Nel ventre dell’antica Foresta dei Labari

E’ una soleggiata mattina di inizio autunno quando mi inoltro per un sentiero largo e pulito che passa sotto a dei Noccioli e dei Castagni meravigliosi.

Il silenzio assai apprezzato di quel luogo è rotto, di tanto in tanto, dai fruscii delle lucertoline veloci che si muovono tra le foglie secche a terra e il cinguettio di uccelletti felici.

Cardellini e Fringuelli, infatti, mi circondano e mi accompagnano in quella macchia che trionfa di vita.

Posso però udire anche il crocidare di qualche Ghiandaia che sembra alterata (come al solito, visto il caratteraccio che hanno, e mi riferisco soprattutto alla mia amica Serpilla) e il battere del Picchio che buca quei tronchi enormi alla ricerca di linfa e insetti. O forse vuole prepararsi un nuovo nido.

Attorno a me, l’Erica e i Noccioli, rendono tutto ancora più brioso e rigoglioso, colorando di rosa e di verde ciò che ormai sta assumendo tinte più calme e mature.

Nonostante la stagione, posso godere ancora della presenza di qualche fiore più temerario che non ha paura a sfidare i primi freddi.

Il sentiero scende a tornanti e mi porta verso il torrente che attraverso per ritrovarmi nell’antica Foresta dei Labari.

Sono sopra al paese di Corte, ho preso la strada che va verso Vignago, facendomi aprire la sbarra che ostruisce il passaggio, e mi sono diretta verso Case Loggia per la via che conduce ai Casai.

Qui, un percorso morbido di erbetta e foglie, scende alla mia destra e lo prendo per portarvi dove vedrete.

Il piccolo torrente si lascia attraversare con facilità anche se ci vogliono scarponi adatti per non bagnarsi i piedi. Gli scarponi adatti ci vogliono anche perché, nei Labari, la vegetazione è esagerata e senza la giusta attrezzatura e un abbigliamento adatto si rischia di farsi male o di non apprezzare tutta quella bellezza.

I Rovi, infatti, impediscono il cammino con il loro voler essere totalmente al centro dell’attenzione. Carichi di More gustose, che mi consentono una bella scorpacciata, si innalzano boriosi per far notare quelle meraviglie viola e rosse che li abbelliscono.

Altre piante legano le caviglie e trattengono come a voler essere notate anch’esse. Ci sono arbusti che graffiano e fronde che accarezzano ma, tra loro, qualche ragno ha costruito ragnatele resistenti e assai vaste.

Mi rendo conto che da questa descrizione, questo luogo può apparire poco piacevole, ma vi assicuro che non è così. Ci vuole un po’ di sacrificio per raggiungere la meraviglia e, inoltre, tutto quel verde è davvero suggestivo anche se all’essere umano può apparire antipatico. Io poi, che sono una piccola Topina, mi faccio meno problemi sgattaiolando sotto a tutta quella flora.

Quel bosco continua ad essere florido ed esuberante ma, ogni tanto, regala angoli stupendi e quando si giunge in questi piccoli eden si pensa davvero che sia valsa la pena della fatica di prima e di quella che si dovrà fare poi.

Queste zone sono delle affascinanti radure sotto a Castagni secolari dalla bellezza indescrivibile. Non bastano cinque uomini adulti per abbracciarli. Sono enormi, antichi, saggi.

Sono in quel luogo da tantissimi anni e mi chiedo cosa possano aver vissuto.

Hanno già partorito dei ricci che il vento forte dei giorni precedenti a fatto cadere a terra ancora acerbi. Il loro verde è sgargiante, quasi fosforescente ma, dentro, le Castagne protette sono sane, turgide e pronte per essere consumate.

Le chiome generose di questi alberi fanno ombra alle Felci sottostanti che rendono quel sottobosco prospero e fresco. Sono le piante che simboleggiano il mistero e infatti chissà quanta vita si nasconde sotto i loro rami leggeri. Piccoli roditori come me e insetti trovano il loro habitat naturale proprio tra questo cupo fogliame.

La Felce permette al bosco di essere più idratato e umido in quei punti. Lo si nota anche dalla presenza di molti Funghi strani attaccati ai tronchi.

I Noccioli persistono e con i loro fusti sottili e ramificati e le loro foglie a cuore nascono tra scogli ricoperti di muschio nuovo, rendendo quel palcoscenico un territorio simile a quello dell’Irlanda.

Mi aspetto di vedere un Druido uscire da dietro un arbusto e parlarmi.

Un’ulteriore radura, ancora più aperta delle precedenti, mi permette di vedere il cielo che da tempo non riuscivo ad osservare sotto a quelle alte piante.

Che meraviglia quelle montagne ancora verdi!

Non solo, vedo anche i profili dei miei monti e vengo salutata persino da un’Aquila Reale che sorvola su quei crinali alla ricerca di cibo.

Gli spunzoni delle Rocche più conosciute svettano nel vuoto e fanno impressione. Viste da qui assumono un aspetto austero e imponente.

Quella più dolce, dietro di me, è Rocca della Mela, il panettone della Valle Argentina. Un enorme masso bianco e tondo che amo sempre guardare come se fosse un punto di riferimento.

Da qui posso vedere anche il Toraggio e il Pietravecchia se mi volto verso Sud – Ovest e mentre mi accingo a scrutare quelle cime conosciute l’eco mi porta il grugnire di diversi cinghiali.

Il sole scalda di meno rispetto a qualche giorno fa e i rettili fanno di tutto per riscaldarsi a quei tiepidi raggi. Una grossa Vipera se ne sta in panciolle sdraiata su della legna e non vuole essere disturbata. Si mimetizza molto bene tra quei rami secchi che formano una catasta naturale. Sta facendo rifornimento di calore. E’ bellissima con quei disegni che le arricchiscono il corpo e deve aver appena mangiato perché la sua pancia è davvero enorme! Santa Ratta, speriamo non si sia divorata un mio parente!

E’ bene proseguire. Nel bosco mi vogliono tutti bene ma la fame è fame, quindi meglio lasciar in pace Signora Aspide e continuare per la propria strada.

Ascolto cos’ha da dirmi questa Foresta così sontuosa. Mi parla di tempi passati. Immagino Saraceni e poi Partigiani nascondersi qui. Immagino animali che oggi non vedo e mi soffermo al suo nome – Labari -.

Dopo aver visto l’Aquila Reale mi viene in mente che i Labari erano degli stemmi Romani che venivano applicati a delle aste per onorare l’Imperatore che accompagnava il proprio esercito. Su questi drappi, di stoffa rossa e oro, veniva proprio ricamata la figura di un’Aquila Reale.

Nella mia Valle sono ancora oggi presenti tante strutture realizzate dai Romani e mi ci vuole davvero poco a pensare, con la fantasia, a truppe armate, cavalli bardati e uomini pronti a conquistare luoghi. Proprio qui.

Proprio in questi boschi che ora invece mostrano solo pace e natura.

Alcuni resti di vecchi casoni di pietra mi portano ad una vita pastorale. Potevano essere case, cascine, rifugi, stalle, magazzini, caselle… qui qualcuno ha vissuto o teneva provviste.

Alcuni tratti sono freschi e scuri, è come essere nel ventre di una madre, ci si sente protetti ma occorre ugualmente fare attenzione. Dobbiamo cercare di essere cauti e gentili in un territorio che non abitiamo quotidianamente.

Il tappeto di foglie cadute l’anno scorso scricchiola sotto le mie zampe e mi fermo per ascoltare altri nuovi rumori di quella vita.

Si sta d’incanto. Mi siedo. Tiro fuori la mia piuma e l’inchiostro. Prendo una grossa foglia di Castagno e inizio a scrivere le mie sensazioni.

Vi lascio quindi ma, come vi dico sempre, restate pronti. Appena ho finito, vi porterò in un altro posto da favola.

Un bacio secolare a voi.

La frazione abbandonata di Merli

Tutto ha inizio da qui, dalla minuscola chiesetta di San Giovanni Battista che si trova sopra a Molini di Triora andando verso Langan.

Ha inizio una scoperta, un fascino antico, un luogo disabitato senza più vita che fermo, immobile si lascia baciare dal sole.

Siamo due curve dopo Perallo e ci inoltriamo dentro al bosco che inizia formato da Castagni per poi trasformarsi in una specie di cunicolo che curiosa in mezzo alla fitta macchia.

Qui, in un tempo che oggi non esiste più, abitavano persone, tante persone.

Stiamo infatti andando in un’antica frazione della Valle Argentina chiamata Merli, che assieme ai piccoli borghi di Perallo e Moneghetti contava ben 600 abitanti circa fino alla prima metà nel ‘900. Un importante e noto “triangolo” appartenente al Comune di Molini.

Merli fu la prima località, seguita poi dalle altre, a spopolarsi.

Da qui partivano i muli carichi di raccolto da portare nei paesi più grandi e vendere. Legna, castagne, olive. Alcuni muli conoscevano la strada a memoria e, nella loro risalita, incrociavano spesso la corriera che effettuava il suo ultimo tragitto.

I bimbi di Merli andavano a scuola a Perallo e i contadini coltivavano su fasce piane delle quali oggi se ne nota solo l’ombra. Prima della guerra, il nucleo abitativo era di circa un centinaio di persone.

Si dice anche però che in questa frazione, anticamente, vivevano le persone malate di lebbra per restare isolate dal resto della comunità.

Oggi a regnare assoluti sono i rovi; mi auguro vi siate vestiti adeguatamente per seguirmi perché se vogliamo inoltrarci tra questi casoni, da noi chiamati “bareghi”, dobbiamo considerare il fatto di rimanere appesi a queste grosse spine… “ma chi me l’ha fatto fare…!”… Ovviamente sto scherzando. Sono molto felice di essere qui e scoprire questo luogo che appartiene alla mia Valle.

Un luogo abbandonato, quasi dimenticato.

Non tutti conoscono Merli. Ma di sicuro vive ancora nel cuore di chi è cresciuto da queste parti o aveva i nonni provenienti proprio da questa località.

I ruderi che ci attendono sono circondati da Roveti, qualche Tasso, Roverelle, Ulivi e Ginestra sfiorita. Presumo che qui, in tarda primavera, sia tutto giallo.

In questo momento dell’autunno si possono vedere dei colori sul Poggio dell’Agrifoglio di fronte a noi, un Poggio silenzioso che osserva, ciò che resta di questo borgo, giorno e notte.

In mezzo a queste mura invece riecheggia il crocidare delle Ghiandaie e ti obbligano a voltare lo sguardo al cielo.

Il panorama è spettacolare sia da una parte che dall’altra. Da dietro un Ciliegio si scorge Andagna sui monti di fronte.

Sopra di lei svetta il Carmo dei Brocchi e si vede il Passo della Mezzaluna. In questo momento un po’ coperti da nuvole bianche.

Vicino a noi invece svetta il campanile della Chiesa dedicata alla Madonna di Laghet di Perallo.

Provo a immaginare la vita di chi tra queste pietre ha vissuto. Guardo il sentiero sul quale poggiano le mie zampe. E’ semidistrutto, in certi punti anche pericoloso perché stretto e buchi posti a tranello sono ricoperti dall’erba.

Immagino uomini e donne aggirarsi per quelle case, salutarsi, darsi il – Buon appetito –, alla sera, prima di rincasare dove ora non si può nemmeno passare.

Alcune rocce sulle quali bisogna passare sono grandi, scivolose, taglienti, un tempo ricoperte sicuramente da terra battuta.

La pioggia dei giorni scorsi ha reso tutto ancora più umido ma anche più luccicante come i fiori e i funghi.

Altri ruderi si mostrano poco più avanti. Sono sparsi e alcuni si fa fatica a individuarli. Ad accoglierci non ci sono più le persone ma un albero di mele.

Tocco quelle che un tempo erano dimore di vita, di famiglie, di focolari domestici. Sono fredde, piccole. Alcune erano solo stalle e ripostigli.

E’ bello camminare qui, scoprire un nuovo rudere dietro qualche pianta. E’ scoprire il passato.

Sono soddisfatta anche se graffiata e con le braghe bagnate dalla rugiada. Sono contenta di essere venuta a visitare questo posto.

Contenta di aver scovato qualcosa che la natura ha giustamente ricoperto.

Ora vi saluto perché i luoghi della mia Valle non sono finiti e vi porterò con me a scoprirne altri ma prima lasciatemi riposare un po’.

Paese innevato

Ah topi! Quest’anno la neve non ne vuole sapere di arrivare.

Vi avevo promesso, qualche post fa, un bell’articolo sulla mia valle completamente ricoperta dalle soffici briciole candide. Ebbene, la Bianca Signora mi sta tradendo. Di scendere, proprio non ne ha intenzione. Ma non disperate. Non ho mica iniziato solo ieri a fare foto! Ho pensato infatti, di proporvi il mio paesaggio come si presentava, l’anno scorso, in questo periodo. Siate comprensivi… la promessa dovevo pur mantenerla!

E allora guardate, anzi ammirate. Non è forse fantastico? Neve, neve, neve, quando decide di venirci a trovare, nell’Alta via Alpina, esagera sempre.

Quella che vedete nella foto qui a sinistra è la caserma (o quel che ne rimane) della quale avevo già parlato quest’estate, il fortino di Cima Marta, dove regnava, fino a poco tempo fa, il verde delle piante, delle vallate, il giallo delle bocche di leone e un sole caldissimo.

Ecco, la mia mutevole Valle offre anche questo tipo di panorama.

Vi posto infatti ora due foto scattate esattamente nello stesso punto, da sopra Triora. Ho fotografato il monte dietro Andagna. Eccolo in estate dove, da questi arbusti in primo piano, che sono roveti, potevamo raccogliere bacche e more; e ora, come sarebbe anche quest’anno se la neve scendesse. Molto scenografico, devo dire, sporcato di bianco.

I disegni che i fiocchi, adagiandosi sopra ogni cosa, riescono a comporre, sono unici.

Il mio mondo fantastico, sempre bello, in qualsiasi stagione.

Devo ammettere che cerco, solitamente, di non invitare la neve a casa mia. E’ una di quelle cose che preferisco andare a trovare io, quando ne ho voglia. Viverci costantemente non è nel mio stile di vita preferito. Uscire dal Mulino e spalare, far cadere acqua bollente sulla mia topoghiandauto con le portiere bloccate, raccogliere i panni fuori che, per niente orgogliosi, si piegano e si spezzano pure, non è di mio gradimento.

Il mio semi-letargo si tramuterebbe in un drastico periodo di freddo e sofferenza per le mie povere zampette ma, alla vista, mi affascina tantissimo. Niente riesce a rendere il paesaggio come lei.

Quando brilla sotto al sole e assume sfumature azzurre e argentate, quando leggera svolazza brevemente mossa dal vento e quando fa da splendida e paffuta cornice agli alberi spogli che nudi la indossano.

Questo è il paese innevato che volevo farvi conoscere.

Per il momento gli amanti dello sci sono disperati. Pur “sparandola”, come si dice, non dura. Quindi, non potrò per ora usare il mio guscio di noce come bob. Pazienza.

Ho tante altre cose da fare e da farvi vedere. Altri luoghi, altre emozioni che mi circondano. A presto quindi.

Squit!

M.