La vipera: il terrore della Valle Argentina

Non sono mai riuscita a fotografarne una, quindi posterò questa foto di qualcuno più bravo di me (comune.challand-st-victor.ao.it).

Oggi gli ovidiofobici mi odieranno, ma è anche lei un animale e vive nella mia Valle. State tranquilli, non può uscire da questo schermo.

In questo periodo, quando il sole inizia a scaldare, lei comincia a far paura. I cercatori di funghi si procurano lunghi bastoni, i cacciatori appendono campane ai collari dei cani e le nonne impediscono categoricamente ai nipotini di sedersi su massi o rocce dove spesso la vipera si apposta a riscaldarsi. Queste sono tutte utilissime precauzioni, fatele, ma non siate fobici.

Ebbene, credetemi, non è così pericolosa. E’ velenosa, questo sì, al contrario della sua cugina biscia per nulla mordace. Ma ciò che la fa scattare è la paura. Solo la paura. La vipera non attacca mai per uccidere, solo per difendersi. Sarà lei per prima a scappare (non posso dire a gambe levate), quando vi vede. Solitamente, infatti, gli attacchi da parte di questi rettili avvengono quando si alza il sasso dove loro erano sotto rintanati (cosa da non fare mai), o quando gli si pesta la coda. Possiamo, forse, dargli torto? Gli rompiamo la casa o gli buttiamo addosso 60 chili di roba, quando va bene, vorrei un po’ vedere. Cos’altro potrebbe fare lei, a quel punto? Lo so, vi posso sembrare fuori di testa, ma credetemi, alcuni esagerano davvero.

Da maggio a settembre in montagna non si va più, categoricamente. Suvvia, mi sembra davvero troppo! Cosa dovrei dire, io, che sono il suo cibo preferito? Voglio però darvi alcuni consigli che, a loro volta, mi sono stati regalati da Guido Lombardi e Francesco Bianco, due grandi studiosi della natura e soprattutto di rettili. Allora, innanzi tutto non è sempre una vipera quello che vedete strisciare. La vipera ha, per prima cosa, una testa dalla forma triangolare che alla base è molto più larga del “collo” (e voi ora direte, “eh sì, perchè mò io guardo se ha la testa triangolare o quadrata prima e poi…scappo!”), ma insomma, non potete mica star lì ad aver paura di tutto ciò che striscia? Fatemi finire. In secondo luogo, la vipera ha delle squame, più o meno frammentate, rispetto agli altri serpentelli, che sono più lisci diciamo. Rispetto ai nostri comuni rettili, ha una pupilla allungata, ma se siamo in un bosco, cosa possiamo notare istantaneamente? La coda. La vipera ha una coda troncata. Più tozza degli altri. E poi, la vipera, è un animale piuttosto pigro, vile e se vogliamo stupido. Stupido nel senso che, con la potente arma che ha, potrebbe far razzia di esseri umani, ma come vi ho già detto il veleno è usato solo per la difesa o per cibarsi. E, credetemi, è talmente paurosa, da riuscire a stare giorni senza mangiare, se non si sente tranquilla di poter uscire dalla sua tana. Sappiate, inoltre, che una vipera non scapperà mai velocemente, in un batter d’occhio, provocando un rumore secco e di breve durata. La vipera è più lenta, il suo strisciare è continuo, ma quando sentirete questo rumore, vuol dire che essa è già in fuga.

Ma veniamo al caso in cui, sfortunatamente, dovessimo subire un suo morso. Allora, parliamo della Liguria e delle sue vipere (la vipera dal corno, la più pericolosa, vive ai confini nord-orientali dell’Italia e quindi, non nella mia Valle). Comunque, intorno agli anni ’80, in Liguria si sono registrati 249 morsi di vipera e 1 solo decesso. Oggi, i morsicati sono un numero maggiore, ma i decessi sempre meno rispetto a un tempo e questo vale per tutto il territorio nazionale. Ebbene, per uccidere un uomo di circa 60kg, in ottimo stato di salute, sembrerebbe occorrano 15mg di veleno. La vipera più comune, quella dell’Orsini, in un morso ne inietta 5mg (pensate che per uccidere un topolino ne bastano 2 mg!). Può comunque procurare seri danni e non è da sottovalutare. Una vipera, dopo il soffio avvertitore, attacca per mordere, ma arriva fino a 25-30 cm si slancio e non oltre. E non salta! Solo in discesa, in “corsa”, può compiere dei balzi per la forza di gravità.

E ora, dopo il morso, cercate di mantenere la calma più che potete. Colpisce sul sistema nervoso, se in più voi vi agitate, i vostri neuroni impazziscono di sicuro. State tranquilli e se è possibile, sdraiatevi supini con la testa leggermente sollevata. Guardate il morso. Se ha due punti ben distinti, distanti tra loro circa un cm e con altri due microscopici puntiti di fianco, è una vipera. Se avete una serie di puntini messi a semicerchio invece, è un semplice e innocuo colubride, quindi non dovete nemmeno preoccuparvi. Legate senza stringere esageratamente, con qualunque cosa, la parte colpita, a monte della ferita. Tagliate, con quello che potete trovare di tagliente tutte e due le incisioni dei denti con una specie di X. Tagliate abbastanza in profondità e fate uscire più sangue che potete. Lavatevi, se è possibile, sotto acqua corrente. Il veleno è solubile in acqua, se invece usate altri componenti potrebbe formare sostanze tossiche, quindi niente disinfettanti. A questo punto legate con un altro laccio ancora più a monte del primo e sciogliete il primo fatto. Quest’ultimo procedimento va fatto ogni venti minuti circa per non causare la morte dell’arto. E’ ovvio che a questo punto, dovete già correre verso il primo Pronto Soccorso e, se potete, non andate mai in montagna da soli. Sarà inoltre tutto molto più semplice se portate con voi il siero anti-veleno. Lo potete comprare. Comunque, topi miei, se proprio lo volete sapere, la vipera è un po’ orba, non è vero che ipnotizza i malcapitati, non è vero che è più veloce di voi, non è vero che vi aspetta in agguato sugli alberi per lanciarsi sulle vostre teste. E’ sorda e soprattutto non è cattiva.

Detto questo, l’ultimo consiglio che vi do è: godetevi la montagna. Abbiate solo rispetto nel non andare a curiosare dove non dovete e guardate bene dove mettete le zampe.

Vi abbraccio! Anzi…. vi mordo!

M.

Incompresa Edera

Oggi topini vi porto a conoscere meglio una mia amica. La mia amica è una pianta e si chiama Edera.

So che tanti di voi in questo momento staranno dicendo – Bleah! L’Edera… che banalità, e che pianta fastidiosa! Infestante! -. Oh! Topi cari, e si sbagliaste a pensare così? Lasciatemi spiegare.

Innanzi tutto, lo sapete che di Edera, come anche di altre piante, c’è il maschio e la femmina? Ebbene, per chi ancora non lo sapesse posso dire che la foglia maschio è quella dalla forma più triangolare, mentre la femmina ha la classica foglia a forma di cuore. Ecco! E già vi vedo a pensare qual’è la marrana o il marrano che si stà arrampicando sul muretto di casa vostra senza lasciarvi tregua. Ma cari, siete voi (no, non voi topini, ma voi esseri umani) che l’avete voluta! Scusate eh? Per “abbellire” le dimore, ma dovete prendervi il bello e il brutto di lei. Quella cresce, non sente ragioni!

Mi sto ovviamente rivolgendo a chi ne parla male senza ragionare che l’Edera non è certo una pianta da città. E si, è l’uomo che la sfruttata per decorare il proprio territorio, ma questa fantastica pianta in realtà, secondo me, ha un compito ben preciso che non è quello di rispondere all’estetica di chi non sa nemmeno poi come mantenerla. Credetemi, ho sentito davvero tante lamentele su di lei e un pò mi spiace.

Ma torniamo al suo “mestiere”. Ebbene, non ci crederete ma stiamo parlando di una delle piante più importanti in natura! E’ la pianta per eccellenza della vita! Dell’amore trascendentale. E’ una pianta terapeuta, è anche il Pronto Soccorso del bosco! No, non mi sono ammattita. Statemi a sentire e rispondete.

In un habitat perfetto come è il bosco, o la foresta, voi tutti sapete che l’Edera è ovunque giusto? Sbagliato. Osservate bene. E’ davvero ovunque? No. Se riuscite a guardare e osservare attentamente quanto è fantastica la natura, noterete che le piante sane, robuste, giovani e piene di vigore non hanno l’Edera attaccata a sé. Controllate, quando vedete un albero che pare soffocare dall’Edera che ha aggrappata a sé, che tipo di albero è. Cercate di ricordare se, per qualsiasi ragione, quell’albero ha potuto soffrire, ad esempio per un freddo troppo intenso, controllate anche il suolo nel quale è piantato. Vi accorgerete che, quella pianta, sta in realtà soffrendo, per un motivo o per l’altro. Sta soffrendo perchè è secca, è malata, è malnutrita, oppure le sue radici hanno subito un trauma dovuto ad uno smottamento del terreno. Ecco in questo caso giungere l’Edera e circondare sempre di più quell’albero sofferente, sempre di più. Perchè? Perchè vuole salvarla. Vuole sostenerla. Le sta dicendo, “Non ti preoccupare ci sono io a tenerti su!“. Non vi sembra?

Ora lasciamo perdere quella coltivata. Io parlo di funzione naturale. Di come si muove la natura senza la presenza o il volere dell’uomo.

E lo sapete cosa fa l’Edera una volta finito il suo compito? Si lascia morire. Il suo lavoro è terminato. Così come è arrivata, con altrettanto silenzio, se ne va.

Si topi, è così che funziona. Non è meraviglioso? State ancora detestando questa pianta come prima ora che sapete per che cosa vive? Ora che conoscete meglio la sua missione? Il suo unico scopo?

Vi dirò di più. A circondare l’albero che sta poco bene è solitamente l’Edera maschio. Pensate, così come accade anche nella stragrande maggioranza degli esseri viventi, colui che fa, che agisce è il maschio. La femmina è quella che pensa, che ragiona, che studia. Il braccio e la mente insomma. L’unione perfetta per salvaguardare un ambiente perfetto come il bosco. Molto più semplici degli umani, meno complicati, compiono solo il loro dovere.

E poi c’è un’altra cosa che devo dirvi. Avete presente quelle colonnine che si trovano solitamente nei sentieri montani con dentro le statuette della Madonna? Nella mia Valle, come sapete, ce ne sono tantissime. Ebbene non si sa ne’ il come, ne’ il perchè ma l’Edera che si arrampica su queste cappellette non ricopre la statua della Vergine. A volte, guardandole, mi è venuto da chiedermi “ma chi è che si prende il disturbo di venir fin qua a tagliare l’Edera che va davanti alla Madonnina lasciando quella intorno all’edicola?“. E invece no. Non la taglia nessuno, è la stessa pianta che non va sulla figura. A ciò, pare non esserci nessuna spiegazione scientifica. Mistero della natura, dell’Universo. Semplicemente uno dei tanti. Ma fateci caso, è proprio così.

L’Edera, che avvolge ogni cosa, persino le rocce che stanno per franare, non si permette di andare dove non deve. Trattiene le pietre ma non manca di rispetto a nulla. Non mi è mai capitato di vedere la Vergine Maria soffocata e aggrovigliata da un ciuffo di questo rampicante.

Detto questo, direi che dobbiamo davvero fare un inchino di ringraziamento all’Edera. Lei che se ne sta lì, nell’ombra e nell’umidità, pronta a salvare chi ne ha bisogno.

Lei che, come dice la leggenda, ha protetto Dioniso: Zeus, con una saetta, diede fuoco al corpo della madre di Dioniso e, l’Edera, sopraggiunse ad avvolgere quella donna in fiamme per difendere dal rogo il suo piccolo. Un piccolo bambino che divenne il Dio dell’innocenza, della spensieratezza, dell’amore ed è rappresentato sempre da un ramoscello di Edera. Prima di divenire Dio dell’estasi e del vino era infatti considerato “la linfa che scorre nelle piante”.

In India, l’Edera, è considerata il simbolo della concupiscenza, in Oriente dell’immortalità, in Europa della passione… lo diceva anche Nilla Pizzi e grazie al suo essere sempreverde è, perchè no, anche una pianta davvero simpatica.

Allora topini, cosa ne dite? Vi piace un pò di più questa pianta? Siete riusciti ad andare oltre a quello che solitamente rappresenta, per i più cittadini, ciò che siamo abituati a vedere di lei? Spero di si e ci sarebbero altre mille e mille cose da dire a suo proposito, perchè credetemi, ogni essere vivente, come anche una semplice pianta, è un mondo a sé. Ha un’intelligenza, uno spirito di adattamento, uno scopo ma soprattutto ha una vita.

Vi avvinghio calorosamente, la vostra Pigmy.

M.

Un incidente inaspettato

Per fortuna sono una topolina che ha tanti amici e tante persone che le vogliono bene. Tra tutte queste conoscenze, però, due topine della mia età sono quelle che si definiscono compagne d’avventure e sono proprio loro a partecipare alle vicende che la vita mi regala di tanto in tanto per non farmi annoiare. Una, come avrete già letto, è stata mia complice nel post “Altro che Halloween!” e non solo, l’altra, invece, sarà protagonista in questo post. Prima, però, devo comunicarvi una particolarità di questa mia amica. Dovete sapere che lei non ha mai, e dico mai, voglia di uscire. Se ci vediamo, è perchè io vado da lei, altrimenti è rarissimo vederla al mio mulino. È una persona che ama la sua tana, la sua campagna, i suoi animali e di andare fuori, in un locale, non gliene frega niente. Anch’io sono come lei, ma più malleabile. Spesso, infatti, mi capita di uscire a cena con un topo-parente o con i topini, alla ricerca di un locale che si differenzia un po’ dai soliti. Ebbene, non ci potevo credere, ma quella sera c’ero riuscita: l’avevo convinta ad andare a bere qualcosa fuori. Un after dinner come ai vecchi tempi, come quando eravamo, sigh, giovani. Una Caipiroska alla fragola, un Margarita, quelle cose alcoliche che bevi due volte l’anno in una piacevole serata tra amici. Dopo mille «Ti prego!» accettò. Non potevo crederci. Alle 21:30 dalla vecchia quercia e poi saremmo andate. Che bello!

Prendemmo il fuoristrada e non la vecchia 500, che è proprio carinissima ma… be’, ve lo spiego dopo.

Salimmo in macchina con lo spirito giusto e la voglia di divertirci davvero. Io e la mia amica, da brave comari, iniziammo a spettegolare del più e del meno.

Avremmo dovuto percorrere un chilometro, forse meno.

Imboccammo la Strada Aurelia, la più larga, la più dritta, quella che collega i vari paesi della costa ligure.

Semaforo rosso.

Ci fermammo. Eravamo in coda, quarti di una fila di macchine.

A un certo punto sentimmo un boato, uno scoppio, un rumore fortissimo, non so nemmeno io come definirlo.

Un attimo di buio. Un attimo di silenzio. Un attimo della vita che mi mancò, che è come se non avessi vissuto.

Poi, guardai lei, la mia amica. Era strana, era… era più alta. No, non lo era, ma non era lì prima… Prima, mi guardava dritto negli occhi ora…

beeeeeeeeeeep, beeeeeeep, beeeeeeeeep….

Che frastuono! Ma cos’era?!

Intorno a me, di colpo, la stessa frase ripetuta più volte da voci diverse e da me stessa «Cos’è successo?», «Cos’è successo?», «Cos’è successo?»

E poi: «È scoppiata una bomba?», «Un palazzo? Una bombola del gas?», «No», «Sì», «No», «Sì».

….beeeeeeeep, beeeeeeep, beeeeeeeep….

È un clacson! Sì, è un clacson!

Ci riuscì il fidanzato della mia amica: «Ci hanno tamponato!».

Era così. Un pazzo furioso, a non so quanti chilometri all’ora, aveva picchiato dietro di noi con una potenza incredibile, così potente da sollevarci, fortunatamente, data l’altezza del fuoristrada e a non schiacciarci come sardine.

Si era infilato sotto di noi, incastrandosi nel motore. Scendemmo fuori dall’auto dopo esserci chiesti l’un l’altro come stessimo. Tutto sommato siamo stati molto fortunati, qualche ammaccatura qua e là, il collo, la schiena, l’anca, ognuno di noi aveva le sue. Nessun dolore all’inizio, quello è giunto il giorno dopo, tremendo. Il pazzo, invece, stava blaterando qualcosa con la faccia spiaccicata contro l’airbag, un rigolo di sangue che gli colava dal naso. L’odore di alcool intorno a lui era impressionante.

L’impatto fu così violento che la nostra auto picchiò contro la terza, la terza contro la seconda, la seconda contro la prima e, pensate, la prima andò a finire nel bel bezzo dell’incrocio! Meno male che nessuno arrivava dall’altra parte, essendoci il verde.

In tutto 12 persone coinvolte. Nell’urto, persi i miei occhiali, non li trovavo più. Al loro posto c’erano due cerchi rossi intorno agli occhi che divennero, via via che il tempo passava, viola, verdi, gialli, grigi.

Intorno a me non vedevo nulla, solo gli aloni delle luci blu lampeggianti di ambulanze e polizia e sentivo il vociare delle persone delle quattro macchine coinvolte.

Le forze dell’ordine e i medici accorsi non sapevano darsi una spiegazione. Ma la parte più bella è che il nostro tamponatore davanti a noi recitò. Fu il terzo e ultimo atto all’ospedale in cui venimmo a sapere che, al momento dell’incidente, era sotto l’uso di alcool e stupefacenti, dove sostituì le sue urine con l’acqua del rubinetto del bagno e dove sfotteva le infermiere cercando probabilmente di conquistarle. Gli avevano tolto la patente già quattro volte, questa era la quinta esperienza della sua vita nella quale aveva rischiato di uccidere o fare parecchio male a qualcuno.

Noi ci siamo salvati grazie all’altezza della nostra auto, se fossimo andati con la 500 della mia amica non sare stata qui a raccontare la nostra (dis)avventura. Buttammo via il fuoristrada. era irrecuperabile. L’ultima visione che ho di quell’uomo, è di lui che corre fuori dal pronto soccorso con i poliziotti dietro, al suo inseguimento, proprio come accade nei film.

Eravamo tutti allibiti. Avevamo preso una botta tremenda, ma eravamo vivi e non ci sembrava vero.

Eravamo fermi a un semaforo e ci siam trovati in ospedale. Eravamo seduti in auto e poco dopo in radiografia.

Eramo tranquilli e… e ora chi la convince la mia amica a uscire di nuovo?

M.