Il Ponte di Glori tra abbracci silenziosi

I raggi del sole tardano a scaldare in questa mattina di febbraio e la brina, sulle piccole foglie dall’animo placido, può donare il suo abbraccio più a lungo.

Ne ricopre i bordi, disegnando asterischi ghiacciati che creano un contrasto con il colore della natura ancora addormentata.

L’erba è schiacciata dal gelo come perduta, in realtà a riposo.

Cammino per questo piccolo sentiero indicatomi da una vecchia casa abbandonata a bordo strada e continuo a guardare quella bellezza che scricchiola sotto alle mie zampe. E’ proprio vero che la meraviglia si nasconde nelle piccole cose.

Starei ore, incantata, ad osservare quei bianchi e freddi fiocchetti ricoprire ancora tutto il mio mondo e so di avere poco tempo anche se il sole non si è ancora alzato nel cielo.

Il sentiero è davvero breve e pulito. Mi condurrà a un ponte conosciuto come “Il Ponte di Glori” perché si trova proprio sotto a questo paese del quale vi parlai qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2012/03/25/glori-un-mucchietto-di-case/

Il barego (casone-rudere) è appena prima questo ponte che sto cercando. E’ fatto completamente in pietra e, al posto di porta e finestre, ora ha delle aperture che permettono di vederne il nudo interno.

Mi trovo per la strada che sale per la Valle conosciuta come “la strada di sotto”, cioè la via che sarebbe dovuta essere ricoperta dalla diga non più realizzata. Questa vecchia struttura la si vede molto bene sotto strada, a sinistra (salendo).

La natura si è impossessata di lei dentro e attorno.

Mentre la guardo posso già sentire lo scrosciare dell’acqua poco distante da me. E’ potente e la sua voce riecheggia colpendo le alte rocce che formano il canale del suo passaggio.

Sono rocce lisce alcune, altre ruvide mostrano strie in rilievo. Sono grigio chiaro, a tratti ricoperte da un muschio che mostra varie tonalità di verde.

Anche quello di questa tenera erbetta minuscola, che sembra una moquette, mi pare un abbraccio stretto verso quelle grandi pietre.

In certi punti, le rocce, formano dei veri muraglioni ed è proprio nel punto in cui tali pareti si alzano molto che sorge il ponte.

Posso già intravedere, tra la vegetazione, il suo esserci e gli spruzzi bianchi dell’acqua sotto di lui.

Sul ponte non ci sono muretti a protezione e nemmeno staccionate.

Occorre non sporgersi troppo, è abbastanza altino e sotto scorre il Torrente Argentina in tutto il suo splendore scontrando i massi e formando pozze dove Trote e Gamberi di Fiume trovano dimora.

Sembrano lagune in miniatura. Quanta vita celano là sotto.

E’ possibile passare su questa antica costruzione e raggiungere l’altra parte che mostra un altro sentiero ma permette di raggiungere anche scogli enormi dai quali si ha una bella vista sull’intero arco in pietra che forma quello che oggi voglio ammirare.

In realtà gli archi sono due ma uno è più piccolo, da un lato. L’altro invece, sostiene l’intera struttura centrale.

Il fiume scorre veloce ma attorno al ponte la natura è quieta.

Nonostante la fredda stagione, qualche piccolo accenno di primavera prova a spuntare e, ora che il sole si è alzato e batte forte su quelle rocce, si sta d’incanto.

Tenere e minute foglie dal verde sgargiante spiccano in mezzo a quelle sfumature spente.

Solo gli alberi che racchiudono il percorso offrono zone d’ombra ed è proprio qui, in questo piccolo boschetto, che noto l’abbraccio più bello che mi sia capitato di vedere oggi. Quello tra due alberi che sembrano ballare il tango. E con tanto di casquet!

Mi sposto per osservare quella realizzazione storica da un’altra prospettiva cercando di distogliere lo sguardo da quelle piante romantiche.

Si tratta di un ponte medievale che permetteva lunghe passeggiate sulle sponde opposte e sui monti. Monti che donavano lavoro ma anche frutti e la possibilità di costruire dimore che venivano realizzate in quella macchia.

E’ bellissimo stare qui. Seppur sono vicina alla strada che passa di sotto, per raggiungere da Taggia – Molini di Triora, non si sente volare una mosca e tutto offre un’atmosfera onirica.

Non sono in grado di affermare se questo ponte abbia bisogno di un intervento di restauro. Di certo, guardandolo dal di sotto, pare più solido e più in buone condizioni rispetto a molti altri. E’ facile confonderlo con quello di Agaggio, molto più antico e più malconcio, ma secondo le mie fonti, quello di Glori, è proprio questo.

Vi mando un abbraccio quindi, per restare in tema, anziché un bacio, e vi aspetto per il prossimo tour!

Al Santuario della Madonna della Montà tra dragoni e pipistrelli

Vi ho già parlato dei numerosi santuari sparsi nella mia Valle, ma ancora non vi ho fatto vedere lei, la Madonna della Montà, di una bellezza antica e austera, con le sue pietre poste l’una sull’altra ancora a vista. Al suo interno nasconde veri e propri tesori, entriamoci insieme, vi va?

 

Ci troviamo a Molini di Triora e con noi c’è Gianluca Ozenda a svelarci tutte – o quasi – le bellezze di questa chiesa.

La Madonna della Montà ha due entrate, rispettivamente l’una a destra, l’altra a sinistra, e ha tre navate. Le due porte di accesso rappresentano le due comunità religiose di Molini e Triora. Questo edificio religioso, infatti, rappresentava un tempo un punto di incontro per i fedeli dei due paesi, le feste si celebravano insieme, e la Madonna della Montà era la chiesa più importante del territorio molinese. Le due porte, ci spiega Gianluca, sono diverse tra loro. In effetti non è difficile notarne le differenze, a uno sguardo più attento. La porta rappresentante la comunità di Molini di Triora è spoglia di decorazioni, più semplice e dimessa, mentre quella dedicata a Triora è ornata, ha curve più armoniche e sinuose… questo perché si doveva sottolineare l’importanza che la città rivestiva in tutto il territorio e fino a Genova.

 

Le due comunità, a ogni modo, si riunivano alla Madonna della Montà per diverse celebrazioni religiose, tra le quali Gianluca cita quella delle Vergini, fissata intorno al 2 di novembre. In questa occasione, le giovani giravano intorno al santuario recitando preghiere.

Dicevamo che questa rappresentò la prima parrocchia di Molini, era un centro spirituale molto importante, ed è risalente al XIII secolo. Anche riguardo le sue navate laterali esiste una curiosità. Infatti, tra le due, esiste uno scarto di qualche centimetro: la navata di sinistra appare così leggermente più piccola di quella di destra. E’ un fatto strano, se si pensa a quanto ci tenessero, un tempo, alle proporzioni armoniche delle costruzioni religiose.

Veniamo, ora, alla vera perla di questo Santuario: il ciclo di affreschi rappresentato nel presbiterio.

Furono dipinti nel 1435 da Antonio da Monregale (Mondovì), conosciuto come “Il Dragone”. Topi, se ne legge anche la firma! Fu proprio tale sigillo apposto sull’opera a svelare agli storici dell’arte il mistero del Dragone. Il pittore, infatti, fu molto attivo nel basso Piemonte, tuttavia non firmava mai con il proprio nome, bensì con la piccola effige di un drago nero, caratteristica che gli valse l’appellativo di Dragone. Qui a Molini, invece, compare per la prima volta il suo vero nome per esteso, seguito dal simbolo con il quale l’artista era stato conosciuto. Questo permise agli studiosi di identificare, finalmente, il pittore.

firma Antonio da Monregale il Dragone

L’affresco fu scoperto nel 1918, pensate un po’! Prima di allora, infatti, restò segretamente celato dall’altare ligneo in stile barocco di cui vi parlerò tra poco, realizzato nel 1707. Per tutti questi anni, dunque, il dipinto è rimasto occultato, riemergendo definitivamente solo tre anni fa.

santuario madonna della montà molini di triora affresco

Ma eccovi svelato come accadde il ritrovamento di questo maestoso affresco. Un giorno l’Abate Allaria si trovava da solo nel santuario, intento a pregare. A un certo punto, un pipistrello entrò in chiesa e andò a infilarsi tra le volute dell’altare di legno che faceva da parete alla zona presbiteriale. L’Abate, allora, incuriosito dal comportamento della bestiolina, prese una scala e si arrampicò per vedere dove fosse andata a cacciarsi, poteva avere bisogno di aiuto… Una volta arrampicatosi fino in cima alla scala, con somma meraviglia, vide che dietro l’altare si trovava un dipinto meraviglioso. Di fatto, dunque, l’affresco del Dragone fu scoperto da un pipistrello! Ve lo dico sempre di non sottovalutare mai i poteri di noi animaletti, e questa ne è una prova. Dentro il campanile e il presbiterio del santuario vive ancora oggi una colonia di pipistrelli che sono diventati caratteristici di questo luogo, discendenti – così si dice – dello scopritore del dipinto e, per questo motivo, nessuno li scaccia. Se ne restano lì, a svolazzare tranquilli sopra il piccolo cimitero e nei dintorni in quello che è diventato il loro artistico regno.

campanile Santuario Madonna della Montà Molini di Triora pipistrelli

Torniamo, ora, agli affreschi. Nella parte alta si riconoscono i momenti della Crocefissione. Gianluca ci fa notare che i personaggi che prendono parte alla scena non sono stati rappresentati con gli abiti tipici dell’epoca in cui visse Gesù, ma con i costumi del tempo in cui fu realizzato il dipinto. Questo fa pensare che i volti fossero ritratti di persone realmente esistenti in quel periodo storico, tra le quali soprattutto nobili e personaggi influenti. I nomi dei mecenati del ciclo di affreschi, inoltre,  sono riportati insieme alla firma del pittore.

La parte bassa dell’affresco riporta i santi più importanti per la Valle Argentina, tra i quali Sant’Antonio Abate e San Giovanni Battista.

affresco Antonio da Monregale il Dragone - Santuario Madonna della Montà

Durante i restauri del tetto, fu abbattuta la volta di mattoni non originaria del santuario e ne è emerso un altro affresco, quello dell’Annunciazione.

E’ una chiesa ricca di tesori, ve lo dicevo!

L’altare di un tempo, che oggi è stato posizionato di fronte al presbiterio e al quale il fedele dà le spalle durante le celebrazioni, è stato intagliato nel legno di castagno, un albero importante per tutti gli abitanti della Valle.

altare ligneo Buscaglia Santuario Madonna della Montà

Fu progettato da Giobatta Borgogno, detto il Buscaglia. Era conosciuto con questo soprannome perché in dialetto ligure fare buscaglia significa “fare trucioli”, nomignolo che lo identificava con il suo mestiere, quindi! Giobatta, tuttavia, non vide mai montata la sua opera, poiché morì poco prima che l’altare venisse assemblato. Al centro, troviamo oggi una tela d’altare che è una copia dell’originale, dipinta da Giobatta il Gastaldi di Triora.

Il nostro tour del Santuario è quasi concluso, topi, ma prima devo farvi vedere altre due curiosità: l’Abelan Catainin (letteralmente, Zia Caterina), che altro non è che l’antica bara che veniva usata per i defunti, e l’accesso alla cripta situato dietro l’altare del Buscaglia.

 

Che dite, ve ne ho raccontate abbastanza, per oggi?

Dipingo un saluto per voi e vi do appuntamento alla prossima pipistrello-avventura!

La chiesa del Santo più festeggiato

Tempo fa quando vi ho parlato del santo che onorano e festeggiano a Taggia per quasi un mese intero, non vi ho fatto conoscere la sua chiesa, la  sua “casa”.

Sto parlando di colui che ormai tutti conoscete, San Benedetto Revelli.

Questa chiesa, che venne costruita nel 1452, si trova nella parte più antica del paese, vicino alla chiesa di Nostra Signora del Canneto, alla fine di Via Dalmazzo, la strada che inoltra alla Valle Argentina e che a piedi, un tempo, portava al paese più vicino, Badalucco.

Tanti sono stati i suoi scopi e i suoi rinnovamenti e le principali date si possono trovare sul cartello verde affisso subito fuori il portone di legno. Questo manifesto metallico recita così:

“Già prima sede della confraternita dei Bianchi, l’attuale struttura è frutto del voto fatto dalla Comunità di Taggia dopo la salvezza durante la guerra del 1625. L’Oratorio è stato ricostruito a partire dal 1645. Il grande altare è del 1733, ad opera di Giacomo Filippo Marvaldi “.

Vedete quante volte è stata cambiata e ristrutturata? La chiesa di San Benedetto al Colletto è piccola, intima. Il suo pavimento è un lastrone di pietra e cemento, le vecchiette se ne lamentano e pretendono una nuova ristrutturazione.

Se devo essere sincera, anche i muri interni ne avrebbero bisogno, nonostante l’antichità che si respira è comunque piacevole.

Tutt’intorno, nell’interno, la via crucis  è dipinta su quadretti dai colori sgargianti che spiccano sulle pallide pareti . Vicino all’altare, poi, un grande foglio di carta con sopra disegnato e colorato il santo rapisce per la sua particolarità. Un disegno uguale a questo, durante la festa in onore di San Benedetto, viene ricoperto da polveri colorate e semini. Le sfumature di tinte in rilievo lo rendono bellissimo e la processione di fedeli lo porta in giro per tutto il paese.

Fuori da questo santuario c’è, sempre dedicata al santo, una cappella con una statua che lo raffigura. Tiene in braccio il bambino Gesù e nella sua mano destra è stato posizionato un pezzo di canna di bambù, a ricordare il festeggiamento principale, quello dei “furgari“, pezzi di canna pieni di polvere da sparo con i quali si eseguono fontane di scintille ardenti, come piccoli fuochi d’artificio. Lui, infatti, ha salvato Taggia proprio facendo credere ai Saraceni che era già stata incendiata, appiccando finti roghi.

E’ una chiesa importante per i taggesi e mi sembrava giusto parlarvene. Spero abbia fatto piacere anche a voi. Nel mio post dedicato a San Benedetto Revelli, se vi va, potrete sapere tutto su questo personaggio.

Un abbraccio a tutti, Pigmy.

M.