Particolari emozioni tra i ruderi di Drondo Inferiore

Che meraviglia! Che meraviglia! Oggi Topi vi porto in un luogo che considero fantastico!

Molte volte vi chiedo di seguirmi in zone della Valle che raccontano di una vita passata che non esiste più. Spesso si tratta di avvenimenti militari, leggende legate alla stregoneria, il significativo operato di personaggi religiosi ma, oggi, tutto questo non c’entra.

Non c’entra perché questa volta andiamo a vivere “semplicemente” quella che era la vita in Valle Argentina fino agli anni del dopoguerra. Una vita fatta di contadini, terrazzamenti, la quotidianità di un tempo, il sole, le case di pietra…

E che sensazioni indescrivibili ci aspettano!

Credetemi… non posso non immaginare una donna, con la sua pitocca scura e u fudà (il grembiule) infornare del buon pane nel forno comune, non posso non immaginare un uomo uscire al mattino per dirigersi nei suoi campi; piedi che affondano in questo tappeto di foglie secche e ricciolute, sacchi di patate riposti nelle caselle, grida di richiamo da una fascia all’altra che echeggiano per tutto il fondovalle.

E’ impossibile non fantasticar su tutto questo e sapete perché? Perché andiamo a Drondo Inferiore cari amici! E questo significa fare un salto in un passato che poche volte si mostra così evidente.

Drondo Inferiore, oggi completamente disabitato e riconoscibile solo grazie ai ruderi rimanenti, è una piccola frazione di Creppo che sorge nei pressi delle pendici del Monte Gerbonte.

Siamo in Alta Valle Argentina e il termine – Inferiore – ci fa capire che sicuramente c’è anche una parte più sopra chiamata – Superiore – e infatti è proprio così. Di quest’ultima zona resta però davvero pochissimo, per questo vi porto prima qui, in zona Sottana. L’altro Drondo ve lo farò conoscere un’altra volta.

Per arrivare in questo nucleo fantasma serve prendere il sentiero che scende dalla strada principale subito dopo Creppo oppure, proprio da Creppo, prendere la mulattiera che và verso il torrente e si congiunge poi con questa stradina in mezzo al bosco nella quale camminiamo oggi.

Si tratta di un bosco meraviglioso. Faggi, Noccioli e Abeti mi circondano ma sono, senza ombra di dubbio, i maestosi Castagni secolari ad attirare maggiormente la mia attenzione. Non bastano cinque uomini per abbracciarli sapete?

Sì, alcuni sono davvero enormi e rinfrescati da Muschio e Felci.

Altri invece sono molto vecchi, secchi e sono stati attaccati da funghi e parassiti. Sulla loro corteccia generosa zampettano insetti di ogni tipo e parecchi uccelli e roditori hanno costruito la loro tana.

E’ un bosco magico. La Primavera esulta attraverso Violette, Anemoni e Primule e il sentiero è pulito e pianeggiante. Adatto a chiunque.

Tutti quegli alberi sembrano schiere di soldatini messi in fila e, grazie a diverse indicazioni, capisco che da qui posso dirigermi in diversi luoghi.

Potrei andare sulla vetta del Gerbonte o a Borniga, potrei tornare verso Creppo e ammirare il suo ponte antico oppure, come ho detto, proseguire per Drondo attraversando il Rio Infernetto che mi accompagna strada facendo.

Il suono delle sue acque che scorrono sembra a volte silenziato dal canto degli uccelli vivaci che vivono in questa fitta macchia e non stanno zitti un secondo!

Santa Topa, non riesco neanche a scrivere con il baccano che fanno… Vabbè, tanto lo sanno che li adoro e se ne approfittano…

Picchi, Cince, Ghiandaie e Fringuelli se la cantano allegri che è un piacere ma, più avanti, risalendo verso i confini a Nord della Valle, lasceranno il posto a Gheppi, Poiane, Falchi e persino ai Bianconi nella giusta stagione.

Anche Drondo ha un suo ponte e devo attraversarlo per arrivare alle case ma, qui, una sosta è d’obbligo.

L’acqua che scorre sotto di lui è quieta e passa tra grandi massi brillando sotto il sole.

E’ un ponte in pietra così come le fasce che posso iniziare a intravedere.

L’edicola di una Madonnina avvisa che si sta giungendo a un centro abitato dove, un tempo, poteva ricevere preghiere da chi, ogni dì, le passava davanti.

Anche in muretti che racchiudono queste coltivazioni sono in pietra e, immediatamente, mi faccio domande sulla fatica che è stata consumata per poter avere da mangiare.

Passo sopra a quell’arco sospeso nel vuoto. Ora il sentiero si modifica leggermente.

Dei grossi gradini di pietre e radici mi conducono un po’ più su e la vista di alcuni vecchi ripari mi fa procedere con sempre più entusiasmo. Ci sono quasi.

Attorno a me il verde nuovo gareggia con il marrone dell’autunno scorso che l’inverno non è riuscito a spegnere.

Salgo ancora una rampa, sorpasso qualche tronco sceso che forma portali e…. eccomi!

Le prime case di Drondo si mostrano davanti a me sul ciglio di un corridoio calpestato chissà quante volte, in passato, da chi qui viveva.

Alcune porte sono aperte e io sono elettrizzata.

Ci sono delle inferriate alle finestre, alle poche rimaste, e molti oggetti dentro e fuori queste costruzioni.

Pare che qui la gente abbia vissuto fino alla Seconda Guerra Mondiale ma la presenza di pali della luce e cassette delle lettere indicano anni decisamente più recenti.

Anche la fantasia dei rivestimenti sembra la classica degli anni ’70.

<< E’ permesso?! >> domando a quello che sembra essere il nulla ad un primo sguardo. Non posso entrare perché quelle dimore sono parecchio distrutte e malconce ma posso affacciarmi ai loro usci e non vorrei dar fastidio a Pipistrelli o Merli che si sono appropriati di queste costruzioni.

Letti in legno, a una piazza e mezza come si usava una volta… damigiane, piastrelle, scarpe, armadietti dei medicinali… c’è di tutto e c’è anche tanta tanta natura che adesso ha preso il sopravvento.

L’edera si aggrappa a quei muri con tenacia mostrando tinte vivide e venuzze quasi fosforescenti.

Ma da chi sono state toccate quelle pietre prima del suo nascere? Da un anziano che si appoggiava per riposare prima di riprendere il suo cammino? Da un bimbo che giocava a nascondino con i suoi compagni? Da una signora che ci sbatteva contro la sua ramazza per pulirla?

Grandi alberi sono nati all’interno di questi bareghi (ruderi) e hanno distrutto intere pareti.

I Rovi si sono presi la briga di riattivare il DNA di quel terreno indebolendo così le strutture dell’uomo e la maggior parte dei tetti sono crollati mostrando grosse travi di legno che sembrano in bilico.

Mi faccio largo in mezzo a quella vegetazione e salgo scalini tra le case.

Dove una volta c’erano finestre ora ci sono semplici aperture dalle quali i raggi del sole non faticano ad entrare.

Avrete notato che vi ho nominato il sole già diverse volte e adesso vi spiego il perchè.

Una delle cose che più mi ha rapita, pur conoscendo bene l’intelligenza dei miei predecessori, è proprio osservare come i borghi venivano costruiti in base alla presenza della Grande Stella.

Prima e dopo l’abitato di Drondo il bosco è fitto e la strada curva verso fondovalle costeggiando il rio.

Tutto è ombroso, umido… alte rocce delineano il passaggio di piccole cascatelle, il ghiaccio in certi punti persiste… ma non qui a Drondo, non qui dove sorgono le case che vengono baciate dai raggi del sole per lungo tempo durante la giornata.

Eh… mica stupidi i nostri avi!

Continuo a salire tra quelle rovine e giungo a quella che era la costruzione più importante di un’intera borgata: il Forno.

E’ piccolo ma splendido. Realizzato con mattoni pieni e cemento.

Oggi alcune piante lo stanno ricoprendo ma lui continua ad esistere perfetto e intatto.

Salendo per la stradina che passa dietro a questo forno si possono raggiungere Drondo Superiore e Borniga mentre continuando per il sentiero si arriva sulle rive del Rio Infernetto.

Diversi terrazzamenti pianeggianti, un tempo coltivati, mi accolgono. Ci sono parecchi alberi anche qui. Le punte più tenere dei loro piccoli rami appaiono rosicchiate, probabilmente sono tanti i Caprioli che frequentano questo paradiso.

Oltrepassando quelli che erano gli orti di Drondo giungo al rio e alzando gli occhi al cielo posso ammirare le alte falesie della mia Valle. Sono spettacolari e abitate da numerosi Camosci.

Avanzo ancora e, dopo essere scesa, adesso risalgo. Mi guardo intorno, sono nel bel mezzo di un territorio incredibilmente selvaggio. Il Gerbonte si staglia davanti a me, ci sono delle grotte tra le rocce nude e poi ginestre, foglie dorate, sassi bianchi.

Starei qui per ore ma, per oggi, il mio topotour è giunto al termine. Devo far ritorno in tana.

Girandomi per tornare posso vedere Creppo. Da qui non l’avevo mai visto. E’ bellissimo. Una manciata di case sul crinale di una montagna.

Non è lontano. Posso raggiungerlo in poco tempo.

E allora, con un goccio di dispiacere, lascio questo luogo antico e disabitato ma ancora pieno di vita. Una vita sottile da percepire.

Grazie Drondo per le belle emozioni che mi hai regalato nonostante il silenzio (assai apprezzato) che ti avvolge.

Però voi adesso non restate fermi a fare i patetici, dovete prepararvi per la prossima passeggiata che percorreremo a breve.

Su su! Forza… andate a sistemarvi che arrivo e partiamo!

Squit!

Un Ponte per la Pace – in Terra Brigasca

Cari Topi,

forse non tutti sapete che, in Valle Argentina, due paesi, quelli più in alto, verso il confine con la Francia e il Piemonte, sono considerati – brigaschi -. In realtà sono tre perché bisogna tener conto anche di Borniga ma quelli più grandi e più abitati (seppur abbastanza solitari) sono Realdo e Verdeggia, belli e amati.

Alcuni storici dichiarano, però, che Verdeggia non appartenne mai alla cultura brigasca ma essendoci un po’ di disordine in questo mi sento di citare entrambe le versioni. Non dimentichiamoci che, a quanto pare, le radici sono comuni per entrambi i paesi ma, come ben sapete, io non sono uno storico bensì un’allieva sempre vogliosa di imparare.

Da quello che ho capito, la confusione nasce per il fatto che Realdo apparteneva a Briga, prima di passare a Triora nel 1947, mentre Verdeggia è sempre appartenuta a Triora.

Con diversi villaggi, non liguri, come Carnino, Piaggia, Briga e altri, formano l’ultima comunità di terre brigasche esistente. Una comunità assai unita un tempo, unita soprattutto da un linguaggio, il noto dialetto brigasco, diverso da altre parlate e che oggi, purtroppo, si va perdendo.

Si tratta di un dialetto definito “occitano” ma, anche qui, ci sono contrasti in quanto parecchi linguisti affermano che non ha nulla di occitano ma si tratta di un antico linguaggio ligure alpino.

Nonostante questa unione e le loro usanze, nonostante la loro cultura, apprezzata e portata avanti negli anni con orgoglio, si narra che, tra storie reali e qualche leggenda, Realdo e Verdeggia abbiano vissuto un tempo di litigi che li ha visti separarsi al punto da detestarsi come si conviene.

Pare che il tutto sia nato per una questione di terre e confini, in un tempo dove la terra era l’unica fonte di nutrimento e reddito, sia per quel che riguardava la coltivazione sia per i pascoli.

E allora potete ben immaginare cosa accadeva quando, ad esempio, una fanciulla di Realdo si innamorava, corrisposta, di un baldo giovane di Verdeggia. I due poverini potevano vedersi soltanto di nascosto, magari di notte, e magari tra quei boschi meravigliosi che circondano questi due borghi. Sono diversi, infatti, i sentieri che uniscono queste due frazioni passando tra la macchia più fitta.

Un astio che è andato avanti negli anni e, ancora oggi, tra lo scherzo e la realtà, pur avendo mentalità decisamente più aperte, c’è chi fa notare che se si elargisce qualcosa a Realdo, occorre darlo anche a Verdeggia, fosse anche solo un complimento. Me ne guardo bene, infatti, io, a scrivere apprezzamenti soltanto a uno dei due! (Sorrido…).

Stiamo parlando di due villaggi davvero particolari, simili tra loro ma anche assai differenti.

Mentre uno è arroccato e incastonato tra le falesie più severe dell’Alta Valle Argentina, mostrando un carattere rude e sprezzante del pericolo, l’altro si lascia abbracciare dal verde più intenso che c’è, attraverso i profili morbidi della sua personalità. Mentre uno appare impavido e solenne, sull’orlo di un dirupo profondo e brullo, l’altro mostra dolcezza e sensibilità adagiato su un letto smeraldino.

Non è assolutamente così. Le doti descritte le hanno entrambi ma, all’apparenza, sembra proprio di poter godere di tantissime qualità differenti accoppiandoli assieme. Non per niente, uno si chiama Realdo che deriva da “Re Alto” e il nome dice tutto, l’altro invece si chiama Verdeggia che deriva da “Verdeggiante” e, anche in questo caso, il nome è totalmente esplicito.

Per favore, state zitti e non dite assolutamente quale preferite dei due altrimenti succede un quarantotto!

E insomma che questi luoghi magici e storici han litigato dispensandosi screzi a vicenda per molto tempo e restando divisi anche nel loro essere più antico e tradizionale.

Restarono divisi fino al momento in cui decisero, per la gioia di tutta la Valle, di fare la pace. Questo momento fu talmente importante che si decise di far qualcosa per renderlo significativo e ricordato nei tempi a venire.

E cosa poteva esserci di meglio di un Ponte per rimarcare questo giorno solenne?

Ebbene sì, Topi, un vero Ponte venne realizzato proprio prima del bivio che conduce sia a Realdo che a Verdeggia continuando la strada principale in modo da attraversare il Torrente Argentina. A questa struttura venne ovviamente conferito il nome di “Ponte della Pace”. Mai nessun termine fu più adatto.

Come se non bastasse, proprio dal bivio, venne persino posizionato un grosso masso a reggere una targa in memoria del lieto evento. Una targa che recita così (vi traduco quello che è scritto in lingua originale):

Realdo e Verdeggia uniti da tradizioni, modi di fare e parlata a Briga, Morignole, Piaggia, Upega, Carnino e Viozene (sarebbero gli altri paesi brigaschi, non liguri, che vi citavo prima) in ricordo, al segno di Pace, nell’antica origine Occitana

Pensate quindi, questo momento, quanto fu significativo.

E che luogo stupendo è questo. Il Ponte, breve e diritto, vive tra una vegetazione florida.

Il grande masso è sempre circondato da tante Farfalline.

Se si alzano gli occhi al cielo si può vedere il Monte Saccarello che sovrasta Verdeggia e si nota anche la bellezza austera di Rocca Barbone.

E’ piacevole ritrovare con lo sguardo i monti dai quali siamo abituati a lasciarci abbracciare.

Questo Ponte, oggi asfaltato, passa sopra al torrente rigoglioso, giovane, dalle acque fresche e limpide.

La quiete del luogo è rotta proprio dal rumore delle sue cascatelle che però, naturalmente, non disturbano affatto, anzi… Al di sotto di questa struttura, si possono anche notare diverse pozze d’acqua che, placide, bagnano cespugli e massi chiari.

Il canto degli uccellini più piccoli è vivace mentre il volo delle Poiane che sorvolano questa zona è silenzioso e lento.

Lento come lo scorrere del tempo che qui non ha fretta. Sia Realdo che Verdeggia, infatti, sono due paesi dove è assai facile ritrovare il benessere, la serenità e la gioia per la vita e per la Natura. Siamo appena sopra i 1.000 mt s.l.m. e anche l’aria che si respira diventa complice di uno star bene totale.

E allora, insomma, che Pace fu. Tutti lieti quindi. Un avvenimento che appartiene alla storia della Valle Argentina e che dovevo assolutamente raccontarvi.

Qui, vicino al grande masso, c’è anche una panchina, quindi io mi siedo e mi riposo mandando un bacio pacioso a tutti. Mi sento molto mediatrice.

Non starò molto, ho da scrivere altri articoli sulla mia splendida Valle che, ogni giorno, da come vedete, mi regala sorprese e nuove cose da scoprire, perciò, riposatevi anche voi perché presto si parte per altre avventure.

Squit!

Il Ponte di Glori tra abbracci silenziosi

I raggi del sole tardano a scaldare in questa mattina di febbraio e la brina, sulle piccole foglie dall’animo placido, può donare il suo abbraccio più a lungo.

Ne ricopre i bordi, disegnando asterischi ghiacciati che creano un contrasto con il colore della natura ancora addormentata.

L’erba è schiacciata dal gelo come perduta, in realtà a riposo.

Cammino per questo piccolo sentiero indicatomi da una vecchia casa abbandonata a bordo strada e continuo a guardare quella bellezza che scricchiola sotto alle mie zampe. E’ proprio vero che la meraviglia si nasconde nelle piccole cose.

Starei ore, incantata, ad osservare quei bianchi e freddi fiocchetti ricoprire ancora tutto il mio mondo e so di avere poco tempo anche se il sole non si è ancora alzato nel cielo.

Il sentiero è davvero breve e pulito. Mi condurrà a un ponte conosciuto come “Il Ponte di Glori” perché si trova proprio sotto a questo paese del quale vi parlai qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2012/03/25/glori-un-mucchietto-di-case/

Il barego (casone-rudere) è appena prima questo ponte che sto cercando. E’ fatto completamente in pietra e, al posto di porta e finestre, ora ha delle aperture che permettono di vederne il nudo interno.

Mi trovo per la strada che sale per la Valle conosciuta come “la strada di sotto”, cioè la via che sarebbe dovuta essere ricoperta dalla diga non più realizzata. Questa vecchia struttura la si vede molto bene sotto strada, a sinistra (salendo).

La natura si è impossessata di lei dentro e attorno.

Mentre la guardo posso già sentire lo scrosciare dell’acqua poco distante da me. E’ potente e la sua voce riecheggia colpendo le alte rocce che formano il canale del suo passaggio.

Sono rocce lisce alcune, altre ruvide mostrano strie in rilievo. Sono grigio chiaro, a tratti ricoperte da un muschio che mostra varie tonalità di verde.

Anche quello di questa tenera erbetta minuscola, che sembra una moquette, mi pare un abbraccio stretto verso quelle grandi pietre.

In certi punti, le rocce, formano dei veri muraglioni ed è proprio nel punto in cui tali pareti si alzano molto che sorge il ponte.

Posso già intravedere, tra la vegetazione, il suo esserci e gli spruzzi bianchi dell’acqua sotto di lui.

Sul ponte non ci sono muretti a protezione e nemmeno staccionate.

Occorre non sporgersi troppo, è abbastanza altino e sotto scorre il Torrente Argentina in tutto il suo splendore scontrando i massi e formando pozze dove Trote e Gamberi di Fiume trovano dimora.

Sembrano lagune in miniatura. Quanta vita celano là sotto.

E’ possibile passare su questa antica costruzione e raggiungere l’altra parte che mostra un altro sentiero ma permette di raggiungere anche scogli enormi dai quali si ha una bella vista sull’intero arco in pietra che forma quello che oggi voglio ammirare.

In realtà gli archi sono due ma uno è più piccolo, da un lato. L’altro invece, sostiene l’intera struttura centrale.

Il fiume scorre veloce ma attorno al ponte la natura è quieta.

Nonostante la fredda stagione, qualche piccolo accenno di primavera prova a spuntare e, ora che il sole si è alzato e batte forte su quelle rocce, si sta d’incanto.

Tenere e minute foglie dal verde sgargiante spiccano in mezzo a quelle sfumature spente.

Solo gli alberi che racchiudono il percorso offrono zone d’ombra ed è proprio qui, in questo piccolo boschetto, che noto l’abbraccio più bello che mi sia capitato di vedere oggi. Quello tra due alberi che sembrano ballare il tango. E con tanto di casquet!

Mi sposto per osservare quella realizzazione storica da un’altra prospettiva cercando di distogliere lo sguardo da quelle piante romantiche.

Si tratta di un ponte medievale che permetteva lunghe passeggiate sulle sponde opposte e sui monti. Monti che donavano lavoro ma anche frutti e la possibilità di costruire dimore che venivano realizzate in quella macchia.

E’ bellissimo stare qui. Seppur sono vicina alla strada che passa di sotto, per raggiungere da Taggia – Molini di Triora, non si sente volare una mosca e tutto offre un’atmosfera onirica.

Non sono in grado di affermare se questo ponte abbia bisogno di un intervento di restauro. Di certo, guardandolo dal di sotto, pare più solido e più in buone condizioni rispetto a molti altri. E’ facile confonderlo con quello di Agaggio, molto più antico e più malconcio, ma secondo le mie fonti, quello di Glori, è proprio questo.

Vi mando un abbraccio quindi, per restare in tema, anziché un bacio, e vi aspetto per il prossimo tour!

Quando un ponte si fa incanto

In Valle Argentina ci sono luoghi che offrono ambienti suggestivi e sempre diversi ogni volta che ci vai, a seconda della stagione e delle condizioni meteorologiche del momento. Ecco perché certi scorci vanno assaporati in occasioni diverse, per poter godere della bellezza che Madre Natura offre e che sa dipingere in modo sempre differente.

Oggi vi porto a visitare un posto che definire fiabesco è poco, conosciuto e visitato soprattutto da fotografi e appassionati di epiche storie fantastiche, non a caso, aggiungerei. Sto parlando del ponte di Creppo e dei suoi dintorni, attraversati da sentieri variegati in cui è bello perdersi e abbandonarsi all’avventura.

Per scendere giù, fino alle acque limpide e cristalline del torrente, si imbocca il sentiero dalla strada provinciale, subito sotto l’abitato di Creppo. Volendo, da qui si potrebbe arrivare a Drondo, a Ca’ de Bruzzi, al Gerbonte e in altri luoghi meravigliosi, ma oggi il nostro breve tour si fermerà al ponte.

albero

Si scende dolcemente, seguendo i profili soleggiati delle campagne e dei prati assolati, dove gli alberi da frutto sono spogli. Siamo accompagnati dalle pietre rustiche dei muretti a secco, quei massi che caratterizzano la mia terra e ai quali sono affezionata.

Creppo muretti

Roverelle e Ippocastani svettano contro il cielo azzurro e terso, sono ormai spogli e i loro rami paiono dita nodose agganciate alla volta celeste.

Giungono anche due occhioni dolci a salutarci in questa nostra passeggiata e intorno è tutto un andirivieni colorato del giallo e del blu delle cinciallegre.

cavallo

Anche se siamo a gennaio, il tepore del sole scalda a sufficienza e ci permette di indugiare sul paesaggio senza rabbrividire. Il Gerbonte si erge davanti a noi, il suo volto aguzzo è piacevolmente familiare, punto fermo di tante passeggiate. Con lui, stretto in un abbraccio tra rocciosi parenti, c’è anche il Grai coperto di bianco.

gerbonte da creppo

Si abbandonano le bionde campagne per attraversare luoghi più umidi, si passa sotto rocce incombenti dalle quali piovono cascate di piante verdi e tende di rami ormai secchi.

rocce

E ancora la luce del sole si spegne un po’ di più, resta in alto e non ci raggiunge. Siamo assai vicini al torrente ormai. Si passeggia fra i tronchi delle conifere sempre rinverdite dal loro fogliame, alternate dalle spoglie latifoglie, che mostrano senza pudore il loro tronco nudo.

castagno

Ci sono anche castagni secolari, perfettamente riconoscibili in mezzo all’apparente desolazione della natura. I colori che prevalgono sono il marrone del suolo e il grigio-bruno degli alberi, ma c’è un’altra tinta che inizia a dipingere i massi: il verde brillante del muschio, talmente acceso da sembrare surreale.

muschio bosco

Poi, tutt’a un tratto, si gira una curva, si fanno due passi in salita e…

ponte di creppo

… ci si trova in un mondo del tutto diverso, magico e incantato come una fiaba, dove ogni cosa è coperta da uno spesso manto di brina. E il ponte di Creppo è là, immobile in mezzo al candore. Il suo suggestivo semicerchio è come la gobba della luna di cui oggi imita il pallore.

Sembra che la Bianca Signora sia passata di qua lasciando dietro di sé una scia come un sentiero di petali gelati da seguire. E io li seguo, eccome!

erba brina

Sembra incredibile che solo pochi istanti fa eravamo al sole, baciati dal suo calore, mentre adesso la punta della coda e del naso sono fredde, circondate da una temperatura ben diversa. Il terreno è duro di gelo, i fili d’erba scrocchiano sotto le scarpe al nostro passaggio, talmente sono gelati. E in alcuni momenti, il ghiaccio pare formare coi suoi merletti dei minuscoli fiori congelati, se ne contano persino i petali.

I profili delle nervature delle foglie cadute sono dipinti di bianco e tutto sembra ingioiellato da minuscole perle argentate.

foglia congelata

I rami più bassi protendono le loro dita ossute verso di noi, qualche volta indossano guanti di licheni e paiono volerci afferrare per farci restare un altro po’.

licheni

Anche le pietre del ponte antico hanno la loro morbida e bianca pelliccia, mentre sotto scorre l’acqua col suo scroscio costante, ma mai impetuoso.

scarponi

Saliamo su quel ponte, lo attraversiamo e in un attimo siamo dall’altra parte, pronti a salire di nuovo. La brina ci accompagna ancora per un po’, poi lascia il posto ai raggi del sole, che illumina gli alberi sui versanti dei monti e tinge il mondo di colori più vivaci. A questo punto, dopo una breve salita, il sentiero prosegue in piano tra ginestre, pini silvestri e castagni ritorti.

ponte legno creppo

E da qui si attraversa un altro ponte, questa volta in legno, ristrutturato dal Comune di Triora e co-finanziato dal Parco Alpi Liguri. Oltre quel ponte, qualche passo più in là, la cavalla dagli occhi dolci ci attende insieme all’abbraccio di Creppo.

cavallo sentiero creppo

Per oggi ci fermiamo qui, topi, ma presto vi farò conoscere altre meraviglie.

Un saluto incantato dalla vostra Prunocciola.

Fatine e sorprese verso Lago Degno

So che uno di voi, un umano, un giorno disse “Non è importante la meta ma il viaggio”. Mi sembra si chiamasse Paulo Coelho e, a mio avviso, aveva proprio ragione. Per affermare ciò che ha detto dev’essere, per forza di cose, passato nella mia Valle perché molte volte, io per prima, nel mio girovagare di bosco in bosco per la Valle Argentina, sono rimasta affascinata da luoghi meravigliosi e incredibili quando la mia destinazione era completamente un’altra.

Oggi, topi, voglio portarvi con me proprio in una di queste zone magiche che ho vissuto pienamente mentre mi stavo recando verso il Lago Degno, un lago rinomato e amato dai miei convallesi e da molti turisti.

Inizio a percorrere il sentiero, sopra Molini, che mi porta tra alberi e arbusti di un bel verde acceso. L’atmosfera si fa immediatamente surreale; ci sono abituata, vivendo la natura come un animaletto, ma in quel momento mi sembrava di percepire davvero energie particolari attorno a me.

Saranno stati quel morbido muschio sulle rocce, quelle fronde che si muovevano leggere, quell’ombra fresca, quei tronchi nodosi e scavati e, quelle percezioni, avevano tutta l’aria di essere belle e serene.

Era proprio come se ci fossero delle fate che, nonostante la loro vivacità e le loro tante cose da fare, stavano ad aspettare l’arrivo di qualche anima sensibile che con esse poteva connettersi. Insomma, si percepiva la loro presenza!

In quel momento, mi sono resa conto che null’altro mi sarebbe servito. L’appagamento era totale. Avevo tutto ciò di cui avevo bisogno pur non avendo neppure una ghianda! Avevo Madre Terra, pulsante, vicina a me, avevo la meraviglia delle piccole cose, la pienezza del creato e niente poteva essere più grande.

Molte persone giungono in questo punto volendo a tutti i costi raggiungere la meta prefissata, ma, qui accanto a questo torrente – il Rio Grognardo – a quest’acqua limpida e fresca, a questi massi, a questi rami incorniciati di bellezza, non si può chiedere di più.

Il verde di questo posto è abbagliante, soprattutto in determinate stagioni. Riempie la vista e l’acqua che scorre sotto di esso riflette sagome luminescenti sulle rocce, accompagnando i pensieri con il suo scrosciare. Tutto è pieno di vita, una vita che trabocca da ogni dove.

Ogni tanto il canto di un uccello, persino assai strano, si alterna al ronzio di qualche insetto, ma a prevalere sono i silenziosissimi battiti d’ali delle farfalle. A milioni. Di ogni colore, di ogni forma e grandezza. Riempiono gli occhi e la pace del cuore è assoluta.

Anche i raggi del sole giocano a un andirivieni che incuriosisce e mi chiedo come possa essere tutto così perfetto, come in una splendida orchestra, proprio dove la perfezione non serve e non è richiesta.

Il mio pelo vibra come i fili d’erba accanto. Tutto vibra: il cuore, il respiro, le ciglia. Anche lo strato più superficiale del torrente vibra, creando delle mezzelune tremolanti che incorniciano gli scogli.

E’ la meraviglia. E’ la voglia di vita. Un ponte leggero porta con l’immaginazione a luoghi lontani e sperduti. Alberi fiabeschi sono ricoperti da un muschio che parla di Celti, di gnomi e folletti, che li nasconde e gli fa da moquette. Quei minuscoli fiori rosa sono in realtà così grandi, per me e per loro, da sembrare delle grandi e secolari sequoie colorate.

Il sottobosco è da ammirare, cela una vita tutta sua, un mondo in miniatura dove piccoli esseri tinti annusano, zampettano, si rotolano. Non si è soli. Quell’essenza abbraccia, culla, mi fa sua.

Si diventa parte di lei, una parte così fondamentale dalla quale si percepisce quanto si possa essere un tutt’uno con il pianeta, quanto bisogno si abbia di tutto questo e quanto lui abbia bisogno di te. Qualsiasi essere tu sia.

La miglior medicina per tutti i mali, una panacea, qualora se ne avesse bisogno. E se ne ha sempre bisogno.

E allora, volevo dirvelo. Volevo dirvi che quel giorno non ho raggiunto il Lago Degno – anche perché al momento è ancora vietato l’accesso nell’area – ma ho raggiunto tutt’altro. La bellezza del mio mondo. La natura più vera. La pienezza totale. Consiglio anche a voi di passare qualche minuto del vostro tempo, seduti su una di queste pietre, ad assaporare quello che vi circonda. Il suo potere vi accompagnerà per molti giorni dopo.

Parola di Topina! Squit!

Il torrente nel mezzo

Il corso d’acqua che dà il nome alla mia Valle è uno spettacolo della Natura, ve l’ho mostrato più e più volte e da molte angolazioni diverse, eppure non ve l’ho ancora raccontato così.

Oggi vi porto a Badalucco, uno dei primi paesi che si attraversano nella Valle Argentina. Proprio qui, le anse del torrente creano uno scenario particolare e suggestivo.

L’Argentina, infatti, con le sue forme sinuose, passa in mezzo all’abitato, costruito sulle  sue sponde. Ci sono case su ambedue le rive del torrente e numerosi sono i ponti che le collegano, alcuni antichi e rustici, altri ben più moderni.

Ponte romano - Badalucco

Il greto è color alabastro, guardate che candore quei sassi, trascinati e levigati dalla corrente! Abbagliano quasi.

Torrente Argentina - Badalucco2.jpg

La natura sull’Argentina è sempre rigogliosa. Assume un sapore selvaggio con le fronde degli arbusti e dei canneti che ondeggiano al vento. E’ il regno di Rane, Papere, Anatre, Salamandre, Gerridi e Trote. Non è difficile scorgere questi animali mentre si bagnano o si riposano nelle vicinanze, e le sere d’estate è bello starsene qui a godere del fresco e del concerto che Rane, Grilli e Cicale offrono gratuitamente a chi desidera mettersi in ascolto.

Torrente Argentina - Badalucco1.jpeg

Qualche anno fa, persino una specie di Rana proveniente dal Piemonte – o almeno così pare – ha trovato in questi luoghi il proprio habitat ideale per prosperare. Il suo verso era simile a uno stridio, un urlo acuto e molto forte che metteva i brividi a chi abitava nelle vicinanze. Ora queste Rane non abitano più qui, con grande soddisfazione di chi era costretto a udirne le urla durante le ore notturne. Sono rimasti i gracidii delle Raganelle e il frinire di Grilli e Cicale, sicuramente più graditi agli esseri umani.

Qui a Badalucco l’Argentina scorre placido. A tratti crea pozze profonde, ma è raro vederlo impetuoso, anche se in inverno la portata dell’acqua si fa più importante. Qualcuno, tuttavia, ricorda di un anno di molto tempo fa in cui si scendeva ancora al fiume a prendere l’acqua… Ebbene, il torrente si era ingrossato così tanto che si poteva riempire il secchio dal ponte, servendosi di un mestolo!

Ponte romano - Badalucco1

D’estate quelle polle limpide divengono il passatempo preferito di topini e topo-famiglie, che qui si fermano a trascorrere un pomeriggio, un’ora o tutta la giornata tra ombrelloni, asciugamani e tuffi dalle rocce più alte.

Nella mia Valle non ci si annoia mai, anche chi non può arrivare fino al mare può godere del Sole e delle belle occasioni che la stagione estiva può offrire.

Torrente Argentina - Badalucco5

C’è chi, invece, non si cura del trascorrere delle stagioni: che sia Estate oppure Inverno, che l’umidità salga con prepotenza dal fiume o che l’aria sia rovente, va a fare il bucato ancora come si faceva un tempo, al vecchio lavatoio sull’argine sinistro. E lì insapona, strofina, risciacqua e infine stende la propria biancheria con cura, sui fili ancora presenti proprio sotto il lavatoio.

Cascata e lavatoio - Badalucco

Una bella passeggiata costeggia il torrente, passa in mezzo alle tane di molti topi, ma è bello percorrerla in ogni momento dell’anno per osservare il fiume che scorre in basso e godere della vista del paese, delle casette, dei cancelli delle abitazioni e delle campagne che le circondano.

Sono nati lungo gli argini anche locali e ristoranti rinomati, tra i più gettonati della Valle. Le Macine del Confluente, per esempio, ricavato da un vecchio mulino, è stato interamente ristrutturato mantenendone la rusticità originale. Di impronta più moderna è l’agriturismo L’Adagio, affiancato al ristorante Il Ponte. Poco prima dell’abitato di Badalucco si trova sempre sul fiume il frantoio più famoso della zona, appartenente alla famiglia Roi. C’è anche il ristorante Ca’ Mea, rinomato per i piatti a base di funghi. E poi, lungo la strada che attraversa il borgo, è tutto un fiorire di bar, botteghe e negozi.

Torrente Argentina - Badalucco4.jpeg

Il tratto dell’Argentina sul quale è sorta Badalucco assume un carattere proprio: giocoso e accogliente, pare abbracciare tutti con le sue curve generose che disegnano una “S” intorno al paese. Accoglie chi, sulle sue sponde, ci è nato, ma anche il forestiero. La sua breve e larga cascata di cui si può godere entrando nell’abitato affascina tutti e, passandoci davanti con la topo-mobile, è impossibile non rallentare per rivolgerle uno sguardo ammirato.

Che dite, topi, ho affascinato un po’ anche voi?

Ci leggiamo al prossimo Squit!

Ringrazio Gianna Rebaudo per le bellissime foto di cui mi ha fatto dono.

Il Ponte di Mauta

Che meraviglia, topi miei!

Qui nella mia Valle ci sono tantissimi ponti, sono antichi, veri e propri monumenti storici che resistono con tenacia allo scorrere del tempo, e spesso ve ne ho parlato.

Oggi voglio farvi conoscere meglio il Ponte di Mauta, proprio sotto quello gigantesco e colossale di Loreto.

ponte di mauta triora loreto

E’ romanico e il suo arco è lungo ben sedici metri. Sopra di esso svetta il capolavoro di architettura moderna che dal 1960 è divenuto uno dei simboli della Valle Argentina. Prima del ponte di Loreto, a essere usato era quello di Mauta, immerso nel bosco e invaso da rampicanti che lo incorniciano tutto, come fosse un quadretto. Sotto di lui scorre in gole profonde il torrente Argentina. Non si può descrivere la bellezza di questo luogo, il cuore palpita dall’emozione guardando in giù, affacciandosi dal basso parapetto per raggiungere con lo sguardo l’acqua scura che scende impetuosa a valle, con innumerevoli giochi d’acqua, curve e sfumature. L’Argentina pare contorcersi, è facile rassomigliarlo a un serpente che striscia via, lontano. La natura rigogliosa pare voler proteggere il ponte e il corso d’acqua, li abbraccia, impedendo di godere appieno della loro vista.

torrente argentina forra grognardo ponte mauta

Un tempo era temuto, questo luogo. Il bosco era ritenuto la dimora di creature malvagie, demoni e streghe. Qui la vegetazione si faceva – e si fa – più fitta e quel torrente scuro per via della luce del sole che fatica a sfiorarlo divenne con facilità il luogo prediletto per le congreghe delle bàzue. Più in basso del ponte di Mauta, dove l’Argentina si incontra con il Rio Grognardo, si forma una conca d’acqua celebre e conosciuta come Lago Degno. Ve ne ho già parlato altre volte, per cui non mi soffermerò a farlo ancora.

E’ un luogo suggestivo, uno dei più belli della mia Valle, non esagero! In questa stagione, poi, credo dia il meglio di sé in quanto a colori.

Qui convergono le mulattiere del Langan, in un antico sentiero che permette di raggiungere addirittura le Cime di Marta e il Monte Gerbonte. Fino agli anni Sessanta del Novecento – non molto tempo fa, quindi – il Ponte di Mauta rappresentava l’unico collegamento con Cetta e passaggio per raggiungere la vicina Val Nervia e la Francia. Sono percorsi ancora oggi praticabili, di cui il ponte è un crocevia. Risalendo il sentiero poco prima di esso, si può giungere a Loreto, tornare a Triora, oppure andare avanti per Creppo, Bregalla, Realdo e Verdeggia. Proseguendo, invece, si giunge a Cetta oppure a Molini di Triora.

Un ponte importante, insomma, anche se oggi è stato quasi dimenticato per il suo cugino più moderno. Eccolo qua, il contrasto tra i due: il parapetto di pietra del vecchio confrontato col cemento in lontananza del nuovo. Che strano effetto fa, non trovate?

ponte di mauta e ponte di loreto

Il Ponte di Mauta è conosciuto, invece, da chi pratica canyoning nei torrenti della Riviera dei Fiori, uno sport che consiste nella discesa a piedi di corsi d’acqua che scorrono in gole strette e modellate nella roccia, formando cascate. Da Loreto, infatti, un cartello  esplicativo sulla Forra Grognardo riporta tutte le regole e le caratteristiche del percorso torrentistico, segno della grande frequentazione del luogo da parte di appassionati.

Nei pressi del ponte è stata posta una lapide a ricordo di un giovane che qui perse la vita per via di una caduta accidentale che gli fu fatale. Per la precisione, su di essa si legge:

A Roberto Moraldo di anni 17 da caduta mortale decedeva il 14.09.1927. I genitori e parenti inconsolabili posero.

lapide ponte di mauta

Eh, topi, bisogna fare attenzione alle pendenze di questa zona, purtroppo. Lo strapiombo è notevole, non lo si può negare, intimorisce per la sua profondità. Un tempo non era sicuramente difficile che questi incidenti accadessero, ma oggi, per fortuna, sono facilmente evitabili e, con la giusta prudenza, possiamo godere del panorama mozzafiato che questo angolo di Valle Argentina offre ai nostri occhi.

Vi mando un vertiginoso saluto!

La vostra Pigmy.

 

Stregati dal sentiero

Questa Primavera è davvero pazzerella con il suo tempo instabile, ma niente può fermare la vostra Pigmy dal percorrere sentieri in lungo e in largo per la Valle.

E allora un sabato di questi decido di inoltrarmi su un percorso intitolato da molti alle streghe, proprio perché attraversa alcuni dei luoghi che si credevano frequentati dalle nostre ormai celebri bàzue.

Con lo zaino in spalla e topoamico a fianco a me, mi addentro nell’abitato di Molini di Triora, passando accanto alla bottega stregata di Angela Maria e salendo su per i carruggi. Il pavimento lastricato si fa sterrato nei pressi del camposanto, e si continua a salire la stradina tortuosa, una mulattiera che conduce fino a Triora.

sentiero molini di triora

Durante la salita non possiamo impedirci di fermarci a godere della vista. L’abitato di Molini è sempre più piccolo, sembra un presepe sotto le nostre zampe. Sopra di esso, svettano i monti che fanno da cornice al Passo della Mezzaluna, antico luogo di culto delle popolazioni liguri nonché importante per i pascoli alti in cui i pastori trascorrevano – e trascorrono ancora – i mesi più caldi con il bestiame. Si distinguono molto bene anche i borghi di Andagna e Corte, che formano un triangolo con il più basso Molini.

Molini - Corte - Andagna

Intorno a noi è un tripudio colorato e profumato di fiori, la natura è rinata, finalmente! Fiori candidi spandono per l’aria la loro dolce fragranza, mescolandosi a quella dei meli selvatici, dei ciliegi e dei rovi. L’erba è alta e di un verde brillante, le timide lucertole fuggono via veloci al nostro passaggio. E poi le farfalle! Ce ne sono tantissime e dalle ali variopinte, accarezzano i fiori con la loro tipica eleganza e poi volteggiano via, alla ricerca di nuovo oro da poter gustare. Le api sono così operose e impegnate da non badare alla nostra presenza, ronzano allegre, affaccendate, tuffandosi in tutto quel ben di Dio fiorito fatto di tarassaci, pratoline, trifogli e nontiscordardimé.

Continuiamo a salire col profumo nelle narici, godendo della vista dei borghi vicini di Corte e Andagna. Ogni tanto qualche gocciolina di pioggia ci cade sul muso, come rugiada, ma noi non ci lasciamo intimorire dalla sua bugiarda minaccia e, di buona lena, raggiungiamo la parte bassa di Triora. C’è una panchina qui, con vista sulla Valle. E’ uno spettacolo per gli occhi restare seduti a guardare la vita umana che scorre sotto di noi, si intravedono le automobili, piccole, piccole come quelle dei modellini. Proprio alle spalle di quel sedile panoramico c’è la chiesetta della Madonna delle Grazie, risalente al XVII secolo, come reca il cartello posto sull’ingresso. La sua facciata colorata si intona bene col prato rigoglioso, pare un fiore anch’essa.

Proseguendo, ci troviamo a poggiare le zampe sul nero asfalto della strada provinciale e continuiamo a camminare in salita fino a raggiungere il tratto di mulattiera che conduce alla chiesa campestre di San Bernardino, ben segnalato.

chiesa san bernardino triora

Questo piccolo edificio è un vero gioiello della mia Valle, così antico che, se fosse un essere vivente, avrebbe il volto scavato da rughe profonde. Raggiungiamo la chiesa e anche qui troviamo delle panchine; possiamo fermarci, se lo desideriamo, per mangiare un boccone prima di ripartire.

chiesa san bernardino triora2

Fiancheggiamo a questo punto l’edificio, passando sotto le arcate dei contrafforti, e proseguiamo in discesa. Ci sono piccole case ai margini di questo sentiero, alcune davvero suggestive, con sculture moderne poste a ogni angolo e curate nei minimi dettagli, seppure lasciate alla loro spartana semplicità. Poco dopo esserci lasciati alle spalle l’agglomerato di costruzioni in pietra, ci troviamo a un bivio. Dobbiamo salire, dirigendoci verso Loreto.

Come si fa bello il sentiero, topi miei! L’erba è alta, succulenta, e gli alberi sono più fitti. Ciliegi, meli selvatici, noccioli, querce e carpini ci fanno da tetto con le loro fronde rigogliose e in aria volano fiocchi di polline come fossero neve. Si continua a scendere, e ogni tanto il sentiero è attraversato da giocosi ruscelli, che scendono giù da chissà dove, non ne vediamo l’inizio né la fine. Creano polle d’acqua limpida, lo scroscio è piacevole, lento. Li attraversiamo con estrema facilità, accompagnati dal cinguettio degli uccelli, eterni presenti soprattutto in questo periodo dell’anno, mentre gridano al mondo le loro canzoni d’amore. Nonostante le numerose deviazioni, continuiamo a seguire il sentiero maestro, senza mai abbandonarlo, e seguiamo il segno rosso e bianco, sicuri di non rischiare di sbagliare strada. Ci imbattiamo persino in un tavolo da pic-nic.

sentiero triora

A un certo punto arriviamo in un posto bello, meraviglioso, incredibile! Giungiamo sul ponte di Mauta, sotto quello più moderno e vertiginoso di Loreto. E’ una costruzione antica, in pietra e, salendoci sopra, si può godere di uno spettacolo che ci toglie il fiato: sotto di noi scorre il torrente Argentina, scavando gole profonde e scure.

Qui l’acqua sembra quasi d’inchiostro, perché la luce solare fatica ad accarezzarla e rischiararla con i suoi raggi dorati. Poco più in giù delle gole di Mauta si trova la località di Lago Degno, luogo un tempo rinomato come raduno delle bàzue, che vi si incontravano in compagnia del demonio (così dice la leggenda). Oggi, invece, Lago Degno è frequentato da esploratori, turisti ed esperti di canyoning, nonostante il divieto di accesso che dal 2010 interessa tutta la zona per via di un enorme masso che rischia di franare. Restiamo ad ammirare le curve del torrente, affascinati da questo ennesimo spettacolo naturale della mia bella Valle, poi proseguiamo. Oltre il ponte si tiene la sinistra e riprende la salita in mezzo al bosco.

E che bosco! Ogni tanto, dal fitto della vegetazione, spiccano rocce di dimensioni enormi, pareti grige sulle quali sono addossati i ruderi di antiche costruzioni.

Qui la salita si fa importante, ma è breve, non preoccupatevi. Si giunge a un bivio non segnalato, ma a giudicare dalla traccia GPS che vediamo dal topo-smartphone (sono una topina tecnologica, ormai!), da qui si prosegue verso Cetta, mentre noi dobbiamo rientrare a Molini. Imbocchiamo allora il sentiero più stretto che svolta alla nostra sinistra e, procedendo tra gli alberi, giungiamo su un percorso a me conosciuto e molto caro, quello che costeggia il Rio Grognardo.

Attraversiamo l’affluente dell’Argentina grazie al ponte di legno. Sì, lo so che sembra traballante e pericolante, ma non lo è! Certo, non bisogna ballarci sopra, ma è bello mettere le zampe su quella passerella, dà un brivido lungo la spina dorsale che non è niente male.

ponte rio grognardo2

Avanti, dov’è finito il vostro spirito d’avventura? Non fate quella facce e continuate a seguirmi. Questo è un luogo magico, per me, dove lo Spirito della Valle fa sentire più forte la sua eco. Se ancora non avete conosciuto lo Spirito della Valle, leggete il mio articolo “In nessun luogo, eppure dappertutto”.

Questo tratto del sentiero è di grande facilità, prosegue per gran parte in piano. A un certo punto lo troviamo sbarrato da un tronco poggiato sul terreno: è il segno che, anziché proseguire dritti e in piano, dobbiamo imboccare la deviazione a destra, in salita in mezzo ai castagni, che ci permette di aggirare la frana di cui vi avevo parlato nell’articolo “Frana per andare a Lago Degno”. Terminata la salita, il percorso si snoda nuovamente in piano e in discesa e poi, finalmente, raggiungiamo la provinciale.

lago degno molini di triora strada colle langan

Proseguendo in su arriveremmo a Monte Ceppo, San Giovanni dei Prati o Colle Melosa, mentre oggi imbocchiamo la discesa per Molini di Triora.

Lungo la strada possiamo rifarci gli occhi con le case che gli esseri umani si sono costruiti in questa zona tranquilla. Ce n’è per tutti i gusti, davvero! Ci sono abitazioni spartane, con pietre a vista, altre dai colori sgargianti e con giardini popolati da nanetti e e altre fiabesche creature. E’ bello fantasticare sulla vita in un luogo del genere, immerso nel bosco e con tanto giardino intorno. E pensare che, una sera, su questa stessa strada, saltavano una moltitudine mai vista di grossi rospi! Passavo da qui con la mia topo-mobile e dovevo fare una grande attenzione nel guidare, perché saltavano da ogni dove e c’era anche una nebbia così fitta che quasi si tagliava col coltello. Era proprio una notte da streghe, quella! Vedete, nella mia Valle non ci si annoia mai, davvero!

A un certo punto, giungiamo nei pressi di una casetta intonacata di un rosa molto pallido, al di sotto della quale possiamo scorgere un ponte di pietra. Scendiamo, dunque, e lo attraversiamo. E’ un ponte a schiena d’asino, la sua è una gobba notevole! Ci fermiamo ancora una volta a rimirare il torrente Argentina, il bosco sembra volerlo celare, proteggere da sguardi indiscreti.

Che vegetazione fitta, e che verde intenso! Scendiamo dal ponte e ci dirigiamo verso il borgo di Molini di Triora, ammirando anche il punto in cui il Rio Capriolo si getta tra le braccia dell’Argentina e si mescola con lui.

torrente capriolo torrente argentina molini triora

Siamo stanchi, estasiati e stregati dalla passeggiata di oggi, ne abbiamo viste proprio delle belle, non trovate anche voi?

Un abbraccio incantato dalla vostra Pigmy.

Le trunette del Carpasina

Cari topi, forse non avete idea di quante meraviglie possa nascondere la mia Valle. Dopo tanto tempo trascorso a camminare insieme sui sentieri in lungo e in largo, scommetto che avrete pensato: “La Valle Argentina è proprio bella, Pigmy ce l’ha fatta conoscere tutta, ormai”. Eh no! E’ qui che vi sbagliate! Ci sono angoli di paradiso di cui ancora non vi ho raccontato, e quello di cui voglio parlarvi oggi è un luogo mozzafiato, degno dei più grandi film d’avventura o di genere fantastico.

trunette

E allora indosso il mio bel cappello da Pigmy Jones e mi avventuro insieme a voi su un sentiero davvero molto scenografico.

Oggi ci troviamo a Carpasio. Di questo paese vi ho già parlato in passato, tra le sue mura si cela il museo della Lavanda e, tra i vanti del suo territorio, conta anche il museo della Resistenza. Vicino all’abitato scorre il torrente Carpasina, affluente dell’Argentina, che forma caratteristiche gole a tratti anche molto profonde, conosciute come trunette. Ed è proprio qui che voglio portarvi.

La stagione migliore per percorrere questo bel sentiero è, a mio parere, l’inverno. Ogni periodo dell’anno regala colori diversi, è chiaro, ma in questa stagione l’acqua del torrente è più impetuosa per via delle precipitazioni nevose e piovose; inoltre, la vegetazione è molto rada, permettendo di godere meglio della vista delle gole.

Lasciamo la topo-mobile nella piazza del paese, sovrastata da un campo sportivo e dalla Pro Loco. Imbocchiamo una stradina lastricata tutta in discesa, se siamo fortunati all’imbocco di questa strada possiamo fare un saluto a questa bellissima cavalla. Ha gli occhi dolcissimi, si fa accarezzare senza timidezza, è davvero socievole!

cavallo carpasio

Scendiamo sempre più giù, e già possiamo sentire lo scroscio del torrente, l’umidità che sale, il profumo della vegetazione e della terra bagnata ci avvolgono. Il borgo rimane alla nostra destra, mentre a sinistra si intravedono bellissime abitazioni in pietra incorniciate da orti ben tenuti, giardini curati da mani abili e sapienti.

Giungiamo a una chiesetta e a un ponte, lo imbocchiamo, poi dobbiamo salire a sinistra. Fate attenzione, perché il sentiero non è ben segnalato. Io stessa ho dovuto esplorare un po’ prima di trovare la strada giusta. Abbiamo come l’impressione di disturbare gli abitanti di queste splendide casette, ma non abbiate timore e continuate a camminare vicino a me. Subito dopo la piccola “borgata”, ci ritroviamo a scendere di nuovo, questa volta il sentiero si vede bene e si inoltra nella vegetazione. Cominciamo a vedere castagni dal tronco imponente, la terra è umida, scura, segno che il torrente è molto vicino.

Ci imbattiamo in un tavolo da pic-nic, in effetti sarebbe un luogo perfetto in cui trascorrere il pranzo domenicale nelle più tiepide giornate primaverili.

Arriviamo, infine, a un ponticello di pietra sul quale se ne stanno abbarbicati rampicanti di ogni genere e sotto di esso l’acqua del Carpasina genera cascate, il fragore è talmente forte che quasi non ci si sente mentre si chiacchiera. E questo è solo l’inizio!

Dopo il ponte, imbocchiamo il sentiero sulla sinistra e proseguiamo costeggiando il torrente. Il sentiero non è di difficile percorrenza, il percorso che vi farò fare dura un paio d’ore, con tutte le dovute soste. Se siete camminatori lesti, impiegherete molto meno.

Dicevo, il sentiero si fa a tratti più ampio, a tratti più stretto, ma in ogni caso resta scenografico. A ogni sua svolta possiamo stare certi che dall’altra parte ci sarà una sorpresa ad attenderci, e non verremo mai delusi! Passiamo tra castagni dalle forme davvero degne delle migliori fiabe. Ce ne sono molti col tronco bruciato, squarciato dai fulmini; altri sono ormai cavi e formano cunicoli, tane e rifugi ben visibili; altri ancora hanno fori grandi e piccoli che li fanno somigliare a una groviera (… gnam!) o a volti; ce ne sono molti, infine, abbracciati così tanto dall’edera che non si capisce più dove inizi l’una e finiscano gli altri. Riempitevi gli occhi di queste meraviglie, non si vedono certo tutti i giorni!

Quando il sentiero lo consente, possiamo fermarci a rimirare le cascate del Carpasina. Il torrente forma polle d’acqua limpidissima, in questa stagione è ghiaccio sciolto, più blu del cielo. In alcuni tratti sembra di trovarsi davanti a una piscina, talmente vivido è il colore dell’acqua. Si vede chiaramente il fondale pietroso, possiamo anche avvertirne la profondità. Nonostante il freddo, vi confesso che la voglia di tuffarmi è forte, quest’acqua è così bella! Scende sinuosa, somiglia a un serpente che con le sue spire si lascia scivolare sul terreno, fra le rocce.

E, a proposito di rocce, sono lisce, ben levigate dal passaggio costante dell’acqua.

Lungo il percorso ci imbattiamo anche in diversi ruderi, antichi rifugi che in questo contesto sembrano case di donne sagge, possiamo immaginarle lì dentro, intente a preparare qualche rimedio contro i malesseri più comuni. Pare di essere in una fiaba, ci si sente un po’ parte di quelle antiche leggende che si raccontavano intorno al fuoco, nelle quali ci si perdeva nel bosco e si incontravano le creature più disparate.

rudere valle argentina

Tornando con le zampe… ehm… per terra, proseguiamo il nostro cammino e finalmente arriviamo a uno spiazzo che ci offre un piccolo sguardo sull’orrido scavato dal torrente. Fate molta attenzione, non sporgetevi troppo, soprattutto se soffrite di vertigini, perché la gola, qui, è particolarmente profonda: non si riesce neppure a vedere il fiume, giù in basso!

Le foto non rendono giustizia alla bellezza del luogo, per cui proverò a spiegarvela a parole. La roccia trasuda acqua, anche là dove il torrente scorre, sì, ma più in basso. Piccole e costanti goccioline scendono dall’alto, si tuffano nel vuoto e si uniscono al Carpasina. La luce che filtra dagli alberi le illumina una a una, cosicché si ha l’impressione che quelle goccioline siano tende fatte di piccoli diamanti scintillanti. Le cascate sono di cristallo, e quando l’acqua si ferma sulle rocce e si incontra con la luce del sole, diventa d’oro. Non vi prendo in giro, topi miei, è la mia Valle! Ci avreste mai creduto?

Continuiamo a camminare, dunque, anche se la tentazione di fermarci a ogni passo è davvero forte. Possiamo godere di bellissimi scorci, l’acqua e le trunette formate dalla sua costante erosione formano coreografie perfette.

A un certo punto, ci accorgiamo che il sentiero sembra finire. Non si sa più bene dove sia il proseguimento, e qui bisogna usare l’intuito: ve lo dicevo che non era ben segnalato. Potete scegliere di ripercorrere a ritroso il corso del fiume, tornando sui vostri passi e rientrando in paese, oppure potete proseguire insieme a me, concludendo il percorso ad anello. Quando, per l’appunto, il sentiero sembra concludersi, non ci resta che guadare il torrente.

carpasina

Niente di pericoloso, tranquilli. Cercate un punto in cui le pietre vi consentano di passare facilmente da una sponda all’altra, là dove l’acqua scorre più lenta e meno profonda. Male che vada, se doveste proprio mettere una zampa in fallo, vi bagnereste fino alla caviglia. Dall’altra parte la sponda è quasi pianeggiante, ampia, e si intravede il sentiero che continua, se si fa un po’ di attenzione.

Uno, due, tre… e hop! Siamo dall’altra parte. A questo punto rivolgiamo un ultimo saluto al torrente, perché da qui in poi non lo vedremo più, anche se ne sentiremo lo scroscio impetuoso. Ci inoltriamo nella vegetazione, non è difficile capire quale sia il percorso giusto, in questo caso: basta seguire il tubo nero dell’acqua, sembra un grosso pitone scuro. Ecco, lo so che non è molto romantico, non è certo come dire “seguite la strada d’oro che porta a Oz”, ma di oro, di argento e di cristallo ne abbiamo visto già tanto per oggi, non credete?

Quindi, dicevo, proseguiamo così, inizialmente in dolce salita, poi in discesa, seguendo il sentiero che ci porterà di nuovo a Carpasio. In mezzo alla vegetazione vediamo muretti a secco, ruderi di antiche abitazioni, polle d’acqua più o meno stagnante… Oltre ai castagni, qui è presente anche il rovere. Sul versante della collina più esposto al sole possiamo riconoscere le erbe aromatiche tipiche della zona, tra cui il timo, il ginepro e la lavanda. L’edera non ci abbandona mai, è onnipresente.

Arriviamo a una borgata abbandonata ed è inevitabile fermarsi a immaginare i ritmi di un tempo, la vita dell’uomo tra quelle pietre antiche. Se ne sente l’eco.

rudere carpasio

Poco dopo la borgata, sulla sinistra del sentiero cominciano a fare la loro comparsa casette graziose, più moderne o recentemente ristrutturate. Sono ben tenute, con siepi a delimitare i confini della proprietà e a regalare un po’ di privacy a chi vi abita. Sono davvero dei gioielli, ci si incanta a guardare con quale cura siano state abbellite. Ci sono capanni verniciati di colori sgargianti, folletti dipinti, lucertole giganti in pietra, campanelle appese alle porte d’ingresso, lanterne a illuminare l’esterno delle case… Si intravedono tende colorate alle finestre, e poi scacciapensieri, simboli antichi dipinti sugli stipiti delle porte e frasi benauguranti scritte su travi di legno. E poi fiori, piante, giardini, orti! Tutto trasmette un senso di pace e armonia con l’ambiente circostante.

Il borgo di Carpasio è lì, davanti a noi, ormai vicinissimo. Il sentiero non è più di terra battuta, ma torna lastricato, come quando lo abbiamo imboccato, e poi cementato, a chiudere il cerchio di questo bellissimo percorso. In lontananza possiamo vedere il parcheggio nel quale abbiamo lasciato la topo-mobile e anche la cavalla dagli occhi dolci.

La nostra avventura, per oggi, finisce qui, topi! Vi è piaciuta? A me sì, talmente tanto che quasi quasi ricomincio il giro da capo.

A presto, allora!

Vostra Pigmy.

I signori gatti di Badalucco

Sono una topina fuori dal comune, ormai dovreste saperlo.

Alla vostra Pigmy, i gatti piacciono davvero tantissimo! E con me si comportano bene, sapete? Non ci pensano neanche a tirar fuori gli artigli.

In passato vi ho fatto vedere i mici della mia amica Nicky, uno più bello dell’altro, oggi, invece, voglio parlarvi di quelli che si possono ammirare in uno dei primi paesi della mia Valle: Badalucco.

Se ne stanno in mezzo ai carruggi, vivono così, senza grandi pretese, si direbbe… Eppure ci sono topi che pagherebbero per avere la vita che conducono loro, spaparanzati sul ciottolato, ben curati, ben nutriti e con un paesaggio come quello di cui possono godere loro ogni giorno!

badalucco

Il torrente Argentina è il vero sovrano di Badalucco, lo attraversa e forma anche una breve, ma larga cascata che è possibile ammirare dal paese. E loro, gatti fortunati, godono di tutti questi panorami e paesaggi. Chi sta meglio, topi miei?

Ma se l’Argentina è il vassallo di Badalucco, i gatti sono i suoi valvassori!

gatti badalucco

Guardate questo qui sopra, rosso e bianco. E’ un coccolone mai visto. Se ne sta sempre nei pressi del fiume, vicino ai lavatoi, e ti accompagna per un tratto, quando passi dalle sue parti. Si struscia addosso a te, ti guarda con quei suoi occhi dolci, si fa fare mille carezze e poi, quando capisce che stai per proseguire oltre il suo territorio, ti saluta e se ne va.

Poi ci sono quelli che trascorrono il loro tempo a sonnecchiare sul selciato davanti la chiesa, alcuni addirittura nei vasi o sui gradini di pietra dell’edificio religioso.

E religiosi lo sono anche loro! Chi ha un gatto nella sua tana potrà confermarlo. I mici hanno i loro riti quotidiani, le loro abitudini alle quali non possono proprio rinunciare. Son fatti così e, in fondo, non sono poi tanto diversi dagli esseri umani.

Passeggiando per i carruggi del paese con al collo la mia macchina fotografica, a un certo punto ci capita di alzare lo sguardo e… oh! Eccone un altro!

gatti badalucco4

Ha un pelo così bello da fare invidia, non trovate? Ci osserva dall’alto, senza scomporsi troppo per la nostra presenza né per le foto che vogliamo scattare per immortalare i suoi occhi, il suo muso e la posizione in cui si trova. Se ne sta su un davanzale, più precisamente dentro un bel vaso, che dà quasi sul tetto di un’abitazione vicina. I gatti non amano farsi fotografare, sono proprio fetenti in questo. Non appena prendi il toposmartphone con discrezione e accedi all’applicazione per scattare la tanto agognata foto… si assiste a un fuggi fuggi tale che non ci si spiega che cosa mai abbiano visto.

Questo qui, invece, pare dire: “Avanti, fammi una foto! Anzi no, due, tre. Sono qui apposta.” Che comportamento insolito!

Procediamo la nostra passeggiata lungo il torrente, poi facciamo ritorno alla topomobile, ma le sorprese feline non sono finite.

Su un’ape car, infatti, c’è un gattone che quasi quasi farebbe invidia ai due precedenti. Anzi, sembra la fusione tra di loro. Non appena ci vede, scende dalla sua postazione d’onore e ci viene a salutare in tutta fretta, quasi avesse ritrovato degli amici di vecchia data.

A pochi metri da lui/lei, un altro gatto se ne sta sdraiato sull’arco di accesso a una casa. Disturbato dalla nostra presenza, si alza, si stiracchia e si strofina il pelo sui rampicanti per dare un’occhiata.

gatti badalucco5

Che accoglienza calorosa offrono, i mici di Badalucco! Se avete bisogno di concedervi un po’ di coccole, sapete dove andare, perché loro non ve le negheranno.

Un bacio felino dalla vostra Pigmy.