La Cucina Bianca della mia Valle

Parlo spesso della Valle, dei suoi panorami mozzafiato, della sua rigogliosa vegetazione e degli animali che la abitano, ma mi soffermo troppo poco sull’aspetto culinario, sull’importanza di questa arte antica e apprezzata ancora oggi.

Quella delle Alpi Liguri e Marittime è definita “Cucina Bianca”. Infatti, a prevalere sono i colori chiari, ma la povertà delle tinte non si rispecchia nel gusto, che invece è ricco e reso unico dai prodotti che la terra offre.

Porri, aglio, cipolle, patate, cavoli, funghi, lumache, fagioli, formaggi, uova, castagne, farina… c’è tutto in abbondanza e le ricette sono antiche, testimoniano lo scandire del tempo di uno stile di vita ormai quasi perduto del tutto. È una cucina talmente preziosa che a essa è stato dedicato un percorso di 70 chilometri quadrati che coinvolge le valli Argentina e Arroscia, sconfinando persino in Francia e Piemonte.

strada della cucina bianca - alpi marittime

La Strada della Cucina Bianca – Civiltà delle Malghe, così è stata soprannominato il percorso, collega i comuni di Cosio di Arroscia, Mendatica, Montegrosso Pian Latte, Pornassio, Triora, La Brigue (in territorio francese) e Briga Alta (Cuneo).

Come dicevo, i prodotti di questo tipo di cucina sono antichi, ma si possono gustare ancora oggi. Ricette della tradizione popolare sono sopravvissute allo scorrere del tempo grazie a pastori e contadini che hanno a cuore le loro radici, non le dimenticano, e resistono con tenacia alla modernità. Un tempo ci si doveva arrangiare: si trascorrevano molte ore sui pascoli alti, il lavoro era duro e c’era bisogno di piatti semplici e nutrienti da poter preparare velocemente.

Il formaggio della mia Valle ha i sapori e i profumi della montagna, grazie all’erba brucata dalle capre, dalle pecore e dalle mucche.

toma di mucca - formaggio ligure - cucina bianca - triora

E, a proposito di questo, nella zona si allevano ancora gli ovini di razza brigasca. È nato persino un presidio Slow Food per il sostentamento della produzione di tome a latte crudo di questa pecora. Insomma, non è una cucina da poco!

pecora brigasca presidio slow food

Continuando a parlare di formaggi, in Valle è da sempre molto usato il brüssu – o bruzzo – ottenuto dalla fermentazione della ricotta. È cremoso, spalmabile e ha un gusto molto forte, per questo non piace a tutti.

Si accompagna con fette fragranti di pane di Triora, prodotto ancora oggi con la ricetta di un tempo. Parlando di questo pane meraviglioso, mi vengono in mente tanti ricordi della mia infanzia, quando ero una topina e vivevo a casa dei miei topononni. Facevo colazione con latte e biscotti, poi mi preparavo per andare a scuola e topononno, non soddisfatto dal mio primo pasto mattutino, mi metteva in una zampina una fetta di “Pane del Nonno”, come lo chiamavo allora, e nell’altra un tocco di formaggio. E così affrontavamo insieme la strada verso la scuola, mentre io davo un morso ora all’uno, ora all’altro.

pane di triora

Il pane di Triora arriva fin sulla costa, dove è venduto anche nei supermercati. È richiesto, rinomato e apprezzato da tutti perché ha un sapore unico, antico e inconfondibile. Acquistato ancora caldo al panificio Asplanato di Triora, però, ha tutto un altro sapore! Camminando per le vie del borgo si può sentire il suo profumo invitante spandersi nell’aria e allora è doveroso entrare nel forno e acquistare una forma per assaporarla ancora fumante, facendo attenzione a non ustionarsi le zampe e la bocca. I segreti di questo pane sono molti e non possiamo conoscerli tutti, ma sappiamo che è realizzato con farina di tipo 1, meno raffinata e più integrale rispetto alla 00. L’impasto viene fatto riposare su un letto di crusca per non farlo attaccare, ma anche per dargli un sapore più rustico. La crosta è sottile, scura come la pelle di chi inizia ad abbronzarsi in estate, trascorrendo tante ore sulla montagna. È un pane nutriente, adatto a offrire la sua genuina energia a chi ne aveva tanto bisogno per il duro lavoro.

Il brüssu, però, non si accompagna solo al pane. Infatti, è protagonista di un altro piatto tipico delle mie montagne: i Sugeli.

Sono gnocchetti realizzati solo con acqua e farina ai quali, tramite le dita, viene data una forma simile a quella dell’orecchietta pugliese. Si “suggella” in questo modo la forma dello gnocco, forse è anche per questo che si chiamano così. Il loro nome, tuttavia, pare avere origine dall’omonima parola ligure “sügélu“, che indica uno strumento che serve per fischiare. Anticamente, infatti, i nonni forgiavano questi strumenti dalle canne o dal bambù e il pezzo che si introduceva in bocca per emettere il suono desiderato aveva proprio la forma che si dà allo gnocco, esattamente come quello della terza foto qui sopra.

I Sugeli, ad ogni modo, vengono conditi con la crema di brüssu e sono un piatto semplice da preparare.

Scendendo un po’ più verso valle troviamo altre squisitezze, come la Frandura (di cui vi ho parlato qui), una squisita torta di patate tradizionale di Montalto Ligure. Roba da leccarsi i baffi, cari topi!

Frandura

Proprio sotto Montalto esiste un’altra esclusiva della mia bella Valle: i Rundin di Badalucco, fagioli bianchi antichi e tipici baiocchi.

In tutto questo mordi e fuggi di antichi piatti e sapori, non vi ho parlato di un ingrediente essenziale della cucina montana: le erbe aromatiche. Sono onnipresenti e, senza di loro, i piatti sarebbero meno profumati. Timo, Maggiorana, Santoreggia, Lavanda, Ginepro, Rosmarino… ci si può davvero sbizzarrire, perché sui monti crescono spontanee e profumatissime, grazie all’aria pura e fresca.

A proposito di fresco, bisogna ricordare che un tempo non esistevano strumenti per la lotta a parassiti e insetti. L’unico modo che permetteva ai cibi di non deteriorarsi era proprio il freddo pungente delle montagne.

Avete notato che non ho parlato di carne? C’è un motivo, e ve lo spiego subito. Un tempo – e si parla soprattutto della popolazione povera di pastori e agricoltori – non era così frequente cibarsi di animali. Il bestiame serviva per la lana, il latte e i formaggi, mentre le galline venivano tenute per le uova. La macellazione di un animale avveniva raramente e in occasioni speciali e di esso si usava tutto, ma proprio tutto. Nulla andava sprecato. L’uomo delle malghe si cibava per lo più di farinacei, legumi, ortaggi e latticini, qualche volta mangiava il coniglio, ma molto raramente sacrificava un capo del proprio bestiame.

E qui possiamo parlare anche di un altro piatto della cucina ponentina ormai diffuso in tutto il territorio nazionale, il coniglio alla ligure. È arricchito dalle olive taggiasche e dall’olio che esse producono, unico e inconfondibile, oltre che dalle preziose erbe aromatiche e dal vino rosso.

Insomma, come vedete ce n’è per tutti i gusti, altro che cucina povera!

In Valle Argentina e nelle zone limitrofe che fanno parte della Strada della Cucina Bianca sono numerosi gli eventi legati alla gastronomia in cui si possono assaggiare i prodotti tipici, di seguito ve ne segnalo alcuni della mia Valle, ma ce ne sono un’infinità:

  • Sagra dei Sugeli – Verdeggia (inizio agosto)
  • Sagra della Frandura – Montalto Ligure (seconda metà di agosto)
  • La Sagra della Lumaca – Molini di Triora (inizio settembre)
  • Fungo nel Borgo –  Triora (fine settembre)
  • La Festa della Castagna – Andagna (seconda domenica di ottobre)

Non vi resta, dunque, che segnarvi tutto sull’agenda e venire a gustare da noi queste prelibatezze!

Ora vi saluto, con le zampe sporche di farina ho imbrattato tutto il computer, vado a finire il mio capolavoro culinario.

Un abbraccio farinoso,

la vostra Pigmy.

(Un enorme grazie a Gianna Rebaudo per il suo prezioso aiuto fotografico. Squit!)

Un buonissimo Sugo ai Funghi

Oggi, topi, realizziamo in cucina una squisitezza con i “funzi neggri” (funghi neri) che sarebbero i Porcini dalla testa scura, ma che, nella mia Valle, si chiamano come vi ho scritto. In realtà ne ho anche di altri tipi, sempre Porcini, ma prevalgono quelli scuri dal cappello profumato e l’aroma inebriante.

Ovviamente, la ricetta che sto per illustrarvi si può preparare con qualsiasi fungo edibile, varia solo il tempo di cottura, diverso da fungo a fungo, e sarà buonissima comunque. Quelli che uso oggi sono i Porcini di Castagno, cioè quelli nati tra le radici di queste piante meravigliose che popolano i miei monti, spuntano sotto l’ombra delle loro fronde. Con essi faremo u tuccu, cioè il sugo, quello rosso al pomodoro.

Quest’anno ha piovuto parecchio in Valle, sia durante l’Inverno che in Primavera, quindi Madre Terra è molto generosa. I boschi e i prati umidi si sono riempiti di queste prelibatezze per palati fini.

Iniziamo preparando un bel soffritto di aglio, rosmarino, alloro, timo e olio extra vergine d’oliva, lo mettiamo nella padella della nonna e vi aggiungeremo già i funghi ben lavati e tagliati a pezzi abbastanza grossi: fateli così, perché tanto un po’ si consumano e poi chi ama i funghi, gradisce anche masticarli e sentirne la consistenza sotto i denti!

Mi raccomando, lavateli bene, altrimenti quando si mangia la pasta si sentono in bocca i granelli di terra. Tra le rughe del gambo e le lamelle o i pori della testa, si nascondono che è un piacere!

Gli ingredienti, comprese le spezie, sono tutti ultra Bio, doni della natura che abbiamo raccolto. Questo è cibo sano per un’alimentazione sana, anche se non bisogna mai esagerare con gli intingoli.

Persino l’Olio è proprio della Valle Argentina, prodotto con le mitiche e conosciutissime Olive Taggiasche.

Mettiamo sul fuoco, la fiamma deve essere bassa, e dopo aver fatto rosolare per qualche minuto bisogna sfumare con del vino bianco.

Con tutti questi ingredienti abbondate tranquillamente: il vostro sugo, pur essendo semplicissimo da preparare, rimarrà molto più gustoso.

Quando i funghi saranno un po’ consumati e avranno bevuto tutto il vino, aggiungiamo i pomodori.

Saranno dei pelati, anziché la passata, perché li trovo meno acidi, anche se dovremo aggiungere ugualmente una puntina di zucchero e saleremo a piacere.

Li rompiamo con le mani e rimarranno a pezzi grossi e disfatti che poi si disferanno ulteriormente durante la cottura.

La cottura, a proposito, dovrà essere breve. Dopo aver messo i pelati, una mezz’ora basterà per avere nella nostra padella un ottimo condimento.

Se i funghi sono particolarmente sodi e turgidi, lasciateli consumare per bene prima di mettere la polpa di pomodoro. I tocchi si dovranno masticare, ma non devono risultare troppo duri o saper di crudo.

Una volta ultimata la cottura avrete terminato e realizzato un sugo da leccarsi i baffi, potete credermi. Ora non vi resta che invitare altri topi a pranzo e farete un vero figurone. Si ricorderanno del vostro sugo per un bel po’ e vi chiederanno, senz’altro, di rifarlo.

Un goloso saluto dalla vostra Pigmy!

Felicità= Rosmarino

Avete bisogno di una sferzata d’energia? Un rametto di rosmarino è quello che fa per voi. Vi dà la carica, vi ritempra e vi mette allegria! Ma non è tutto. Preparatevi, andiamo a conoscere questa pianta meravigliosa.

Voglio proporvela fiorita, perchè a parer mio è molto bella quando si veste di quel rosa tenue e delicato. I suoi fiorellini sono davvero meravigliosi e insaporiranno le vostre insalate non solo con un buon gusto fresco e aromatico, ma anche di tanta allegria. Si possono anche mettere dentro a sacchettini di garza e riempirne i casseti per profumare la biancheria.

Anche questa pianta è adorata dalle api come il timo. Eh, non sono mica stupidi questi insetti! Quando avrete finito di leggere questo post vedrete che adorerete anche voi questa spezia, e quanti ricordi vi porterà alla mente!  Il rops (arbusto) e myrinos (odoroso): queste sono le due parole che compongono Rosmarino. E’ una Labiata di tipo cespuglioso, sempreverde, aghiforme e dalle mille proprietà. Regina tra gli aromi, ha origini antichissime e il suo olio essenziale, molto pregiato, ci fornisce fondamentali essenze come il pineme che offre una gradevole profumazione e la canfora che ci rinfresca.

Un tempo veniva usato per i dolori reumatici e il mal di denti. Oggi le sue capacità lenitive e antiossidanti risultano efficaci anche nei trattamenti per le pelli miste, grasse e impure, perchè disinfiammano le ghiandole sebacee che, probabilmente, lavorano in modo esagerato.

Il Rosmarino riesce anche in tante altre prodezze: purifica, tonifica e deodora. Ideale per rinforzare le cellule della cheratina delle nostre unghie. E’ risaputo che renda più forte e sano tutto lo strato epiteliale della nostra cute. Io lo uso anche per combattere spossatezza e stanchezza, ma c’è chi addirittura lo utilizza per ridonare colorito al viso. Mia nonna, invece, con mazzi di rametti puliva e profumava pentole e tegami, pensate un po’!

Simbolo di buon auspicio, dell’immortalità, della felicità, della memoria, ma soprattutto della costanza, così com’è costante la sua profumazione.

Rosmarino significa anche “sono felice di vederti!”. Portarne un rametto vicino al cuore dona davvero felicità e allegria. A essa sono state dedicate tante poesie e  citazioni dai più illustri personaggi. “Ecco laggiù il Rosmarino, la pianta del ricordo.  C’è il Rosmarino, per la rimembranza. Ti prego, amore, ricorda”. Così, ad esempio, esclamava Ofelia ne L’Amleto.

E noi in Italia siamo molto fortunati perchè questa pianta è mediterranea e nasce ovunque nel nostro territorio.

Non perdete tempo, quindi, topini: raccoglietelo e fatene buon uso, vi cambierà la vita donandovi energia positiva!

M.

Signor Timo, ben arrivato!

Serpillo, Volgare, Erba peverella, Piperella, Timuriddu, Sarapodda… insomma, qualunque sia il nome attribuitogli, il Timo è conosciuto ovunque e, dal Nord al Sud, è conosciuto in mille modi diversi.

I crociati ne portavano un rametto con loro come simbolo di forza e coraggio. Il Petrarca lo immaginava ai piedi della donna amata, ricca di virtù. Per Plinio e Cesare era favoloso contro le puntture d’insetto e il mal di testa, mentre i Romani ne bruciavano le foglie odorose per profumare gli ambienti e tenere lontane bestiole come ragni e scorpioni.

Timo, con Miss Lavanda, Miss Salvia e Mister Rosmarino, formava l’aceto della panacea contro tutti i mali e, in antichità, contro le pestilenze soprattutto. Di lui si possono usare foglie e fiori e a lui non basta insaporire i nostri piatti, arrosti e soffritti.

Topi, il Timo è il disinfettante per eccellenza. Infezioni? Infiammazioni?  Timo! E’ dermopurificante, deodorante, stimolante, rinfrescante, rubefacente e revulsivo. Pensate quante doti! Ma non sono finite! Il suo oleolito, il timolo, è anche cicatrizzante ed espettorante, fluidificante e tonico. Da non credere! Ricco di vitamina B e C, acido rosmarinico e tannini, stimola il nostro sistema immunitario e rinvigorisce nei casi di stress e stanchezza fisica o psichica. Non ha controindicazioni, se non sotto forma di olio essenziale, (quello vero – che a causa di una molecola molto piccola, penetra troppo in profondità, irritando anche le mucose, e può creare problemi a chi soffre di malattie cardiovascolari o è in stato di gravidanza).

E’ una pianta prevalentemente mediterranea e sempreverde appartenente alla famiglia delle Labiatae, che nasce anche nei luoghi più impervi formando un piccolo arbusto. E’ simpaticissimo con quella sua forma a spruzzo che riveste massi interi di verde sbiadito. Ricordo con amore il terrazzo di topozia o il porticato di topononno, pieni di mazzi di timo appesi a essicare assieme a pannocchie di mais. (Che delizia le pannocchie!). I ciuffi raccolti, venivano utilizzati tutto l’anno per un’infinità di cose.

A me mette allegria. Mi allieta le giornate. Probabilmente tutte le cose che vi ho detto le conoscete già e allora, cercherò di stupirvi un po’. Ad esempio, lo sapevate che il giorno in cui il Timo profuma di più ed è più adatto alla raccolta è il mercoledì? Misteri della natura! E che purifica? Respirare il suo profumo fa bene, pensate che addirittura aiuta contro il mobbing, quando ci sentiamo accerchiati, in trappola, come soffocati da qualcosa, o meglio, da qualcuno. Ha la stessa funzione del Pino Silvestre all’interno del bosco, solo che il Pino Silvestre è al centro della vegetazione e molto alto, sovrasta su tutto, lui invece, sta tutt’intorno ed è bassissimo. Sta lì, in guardia, come a dire “Qui entra solo aria pulita!”.

Se volete imparare a raccogliere bene i fiori, senza rovinarli e senza rovinare il rimanente al suolo, allenatevi con il Timo. Vi spiego: tagliate qualche rametto di Timo e mettetelo dentro un cesto in mezzo a un prato. Se le api andranno anche nel vostro Timo raccolto, allora vuol dire che avrete permesso alla pianta di mantenere il suo DNA, il suo odore, la sua energia, la sua vita. Se le api lo ignoreranno allora avrete sbagliato qualcosa, avrete come “ucciso” ciò che avete preso. Questo vale per tutte le piante, ma il Timo è molto profumato, gli insetti lo adorano e saranno di grande aiuto per voi. A proposito di questo, leggete cosa scriveva già ai suoi tempi Virgilio, proprio a proposito delle api e del Timo (il loro rapporto è famoso):

Così all’inizio dell’estate il lavoro
per i campi fioriti affatica le api al sole,
quando guidano fuori i figli adulti della specie
o stipano il liquido miele e ricolmano di dolce nettare
le celle o ricevono il peso dalle venienti, o fatta una schiera
scacciano dalle arnie i fuchi, neghittoso sciame,
ferve l’opera, olezza il fragrante miele di timo
.

Il Timo, istancabile, simbolo della forza e dell’amore duraturo.

Allora, che dite, vi è piaciuto quello che vi ho raccontato?

Un abbraccio e usate tanto questa spezia, vi farà un gran bene!

M.

Da Glori al Santuario “di Lourdes”

Facciamo ancora una passeggiata, topini.

Una passeggiata splendida, breve, di solo un quarto d’ora, ma molto suggestiva. Cammineremo in mezzo agli ulivi e ai castagni, la natura ci circonderà con il suo verde abbraccio. Venite con me, voglio farvela vedere per bene.

Siamo di nuovo a Glori. All’inizio del paese, la fontana abbellita da questo splendido rubinetto ci riempie le borracce e possiamo metterci in marcia. Subito dopo le ultime case, giungiamo su un sentiero che passa attraverso le campagne e gli orti curati del paese. Gli insetti che svolazzano sono molti, qui vicino c’è anche un signore che tiene le api e loro volano allegre sui mille fiori che costeggiano la stradina, l’unica che c’è e che ci porterà fino al santuario della Madonna di Lourdes, molto famoso nella mia Valle. Si tratta di una rappresentazione quasi uguale alla statua del più famoso santuario francese. Guardate, da qui possiamo già vederlo, scorgerlo tra il verde delle piante. Solitario e bellissimo. Tra poco lo raggiungeremo.

Continuando a camminare, possiamo notare sorgenti d’acqua fresca e un torrente che riusciamo ad attraversar grazie a un ponticello. Questa è la strada che porta anche a Carpasio, su per i monti, per quattro chilometri. I profumi di timo, rosmarino e maggiorana si mischiano e un buonissimo odore ci avvolge. Tantissima è la menta a bordo strada e strofinandola con una mano, il naso si riempie di freschezza. Ma eccoci giunti al piccolo ponte di legno. Possiamo attraversare Rio Fontanili passando sulle pietre incastonate che danno forma alla pavimentazione. Qui c’è una piccola cappelletta e una lastra di ardesia riporta una dedica a un giovane morto a causa dell’alluvione del 2000 che aveva disastrato parecchio la mia Valle. La lapide dice così : “Dedicato alla memoria di Ozenda Lorenzo, deceduto all’età di 34 anni il 6 novembre 2000 in località Ugello, a causa dell’alluvione che distrusse altresì il ponte preesistente. La popolazione pose. Glori 5 luglio 2003“. Mi sembra doveroso ricordarlo.

Qui c’è anche un piccolo praticello e un tavolo di legno per soffermarsi e ascoltare il rumore dell’acqua che scorre. E guardate quanti fiorellini di campo ci circondano! In questo punto la vista è bellissima perchè come dal paese vedevamo la chiesa, ora possiamo invece ammirare Glori da lontano in tutta la sua bellezza. Un paesino fantastico, per non parlare del panorama. Abbiamo da percorrere ancora un piccolo tratto. Questo sentiero a forma di ferro di cavallo finisce in una radura dove è stato eretto il santuario, ma passa per qualche metro anche in mezzo al bosco di castagni. Per terra c’è ancora qualche vecchio riccio che la pioggia non ha portato via. E’ dopo questo passaggio sotto agli alti alberi e le fronde che ci fanno ombra che, a preannunciarci il luogo religioso, c’è una bella croce di ferro con il volto di Cristo scolpito che domina su tutta la valle. Intorno a lei, in latino, sono incise scritte di speranza.

Siamo arrivati. Il cielo è terso e alcuni uccellini ci tengono compagnia. Ecco il santuario chiamato proprio di Nostra Signora di Lourdes, meta ambita non solo da tanti fedeli della Valle Argentina, ma anche da pellegrini che arrivano fin qui da ogni dove. Persino il Vescovo viene spesso a benedire questo luogo ricordando le apparizioni mariane. Devo dire che è veramente bello. Siamo a 600 metri sopra il livello del mare e il posto è stupendo anche solo per il verde che ci circonda. Ora possiamo rilassarci, sederci sulle panchine e goderci il panorama. Possiamo mangiare un panino, saltare sull’erbetta tenera, giocare sul prato…. (cadere dai muri!). Questa passeggiata è stata bellissima. Zampettate tranquilli ora, io sgattaiolo a preparare un altro post e se un giorno riuscirò a entrare dentro, ve lo presenterò ancora più minuziosamente.

Buon proseguimento,

la vostra Pigmy!

M.

Bregalla, il paese delle fiabe

Guardatele bene le foto che vi posto oggi: non vi sembra di essere in un racconto dei fratelli Grimm?

La legna accatastata, le casette in pietra, i mandorli in fiore, i balconi di travi di castagno, il sentiero in mezzo al prato… Nemmeno il più grande scenografo di Walt Disney potrebbe arrivare a tanto. Sembra un luogo fantastico, invece è tutto vero ed è qui, nella mia valle, sotto un grande spicchio di cielo.

Siamo a Bregalla e le casette in questa frazione sono tante quante le lettere che ne compongono il nome, non una di più.

Bregalla è considerato un punto panoramico fantastico. Da qui si vede tutta la gola della Valle Argentina, quella delle falesie, delle rocce sporgenti, austere, del suo lato aspro, rude, maestoso. Siamo oltre il ponte di Loreto, passato colle Ventusu. Ci troviamo prima di Realdo e, salendo sulla destra, due curve ci portano in questo angolo di paradiso.

Non c’è nessuno. Come mi aveva consigliato la signora Vilma, cerco Bruno, colui che degli orti fa delle vere opere d’arte. Tuttavia il signor Bruno non c’è e di lui e delle sue capacità, purtroppo, non posterò nulla. Voglio farmi raccontare le sue storie, i suoi consigli e voglio fotografare il suo lavoro in sua presenza.

Gli abitanti di Bregalla sono solo 18. Io ne ho visti solo 3, prendono il sole beati nel loro giardino di margherite. In tutto il resto del paesino regna il silenzio più assoluto. Siamo a circa 840 metri sopra il livello del mare. É una borgata che appartiene al comune di Triora e il suo nome deriva probabilmente dal termine “bregallare” che voleva dire belare, in onore delle pecore e delle capre che un tempo vivevano su questi monti. Sono luoghi di pastori, di contadini. Nella nostra zona, però, c’è un termine che usiamo spesso per indicare il “fare tante cose” che è proprio Bregare, per indicare qualcuno che non sta mai fermo: “È sempre che fa, disfa e brega…” diciamo. Mi chiedo se questo modo di dire abbia qualcosa in comune con il nome di questa località.

A meritare un sopralluogo a Bregalla è anche il lavatoio, ancora funzionante, pulito e ben tenuto, se non erro è stato costruito con la pietra Arenaria. E poi c’è la chiesa, anch’essa molto carina e con la particolarità di avere “tre tetti”.

Esattamente! In un solo Santuario, guardate, ritroviamo due tetti di tegole rettangolari e un tetto di ciappe semi-rotondo disposti tutti a scala rimanendo uno più basso e gli altri più alti.

Sopra al campanile poi, un simbolo che non manca mai, c’è infatti una piccola croce di ferro.

La flora che circonda questo villaggio lascia senza fiato. Si nota addirittura la presenza di altissimi bamboo! Sembrano formare una piccola foresta orientale incastonata nella macchia mediterranea e, tutt’intorno, i nostri occhi possono vedere il verde cupo degli abeti e dei pini che colorano le alte montagne. E guardate dove nasce la salvia! È lì in quel tronco, la vedete?

Tante sono le spezie: salvia, timo, basilico, origano e intere cornici di rosmarino profumato che, fiorito proprio in questo periodo, colora il paesaggio di azzurro e violetto. E che profumi! Tra le pietre dei terrazzamenti troviamo altri colori, altre tinte offerte dai fiorellini di campo: iIl bianco, il giallo, il fucsia, il rosa, il turchese. Io sono convinta che se un pittore venisse a visitare Bregalla, non se ne andrebbe più.

E voi, ditemi, avete mai visto un posto più bello di questo? Guardatele bene queste foto, topi, e sognate: oggi siete in una fiaba. Siete in un luogo fuori dal mondo, dove anche i pochi ruderi rimasti (perchè qui le casette sono state tutte rifatte come gioiellini) hanno un contorno tanto bello da sembrare irreale. Affascinante e suggestivo, il borgo permette di essere visitato tramite piccoli sentieri a scalini, ponticelli e prati in fiore. Non dimenticate di passare di qua se venite nella mia valle, vi perdereste qualcosa che potrebbe davvero appagare i vostri occhi.

Un abbraccio,

la vostra Pigmy.

M.