L’Incidente del Junker JU 88 sopra Rocca Barbone

Cari Topi,

finalmente ritorno a scrivere, con immenso piacere, dei luoghi che amo e degli avvenimenti che li riguardano. Ho pensato di ricominciare con un post che da parecchio volevo pubblicare.

Tempo fa vi raccontai di un fatto eccezionale accaduto nella mia Valle il 28 giugno del 1942.

Da come avrete già capito dalla data siamo nel tempo della Seconda Guerra Mondiale e il fatto del quale vi raccontai qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/05/20/lincidente-aereo-contro-rocca-barbone-o-quasi/ tratta di un insolito incidente aereo avvenuto sopra la famosa Rocca Barbone; chiamata da noi della Valle Argentina – Rocca Barbun -.

A quel tempo scrissi un articolo in base ai racconti di un caro topoamico ma, col passar dei mesi, parlando con un altro topo della mia zona, venni a scoprire ulteriori precisazioni sull’accaduto.

Ricapitolando: un aeroplano, più precisamente un bombardiere bimotore ad ala bassa, siglato JUNKER JU 88, costruito dall’azienda tedesca Junkers GmbH intorno agli anni ’30, andò a schiantarsi sopra a Rocca Barbone, più o meno tra le falesie di Garlenda e del Cimonasso. Cioè contro la Catena Montuosa del Saccarello che abbraccia la fine della mia Valle.

Rocca Barbone, come già vi avevo spiegato, è un dente anomalo che cresce al di sotto dei crinali più alti di questo tratto della Liguria di Ponente.

Il pilota, convinto che la Rocca fosse l’ultima altezza da superare, non si accorse che, al di sopra di essa, altre montagne lo stavano attendendo e, ahimè, andò a schiantarsi proprio contro quei crinali impervi.

Il fatto è che vi raccontai che c’era appunto soltanto il pilota. Ebbene, non fu così! I membri dell’equipaggio erano ben quattro. Anzi… tre di sicuro, perché vennero trovati i loro corpi ma l’aereo era a quattro posti e difficilmente non venivano impegnati tutti in quei frangenti.

Questa testimonianza giunge proprio dalla gente di Realdo che si precipitò sul luogo dell’incidente individuando i tedeschi nemici ormai privi di vita.

Ma cosa accadde quando molte persone della Valle, oltre ai realdesi, si recarono in quel luogo? Accadde che – tutto quel materiale – non era certo da buttare via. Siamo in tempo di Guerra Topi, non dimenticatelo, ogni cosa poteva essere o poteva diventare una vera ricchezza.

Alcune parti del velivolo finirono (e ci sono tuttora) nel Museo della Resistenza di Costa (Carpasio) ma altre parti vennero prese e lavorate dalla povera gente che, con quelle, si costruì attrezzi e arnesi per la propria quotidianità.

Si tratta di materiale ottimo, lamiere difficili da trovare e se alcune parti di quell’aeroplano divennero delle porte, altre divennero coperchi per pentole.

Le pentole dei nostri nonni.

Non solo, all’interno di quell’abitacolo si trovarono anche diversi oggetti come: proiettili, sacche, lucchetti… e tutto poteva tornare utile a chi non aveva niente.

Mi sono sentita di precisare questo racconto perché è per noi della Valle davvero un fatto insolito e incredibile. Tenendo anche conto che i fatti riguardanti una Guerra lasciano sempre un gusto particolarmente amaro in bocca.

Ciò non toglie ch’io sia contenta di avervi potuto raccontare, in modo più preciso, questo fatto e per farlo ho utilizzato la splendida conoscenza di Francesco Barucchi che è anche il proprietario delle foto che vedete nell’articolo.

Un uomo che ringrazio tantissimo perché, sulla Valle Argentina, conosce davvero tanti avvenimenti e aneddoti inerenti soprattutto a un tempo che fu e che sarebbe un gran peccato andasse a finire nel dimenticatoio. Quindi tengo molto a questa amicizia.

Io, dopo avervi dato queste precisazioni, vi lascio le immagini da osservare perché vado a preparare un altro post per voi!

Alla prossima e vi prometto che il nuovo articolo parlerà di cose più allegre.

Uno squit bacio!

La foto del velivolo è stata presa da Wikipedia.

Accanto al Zimun per il Sentiero dei Piumisti

Il sentiero che facciamo oggi, chiamato “Sentiero dei Piumisti” è un anello che tocca la zona oltre il Bosco del Pellegrino, chiamata “I Cubi”, attraversa il Passo della Guardia, arriva al Ciotto de e Giaie per il Colle del Garezzo e poi scende, permettendoci di toccare U Zimun, Cà Botexina, Cà Gianca e tornare ai Cubi.

Naturalmente lo si può percorrere anche all’inverso, essendo appunto un anello, ma ora cerchiamo di vedere bene, tappa per tappa, questi luoghi magnifici che regala la mia Valle e che forse non avete ancora visto.

Oltrepasseremo ruscelli, saremo circondati da monti importanti, passeremo sotto a conifere di varie specie e noteremo come, questo bel percorso, non è assolutamente difficile o impervio e quindi adatto a tutti nel suo dolce saliscendi.

Innanzi tutto serve sapere che, in Valle, si chiama “I Cubi” quel luogo che, poco prima Passo della Guardia, è dotato di tavoli, panchine e barbecue per una sosta rilassante in mezzo alle montagne. Naturalmente quando non sono ricoperti di neve.

Da qui si parte verso il bivio Guardia/Collardente e, dalla Guardia, si prosegue per il Colle del Garezzo non senza prima lasciarci incantare dalla bellezza di Rocca Barbone, vestita di bianca bambagia, e che offre uno spettacolo meraviglioso.

All’incirca al di sotto del Monte Frontè, in un’apertura tra i monti chiamata Ciotto de e Giaie (Conca dei fiumi), si intravede un sentiero che scende lato mare e conduce a una montagnola tonda dal cocuzzolo fatto a fungo.

Si tratta di U Zimun (il Cimone) un piccolo monte che sovrasta il Poggio di Goina sotto di noi.

Prima di intraprendere questo cammino, che si srotola tra pascoli incontaminati, ora ricoperti di neve, è assolutamente doveroso fermarsi e osservare il panorama.

Dal Tunnel del Garezzo, che lo si distingue come un buco nero tra i monti, si possono riconoscere Cima dell’Ortica, Monte Bussana, Cima Donzella, il Passo della Mezzaluna e dietro di lui Pizzo Penna, Monte Arborea e Carmo dei Brocchi fino ad arrivare con lo sguardo al Monte Faudo che resta esattamente davanti al mare.

Spostandoci con gli occhi ancora un poco verso destra possiamo vedere anche Monte Bignone e il Monte Pellegrino del quale abbiamo toccato le pendici salendo.

Del secondo, possiamo distinguere chiaramente i molti alberi che lo ricoprono.

Dopo aver ammirato per bene quel panorama e aver goduto della presenza di Aquile, Camosci, Gracchi Alpini e Corvi Imperiali attorno a noi possiamo inoltrarci per il sentiero protagonista di questo articolo.

Intanto quei volatili e gli ungulati non si spostano.

Continuano a rimanerci attorno. E’ bellissimo.

Iniziamo a scendere quindi e giungiamo subito ad una piccola minuscola baita in pietra e legno, un rifugio privato con tanto di recinto in legno davvero caratteristico.

Lo sorpassiamo e continuiamo a scendere fino ad arrivare al Zimun che sembra un muffin ricoperto di zucchero a velo.

Svoltiamo a destra e proseguiamo per quella stradina ben delineata che, a tratti, taglia prati e radure per poi inserirsi tra rocce e radi boschetti di conifere.

Si toccano due Poggi ben conosciuti, prima Cà Botexina e poi Cà Gianca.

Durante il tragitto si passa nell’acqua fredda dei ruscelli e sotto ai grandi Abeti scuri che, di tanto in tanto, scrollano la neve dai loro rami aiutati dal vento.

Le loro fronde sono come affaticate.

Qui è tutto surreale. Verso i monti siamo protetti dalle pareti di terra e di roccia.

Par di essere dentro a un contenitore trasparente dall’atmosfera inimmaginabile.

La foschia tenta di abbassarsi con forza creando banchi spessi e, appoggiandosi alle creste che stiamo scavalcando, riesce bene nel suo intento.

Attorno, quindi, l’ambiente si fa bigio e affascinante, quasi mistico. Il silenzio è così assoluto da sembrare pesante.

Gli arbusti spogli sembrano scheletri che si stagliano tra le nubi basse, intenti in un’ascesa contemplativa verso il cielo.

In questo periodo dell’anno non ci sono fiori e nemmeno farfalle. Non ci sono colori e neanche rumori ma… quel mondo continua ad essere il mio mondo preferito. È assolutamente perfetto. È come deve essere. Sono in totale connessione con lui e mi sento io stessa natura.

Diverso gocce di neve sciolta si tuffano in picchiata verso il suolo.

Qualche secca spiga, colta di sorpresa da quei fiocchi di ghiaccio, è rimasta immobile come se per lei il tempo si fosse fermato e alcuni ciuffi d’erba sono gli unici a tingere, di un arancione bruciato, tutto quel perlato monotono.

Da qui si può vedere il sentiero del Garezzo sopra di noi.

Continuiamo accompagnati dal battito di quel cuore attutito da nebbia e ovatta. Tante le curve ma poche salite. Un sentiero semplice ma stupendo.

L’unico pezzo più a “rampa” è la fine, quando si giunge nuovamente ai Cubi e l’animo e pieno di gioia colta strada facendo.

Una passeggiata da fare e ricordare e che mi auguro vi sia piaciuta.

Vi mando un bacio tra la bruma ma vi giungerà.

Alla prossima Topi!

Dai Cubi al Garezzo sul manto nevoso

Con il termine “I Cubi”, in Valle Argentina, si intende la zona dal Passo della Guardia fornita di panche e tavoli atti a ricevere persone che hanno voglia di fare un bel pic nic godendo di un’atmosfera meravigliosa, immerse totalmente nella natura.

In questo periodo però è difficile poter godere di queste comodità, essendo ch’esse sono completamente ricoperte dalla neve.

Si prosegue pertanto, sopra a quel manto bianco, soffice e luccicante.

Si prosegue fino al Colle del Garezzo arrivando al Ciottu de e Giaie (Ciotto dei Torrenti).

Sembra di essere dentro ad una di quelle palle di vetro piene d’acqua, omini e puntini di polistirolo che si muovono dolci, se si scrolla quella sfera trasparente.

I rumori sono ovattati e sopra ogni cosa regna lei: la candida Signora.

Tutto ha un altro aspetto. Nuovo. Dalle sfumature cangianti.

I fruscii dei pezzi di neve ghiacciata che cadono dai rami diventano tonfi sordi al suolo.

Alcuni fili d’erba sono completamente immersi nel ghiaccio e, assieme all’acqua divenuta solida, formano strane figure bizzarre. Anche le gocce che cascano dai profili rocciosi sono adesso stalattiti fredde.

Rocca Barbone sembra il teatro di una fiaba. Il suo cappello è bianco e la severa falesia che la distingue appare ora ancora più aspra, colorata da quel grigio scura che risalta maggiormente.

Ancora pochi passi, percorro gli stessi metri fatti dai Camosci prima di me e posso godere di un panorama mozzafiato.

In primo piano vedo il Monte Pellegrino, meno imbiancato rispetto alle montagne alle quali do la schiena e, dietro di lui, si staglia davanti ad un mare color oro e azzurro Monte Bignone, solo e snello.

Zampetto per quella strada innevata senza sentire alcuna fatica, è tutto così bello che mi sento leggera come un piccolo insetto.

Il sole, prima dell’arrivo della foschia, scalda e brucia la mia coda ma è gradevole lasciarsi baciare da lui a quelle temperature.

Tutto è assolutamente bianco attorno a me. Alcuni riflessi azzurri delineano strane forme a terra.

Cumuli formati da neve, erba e vento sembrano il suolo di un altro pianeta e si immaginano extra-terrestri avanzare. Invece no, è sempre la mia splendida Valle Argentina che sa regalare scenari incantevoli e ogni volta diversi.

Sopra la mia testa volano indaffarati tantissimi Corvi Imperiali e Gracchi Alpini.

Sono così numerosi che mi par strano, tra loro, distinguere anche una coppia di aquile che subito si allontana.

Sono vivaci, forse affamati. Totalmente neri eppure riflettono così tanto la luce della Grande Stella da sembrar color argento.

Mi rendo conto di essere circondata anche da diversi Camosci.

Le mamme con i loro piccoli hanno formato un gruppetto che, tranquillo, si gode il sole su un prato bianco.

Alcuni invece passeggiano alla ricerca di cibo.

Altri ancora sbucano curiosi e un po’ impauriti dalle rocce e dai cespugli spogli mostrando a malapena il muso. 

E poi c’è chi sceglie comode postazioni per un riposino in totale relax, senza voler essere disturbato da nessuno. Davanti a me, intanto, si apre un nuovo scenario.

Il Poggio di Goina sovrastato da U Zimun (il Cimone) candido e tondo.

Dietro di loro, alla mia sinistra, lo splendore è dato da Alpi Liguri alle quali sono molto affezionata. Il noto Passo della Mezzaluna, completamente avvolto dal mantello immacolato, racchiuso tra Cima Donzella e Cima Arborea e, poco oltre quest’ultimo monte, l’adorato Carmo dei Brocchi. Alto, possente, austero e bianco anch’esso.

In mezzo al Passo svetta con un piglio di simpatica superbia persino Pizzo Penna.

Di fronte a me, dopo il Monte Faudo, una distesa azzurra e brillante indica il mare ed è impressionante vederlo da qui, stando con le zampe in mezzo alla neve, su questi alti monti.

Ora sono sotto al Monte Frontè.

Posso vedere la Madonna ricoperta dai fiocchi gelidi. Un forte contrasto con tutti quei pennuti neri, come il carbone, che le volano attorno.

Alcuni punti di questo tragitto possono risultare pericolosi in questo periodo dell’anno. Piccole o grandi slavine possono cogliere di sorpresa e alcuni pezzi di roccia possono spaccarsi e cadere nel vuoto. Occorre quindi evitare di stare sotto agli speroni di roccia e portarsi dove gli ambienti si aprono mostrando un territorio che gli occhi faticano a credere vero da tanto che è bello.

Le zampe scendono in quell’ovatta di 20 o 30 centimetri ed è bene avere un’attrezzatura adatta come scarponi e pantaloni impermeabili e ghette.

Si potrebbe anche ciaspolare ma non è così alta, ci si cammina dentro tranquillamente.

Le zampe fanno nuovi movimenti. È ovviamente diverso avanzare su questo terreno, meno stabile rispetto a quello estivo, ma è comunque piacevole.

Noto che anche il Gallo Forcello, del quale vedo le orme, la pensa come me. Dev’essersi divertito qua.

Era da parecchio che non vedevo il Colle del Garezzo con questo abito.

La neve, la vera protagonista, è bellissima, e riesce a far risplendere ulteriormente un mondo che già trovo affascinante di per sé.

Spero sia piaciuto anche a voi in questa sua nuova veste, così vi saluto sapendo di lasciarvi una graziosa visione.

Ma le mie avventure con la bianca Signora non sono finite qui. Aspettatemi perché ve ne racconterò e mostrerò delle altre.

Per adesso vi mando un bacio candido e vi aspetto per sgattaiolare ancora, assieme a voi, in diversi palcoscenici gelidi ma affascinanti della mia Valle.

Racconti da osservare nella forma delle rocce

Avete mai fatto caso a come ci parlano le rocce Topi? Sicuramente utilizzano uno dei linguaggi più antichi di Madre Terra.

Le rocce appaiono tutte uguali per chi non sa osservarle ma non è assolutamente così. Ognuna ha il suo passato, ha visto e vissuto cose, situazioni, persone. Alcune hanno assunto col tempo forme strane e certe sembrano persino avere una personalità. Ma venite con me, andiamo a vederle da vicino e proviamo a fare la loro conoscenza.

Occorre prima di tutto sapere che in Valle Argentina si incontrano prevalentemente l’Arenaria e l’Ardesia ma molte altre pietre e altri minerali formano questo angolo del pianeta e, tutti, sono qui da tanti tanti anni.

Qualcuna forma gigantesche e severe montagne, altre, più umili invece, ma utili anche loro, sono oggi rocche o piani o poggi.

Se si va al Pin e ci si inoltra verso la Foresta del Gerbonte, le rocce che si incontrano e ci sovrastano sono così grandi e austere da farci sentire piccoli come insetti. Tra di loro passa l’aria della nostra voce e non è difficile godere del fenomeno dell’eco.

Sono rocce vecchie, sagge, padronali. Vere e proprie montagne che si sono formate a causa dell’orogenesi che c’è stata tantissimi anni fa, più precisamente tra i 90 e i 40 milioni di anni fa.

Si tratta di rocce contenenti anche materiali oceanici, come molte altre d’altronde, e diversi fossili ancora presenti soprattutto nei calcari argillosi e sabbiosi.

Sono alte falesie che godono di una vista mozzafiato su tutta la parte dell’Alta Valle Argentina.

Ad incutere timore, visto il loro aspetto severo, sono anche le pareti del Monte Pietravecchia così alte e massicce che dal basso non si riesce a vedere la loro fine e sembra riescano a toccare il cielo.

Accarezzarle significa ascoltare una voce profonda che esce dal cuore della terra e dopo la meraviglia iniziale si china il capo colmi di rispetto.

Queste rocce così possenti sono molto diverse da quelle fatte a guglia del Monte Toraggio, meta ideale di Gracchi Alpini.

Impertinenti e affilate svettano verso l’alto col quel fare presuntuoso. Forse perché sanno di essere su un monte maestoso e amato da tutti.

Di lui ne formano anche il profilo del viso di un uomo che, se visto da lontano, pare addormentato. Briose come le farfalle e le cicale che gli svolazzano attorno.

Restando in questi paraggi e andando verso la Gola dell’Incisa, proprio di fianco ad una parete del Toraggio, non si possono non notare i Flysch cioè stratificazioni di rocce sedimentarie che formano delle linee indicanti le alternanze cicliche.

Sembrano serpenti in rilievo in un moto ondulatorio. Dal Passo della Guardia a Verdeggia esiste un sentiero chiamato proprio “Sentiero dei Flysch”.

Prima di Verdeggia, subito dopo il Ponte di Loreto, grandi rocce chiare sono usate anche come palestra di arrampicata, si tratta di una falesia soleggiata chiamata appunto “Rocce di Loreto” alta circa 700 mt. a strapiombo sul Torrente Argentina.

Si tratta di rocce che hanno visto molta disperazione. Il Ponte di Loreto, per molti anni il ponte più alto d’Europa, è stato teatro purtroppo di diversi suicidi e non oso immaginare ciò che queste rupi hanno vissuto.

Verso il Passo del Garezzo, dove alcune pietre danno i natali al Torrente in un punto chiamato “Ciotto dei Fiumi”, si percepisce più dolcezza. Il Muschio e il Capelvenere conferiscono loro morbidezza e colore.

L’umidità delle frizzanti goccioline rende quel tratto di strada più allegro e alcune pietre sono più arrotondate consumate dal passaggio dell’acqua.

In quei pressi ci sono rocce più piccole a dare protezione e regalare un habitat naturale ai Camosci.

Sorvolate dall’alto da Aquile, Nibbi e Gheppi offrono nascondiglio anche a diversi animaletti spesso prede dei nobili rapaci.

Queste rocce mostrano l’apertura della Valle in tutto il suo splendore e sembrano formare una cinta difensiva. Se quelle che abbiamo visto prima potevano ricordare Alpini e Partigiani, queste rivelano le giornate di Pastori e Commercianti.

Al Ciotto di San Lorenzo, invece, si incontrano massi bianchi dalla forma cubica che hanno una lunga vita da raccontare piena di vicissitudini e misteri che riguardano popoli antichi e persino streghe.

Su di loro venivano sacrificati animali e il loro essere tozze e quadrate permetteva la costruzione di ripari, tombe e altari.

C’è anche Rocca Barbone, il dente anomalo della Valle. Col suo fare solenne spunta prima della Catena del Saccarello e sembra voler dire alle montagne più alte dietro di lei << Non mi volete tra di voi? E io sto qui lo stesso! >>.

Sul suo cocuzzolo un bel prato è il giaciglio perfetto per Caprioli e diverse specie di uccellini. Le sue pareti sono nude e aspre ma la sommità è un verde tappeto.

E poi, ovviamente, non posso non ricordarvi della mia dolce e materna Nonna Desia, la mia antica e saggia Nonna in Ardesia, che spesso vi ha raccontato al posto mio storie arcaiche della Valle e anche adesso è qui con me.

Vero Nonna? << Scì me belu ratin >> (Si, mio bel topino).

Prima di concludere questo articolo, però, ho voglia di farvi vedere ancora una cosa particolare e cioè le forme bizzarre che a volte le rocce della Valle Argentina possono assumere.

Guardate queste immagini. A sinistra, una parte di roccia che forma il Poggio del Foresto, dopo il paese di Corte, sembra avere la forma di un rapace, mentre a destra, sotto al paese di Borniga un’altra roccia sembra una Cicala. Non lo trovate buffo?

E voi avete mai notato altre strane figure tra le montagne di questo luogo magico?

Aspetto le vostre foto e intanto sgattaiolo a prepararvi un altro articolo interessante.

Un bacio granitico tutto per voi!

L’incidente aereo contro Rocca Barbone… o quasi

Cari topi, oggi sono venuta a conoscenza di un aneddoto inerente alla Valle Argentina davvero curioso anche se molto triste. ​Non ho potuto appurare nulla e mi baso sul racconto di una cara persona mia amica, quindi, se qualcuno conosce qualche dettaglio in più, sarei felice di saperlo. ​

Narra la storia che, in tempo di Guerra, un aeroplano si schianto’ contro Rocca Barbone ma, in realtà, andò a sbattere contro la cresta di due monti prima del Saccarello, ossia dietro Rocca Barbone.

Il pilota, un tedesco in fase di ricognizione, innalzo’ il velivolo ulteriormente rispetto alla quota che stava mantenendo convinto che la Rocca fosse l’ultima vetta da superare ma, invece, non si alzò abbastanza. Ciò a causa della nebbia che spesso è presente sul profilo di questa catena montuosa. Rocca Barbone, questo dente roccioso anomalo, questo spuntone “in più”, lo ha ingannato.

La gente del posto, dopo aver udito un grande boato, si recò sul luogo della tragedia e c’è chi dice che, alcuni, fecero man bassa di quello che trovarono.

Una testimonianza certa però la si ha nel Museo della Resistenza di Costa (Carpasio) dove, ancora oggi, pare sia custodita un’ala di quell’aereo.

Nessuno può sapere se quell’uomo si accorse o meno di ciò che gli stava succedendo. Se ebbe paura, o se morì senza rendersene conto ma una cosa è sicura, lasciò sgomenti i suoi parenti.

Vi posso dire questo perché, tempo dopo, una donna portata a passeggiare in quei luoghi, arrivata in quel punto, versò tutte le sue lacrime.

Era la sorella del pilota che, con profonda tristezza, si trovava nel punto in cui il fratello, anni prima, aveva perso la vita a causa di un qualcosa di più grande di tutti noi.

I miei monti abbracciano e accolgono tante storie come questa, custodendole caramente nel loro cuore e permettendo loro di uscire soltanto attraverso i ricordi e la voce di persone che hanno vissuto eventi passati.

Queste montagne, che trattengono segreti e che per questo le considero ancora più affascinanti.

Quello che hanno visto, che hanno sentito, oggi offuscato da una natura dalla rara bellezza.

Andando oltre, si scoprono tratti di vita che oggi non conosciamo e nemmeno possiamo immaginare, ma ci sono stati e sono ancora là, fermi su quei monti che con braccia invisibili li trattengono.

E io invece abbraccio voi aspettandovi per la prossima storia…​ ​

Neve e poi sole – dal Passo di Collardente al Colle del Garezzo

La mia Valle è bella anche per questo. Come succede in diversi luoghi, in alcuni punti della Valle Argentina, il sole e la neve fanno a gara per vedere chi arriva prima.

Solitamente la Bianca Signora ha la meglio davanti a Cavalier Sole, che prima la lascia scendere in candidi fiocchi assieme a Messer Vento, e poi arriva lui per renderla ancora più brillante.

Per questo, oggi, vi racconto di un clima davvero particolare che ho vissuto durante una splendida giornata di metà aprile. In primavera quindi!

In montagna, certi avvenimenti climatici accadono spesso, ma la primavera porta sempre a pensare a un tempo mite. Inoltre, sono bastati duecento metri di passeggiata per cambiare tutto.

Mi trovavo al Passo della Guardia e andando verso Collardente la fredda neve mi pungeva il viso, andando verso il Garezzo un sole caldo, invece, ritemprava. Ho persino visto nevicare col sole. Uno spettacolo bellissimo. Come luccicavano quei fiocchi contro la luce solare!

Tre Passi, in fila, uno accanto all’altro, uno più bello dell’altro.

Passo della Guardia era l’ago della bilancia. Alla sua destra, a Passo Collardente, era inverno. Alla sua sinistra, a Passo del Garezzo, era estate.

Da una parte ero imbacuccata come un eschimese, dall’altra in maglietta.

E che natura splendida si mostra a me che cerco di osservare tutto quello che mi circonda.

Di qua, mentre gli occhi si posano sul Passo della Nocciola laggiù in fondo, sulle case della Columbera e sulla Caserma di Vesignana, bacche di Rosa Canina e Helleborus foetidus se ne stanno spenti, con poca vita ed esuberanza, accettando quelle stille ghiacciate.

Una piccola Cinciarella, che per la precisione dovrebbe essere una Cincia Mora, scuote le sue piume e spruzza gocce sugli aghi di pino mentre una bruma abbastanza spessa le permette di confondersi tra i rami.

Sulla strada, la precedente neve non è ancora stata calpestata e si possono vedere impronte di ungulati (così vi faccio vedere che me ne intendo). Probabilmente un Capriolo.

Un pezzo l’ho percorso, ora è il caso ch’io mi vada a riscaldare verso il Garezzo e le case dei pastori.

Qui la temperatura cambia. Tutto è bianco, ma posso spogliarmi. Alcune slavine sono presenti e rendono più difficoltoso il passaggio.

Il paesaggio è reso ancora più suggestivo dalla presenza di alcuni Camosci che si rincorrono sulla neve o stanno fermi in gruppo. Anche alcuni rapaci arricchiscono il cielo, terso di tanto in tanto, o passaggio di nuvole che viaggiano veloci.

I sentieri limitrofi non si vedono, sono coperti dalla neve che lentamente si scioglie sotto il calore dei raggi e il rumore del gocciolio accompagna la mia passeggiata.

In certi punti non si può proprio passare, occorre attendere la bella stagione ma gli occhi e il cuore sono comunque appagati da una vista spettacolare e una natura incontaminata, mozzafiato.

Facendo ritorno al Passo della Guardia non posso non rimanere incantata da Sua Maestà Rocca Barbone, sempre lì, austera, placida, dalla falesia severa che ospita nidi di uccelli affascinanti.

Penso sia meraviglioso vedere i propri luoghi nelle varie stagioni. I loro cambiamenti offrono ogni volta un palcoscenico diverso e anche l’atmosfera cambia, così come il proprio sentire.

Ogni volta è come se fosse una nuova esperienza, un luogo incantato nel quale non si è mai stati, nonostante in realtà si conoscano a memoria quelle bellezze.

Che sensazioni incredibili. E con l’animo leggero faccio ritorno in tana.

Un bacio quattrostagioni a voi!

Un sentiero speciale

Topi, oggi vi faccio fare un tour breve, ma molto carino. Vi porto a passeggiare sul sentiero che – udite, udite! – ha visto crescere la vostra topina e ha fatto nascere in lei la passione e l’amore per la meravigliosa Valle Argentina.

Andagna sentiero

Partiamo, allora, venite con me. Andiamo ad Andagna. Qui, dalla parte dell’abitato che si affaccia direttamente sui monti che fanno da cornice al Passo della Mezzaluna, inizia un percorso che da piccina mi piaceva chiamare “sentiero delle farfalle”. Non so se questo tratto di bosco abbia un nome particolare, io l’ho sempre soprannominato così con tenerezza. Ed è un sentiero molto conosciuto da tutti gli andagnìn (gli abitanti di Andagna, nel mio dialetto), pulito e sempre ben tenuto.

E’ un viottolo che attraversa i bellissimi boschi di conifere e latifoglie della zona, all’inizio ampio e pianeggiante, adatto a topi adulti e topi piccini.

ortica

Il sentiero esordisce così, all’ombra delle fronde che sembrano già accogliere i visitatori con un abbraccio fatto di rami. E all’ombra, ben custoditi, ci sono ciuffi di Ortica e altre piante che non amano esporsi ai raggi solari diretti.

Già si nota la presenza massiccia dei Pini, anche il naso ne capta l’odore balsamico, un profumo di resina al quale non si può proprio restare indifferenti.

sentiero Andagna pini

E ora, in questa Primavera ancora agli esordi, i fiori sono piccoli, delicati, stropicciano i petali come le farfalle appena uscite dal bozzolo dispiegano le ali per la prima volta.

fiore primavera

Tra le foglie secche di una stagione ormai morente e i rami vecchi caduti, frantumati al suolo, ecco spuntare questi occhietti colorati di Madre Terra, che sembrano guardarci e chiederci di essere notati.

fiori

Come si fa a non dare loro la giusta attenzione? Dopo tanto Inverno, la Primavera fiorisce e si rimane estasiati dai suoi profumi e dalla freschezza della vita che sboccia di nuovo, in un ciclo ancora bambino.

fioriture primaverili

I rami pullulano di gemme, anch’esse tenere. Tutto parla di rinascita, in questo momento dell’anno.

Il sentiero, vi dicevo, inizia in piano. Da qui si nota anche l’abitato di Corte con il suo Santuario dedicato alla Madonna del Ciastreo e, se si urla verso le montagne, un’eco pulita e vivace ci risponde. Fenomeno che non si trova ovunque. Più avanti, invece, si alternano salite poco impegnative al falso piano, ma di sicuro non è ostico. E’ un giretto che si fa con piacere e in breve tempo, poco più di un’oretta andata e ritorno, se come me amate soffermarvi di tanto in tanto a rimirare il creato.

andagna sentier2

Ed è anche un sentiero che sa offrire scenari diversi, topi, altroché!

A tratti ci ritroviamo all’ombra, il cielo sembra lontano sotto la cupola arborea. In altri tratti, invece, l’azzurro della volta celeste, con i suoi affreschi cangianti di nuvole, lascia senza fiato.

macchia mediterranea

E poi ci sono i monti del Passo della Mezzaluna, onnipresenti con la loro imponenza. I suoi morbidi prati sembrano davvero a due passi da noi. In alcuni punti soleggiati ci si imbatte senza difficoltà alcuna nella macchia mediterranea tipicamente arbustiva e aromatica. Qui Timo e Ginepro la fan da padroni, abbarbicati sulla nuda roccia come sovrani timorosi di assedio.

E in questo bosco, ora fitto ora rado, c’è una gran varietà di piante. I Castagni impressionano per la loro stazza, spiccano letteralmente nella vegetazione costituita in prevalenza di esili Noccioli. Qualche grosso Faggio ricorda per la mole i cugini del vicino Bosco di Rezzo. Persino le Querce trovano spazio in questo variegato groviglio arboreo.

E poi c’è lui, il Pino Silvestre, la cui personalità apre letteralmente i polmoni. La sua presenza qui è massiccia.

andagna pini silvestri

Tutto il sentiero è costellato di panchine e sedili naturali improvvisati. E’ bello, infatti, restarsene qui ad ascoltare il canto degli uccelli, la pace che permea questi luoghi è paragonabile a quella che gli umani attribuiscono a certi santuari. Qui ci si sente in armonia con tutto quello che ci circonda, e allora viene il desiderio di fermarsi per assaporare quel momento, prima di proseguire nella camminata.

sentiero andagna panchina

Intanto Ghiandaie, Cince e Falchi si fanno sentire con i loro versi, e il silenzio del bosco è interrotto dal frusciare delle lucertole e dei ramarri, che scappano via spaventati al nostro passaggio. Se ne stanno al sole, anche se è ancora timido, a riscaldarsi come Natura comanda loro. La Ghiandaia, poi, è sempre così egocentrica (ovviamente parlo della mia amica/nemica Serpilla, non me ne vogliano tutte le altre Ghiandaie della Valle Argentina) da voler sempre lasciare una traccia di sé in bella vista, come a ricordarci che esiste anche lei e che, insomma, bisogna proprio notarla.

piuma ghiandaia

Oggi, per fortuna, sembra avere qualcun altro da tormentare con il suo insistente tciààà tciààà, per cui proseguiamo tranquilli in questo tripudio di fiori dai toni del giallo, del bianco e del rosa.

fiori bianchi

 

Nel bosco si intravedono anche diversi muretti a secco e qualche abbozzo di costruzione in pietra, un tempo queste zone erano frequentate e abitate, anche quelle che appaiono più impervie. C’è anche una vecchia fontana ormai in disuso.

vecchia fontana andagna

Ricordo la paura delle vipere di topo-zia. Qualcuna c’è. In fondo, stiamo parlando di natura incontaminata, ma come saprete fuggono via velocissime appena sentono muovere qualcosa. Passeggiavo sempre battendo un bastone al suolo e cantando canzoni a squarciagola.

Come ho detto, da qui, con un po’ di attenzione, si vede anche Corte, ma spingendo lo sguardo un po’ oltre, potremmo vedere anche il viso pallido di Rocca Barbone e il Saccarello.

Ma ora veniamo al motivo del soprannome che davo a questo luogo incantato quando ero topina e la mia cara topo-zia mi ci portava spesso…

farfalla

In questo momento dell’anno sono riuscita a vederne ben poche, ma a breve questo sentiero si riempirà di farfalle. Grandi, piccole, dai mille colori… tutte pronte a dar spettacolo con il loro sfarfallio! Una grande meraviglia, ve lo assicuro.

roccia sentiero andana

E che belle quelle pareti di roccia che di tanto in tanto strappano la tela del bosco! Alcune aguzze, altre più affilate, ci fanno sentire piccini.

Infine, ecco la meta di questo sentiero. Lo sterrato si conclude là, in quel varco magico creato apposta dalla vegetazione. E, una volta attraversato… vi assicuro resterete incantati.

sentiero Andagna3

Sì, perché si sbuca un po’ prima di Drego, e lì è facile che tiri una bella e piacevole arietta. Un vento che porta, ancora una volta, il profumo dei Pini che si fanno di nuovo assai presenti, e che a ogni istante ridisegna le nuvole. Col naso all’insù guardiamo i pascoli alti di Drego, Carmo dei Brocchi e Cima Donzella. Sono belli anche in questa stagione, con le gote ingiallite e bruciate dal freddo invernale.

drego andagna

Il sentiero, allora, si ricollega alla strada, la stessa che porta a Rezzo, ma prima ci lascia ancora rimirare un’altra fontana e quella perla di pietra che è la chiesetta di Santa Brigida alla quale gli andagnìn sono molto affezionati e della quale vi ho già parlato in un altro mio articolo.

chiesa santa brigida andagna

Restiamo un po’ qui a goderci la pace tra la Lavanda che deve sbocciare e il Biancospino ancora assonato e poi torniamo indietro, verso nuovi sentieri e altre avventure.

Uno squittio svolazzante per tutti voi, topi! A presto!

Sua maestà Rocca Barbone

Lei è una delle regine che governano la mia Valle, topi. Merita un articolo tutto per sé, con il suo volto bianco che di profilo, a seconda del luogo dalla quale la si osserva, pare quasi quello pallido di un barbagianni.

E’ Rocca Barbone con i suoi 1628 metri di altezza, in alta Valle Argentina, e insieme ai monti che le fanno da cornice regala scorci e panorami mozzafiato a tutti i viandanti che la frequentano.

Rocca Barbone - Valle Argentina2

 

Appare maestosa quando si staglia sul cielo blu cobalto delle giornate più terse, meravigliosa in tutte le stagioni, di una bellezza selvaggia e granitica.

Rocca Barbone - Valle Argentina

A farle da guardiane ci sono sempre le ghiandaie, compresa la mia nemica-amica Serpilla. Se ne stanno nei suoi pressi a starnazzare come ossesse, sul chi va là ogni volta che piede umano si poggia nelle sue vicinanze. Sono gli araldi di sua maestà Rocca Barbone, coloro che la avvisano di chi transita nel suo regno. Ma non ci sono solo ghiandaie tra la sudditanza di questa regina di pietra, nossignore. E’ il territorio prediletto dai Camosci, che qui trovano prati ampi e scoscesi, ma anche rocce ripide sulle quali avventurarsi.

camoscio

Sprazzi di bosco accolgono gli animali selvatici, qui è vietata la caccia, è una zona di ripopolamento. Rocca Barbone accoglie anche i Lupi con le sue braccia silvane che si protendono intorno al suo viso ceruleo. Nel cielo che le fa da tetto volano i rapaci di cui la mia Valle si fa tanto vanto: aquile reali, falchi, bianconi, gufi reali, grifoni… nidificano su di lei, insieme a numerose specie di pipistrelli, anche questi protetti, amati e studiati dai professionisti.

Rapace - Valle Argentina

E’ una madre paziente, Rocca Barbone, ma anche severa. Sulla sua cima si può abbracciare un panorama vastissimo, che arriva a sfiorare anche il Monte Bego, nella vicina Francia, nel cuore della Valle delle Meraviglie, là dove sono presenti incisioni rupestri dell’uomo primitivo. E si vede il mare nelle giornate più terse, si assapora un frammento di infinito che va dalla Rocca, situata alle pendici del Saccarello, fino alla costa. Si scorgono i profili montuosi della vicina Val Nervia, col Pietravecchia e il Toraggio a farla da padroni insieme al Grai, a Cima Marta e al Gerbonte. Davanti, neppure a farlo apposta, sta il Monte Trono, degno compagna di una regina come lei e sulle cui pendici sorge la magica Triora.

Bosco Triora - Valle Argentina

Nulla sfugge al suo sguardo di pietra e ci si sente sudditi e re a nostra volta, passando da qui.

Rocca BArbone - Valle Argentina4

Questi luoghi furono teatro di vicende storiche importanti, per la mia Valle. Qui si dice combatté il giovane Napoleone Bonaparte in persona, pensate! Nel Settecento si combatterono davanti agli occhi di Rocca Barbone le battaglie tra Francesi e Piemontesi, a testimoniarlo sono i numerosi avamposti che resistono ancora oggi al trascorrere del tempo, ve ne avevo parlato nell’articolo Caserme, guerre e cannoni a Cima Marta, ricordate?

Siamo nel comune di Triora, più precisamente vicino Verdeggia, l’ultimo paese della Valle Argentina. Una leggenda racconta che i soldati francesi attendessero che il fumo si levasse dai comignoli del borgo per razziare il paese dei cibi che le donne cucinavano con amore e dedizione. Si dice che, in seguito a queste spiacevoli scorribande in cui i verdeggiaschi venivano derubati della loro fonte più preziosa di sostentamento, le donne avessero imparato a nascondere a dovere gli alimenti che cucinavano, ma un giorno, purtroppo, i nemici se ne accorsero e amputarono la gamba di una poveretta come punizione e monito. Allora, non potendo più sopportare le angherie di quei prepotenti e per rispondere all’affronto subito, tutti gli uomini del paese si riunirono, imbracciando i fucili. Bastonarono i soldati e li condussero al cospetto di Rocca Barbone, dove li uccisero e li seppellirono in una fossa comune. Ancora oggi, là dove pare si sia svolto questo fatto, esiste un’altura chiamata Bricco dei Francesi.

Rocca Barbone - Valle Argetnina3

Rocca Barbone, con la sua bellezza così singolare, è anche protagonista di un sentiero assai particolare, quello dei Flysch. I Flysch sono un complesso sedimentario composto da rocce clastiche che si sono depositate in ambiente marino per via di frane sottomarine e correnti. Si distinguono molto bene gli strati dei sedimenti argillosi, arenari e calcarei e tra di essi sono presenti fossili dell’età Mesozoica, cari topi!

Montagne - Valle Argentina

Ah, che meraviglia la mia Valle! Allora, vi è piaciuto questo tour? Vado a prepararne un altro per voi.

Un inchino regale dalla vostra Prunocciola.

Da Verdeggia al Passo della Guardia

Topini, oggi vi porto in un posto della mia Valle tanto bello da togliere il fiato!

Andiamo in Alta Valle Argentina, dove il tempo sembra essersi fermato e dove i ritmi rallentano tanto da farci dimenticare di guardare l’orologio. Siete pronti? Bene, partiamo allora.

E’ ottobre. Ci mettiamo in macchina e saliamo su, sempre più su, superando Triora e il ponte di Loreto. Già da qui possiamo godere di una vista bellissima, la Valle si stringe, e il torrente Argentina scorre in basso. Con l’auto passiamo sotto costoni di roccia che incutono quasi timore da quanto sono grandi, incombono su di noi. Proseguendo sulla strada, arriviamo finalmente a Verdeggia. Scendiamo dall’auto e iniziamo a coprirci: sebbene l’autunno quest’anno sia mite, l’aria è frizzante e fredda, non dimentichiamoci che siamo a un passo dal Piemonte e dalla vicinissima Francia!

Il sentiero parte da qui, dall’inizio dell’abitato di Verdeggia (1092 m), ed è subito segnalato da un cartello. Ci condurrà al Passo della Guardia, a 1461 metri di altitudine.

Zaino in spalla, iniziamo a salire, e subito ci inoltriamo nel bosco.

Verdeggia

Sotto di noi ci sono tappeti di foglie, è uno spettacolo guardarle, perché non sono ancora tutte secche e non hanno perso i loro bellissimi colori. Ecco, allora, che ci ritroviamo a camminare su un mosaico variopinto, dove il verde fa coppia con il giallo, il rosso con il marrone e… e poi c’è il lilla, quello dei crochi che tappezzano il sottobosco per gran parte del tragitto.

zafferanoForse voi non lo sapete, ma da questo piccolo e meraviglioso fiore, molto delicato tra l’altro, si ricava una spezia assai amata dalla nostra cucina: lo zafferano! Ci chiniamo ad annusare la sommità del famoso pistillo e anche così possiamo sentirne il caratteristico profumo.

La mia valle, insieme ai numerosi prodotti caseari, alla lavanda con i suoi derivati e ai golosissimi funghi, è rinomata anche per la produzione di zafferano: la vendita al pubblico avviene nella vicina Triora, ma arriva anche – pensate un po’ – a Sanremo, sulla costa! Infatti, potete trovarlo da Sfusa, la spesa senza imballo.

Oltre all’uso culinario, che tutti noi conosciamo, gli stigmi dello zafferano vengono usati nella medicina popolare. Infatti, rinforza l’organismo, regola il flusso mestruale, rinvigorisce e attiva il sistema nervoso e vascolare e favorisce la digestione. Un vero toccasana, insomma!

Tra le altre piante che ci accolgono, mentre continuiamo la salita, possiamo distinguere querce, noccioli e castagni, dei cui frutti si nutrono scoiattoli e altri piccoli animali. I gusci restano vuoti sul terreno, ma siamo fortunati: riusciamo a trovare una nocciola ancora intatta. L’assaggiamo e la sua freschezza e il suo sapore non hanno niente a che spartire con quelle che troviamo nei supermercati! Squit! Una vera squisitezza!

Quando le chiome degli alberi consentono una vista più aperta verso quello che ci circonda al di fuori del bosco, riusciamo a scorgere il Monte Saccarello, vediamo persino la statua del Redentore che domina la Valle.

fronté

Il nostro percorso è accompagnato dai versi gracchianti e allarmati delle ghiandaie che, insieme a corvi e cornacchie, sono i guardiani della foresta. Non c’è passo che non venga segnalato da loro e per i cacciatori rappresentano una vera scocciatura, dato che mettono in fuga gli animali avvisandoli della presenza dell’uomo. Quando la ghiandaia tace, intorno a noi è tutto un cinguettare di cince: non si curano di noi, sono laboriose sugli alberi, impegnate nelle loro faccende. Questo bosco, dove possiamo osservare anche il bellissimo pino silvestre, è popolato anche da caprioli, cinghiali, volpi e persino lupi, ne scorgiamo le tracce in più punti.

Avanzando sempre in salita, il sentiero si interrompe più volte da rivoli d’acqua pura che crea polle e cascatelle. La superficie dei torrenti è coperta di foglie, sembra quasi di potervi camminare sopra.

Verdeggia

Con un’ultima salita nel bosco, ci ritroviamo a svoltare sull’altro versante: da questa parte è soleggiato, fa molto caldo e ci fermiamo per toglierci il maglione e godere del panorama.

Valle Argentina

La vegetazione è cambiata bruscamente: ci troviamo immersi nella macchia mediterranea, bassa e arbustiva. Sulla nuda roccia mettono radici piante di timo, ancora profumatissimo, e poi la lavanda e la ginestra ormai sfiorite. Più avanti troviamo cespugli di ginepro, è il suo periodo balsamico, ma oggi non siamo interessati a raccoglierlo.

Ci sono i ruderi di una vecchia abitazione e un cartello indica “Case di Quin”. Di fronte a essa, un’edicola votiva recita: Capeleta dï Cuin anfaita ‘n l’an 2006 (Cappelletta di Cuin, costruita l’anno 2006).

Il sentiero, adesso, è più pianeggiante, a tratti in lieve discesa, e ci permette di far riposare le gambe godendo della vista sulla valle sottostante e sulla corona di monti che ci circonda. Riusciamo a individuare il Gerbonte e, poco sotto, scorgiamo la borgata di Borniga.

Il sentiero attraversa antiche e ripide fasce e, alla nostra sinistra, è fiancheggiato dai cosiddetti maixéi, i muretti a secco per i quali la mia terra è tanto famosa. Si tratta – ne abbiamo già parlato in passato – di piccoli capolavori di ingegneria: le pietre vengono accatastate le une sulle altre, incastrate con grande cura, e sono appoggiate in lieve pendenza al terreno retrostante. È una vera e propria arte messa in pratica fin dai tempi più remoti, sono rimasti in pochi, oggi, a conoscerne i segreti.

Procedendo, ci troviamo nuovamente di fronte ai ruderi di una vecchia abitazione. L’ortica infesta le rovine, riconosciamo anche qualche pianta di artemisia. Ci fermiamo ad ammirare la maestria con la quale è stato costruito questo casone: non ci sono mattoni né calce, solo pietre poste l’una sull’altra seguendo regole precise e antichissime.

Anche qui è presente un’edicola votiva, la Capëleta dë Barbun. Quella che abbiamo rimirato, infatti, è la Casa di Barbone, ce lo indica un cartello. Siamo a 1309 metri sopra il livello del mare.

case barbone valle argentina

Proseguiamo, manca ormai poco alla meta. Davanti a noi si staglia, con tutta la sua imponenza, Rocca Barbone. Le foto non le rendono giustizia, ma è una parete di roccia spettacolare, con il suo colore chiaro fa contrasto con il blu intenso del cielo, guardate che meraviglia!

rocca barbone valle argentina

Entriamo nuovamente nel bosco, umido e ombroso, e siamo invitati da un cartello a fare una piccola deviazione. Cogliamo l’invito e… Topini, che bellezza! L’acqua sgorga dalla roccia, siamo testimoni di questo spettacolo: la sorgente del torrente Barbone. Acqua fresca, limpida, sacra.

Torniamo sul sentiero maestro, a tratti soleggiato e a tratti all’ombra delle chiome degli alberi, e ogni nostro passo è osservato da lei, Rocca Barbone, sempre più vicina.

rocca barbone valle argentina2

Tronchi caduti e spezzati offrono scenari insoliti: formano piccole caverne, tane per animali di dimensioni ridotte. Alcuni alberi sono sradicati, ne possiamo osservare le radici ancora aggrappate a zolle di terra. È un microcosmo che non si vede certo tutti i giorni!

Con poche, ultime salite, giungiamo alla meta: il Passo della Guardia. E qui, topini, la vista è mozzafiato, sembra di essere in paradiso! Riconosciamo la galleria del Garezzo, il Monte Monega, l’inconfondibile Passo della Mezzaluna, il Monte Faudo, poi gli abitati di Triora, Corte e Andagna.

passo della guardia valle argentina

Il sentiero si congiunge in questo tratto con la vecchia strada militare, oggi percorsa da motociclisti, escursionisti a piedi o a cavallo, e dalle macchine di cacciatori e di appassionati della montagna. Da qui possiamo proseguire per il Passo Garlenda, il Colle del Garezzo oppure per arrivare sulla cima del Monte Saccarello, ma possiamo ancora scendere a Triora. Non oggi, però: riserveremo tutto questo per un’altra gita, vogliamo fermarci a mangiare un boccone e a godere del caldo sole autunnale!

A presto, topini!

Pigmy