile e allontaniamoci dai miei luoghi, ma non tanto, eh!

Arriviamo fino a Verezzo, frazione di Sanremo, e lasciamo la macchina proprio davanti alla chiesetta di Sant’Antonio.

Mi perdonerete se non farò tante foto, questa volta, ma ho le zampe ghiacciate. Tira un’aria così fredda che si fatica a tirarle fuori dalle tasche, figurarsi a scattare fotografie!

Comunque, dicevo, dalla chiesa imbocchiamo la mulattiera visibile sulla strada e, inerpicandoci, arriviamo su una strada asfaltata che sale ancora tra bellissime villette. Presto l’asfalto si trasforma in cemento, e il cemento in pietra. Si raggiunge così un’altra mulattiera, contornata dalla vegetazione di tipo mediterraneo, dalle campagne curate da mani sapienti e da case di agricoltori.

Il percorso prosegue tutto al sole, non ci sono alberi ad adombrare il sentiero. Lungo il cammino ci imbattiamo nella Ginestra, nel Cisto, nel Timo, in cespugli rigogliosi di Ginepro. E poi, di tanto in tanto, ecco spuntare Querce, Mandorli, Pini e Ulivi.

Si sale sempre, senza fermarsi mai, e la presenza delle mucche è evidente, bisogna fare attenzione a dove si mettono le zampe, se non si vuole finire dritti dritti nella… busa!

Più si va in alto, più la vista diventa mozzafiato. Se volgiamo lo sguardo verso l’interno, possiamo vedere le antenne di Monte Bignone, ma guardando verso sud veniamo invasi dal colore del mare, che oggi è blu intenso, specchio perfetto del cielo terso. E poi si scorgono Sanremo, la Valle Armea, Bussana, Castellaro, da una postazione più elevata possiamo vedere anche Arma di Taggia.

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Tornando con lo sguardo verso l’entroterra, riconosciamo il Monte Faudo.

Salendo, la vegetazione si fa più brulla e i Grilli saltano allegri in mezzo all’erba, ormai quasi del tutto secca.

Poi, a un tratto, il sentiero si fa più pianeggiante, la pendenza diminuisce drasticamente. Si procede in mezzo alle Ginestre, i cui rami spogli si impigliano allo zaino, alla giacca e ai capelli. Anche il Rovo si fa spazio in questo ambiente, bisogna fare attenzione a non lasciare che prenda confidenza con noi, perché potrebbe graffiarci le guance, le zampe e lacerare i nostri vestiti. Si sale ancora un po’, ma questa volta la salita è più dolce che in precedenza. Ed eccoci arrivati ai prati, bellissimi, quasi sconfinati, in mezzo ai quali si stagliano ruderi di costruzioni antiche come il tempo e alberi solitari di maestosa bellezza.

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Continuando a camminare in mezzo alle distese erbose, dove pascolano le Mucche, grufolano i Cinghiali e dove passano anche i Cavalli, ci dirigiamo verso la pineta che si vede sulla cresta, poco più in alto rispetto a dove ci troviamo.

E, una volta arrivati, le meraviglie da assaporare non sono poche.

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Tappeti di pigne ricoprono il terreno e un Pino Silvestre trasuda resina dalla corteccia, si vede anche a distanza. Guardate la meraviglia di questa colata d’ambra!

Sebbene la perdita della resina dalla corteccia non sia un buon segno per la pianta, non possiamo che rimanerne affascinati.

Più avanti ci fermiamo a mangiare un boccone con lo sguardo rivolto al mare, ma facciamo in fretta, perché il vento è forte quassù, non si riesce a rimanere fermi a lungo. Dopo mangiato, proseguiamo il sentiero per pochi istanti e ci ritroviamo alla chiesetta rurale di San Zane, San Giovanni. Subito sotto c’è il paese di Ceriana, un cartello indica che è possibile arrivarci, ma oggi non vogliamo proseguire. Da qui si potrebbe arrivare anche a Monte Bignone, ma neppure questo sarà la nostra meta. In lontananza scorgiamo il Toraggio e, sullo sfondo, le cime innevate delle alture cuneesi.

prati di san giovanni ceriana

C’è pace, il profumo della neve arriva quasi alle nostre narici. Il freddo sferza il viso, ci copriamo di più per sentire di meno il suo schiaffo, ma il vento è potente. E allora decidiamo di tornare indietro, contenti per la bella e rigenerante passeggiata, mentre godiamo dell’oro del sole che ci pervade e illumina ogni cosa intorno a noi.

Pigmy