Generosa Flora sopra Il Pin

Beh, che i fiori, in Valle Argentina, in questo periodo, siano i protagonisti assoluti non ci piove. Ed è giusto che sia così. Siamo in primavera, ormai alla fine, stiamo sfiorando l’estate ed è bellissimo vedere le loro forme davvero uniche e i loro colori.

Oggi però vorrei portarvi a vederne di particolari in un luogo altrettanto particolare. Si tratta di fiori che nascono nei prati, a bordo strada, ma anche su alberi e, insomma, creano un ambiente incredibile.

Andiamo dopo Realdo, dopo Borniga, oltre Il Pin, località così chiamata vista la grande presenza di Pini, salendo per andare verso l’inizio del sentiero che conduce ai Parvaglioni e possiamo godere di un luogo meraviglioso, pezzo di un paradiso unico.

Meraviglioso perché la natura qui dona il meglio di sé. C’è tanta vita soprattutto regalata dalla flora.

Ad accogliermi, dall’angolo di un grande prato, c’è una piccola comunità di alberi. Sono dei Larici. E’ curioso vedere come i più piccoli e giovani siano difesi da quelli più adulti e saggi che li circondano proteggendoli dal perimetro del boschetto. Sotto di loro è come essere dentro ad una capanna, un tepee indiano e l’ombra è così scura e fresca che sembra di aver oltrepassato un portale che porta in un’altra dimensione. Le loro fronde cadenti sono come tende vive e ci si sente accolti.

Esco da quella biocenosi dopo aver respirato il loro profumo balsamico e aver accarezzato i licheni che ricoprono quelle ruvide cortecce perché molto altro mi aspetta.

Sulla soglia un innocuo Orbettino (Anguis Veronensis) mi saluta e meno male perché quasi non l’avevo visto anche se è più lungo di me. Tranquilli, non è un serpente ma una Lucertola un po’ particolare che ha perso le zampe durante la sua evoluzione.

Riprendo a zampettare in su fino ad arrivare in un pezzo di strada che sembra dorata. Questo bellissimo colore è dato dalle cascate dei Maggiociondoli in fiore che, con i loro gialli grappoli, creano un portico suggestivo lungo la via. Si tratta di un albero tossico ma meraviglioso. E persino utile. Il suo legno, che si confonde facilmente con l’Ebano, soprattutto nei soggetti più anziani, era venduto un tempo al posto di quest’ultimo e ancora oggi infatti è conosciuto come “Falso Ebano”.

Passo sotto a quei numerosi e piccolissimi soli, in un mondo tutto giallo, e mi sembra di sognare. Non avevo mai visto tanti Maggiociondoli così assieme anche se, in Valle Argentina, ce ne sono davvero parecchi.

Mi viene in mente il Monte Pellegrino che, in questo periodo, è praticamente giallo!

Dopo aver percorso questo viale ritorno al grande prato e questa volta vengo rapita da un insieme di fiori di campo uno più bello dell’altro.

Persino i fiori, abbastanza classici, di Trifoglio qui sembrano ancora più belli, sono come grandi e morbidi pon pon che dal bianco arrivano alla tonalità fucsia e sono stupendi. Anche altri sembrano palline e assomigliano al Trifoglio anche se non lo sono. Quasi quasi me ne prendo due da mettere come cuscini nel mio guscio di noce.

Ma ci sono anche i Non ti scordar di me e la Veronica, conosciuta anche con il nome di Occhi della Madonna per via del colore blu intenso dei suoi minuscoli petali.

I campi sono completamente in fiore e tutta quella manna è una delizia per molti insetti.

Mi inoltro in un bosco che scorgo oltre il prato. I fiori non mi abbandonano. Ripensando agli insetti mi viene in mente che qui possono sfamarsi davvero quanto vogliono.

L’erba è alta eppure questi fiori sono così colorati e variopinti che spiccano in quel verde vivace. La parola “verde” deriva dal Latino “viridis” e significa “vivere”. Che bellissimo significato vero? Lo sapevate?

E infatti qui, chiunque ritroverebbe la vita. Si respira nuova vita. Perché tutto è vivo e palpitante.

Anche questa volta spero di avervi fatto cosa gradita portandovi con me a vedere tanta bellezza ma ora dobbiamo lasciarci perché un nuovo articolo mi aspetta tutto da scrivere.

Vi mando quindi un bacio floreale e vi aspetto per il prossimo tour.

Nel Ciotto di San Lorenzo tra storia, natura e misteri

Sarà un lungo articolo questo che descrive uno dei luoghi da me più amati in Valle Argentina. Voglio parlarvi del Ciotto di San Lorenzo e, per elencarvi tutto quello che propone agli occhi e al cuore, ho bisogno di molte parole.

Il Ciotto, chiamato anche “Sotto”, lo si raggiunge dal Passo della Mezzaluna oppure da Passo Teglia camminando in mezzo ad una splendida faggeta, la Foresta di Rezzo, per poi giungere in questa radura fatta a conca, definita persino dolina, sormontata dal Carmo dei Brocchi.

La Foresta è così bella da essere soprannominata “Bosco delle Fate”.

Qui, dove d’estate regnano indisturbate le Marmotte, la storia racconta che un tempo, intorno al 245 d. C., ha vissuto il giovane eremita Lorenzo ucciso poi a Roma, per volere dell’Imperatore Valeriano, e venerato in seguito come Santo dalla Chiesa Cattolica.

Si fermò qui per circa due anni vivendo da solo con l’unico contatto della natura e, di lui e del suo passaggio, oggi resta solo un rudere nel quale alloggiava e pregava. Le rovine di chi dice essere stata una piccola chiesa e chi invece afferma essere stata una semplice dimora.

San Lorenzo si affacciava su questo prato bellissimo circondato da Abeti, Larici ma anche da grossi massi e osservando attentamente queste bianche pietre ci si accorge che alcune sono disposte a cerchio. Si parla di cerchio sacrificale, punto in cui venivano bruciate le streghe durante il periodo dell’Inquisizione.

Non si sa se siano leggende o realtà ma questo luogo ha da raccontare molto anche riguardo un tempo precedente alla caccia alle Streghe.

Si parla di popoli antichi e di costruzioni che restano lì, immobili, da tantissimi anni.

Al Ciotto, e nei suoi paraggi, infatti, si possono scoprire in un grande complesso megalitico: dolmen, menhir, pietre sacrificali e molto altro. Ogni cosa meriterebbe un post a sé.

L’estremità del Menhir, sta ad indicare approssimativamente l’azimut del sole al tramonto, nel periodo del solstizio d’inverno. Mentre il Dolmen poteva essere una tomba e la pietra sacrificale è dotata di coppa di scolo ben visibile.

Qui tutto è ammantato da energie pure, seppur misteriose, che ritengo appartengano alla natura che lo veste e agli uomini che lo hanno vissuto in antichità.

Siamo a circa 1.400 mt s.l.m. e il verde vivo è incontaminato e splendente. Una coppia di Corvi Imperiali vola in cerchio sopra alla radura e sembrano essere i guardiani di questo luogo mistico. Mi piace pensare che siano gli amici delle donne che qui hanno trovato la morte per volere dell’Inquisitore.

Salendo sulle selle attorno al prato si può godere di una vista magnifica e si vede anche il mare.

So che però, oltre ai Corvi, nascosti da qualche parte, ci sono anche Lupi, Allocchi, Salamandre e Picchi.

Lorenzo, dalle origini spagnole, poteva godere di una stellata magnifica passando le notti in questo Ciotto. Qui, dove i monti si aprono permettendo di godere di un firmamento unico; non c’è inquinamento luminoso e tutto pare come avvolto dalla magia.

Questo era uno degli snodi della Via Marenca, famosa strada del passato che si sviluppa sui crinali e collega i monti liguri alle zone piemontesi. Uno degli antichi cammini dei pastori che dalle valli di Imperia conducevano i greggi ai grandi pascoli del Monte Saccarello e del Colle di Tenda.

Il suo aspetto cambia ad ogni stagione ma resta sempre magnifico.

L’Agrifoglio e l’Aquilegia si mostrano orgogliosi, raccontando il sottobosco. L’Anemone Bianco lo descrive con la sua poesia e il Cardo Selvatico ne descrive la resistenza al tempo. Tutto è perfetto.

 In questo regno, si riconosce un’atmosfera atta ad accendere una spiritualità percepibile all’istante.

S’innalza il livello spirituale di esistenza arrivando a distinguere persino forze arcane che osano e vogliono farsi sentire. Questo almeno, è quello che accade a me ogni volta che ci vado. Sarà la mia sensibilità da animaletto.

Riconosco che la natura ha su di me un particolare effetto ma, con il sopraggiungere della quiete e dell’emozione, si arriva indiscutibilmente ad essere nettamente più sensibili fino a collegarsi, a mio avviso, con le frequenze energetiche dell’Universo che parlano e raccontano attraverso parole proprie o toni di chi qui, ha abitato molto tempo prima.

E’ un luogo, questo, colmo di ricordi ed emozioni.

Qui l’amore di Madre Terra ti abbraccia e ti fa suo. Qui, anni or sono, coloro che da sempre nominiamo streghe, si univano alle onde energetiche universali. Qui, uomini credenti, hanno sacrificato ai loro Dei, esseri viventi. Qui, venivano richieste, con tutto il potere che si sentiva e si trasmetteva, le risoluzioni alle necessità.

Per sentirsi parte di un mondo ancora più grande, un macrocosmo che solitamente non si identifica. Il mio è qui. Uno dei tanti per lo meno. Puro, protetto, selvaggio. Dall’anima scoperta in bella mostra.

E’ un luogo splendido vero Topi? Un luogo che esige rispetto come ogni zona in fondo.

Spero tanto che sia piaciuto anche a voi come a me. Se è così, vi lascio sognare ancora un po’, io corro a prepararvi un’altra fantastica escursione.

Vi mando un bacio spirituale! Smuck!

Al Ciotto: osservando tinte e arabeschi

Da più di tre anni, di tanto in tanto, mi dirigo al Ciotto di San Lorenzo.

Si tratta di un luogo a me molto caro, situato alle pendici del Carmo dei Brocchi e oltre ad essere un posto bellissimo se lo si sa ascoltare, parla con un’energia davvero profonda e unica.

Per arrivarci passo solitamente da Drego e da Passo Teglia, anch’esse zone della mia Valle senza eguali per il loro fascino remoto.

Una volta giunta all’arrivo mi piace soffermarmi a guardare ogni cosa, lentamente. Lo sguardo si appoggia piano, su tutto quello che addobba questo angolo della mia Valle per me dal sapore mistico e affascinante.

Mi piace contemplare, pensare, riflettere e guardare intorno a me tutta quella bellezza che mi circonda sentendomi davvero una Topina fortunata. Si tratta di una dolina tutta fiorita in estate e circondata da austere rocce, una faggeta fatata e abeti antichi che proteggono. Una radura a forma di conca nella quale talvolta si forma un piccolo lago o è prato in base al periodo dell’anno.

E’ proprio durante queste attente osservazioni che ho potuto notare come questo luogo si modifica di stagione in stagione.

I suoi cambiamenti sono in realtà molto evidenti e dati principalmente dai colori che lo abbelliscono ma se quando parliamo di colori pensiamo soprattutto all’autunno… beh… al Ciotto di San Lorenzo (chiamato anche il “Sotto”) le tinte regalano emozioni ogni mese.

E’ vero che, prima di aprire le porte all’inverno, i Carpini si vestono d’oro e i Larici delle nuances del tramonto. Com’è anche vero che i Faggi diventano color della terra bruciata e le capsule di semi delle Graminacee creano puntini neri sparsi qua e là ma quando la fredda stagione giunge del tutto è la Bianca Signora, la neve, a regnare rendendo tutto candido e brillante.

Il foliage, in questo luogo, è davvero attraente.

D’estate, invece, è il viola della Lavanda e del Cardo Selvatico a prevaricare su tutto. Il colore della magia, ed è quasi più presente addirittura del verde vivace, il vero padrone.

Lo stesso Cardo, terminato il periodo estivo, appare di un avorio lattiginoso e sfavillante.

Tra il profumo del Timo anche gli insetti contribuiscono a colorare il tutto ma ovviamente, il gradino più alto del podio spetta alle farfalle e le loro ali dipinte.

Per non parlare delle bacche. Tante tantissime e tutte diverse tra loro. Quelle color rosso fuoco si notano già da lontano.

Molte tonalità di grigio e di marrone vengono date anche dalla corteccia degli alberi che circondano l’antico Ciotto ricco di storia e leggende.

Osservando certi tronchi, dal basso verso l’alto non si possono non notare le diverse sfumature di queste alte piante e, una volta che ci si trova con il naso all’insù, un ulteriore spettacolo si apre davanti agli occhi agitati.

Un intreccio infinito di rami, sia spogli che ricchi di fogliame, si annodano, si avvicinano e si incrociano fino a formare strane forme di linee, degli arabeschi stupendi che sembrano disegnare il cielo.

Come dei centrini, posizionati all’incontrario, abbelliscono anche l’aria sicuri nel risultato di una meraviglia totale.

Via via che i giorni passano, andando verso il periodo del gelo, dopo il trionfo di vita e tinte forti, tutto si spegne divenendo sempre più pallido e mostrando il riposo.

Nonostante questo sonno color pastello, pare d’esser in un incanto, nella tela di un pittore malinconico e che ama i colori tenui. L’inverso della vivacità verde incontrata in passato.

Insomma, il Ciotto di San Lorenzo regala sorprese sempre. Non può non lasciar stupiti e grazie alla natura variegata che lo forma resta un punto assolutamente unico della Valle Argentina.

Io, sognante, vi mando un bacio colorato e vi lascio immaginare questa tavolozza. Vado a prepararvi un altro articolo!

Da Sella d’Agnaira fin in cima al Pietravecchia

Oggi Topi vi porto in un altro posto speciale, preparatevi di tutto punto e seguitemi.

Dopo aver intrapreso lo sterrato di Colle Melosa, possiamo ammirare lo splendore che questo panorama mostra ed essendo le prime ore dell’alba si vede persino la Corsica con i suoi colori tenui, il mare che la circonda e un contorno da favola.

Le sfumature rosa e azzurre colorano le nuvole ed è come essere trasportati in un’altra dimensione. Da qui si vede bene anche la Diga di Tenarda e parecchi monti della mia Valle.

Prima del Monte Grai ci fermiamo proprio dove un sentiero porta ad un altopiano. Si tratta di un valico a forma di sella chiamato Sella d’Agnaira (1.869 mt) confinante con Sella della Valletta.

Qui, una distesa d’erba verde rende tutto assai particolare. Tra i Larici, situati attorno alla radura, si immaginano animali di ogni tipo e non mancano vari cinguettii.

Non mancano neanche i funghi e i fiori nonostante l’autunno sia iniziato già da un po’.

L’aria è frizzantina, il sole sta ancora sbadigliando e, a terra, non è difficile incontrare la brina che inizia a spruzzare di bianco quel suolo ancora vivo e brulicante di insetti.

Ci sono tanti Grilli, ancora tante farfalle e piccoli ragni che si sono appena messi al lavoro per costruire nuove tane-trappola.

Prendiamo un sentiero che porta verso la Francia e infatti di Francia ne vedremo un bel pezzetto.

Si inizia a salire ma senza alcuna difficoltà. Più si sale e più si apre davanti a noi un magnifico scenario. Tutto sembra avere le sfumature dell’oro. Non solo il sole è dorato ma anche le spighe lo sono, alcune foglie, qualche arbusto e persino qualche pietra. Che meraviglia passeggiare in questo luogo dove l’ocra e il verde si alternano in continuazione.

Ad un tratto ci si potrebbe tuffare anche tra i lamponi se non fossero pianticelle spinose, ma che buoni questi frutti! Sembra strano poter mangiare i lamponi a ottobre ma questa è la Valle Argentina e ben presto la lingua profuma di un sapore dolce e asprigno allo stesso tempo.

Dopo aver fatto una bella scorpacciata di questi doni si prosegue. Lo avrete capito ormai, il Monte Pietravecchia ci sta aspettando.

Si tratta di una montagna molto alta appartenente alle Alpi del Marguareis. E’ alta 2.038 metri e il suo nome è azzeccatissimo. Sembra proprio un monte vecchio e saggio. La sua vetta è confortevole. Ha meno guglie affilate rispetto al Monte Toraggio proprio di fronte a lui.

Da qui, quest’ultimo monte, posso ammirarlo bene. Lo adoro, è bellissimo, uno dei miei preferiti e non lo avevo mai visto da questo lato.

La cosa sicuramente più divertente che gli appartiene è una grossa pietra a forma di cubo, praticamente in bilico sull’abisso e chiamata il “Dado degli Dei”.

Siamo nel pulito e possiamo tranquillamente ammirare tutto attorno a noi, passeggiando comodamente.

Ecco il versante francese, si vede il suo paesaggio e si vede persino il grande complesso “Le Vele” della Marina Baie des Anges tra Nizza e Antibes. Davanti a noi si vedono Baiardo, Perinaldo e la costa più a ponente della Liguria ma, se si guarda in giù, ecco comparire la Gola dell’Incisa e il bivio per raggiungere il Toraggio percorrendo il Sentiero degli Alpini.

Guardando verso il Piemonte invece si notano distintamente l’altissimo Monte Mongioie (2.630 mt) e il Monte Saccarello (2.202 mt). Piccolina, alla sua sinistra, la Statua del Redentore.

Restando girati verso la Provincia Granda si nota che quella parete del Pietravecchia anziché essere arsa e pulita è boscosa e, in mezzo a quegli alberi, scendendo un poco in un sottobosco abbastanza fitto, si trovano antiche costruzioni (sicuramente militari). Sono costruzioni davvero particolari. Hanno feritoie contrapposte ed è come se fossero doppie o gemelle.

Si torna però presto con il naso all’insù, è inevitabile. Ovunque, attorno a noi, profili montuosi meravigliosi si lasciano ammirare.

Tornando indietro camminiamo su un tappeto erboso davvero stupendo. Sembra finto e invece è tutto vero.

Par di essere nella fiaba di “Pollicino”, non ci resta che lasciar cadere a terra qualche briciola di pane. Che meraviglia. Sopra ai nostri musi Larici e Abeti incrociano i loro rami formando tendine e arabeschi. Un incredibile passaggio.

Eccoci però di ritorno su Sella d’Agnaira e da qui si fa ritorno in tana.

Di nuovo tante emozioni. Ancora una volta ho riempito il mio piccolo corpicino e il mio spirito di tanta bellezza e tanta pace. Ora non resta che prepararmi per la prossima avventura ma prima fatemi pulire gli scarponi.

Un “vecchio” bacio a voi da parte mia e da parte di un vecchio monte.

Quei prati in mezzo ai boschi

Se c’è una cosa che trovo assai affascinante e che la mia Valle regala spesso sono i prati che si trovano in mezzo a fitti boschi.

Alcune zone alberate della Valle Argentina vengono chiamate addirittura – foreste – in quanto presentano una macchia piena di alberi e tronchi che quasi non lasciano passare. Offrono un senso di chiuso, di protezione, di luoghi impenetrabili persino dai raggi del sole.

Si cammina sotto a queste fronde maestose sentendosi piccini e spesso, queste fronde, appartengono a tronchi secolari che vivono lì da moltissimi anni ingigantendosi sempre di più come quelli dei Larici, dei Faggi e dei Castagni.

Permettono agli animali rifugi sicuri e danno la possibilità ad una folta e florida vegetazione di crescere e risplendere in tutta la sua bellezza.

Ma, qualche volta, capita che dietro ad un albero e dietro a quella selva scura si apra davanti agli occhi uno scenario meraviglioso.

Si tratta di una specie di radure che sembrano palcoscenici da fiaba.

Prati, talvolta piccoli e racchiusi, talvolta più ampi, che mostrano distese verdi morbide e splendide.

È facile immaginarsi gentili Caprioli brucare quell’erba soffice e rendere quel pezzo di mondo ancora più magico anche se, al momento, dobbiamo accontentarci di imperturbabili Mucche candide. E mica vogliamo fare discriminazione noi?

Qualche alberello qua e là, qualche arbusto e tanta erba e tanto muschio. Che meraviglia! Vien voglia di tuffarsi e far capriole.

Alcuni di questi prati mostrano tanta natura: bestioline che corrono indaffarate, fiori colorati e funghetti dal portamento buffo raggruppati in famigliole.

In questo sottobosco pieno di vita il verde è ancora più cupo, sembra severo ma le tonalità di alcuni doni della terra limano quel suo aspetto serio sfumandolo di vivacità.

Capita che questi prati siano a volte i sentieri di passaggio e quindi ci si cammina sopra e pare di essere su un tappeto o sulla moquette per non parlare della bellezza che si apre davanti ai nostri occhi.

Corridoi verdeggianti racchiusi da filari di alberi e nel bel mezzo una distesa di tenera erba che par condurre in un mondo fantastico.

Ogni tanto anche il bosco più selvaggio ha bisogno di sole, di aria, di apertura e si mostra con la sua armonia.

È facile essere rincorsi da uccellini che ci seguono saltellando da un ramo all’altro, mentre, davanti alle nostre zampe, svolazzano farfalle per nulla impaurite.

Guardate queste immagini Topi, non vi par di sognare?

E invece è tutto vero ma io vi lascio immaginare di essere lì, intanto, vado a preparare una nuova avventura per voi.

Un fantastico bacio a voi!

Due Valli e una Topina: una gita nel basso Piemonte

Ogni tanto mi piace zampettare anche in altre Valli (Ssst! Non ditelo alla mia, che poi s’ingelosisce, già lo so!) e così questa estate mi sono concessa una gita fuori porta mica male, topi!

Me ne sono andata nientepopodimenoché nel basso Piemonte, nelle valli Pesio e Gesso, ed è di queste due che voglio parlarvi oggi.

Ci troviamo come sempre in un paradiso naturale, ancora una volta tra le Alpi Marittime. Si supera Entracque e si lasciata la topo-mobile nei pressi del Lago della Rovina.

Lago della Rovina

Già da qui si gode di un panorama fantastico, tipico dell’alta montagna. In Valle Argentina siamo poco abituati a questo genere di ambienti, assai diversi dai nostrani. Le cime spiccano dal lago, il cielo è terso e si rispecchia nell’acqua, concedendo scatti degni di uno spot pubblicitario o di un documentario. Siamo in Valle Gesso e la nostra meta è il Lago di Chiotas, sotto il Rifugio Genova-Figari, a ben 2015 metri sul livello del mare.

E’ il luogo preferito di Stambecchi e Camosci, si nota subito fin dal primo sguardo, e anche i rapaci, qui, la fanno da padroni. Da anni ormai è anche appurata la presenza del Lupo, di cui si parla tanto anche nel Centro Faunistico Uomini e Lupi di Entracque.

sentiero lago rovina

La salita verso il Lago di Chiotas si fa sentire, topi. Si avanza un po’ come sui nostri sentieri ripidi e scoscesi, con poca ombra a rinfrescare dal caldo estivo. Miriadi di farfalle accompagnano il cammino, sono colorate e audaci, svolazzano vicine e si fanno fotografare.

farfalla valle gesso

Il terreno è sterrato, a tratti costeggiato dalle ortiche (Ahi!) e si attraversano diverse zone pietrose assolate.

sentiero montagna lago rovina

Ma più si sale e più il paesaggio si fa bello, anche se non sembrerebbe possibile, visto il luogo ameno dal quale siamo partiti. Il laghetto da quassù sembra una piccola pozzanghera ora, e le topo-mobili paiono come giocattoli adagiati su un tappeto d’erba finta.

lago della rovina2

Quando ci si ferma a ristorarsi bevendo un po’, prima di riprendere la marcia, ci si guarda intorno, si scrutano le montagne vicine e con un po’ di attenzione si distinguono diversi Stambecchi in lontananza. Li vedete anche voi?

stambecchi lago della rovina

Brucano tranquilli l’erbetta tenera, la testa china, tanto che a un primo sguardo parrebbero semplici rocce marroncino-grigiastre.

Stuole di Lamponi, More e Fragoline si lasciano vedere ovunque su tutto il sentiero, invitandoci a cogliere questi frutti prelibati di cui vado davvero ghiotta.

lampone

E poi Carline, Felci e fiori di campo d’ogni sorta colorano i nostri passi fino al Lago di Chiotas, sulle cui sponde si trova anche il Rifugio Genova-Figari. E qui si gode davvero di una tranquillità incredibile, col cielo come tetto e una corona di cime montuose ad avvolgerci.

Ci si ferma per una pausa lunga, questa volta, per farsi accarezzare da un sole che scotta e scrutare sotto il pelo dell’acqua i pesci che nuotano giocondi in santa pace. Fare il bagno qui è sconsigliato, il pericolo è segnalato dai cartelli, ma qualche topo audace un tuffo non distante dalla riva se lo fa eccome, per lavare via tutto il sudore accumulato con la precedente salita.

lago chiotas

C’è pace qui, tra questi monti, e non si vorrebbe davvero andare via, non dopo aver zampettato qualche oretta. Ma la discesa riserva tante sorprese! Eh sì, topi, perché le famigliole di Stambecchi scendono fino al sentiero e si lasciano guardare e fotografare senza pudore alcuno.

stambecco valle gesso

Sono vicini, anzi, vicinissimi, e di una bellezza selvaggia davvero estrema. Ci sono anche i cucciolotti, piccoli e ancora inesperti guidati dalle loro mamme. E’ bene non disturbarli troppo nei loro affari, sebbene siano tolleranti. I piccoletti, in particolare, suscitano una tenerezza infinita con quelle loro cornine non ancora cresciute come quelle delle mamme.

cucciolo stambecco

Più si scende di quota e più se ne vedono. Brucano con tranquillità e pacatezza, poi si sdraiano sulle rocce o si arrampicano con le loro zampe resistenti ed equilibriste.

stambecchi valle gesso2

E’ bello ammirare il modo in cui questi mammiferi si siano adattati perfettamente all’ambiente in cui vivono e siano con esso un tutt’uno. A volte hanno qualche scaramuccia, presto risolta per fortuna, poi la vita torna a scorrere placida e selvaggia.

stambecchi valle gesso4

Conclusa questa gita strabiliante, ne inizia un’altra, questa volta in luoghi a me più familiari. La Valle Pesio era una delle mete predilette dalla mia topofamiglia per le vacanze estive, quando ero una topina piccola piccola, ma qualche ricordo lo conservo ancora con tanto affetto.

valle pesio

Come scordare i pranzi da re sul prato del Rifugio di Pian delle Gorre, le capriole con i topo-cugini, le domande con le quali prontamente tempestavo topomamma, topopapà e i topononni? Che dire, poi, di tutte le passeggiate zampettando per i boschi con quegli alberi alti, alti, ALTI (e io son piccolina, e io son piccolina) e le zampette nel fango per acciuffare le rane per qualche secondo, lasciandole poi libere di saltellare altrove?

Insomma, volevo a tutti i costi tornare in quei luoghi e così eccomi qui a raccontarvi anche questa.

Devo dire che anche in Valle Pesio, come nella mia Valle, si possono incontrare strane creature… ma non mi aspettavo assolutamente niente di tutto ciò! Guardate un po’ in chi mi sono imbattuta!

serpente bosco valle pesio

Un serpente gigante se ne sta acquattato nel bosco, vi assicuro che è davvero di dimensioni notevoli… ed è interamente realizzato con materiali naturali offerti dal bosco.

E, a proposito di quest’ultimo, lascia proprio senza fiato.

valle pesio albero

Le conifere, per lo più Abete Bianco, odorano di resina e aghi, un profumo forte, che già da solo basta a fare aprire i polmoni. Lo scroscio del torrente Pesio dona pace e serenità, soprattutto quando grazie alle cascatelle scende più sinuoso tra i ciottoli del sottobosco.

cascata pesio

E’ un percorso bello, pulito, quasi tutto pianeggiante, pieno di topi che qui vengono a godere del fresco offerto con generosità dalle alte fronde arboree. Fa quasi fresco in questi luoghi, se ci si ferma per lungo tempo è bene mettere un golfino sulle spalle. E qui camminano tutti, ma proprio tutti! Topi anziani, topini piccoli, topi con problemi motori… persino i topi di città ci si avventurano con piacere, perché qui si gode di scorci che fanno respirare, si esce dal bosco rinfrancati, alleggeriti, sereni.

parco valle pesio

La rete sentieristica è davvero fitta, i percorsi da fare sono così tanti che non basterebbe una settimana per scoprirli tutti, ma io ho voglia semplicemente di zampettare in luoghi familiari che non vedo da diverso tempo e così finisco dritta dritta all’Osservatorio Faunistico.

cervi osservatorio faunistico valle pesio

Fu costruito nel 1990 per permettere ai Cervi di abituarsi all’ambiente nel quale furono reintrodotti e conta una superficie di quattro ettari. Ci sono diverse femmine coi loro piccoli, è bello osservarle per un po’, prima di zampettare di ritorno. Preferisco le bestiole libere di correre, piuttosto che chiuse in un recinto, ma la loro bellezza è comunque innegabile. Senza contare che la loro permanenza qui è comunque temporanea, per fortuna.

cervi osservatorio faunistico valle pesio2

Tra gli alberi del sentiero si respira un’aria magica e insolita e io me ne torno a casa ancora più desiderosa di scrivere nuovi articoli per voi, topi! Perché se è vero che è bello mettere il naso fuori dalla tana e vedere luoghi nuovi, è altrettanto vero che la mia tana è bellissima e sempre unica nel suo genere. La amo e voglio farla scoprire per benino anche a voi. Un bacio silvano a tutti.

Tante bellezze dalla Mezzaluna al Praetto

Oggi parto da un luogo meraviglioso.

Sono nel bel mezzo della mazzaluna, conca disegnata dal Monte Arborea e Cima Donzella, conosciuto appunto come Passo della Mezzaluna o anche Colle della Mezzaluna e mi dirigo verso i Prati di Corte.

Sono arrivata qui passando per la bellissima e mistica foresta di Rezzo, una faggeta che lascia senza fiato e sa di misterioso e fiabesco, chiamata anche “Bosco delle Fate”.

Giunta sul posto è soprattutto Carmo dei Brocchi a darmi il benvenuto in tutta la sua bellezza. Da una parte mostra il bosco e dall’altra il prato, apparendo così come mezzo capelluto e mezzo calvo. Forma un tutt’uno con Monte Arborea e appartiene anch’esso al disegno del Passo protagonista. So che sotto di lui c’è il Ciotto di San Lorenzo, luogo al quale sono affezionata e che ho vissuto molto, e quindi sorrido.

Intraprendo un sentiero stretto e pulito con attorno prati, pascoli e pietraie sulle quali non è difficile notare Camosci, come non è difficile poter osservare un panorama fantastico che mi permette di vedere tantissimi altri monti.

Il Toraggio, il Pietravecchia, il Grai, il Gerbonte, Carmo Gerbontina e anche il Bego, verso la Francia, con ancora la neve a coprirlo.

Non ho neanche iniziato la mia escursione che due Camosci decidono di salutarmi in un modo alquanto insolito. Venendomi quasi addosso in pratica. Li vedo scendere veloci dalla cresta di un montagna e dirigersi verso fondo valle. Mi passano a pochi metri di distanza, piccola come sono, per fortuna non mi hanno investita, altrimenti mi avrebbero fatta arrivare ad Arma nel giro di un baleno. Dovrebbero calmare la loro enfasi ma li capisco… sono sempre molto felici di vedermi. Io, comunque, mi sono emozionata tantissimo ma tanto proprio. Muovevano l’erba come un vento impetuoso e il fruscio era forte, impossibile non sentirlo.

Questa passeggiata, al di sotto di Località Sciorella, è adatta a tutti e porta verso una piccola radura chiamata “Praetto” circondata da un verde vivace che lascia abbagliati.

In questo periodo dell’anno sono tantissimi i fiori spontanei che rendono ancora più suggestivo questo luogo e tanti i canti degli uccelli: Passeriformi, Galli Forcelli, Cuculi… è difficile ma divertente provare a riconoscerli dal canto.

Dopo essere passata sotto a Noccioli, Faggi e Carpini il panorama si apre ancora e mi mostra i paesi di Andagna, Triora, Molini, Cetta e Corte incastonati sui colli con i loro cimiteri e i loro santuari.

Ora, alla mia destra, una catena montuosa che si snoda verso Nord-Ovest, mi consente di osservare Monte Monega e la sua croce simbolica ma anche il Colle del Garezzo.

Tutto qui è florido e lussureggiante. Si vedono i Casoni nei Prati di Corte, antichi rifugi ancora oggi utilizzati, e la Località più bassa chiamata Case Loggia.

Il sentiero sul quale zampetto è comodo e accessibile a tutti basta avere scarpe idrorepellenti, in quanto, può capitare di dover attraversare rii o sorgenti in base al periodo.

Incontro sulla mia strada una bellissima Mucca tutta bianca. È un po’ spaventata dalla mia presenza e quindi, anche se incuriosita, decide di andarsene per poi fermarsi e guardarmi da lontano. Un Topino che fa scappare una Mucca! Questa devo proprio raccontarla.

Non si possono non ammirare i fiori che vi nominavo prima. Ogni colore si palesa davanti ai miei occhi con tutte le sue sfumature e anche ogni tipo di petalo è pomposo e felice di lasciarsi ammirare.

Sono impressionanti il Trifoglio e l’Ortica. Il primo ha fiori alti e enormi rispetto al normale. Sembrano grossi pon pon dai colori decisi. L’erba urticante, invece, ha foglie grandi quanto una mia zampa! E attorno a lei altri minuscoli fiorellini piccoli come puntini.

E poi ancora: Non Ti Scordar Di Me, Veronica, Scarpetta della Madonna, Botton d’Oro, Camenerio, Pigamo, Acetosella, Valeriana Rossa… grandi, piccoli, alti, bassi… un trionfo di tinte stupende. Anche loro emozionano, sembra di essere in una cartolina. Persino il verde è cangiante.

Qui, gli insetti, stanno davvero alla grande. Possono cibarsi di ogni ben di Dio!

Nel bel mezzo del Passo della Mezzaluna sono diversi i sentieri che prendono il via ma potete fidarvi che, qualsiasi decidete di scegliere non vi lascerà scontenti.

In questo periodo i pastori sono saliti con i loro greggi e non è difficile incontrare Pecore, Capre e Mucche, quest’ultime sempre molto protette dai Tori, muscolosi e attenti, ai quali è bene non rompere le scatole.

Io vado a riposare ora, voi aspettatemi per la prossima escursione.

Un bacio verdeggiante a voi.

Il Sentiero della Castagna e il Passo dei Fascisti

Prendendo la strada che, dopo Molini di Triora, sale a Colle Melosa si arriva ad un certo punto dove un piccolo prato ti obbliga a fermarti.

Da qui si gode infatti di una bellissima vista che regala i profili dei nostri monti da una parte e fasce pianeggianti dall’altra.

O meglio, unisce la Valle Nervia alla Valle Argentina in un solo sguardo.

Le montagne a Est si riconoscono bene: i Balconi di Cima Marta, il Monte Saccarello, Rocca Barbone più in basso, il Colle del Garezzo con il suo tunnel… i sentieri, conosciuti come “i Sentieri degli Alpini”, si srotolano davanti ai nostri occhi mostrando una bellezza mozzafiato e il cielo esalta, nel contrasto, le vette di queste montagne sulle quali si è sviluppata la storia del nostro passato.

Al di là del prato, invece, il territorio appare come più morbido offrendo, prima dei lontani monti francesi, terrazze erbose e curve dolci.

Da qui, inoltre, passa il sentiero che arriva a Cetta, il protagonista di questo post, un tempo molto usato da chi, a piedi, raccoglieva legna o frutti selvatici da portare a vendere e il nome, “Sentiero della Castagna”, che lo contraddistingue, indica proprio la raccolta di questi doni, dei quali la Valle Argentina è ricca, che hanno sfamato per molti anni le generazioni che furono.

Si tratta di un sentiero che, proprio attraverso la frazione di Cetta, unisce le due Valli da Castelvittorio (Val Nervia) a Molini di Triora (Valle Argentina). Un cammino usato già dal 1200. Come vi ho detto, siamo un punto toccato da questo percorso ma, proprio da qui, volendo, si possono iniziare passeggiate più brevi e meravigliose in mezzo alla natura arrivando appunto a Cetta o a Palazzo del Maggiore.

Il fatto è che, durante la guerra, e mi riferisco alla Seconda Guerra Mondiale, non si poteva passare da questo punto strategico liberi e inosservati.

Il prato, nel quale oggi sorge un’edicola dedicata alla Madonna, era zona di controllo presidiata dai fascisti, per questo, ancora oggi, lo si conosce come il “Passo dei Fascisti”.

La testimonianza che ne è rimasta è una costruzione, semi distrutta, all’interno della quale i nazisti controllavano cosa si trasportava e facevano pagare un dazio. Una specie di cabina di Dogana, costruita in cemento e a forma di cubo con tanto di feritoia per sparare o osservare senza essere visti.

Siamo su un punto della Valle che ha visto il passaggio di molti partigiani e molti tedeschi. L’apertura permetteva gran visibilità ma il bosco adiacente, di castagni in basso e conifere in alto, dava la possibilità a tutti di nascondersi. Alla sua destra e alla sua sinistra, le due conche furono teatri di molti atti sanguinari, di fughe, di nascondigli ed era una cosa normale, seppur spaventosa, sentir riecheggiare nei due valloni parecchi spari ogni giorno.

Il cielo, oggi terso e sfondo di una natura splendida e di catene alpine assai suggestive, era a quel tempo disturbato e trafficato da aerei che sganciavano bombe senza pietà.

Chi passava di qui, quindi, come vi stavo raccontando, doveva pagare e se non aveva soldi poteva lasciare la merce recuperata nel sottobosco.

Il vero nome di questo Passo non lo conosco ma, come vi ho detto, è sempre stato chiamato così per ciò che è servito.

La piccola cappelletta è alla base di un breve sentiero in salita, che porta sulla cima di una montagnetta dalla quale la vista si apre ulteriormente e lo sguardo si spalanca sull’infinito.

Avete visto topi come, ogni giorno, se ne scopre una su questa splendida Valle sia dal punto di vista della natura che da quello storico? Oggi vi ho portato qui, in questo luogo che metteva timore, pericoloso anche per i fuggiaschi. Un luogo che, per un lungo periodo, non fu nostro.

Un bacio a voi e ai vostri ricordi.

Tutti insieme sul trattore!

Il mio amore per la natura sono riuscita a trasmetterlo anche ai miei topini. Quello che ancora non sono riuscita a fare è insegnargli ad apprezzare anche la pace che può regalare la natura.

Questo significa che, quando desidero godermi un po’ di quiete ascoltando solo il ronzio delle api o il fusciare di una lucertolina, davanti a un bel libro o semplicemente spaparanzata sull’erba, una vocina stridula penetra nelle mie orecchie come un piccolo martello pneumatico: “Mi annoio, mamma, mi annoio!”.

Premetto, onde evitare inutili telefonate al topotelefono azzurro, che, prima di annegare in una lettura o buttarmi supina sul prato, gioco, corro, canto, insegno molte cose, faccio capriole per tutta la giornata.

A quel punto, avrei bisogno di un tiramisù, mentre a loro non farebbe effetto nemmeno un gas soporifero.

“Cerca le formichine e contale!”, suggerisco.

Arriva l’altra topina: “Cosa posso fare?”

“Fai le torte con la sabbia e le foglioline di menta”, rispondo.

Ora, io dico: com’è che io da piccola stavo ore e ore a fare ‘ste torte, mentre i giovanissimi d’oggi ti guardano con quel punto interrogativo sulla testa come a dire: “Ma sei s…..?” (ok, non lo dico)

“Topino, insegna a topina i nomi delle piante”

“Guarda: una coccinella! Esprimi un desiderio che duri almeno un’ora, così si avvera!”

“Lanciate le prugne a papà!”

“Costruisci una diga nel torrente”

Niente. Nulla li distrae, se non lo stare a guardarmi imperterriti mentre cerco di rilassarmi. Mi fissano con quell’espressione che non mi fa sentire solo cattiva, ma anche pessima. Come se loro non bastassero, si ci mettono anche gli altri amori, toponipotini.

“Vieni zia! Guarda zia! Senti zia! Zia, zia, zia!”

Bene. Basta, ho capito: mi alzo.

Devo trovare una soluzione a tutti i costi, quel praticello di margheritine mi sta aspettando. Nella piscina gonfiabile sono già andati.  Non hanno più voglia di fare il pane con la farina, e di rincorrersi… ancora meno. E allora?

E allora urge l’intervento di topononno, che arriva accompagnato dalla colonna sonora di A-Team. Tanananà, ta-na-nààà. Brum… brum… ha messo in moto, ma… che cosa? Il trattore con il cassone! E allora tutti a bordo, in giro per la campagna! Ai piccoli si illuminano gli occhi. Il nonno si sente il “number one” della situazione e io, ora, posso godermi la mia pausa di riflessione!

E, quando nonno chiama, partono proprio tutti, con cani al seguito.

E voi, ci siete mai andati su un trattore? Io ci sono nata. Ero sempre infilata nel cassone di un trattore o di un motocarro e persino quando mi sono sposata ho fatto il giro del paese su un bellissimo trattore! Quanti ricordi! E’ un bellissimo mezzo di trasporto.

Un bacio finalmente rilassato dalla vostra Pigmy.

M.

Giochi di un tempo

Eh! Topini… nella mia valle non si scherza mica! Quando d’estate ci sono delle sagre o delle feste, si fanno le cose in grande, organizzando addirittura tanti tanti, giochi per i piccoli topini. Loro, vengono prima di tutto.

E quindi si mangia, si beve, si canta, si suona ma poi si gioca! Si gioca a più non posso! E, ovviamente, non si utilizzano i giochi moderni e tecnologici di adesso… no, no. Tutto ritorna come un tempo dove il pallone è l’indiscusso protagonista ma il divertimento lo si ha anche cercando di colpire colorati birilli o tirando un cerchio intorno al collo di una bottiglia. Si può anche riempire un secchio d’acqua, a furia di mestolate, correndo con il cucchiaio pieno cercando di perdere meno acqua possibile e, sempre con il cucchiaio ma questa volta in bocca, si deve trasportare un uovo senza naturalmente farlo volare giù. E poi c’è il gioco del fazzoletto e il gioco dei mimi, ma ditemi, quanti di voi non hanno mai partecipato a una sana corsa nei sacchi o ad un, spesso dolorosissimo, tiro alla fune?

I topini di adesso, inoltre, sono un pò com’eravamo noi una volta sapete? Io vedo che si divertono un mondo in quei momenti e non pensano davvero ad altro! E allora mi vengono in mente le mie giornate estive passate ad Andagna quand’ero una piccola topina anch’io.

Mi ricordo quando dovevo fasciare l’amica di turno con la carta igienica il più veloce possibile. La mia compagna poi, trasformata completamente in una mummia, doveva di corsa andare dall’altra parte del palco o del giardino, saltellando a gambe tese e cercando di accaparrarsi la vittoria ma, correre con le braccia e le gambe legate non era per niente semplice! E c’era chi cadeva, chi andava completamente dalla parte opposta e allora, quante risate!

Poi c’era il gioco più romantico di tutti. Quello della mela. La famosa mela da tenere sotto il mento con le braccia legate, e il topino che ritenevi più carino fra tutti, se decideva di giocare in coppia con te, doveva portarti via il frutto (proibito!) utilizzando solo la forza del suo collo.

Ah! Ricordo bene quando nella testa partiva immediatamente la colonna sonora “Reality” del film: – Il tempo delle mele -. Che emozione!

E insomma, ora che è giunta l’estate bisognerebbe proprio approfittarne. In fondo basta un prato, un pò di spazio e via! Di divertimento ce n’è per tutti, perchè anche per chi rimane solo a guardare, ci sono un mucchio di risate da fare!

Beh… insomma… tanti giochi a tutti! La vostra Pigmy.

M.