Particolari emozioni tra i ruderi di Drondo Inferiore

Che meraviglia! Che meraviglia! Oggi Topi vi porto in un luogo che considero fantastico!

Molte volte vi chiedo di seguirmi in zone della Valle che raccontano di una vita passata che non esiste più. Spesso si tratta di avvenimenti militari, leggende legate alla stregoneria, il significativo operato di personaggi religiosi ma, oggi, tutto questo non c’entra.

Non c’entra perché questa volta andiamo a vivere “semplicemente” quella che era la vita in Valle Argentina fino agli anni del dopoguerra. Una vita fatta di contadini, terrazzamenti, la quotidianità di un tempo, il sole, le case di pietra…

E che sensazioni indescrivibili ci aspettano!

Credetemi… non posso non immaginare una donna, con la sua pitocca scura e u fudà (il grembiule) infornare del buon pane nel forno comune, non posso non immaginare un uomo uscire al mattino per dirigersi nei suoi campi; piedi che affondano in questo tappeto di foglie secche e ricciolute, sacchi di patate riposti nelle caselle, grida di richiamo da una fascia all’altra che echeggiano per tutto il fondovalle.

E’ impossibile non fantasticar su tutto questo e sapete perché? Perché andiamo a Drondo Inferiore cari amici! E questo significa fare un salto in un passato che poche volte si mostra così evidente.

Drondo Inferiore, oggi completamente disabitato e riconoscibile solo grazie ai ruderi rimanenti, è una piccola frazione di Creppo che sorge nei pressi delle pendici del Monte Gerbonte.

Siamo in Alta Valle Argentina e il termine – Inferiore – ci fa capire che sicuramente c’è anche una parte più sopra chiamata – Superiore – e infatti è proprio così. Di quest’ultima zona resta però davvero pochissimo, per questo vi porto prima qui, in zona Sottana. L’altro Drondo ve lo farò conoscere un’altra volta.

Per arrivare in questo nucleo fantasma serve prendere il sentiero che scende dalla strada principale subito dopo Creppo oppure, proprio da Creppo, prendere la mulattiera che và verso il torrente e si congiunge poi con questa stradina in mezzo al bosco nella quale camminiamo oggi.

Si tratta di un bosco meraviglioso. Faggi, Noccioli e Abeti mi circondano ma sono, senza ombra di dubbio, i maestosi Castagni secolari ad attirare maggiormente la mia attenzione. Non bastano cinque uomini per abbracciarli sapete?

Sì, alcuni sono davvero enormi e rinfrescati da Muschio e Felci.

Altri invece sono molto vecchi, secchi e sono stati attaccati da funghi e parassiti. Sulla loro corteccia generosa zampettano insetti di ogni tipo e parecchi uccelli e roditori hanno costruito la loro tana.

E’ un bosco magico. La Primavera esulta attraverso Violette, Anemoni e Primule e il sentiero è pulito e pianeggiante. Adatto a chiunque.

Tutti quegli alberi sembrano schiere di soldatini messi in fila e, grazie a diverse indicazioni, capisco che da qui posso dirigermi in diversi luoghi.

Potrei andare sulla vetta del Gerbonte o a Borniga, potrei tornare verso Creppo e ammirare il suo ponte antico oppure, come ho detto, proseguire per Drondo attraversando il Rio Infernetto che mi accompagna strada facendo.

Il suono delle sue acque che scorrono sembra a volte silenziato dal canto degli uccelli vivaci che vivono in questa fitta macchia e non stanno zitti un secondo!

Santa Topa, non riesco neanche a scrivere con il baccano che fanno… Vabbè, tanto lo sanno che li adoro e se ne approfittano…

Picchi, Cince, Ghiandaie e Fringuelli se la cantano allegri che è un piacere ma, più avanti, risalendo verso i confini a Nord della Valle, lasceranno il posto a Gheppi, Poiane, Falchi e persino ai Bianconi nella giusta stagione.

Anche Drondo ha un suo ponte e devo attraversarlo per arrivare alle case ma, qui, una sosta è d’obbligo.

L’acqua che scorre sotto di lui è quieta e passa tra grandi massi brillando sotto il sole.

E’ un ponte in pietra così come le fasce che posso iniziare a intravedere.

L’edicola di una Madonnina avvisa che si sta giungendo a un centro abitato dove, un tempo, poteva ricevere preghiere da chi, ogni dì, le passava davanti.

Anche in muretti che racchiudono queste coltivazioni sono in pietra e, immediatamente, mi faccio domande sulla fatica che è stata consumata per poter avere da mangiare.

Passo sopra a quell’arco sospeso nel vuoto. Ora il sentiero si modifica leggermente.

Dei grossi gradini di pietre e radici mi conducono un po’ più su e la vista di alcuni vecchi ripari mi fa procedere con sempre più entusiasmo. Ci sono quasi.

Attorno a me il verde nuovo gareggia con il marrone dell’autunno scorso che l’inverno non è riuscito a spegnere.

Salgo ancora una rampa, sorpasso qualche tronco sceso che forma portali e…. eccomi!

Le prime case di Drondo si mostrano davanti a me sul ciglio di un corridoio calpestato chissà quante volte, in passato, da chi qui viveva.

Alcune porte sono aperte e io sono elettrizzata.

Ci sono delle inferriate alle finestre, alle poche rimaste, e molti oggetti dentro e fuori queste costruzioni.

Pare che qui la gente abbia vissuto fino alla Seconda Guerra Mondiale ma la presenza di pali della luce e cassette delle lettere indicano anni decisamente più recenti.

Anche la fantasia dei rivestimenti sembra la classica degli anni ’70.

<< E’ permesso?! >> domando a quello che sembra essere il nulla ad un primo sguardo. Non posso entrare perché quelle dimore sono parecchio distrutte e malconce ma posso affacciarmi ai loro usci e non vorrei dar fastidio a Pipistrelli o Merli che si sono appropriati di queste costruzioni.

Letti in legno, a una piazza e mezza come si usava una volta… damigiane, piastrelle, scarpe, armadietti dei medicinali… c’è di tutto e c’è anche tanta tanta natura che adesso ha preso il sopravvento.

L’edera si aggrappa a quei muri con tenacia mostrando tinte vivide e venuzze quasi fosforescenti.

Ma da chi sono state toccate quelle pietre prima del suo nascere? Da un anziano che si appoggiava per riposare prima di riprendere il suo cammino? Da un bimbo che giocava a nascondino con i suoi compagni? Da una signora che ci sbatteva contro la sua ramazza per pulirla?

Grandi alberi sono nati all’interno di questi bareghi (ruderi) e hanno distrutto intere pareti.

I Rovi si sono presi la briga di riattivare il DNA di quel terreno indebolendo così le strutture dell’uomo e la maggior parte dei tetti sono crollati mostrando grosse travi di legno che sembrano in bilico.

Mi faccio largo in mezzo a quella vegetazione e salgo scalini tra le case.

Dove una volta c’erano finestre ora ci sono semplici aperture dalle quali i raggi del sole non faticano ad entrare.

Avrete notato che vi ho nominato il sole già diverse volte e adesso vi spiego il perchè.

Una delle cose che più mi ha rapita, pur conoscendo bene l’intelligenza dei miei predecessori, è proprio osservare come i borghi venivano costruiti in base alla presenza della Grande Stella.

Prima e dopo l’abitato di Drondo il bosco è fitto e la strada curva verso fondovalle costeggiando il rio.

Tutto è ombroso, umido… alte rocce delineano il passaggio di piccole cascatelle, il ghiaccio in certi punti persiste… ma non qui a Drondo, non qui dove sorgono le case che vengono baciate dai raggi del sole per lungo tempo durante la giornata.

Eh… mica stupidi i nostri avi!

Continuo a salire tra quelle rovine e giungo a quella che era la costruzione più importante di un’intera borgata: il Forno.

E’ piccolo ma splendido. Realizzato con mattoni pieni e cemento.

Oggi alcune piante lo stanno ricoprendo ma lui continua ad esistere perfetto e intatto.

Salendo per la stradina che passa dietro a questo forno si possono raggiungere Drondo Superiore e Borniga mentre continuando per il sentiero si arriva sulle rive del Rio Infernetto.

Diversi terrazzamenti pianeggianti, un tempo coltivati, mi accolgono. Ci sono parecchi alberi anche qui. Le punte più tenere dei loro piccoli rami appaiono rosicchiate, probabilmente sono tanti i Caprioli che frequentano questo paradiso.

Oltrepassando quelli che erano gli orti di Drondo giungo al rio e alzando gli occhi al cielo posso ammirare le alte falesie della mia Valle. Sono spettacolari e abitate da numerosi Camosci.

Avanzo ancora e, dopo essere scesa, adesso risalgo. Mi guardo intorno, sono nel bel mezzo di un territorio incredibilmente selvaggio. Il Gerbonte si staglia davanti a me, ci sono delle grotte tra le rocce nude e poi ginestre, foglie dorate, sassi bianchi.

Starei qui per ore ma, per oggi, il mio topotour è giunto al termine. Devo far ritorno in tana.

Girandomi per tornare posso vedere Creppo. Da qui non l’avevo mai visto. E’ bellissimo. Una manciata di case sul crinale di una montagna.

Non è lontano. Posso raggiungerlo in poco tempo.

E allora, con un goccio di dispiacere, lascio questo luogo antico e disabitato ma ancora pieno di vita. Una vita sottile da percepire.

Grazie Drondo per le belle emozioni che mi hai regalato nonostante il silenzio (assai apprezzato) che ti avvolge.

Però voi adesso non restate fermi a fare i patetici, dovete prepararvi per la prossima passeggiata che percorreremo a breve.

Su su! Forza… andate a sistemarvi che arrivo e partiamo!

Squit!

Nel ventre dell’antica Foresta dei Labari

E’ una soleggiata mattina di inizio autunno quando mi inoltro per un sentiero largo e pulito che passa sotto a dei Noccioli e dei Castagni meravigliosi.

Il silenzio assai apprezzato di quel luogo è rotto, di tanto in tanto, dai fruscii delle lucertoline veloci che si muovono tra le foglie secche a terra e il cinguettio di uccelletti felici.

Cardellini e Fringuelli, infatti, mi circondano e mi accompagnano in quella macchia che trionfa di vita.

Posso però udire anche il crocidare di qualche Ghiandaia che sembra alterata (come al solito, visto il caratteraccio che hanno, e mi riferisco soprattutto alla mia amica Serpilla) e il battere del Picchio che buca quei tronchi enormi alla ricerca di linfa e insetti. O forse vuole prepararsi un nuovo nido.

Attorno a me, l’Erica e i Noccioli, rendono tutto ancora più brioso e rigoglioso, colorando di rosa e di verde ciò che ormai sta assumendo tinte più calme e mature.

Nonostante la stagione, posso godere ancora della presenza di qualche fiore più temerario che non ha paura a sfidare i primi freddi.

Il sentiero scende a tornanti e mi porta verso il torrente che attraverso per ritrovarmi nell’antica Foresta dei Labari.

Sono sopra al paese di Corte, ho preso la strada che va verso Vignago, facendomi aprire la sbarra che ostruisce il passaggio, e mi sono diretta verso Case Loggia per la via che conduce ai Casai.

Qui, un percorso morbido di erbetta e foglie, scende alla mia destra e lo prendo per portarvi dove vedrete.

Il piccolo torrente si lascia attraversare con facilità anche se ci vogliono scarponi adatti per non bagnarsi i piedi. Gli scarponi adatti ci vogliono anche perché, nei Labari, la vegetazione è esagerata e senza la giusta attrezzatura e un abbigliamento adatto si rischia di farsi male o di non apprezzare tutta quella bellezza.

I Rovi, infatti, impediscono il cammino con il loro voler essere totalmente al centro dell’attenzione. Carichi di More gustose, che mi consentono una bella scorpacciata, si innalzano boriosi per far notare quelle meraviglie viola e rosse che li abbelliscono.

Altre piante legano le caviglie e trattengono come a voler essere notate anch’esse. Ci sono arbusti che graffiano e fronde che accarezzano ma, tra loro, qualche ragno ha costruito ragnatele resistenti e assai vaste.

Mi rendo conto che da questa descrizione, questo luogo può apparire poco piacevole, ma vi assicuro che non è così. Ci vuole un po’ di sacrificio per raggiungere la meraviglia e, inoltre, tutto quel verde è davvero suggestivo anche se all’essere umano può apparire antipatico. Io poi, che sono una piccola Topina, mi faccio meno problemi sgattaiolando sotto a tutta quella flora.

Quel bosco continua ad essere florido ed esuberante ma, ogni tanto, regala angoli stupendi e quando si giunge in questi piccoli eden si pensa davvero che sia valsa la pena della fatica di prima e di quella che si dovrà fare poi.

Queste zone sono delle affascinanti radure sotto a Castagni secolari dalla bellezza indescrivibile. Non bastano cinque uomini adulti per abbracciarli. Sono enormi, antichi, saggi.

Sono in quel luogo da tantissimi anni e mi chiedo cosa possano aver vissuto.

Hanno già partorito dei ricci che il vento forte dei giorni precedenti a fatto cadere a terra ancora acerbi. Il loro verde è sgargiante, quasi fosforescente ma, dentro, le Castagne protette sono sane, turgide e pronte per essere consumate.

Le chiome generose di questi alberi fanno ombra alle Felci sottostanti che rendono quel sottobosco prospero e fresco. Sono le piante che simboleggiano il mistero e infatti chissà quanta vita si nasconde sotto i loro rami leggeri. Piccoli roditori come me e insetti trovano il loro habitat naturale proprio tra questo cupo fogliame.

La Felce permette al bosco di essere più idratato e umido in quei punti. Lo si nota anche dalla presenza di molti Funghi strani attaccati ai tronchi.

I Noccioli persistono e con i loro fusti sottili e ramificati e le loro foglie a cuore nascono tra scogli ricoperti di muschio nuovo, rendendo quel palcoscenico un territorio simile a quello dell’Irlanda.

Mi aspetto di vedere un Druido uscire da dietro un arbusto e parlarmi.

Un’ulteriore radura, ancora più aperta delle precedenti, mi permette di vedere il cielo che da tempo non riuscivo ad osservare sotto a quelle alte piante.

Che meraviglia quelle montagne ancora verdi!

Non solo, vedo anche i profili dei miei monti e vengo salutata persino da un’Aquila Reale che sorvola su quei crinali alla ricerca di cibo.

Gli spunzoni delle Rocche più conosciute svettano nel vuoto e fanno impressione. Viste da qui assumono un aspetto austero e imponente.

Quella più dolce, dietro di me, è Rocca della Mela, il panettone della Valle Argentina. Un enorme masso bianco e tondo che amo sempre guardare come se fosse un punto di riferimento.

Da qui posso vedere anche il Toraggio e il Pietravecchia se mi volto verso Sud – Ovest e mentre mi accingo a scrutare quelle cime conosciute l’eco mi porta il grugnire di diversi cinghiali.

Il sole scalda di meno rispetto a qualche giorno fa e i rettili fanno di tutto per riscaldarsi a quei tiepidi raggi. Una grossa Vipera se ne sta in panciolle sdraiata su della legna e non vuole essere disturbata. Si mimetizza molto bene tra quei rami secchi che formano una catasta naturale. Sta facendo rifornimento di calore. E’ bellissima con quei disegni che le arricchiscono il corpo e deve aver appena mangiato perché la sua pancia è davvero enorme! Santa Ratta, speriamo non si sia divorata un mio parente!

E’ bene proseguire. Nel bosco mi vogliono tutti bene ma la fame è fame, quindi meglio lasciar in pace Signora Aspide e continuare per la propria strada.

Ascolto cos’ha da dirmi questa Foresta così sontuosa. Mi parla di tempi passati. Immagino Saraceni e poi Partigiani nascondersi qui. Immagino animali che oggi non vedo e mi soffermo al suo nome – Labari -.

Dopo aver visto l’Aquila Reale mi viene in mente che i Labari erano degli stemmi Romani che venivano applicati a delle aste per onorare l’Imperatore che accompagnava il proprio esercito. Su questi drappi, di stoffa rossa e oro, veniva proprio ricamata la figura di un’Aquila Reale.

Nella mia Valle sono ancora oggi presenti tante strutture realizzate dai Romani e mi ci vuole davvero poco a pensare, con la fantasia, a truppe armate, cavalli bardati e uomini pronti a conquistare luoghi. Proprio qui.

Proprio in questi boschi che ora invece mostrano solo pace e natura.

Alcuni resti di vecchi casoni di pietra mi portano ad una vita pastorale. Potevano essere case, cascine, rifugi, stalle, magazzini, caselle… qui qualcuno ha vissuto o teneva provviste.

Alcuni tratti sono freschi e scuri, è come essere nel ventre di una madre, ci si sente protetti ma occorre ugualmente fare attenzione. Dobbiamo cercare di essere cauti e gentili in un territorio che non abitiamo quotidianamente.

Il tappeto di foglie cadute l’anno scorso scricchiola sotto le mie zampe e mi fermo per ascoltare altri nuovi rumori di quella vita.

Si sta d’incanto. Mi siedo. Tiro fuori la mia piuma e l’inchiostro. Prendo una grossa foglia di Castagno e inizio a scrivere le mie sensazioni.

Vi lascio quindi ma, come vi dico sempre, restate pronti. Appena ho finito, vi porterò in un altro posto da favola.

Un bacio secolare a voi.

Luoghi magici – Dalla Bassa di Sanson a Testa della Nava

La Bassa di Sanson (in francese – la Baisse de Sanson) è un luogo molto bello della mia Valle. Le fa da cornice.

Si tratta di un pianoro situato tra le più alte vette che mi circondano, in grado di offrire una natura e un panorama splendidi.

L’ho nominato anche in lingua francese perché, qui, siamo in terra di confini. Siamo infatti molto vicini alla Francia e, soprattutto, siamo vicini a Cima Marta montagna che divide la Valle Argentina dalla Valle Roja.

In questa zona molti Larici e molti Sorbi ricoprono, con le loro altezze, tantissimi fiori e lo sterrato, percorribile con topo-mobili adatte, passa in mezzo ad una natura assai rigogliosa.

Oggi però, partendo proprio dalla Bassa, vi porterò in un luogo bellissimo ma attraverso un sentiero e non percorrendo la carrareccia che tutti conoscono. Sarà un sentiero fatto di curve che ci regalerà la presenza di molti uccellini, piante, funghi, fiori e conifere.

Partiamo da 1.679 mt e saliamo ulteriormente, perché andiamo a Testa della Nava, a 1.939 mt, ritrovandoci ancora più vicini a Marta o Cime de Marte.

Di certo non voglio fare quella che parla due lingue Topi, il fatto è che qui siamo sul confine tra Italia e Francia come vi dicevo. Un tempo questo territorio era tutto italiano ma è poi passato alla Francia, dopo il trattato di Parigi del 1947, mantenendo come “capoluogo”, se così si può chiamare, La Brigue, la cittadina più grande di queste zone che noi, oggi, vedremo dall’alto.

Continuando per questo sentiero si può anche raggiungere proprio Cima Marta (2.138 mt) ma noi ci fermeremo prima questa volta. Ci fermeremo dove risiedevano i cannoni che venivano usati su Marta e sui suoi Balconi, dove, ancora oggi, tra bunker e baraccamenti esistenti, possiamo ritrovarci nel teatro di un passato militare e storico che ci riguarda. Tranquilli, vi prometto che vi porterò su Marta ma in un secondo momento.

A Testa della Nava venivano depositate nuove armi e munizioni, le quali si trasportavano poi alle caserme, o nelle casematte, per essere utilizzate dai soldati.

La Bassa di Sanson la si può comodamente raggiungere sorpassando l’abitato di Realdo e proseguendo per la strada semi asfaltata che porta al Pin e anche a Collardente dove di asfalto non ce ne sarà più neanche l’ombra.

Sarà facile, mentre si sale, scorgere Poiane indaffarate a cacciare che svolazzano in quel cielo meraviglioso.

Una volta lasciata qui la vettura si può proseguire a piedi per un percorso che si congiunge poi a una via più larga e diventa percorribile anche alle auto (sempre quelle adatte ovviamente).

Tra una rigogliosa vegetazione è possibile intravedere i primi antichi baraccamenti in pietra.

Proprio nei pressi di questa congiunzione, la piazzola che si forma è spoglia di alberi e il sole batte forte permettendo a diversi fiorellini prativi di nascere e nutrire una vasta quantità di insetti.

Gli alberi attorno, poco fitti, sono un ottimo habitat per diversi uccelli perché donano protezione ma permettono anche la libertà del volo. Si possono incontrare quindi Tordelle ma soprattutto Crocieri, uccelli davvero particolari, dal becco ricurvo e forte in grado di spaccare anche i gusci più duri di alcuni frutti.

Una coppia di questa specie, scientificamente chiamato Loxia curvirostra, mi affascina moltissimo e resto parecchi minuti a guardarla. Si baciano, si scambiano il cibo, si osservano… sono davvero innamorati!

La femmina, che potete vedere qui da sola in queste immagini, è di colore grigio maculato, meno colorata del maschio che invece sfoggia una bella livrea dalle tinte arancioni ma sono entrambi bellissimi.

Il sentiero continua pulito al di sotto di quelle sacre conifere e circondato da erba alta che crea un bel sottobosco spumeggiante.

Di tanto in tanto, grandi mucchi di Epilobi, alti fiori color fucsia che possono addirittura raggiungere i 150 cm di altezza, rendono quel luogo ancora più magico. Sembrano nuvole rosa e viene voglia di tuffarsi in mezzo a loro.

In questo periodo si stanno trasformando. I petali lasciano il posto a semi leggerissimi e piumosi come soffioni, i quali si distaccano dalla pianta e volano lontano permettendo a nuovi Epilobi, in futuro, di nascere. Quanta meraviglia!

Si iniziano a vedere diversi monti francesi e quei profili, seppur lontani, regalano stupore.

Ma continuiamo l’ascesa.

Sono monti grigi, sfumati di azzurro. Sono monti nudi, aspri, austeri e si ammirano con la bocca spalancata.

Sono monti attaccati uno all’altro a creare un paesaggio alpino incredibile.

Si può scorgere anche un pezzo della famosa “Alta Via del Sale” che conduce a Limone.

E’ come comprendere cosa significhi davvero la parola – Montagna -!

Voltandosi invece verso Est è possibile lasciarsi stupire dai monti più verdeggianti della Valle Argentina come il Monte Frontè e il Saccarello che, pur essendo un monte severo, regala la vista dei suoi pascoli e dirupi erbosi.

Da qui, ritornando a Ovest con il muso, si può già notare La Brigue, giù nel vallone, e il grande bunker di Tenda che, solitario, rimane ben visibile su un pianoro.

Sarà tutto questo che si vedrà ancor meglio da Testa della Nava e quindi proseguiamo ma ormai siamo vicinissimi.

I boschi di Larici iniziano a diradarsi e a lasciare il posto a praterie splendide. Le stesse che continuano verso Marta divenendo sempre più ampie e capaci di regalare il senso di immensità.

Uno degli ultimi alberi dona la presenza delle comuni “faccette” realizzate su pietra e posizionate qua e là per tutta la Valle. Sono ormai un emblema dei miei luoghi.

A Testa della Nava una sosta è d’obbligo per poter assaporare con gli occhi e con il cuore tutta quella bellezza. C’è bellezza intorno alle nostre zampe ma anche verso l’orizzonte se alziamo il muso per guardar lontano.

Ovunque, lo sguardo incontra splendore.

Mentre la radura mi accoglie, un’altra zona boschiva si presenta con la sua fitta macchia davanti a me. Sarà breve. Lascerà poi il posto ai prati incontaminati e vasti di cui vi accennavo prima. Prati che vedrete presto.

Approfittiamo per riposarci un po’ ma poi, come vi ho anticipato, si ripartirà per raggiungere la Cima delle cime. La Regina di questa zona. Marta. Un tempo conosciuta come Monte Vacchè.

Ora state qui tranquilli, io vi mando un bacio pieno di entusiasmo e vi aspetto per proseguire.

A presto! Squit!

Il Melo Selvatico e un Panorama Mozzafiato

E continuiamo con i panorami mozzafiato che regala la mia Valle cari Topi.

Questa volta andremo in un luogo meraviglioso. Una piccolissima radura che spunta dal bosco e diventa un punto panoramico fantastico.

Andiamo nei pressi del Monte Gerbonte, introducendoci attraverso uno dei suoi più romantici e sontuosi accessi.

Dove, in questo periodo, la vegetazione è talmente florida che sembra quasi di essere in una giungla.

Abbiamo sorpassato il paese di Realdo e abbiamo proseguito oltre Borniga dirigendoci verso Collardente. In un tornante però, una piccola insegna di legno recita: – Monte Gerbonte – e sarà qui che lasciamo la topo-mobile per proseguire a piedi appropinquandoci all’interno della macchia.

La radura nella quale vi porterò a breve, la si apprezzerà ancora di più dopo aver scavalcato per molto tempo Felci esagerate, rami che sembrano chiome e grandi fiori in mezzo al nostro cammino.

Uno splendore assoluto ma dopo aver percorso questo tempo racchiusi nel verde come ad essere dentro un uovo, si apprezza anche la vastità dello sguardo che, a breve, potrà spaziare per tutta la Valle Argentina.

Sì, avete letto bene. Vedremo la splendida Valle in tutta la sua bellezza. Continuate a seguirmi.

Siamo all’inizio del “Sentiero degli Alberi Monumentali” o, detto anche, “Sentiero dei Parvaglioni” (da Parvaiui e cioè Fiocchi/Farfalle).

Siamo in mezzo ai Larici vecchi ed enormi che vi avevo descritto qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/05/10/sul-sentiero-parvaglione-attraversando-ruscelli/ e, tra noi, svolazzano appunto Farfalle dipinte di ogni colore posandosi di fiore in fiore.

Non hanno che l’imbarazzo della scelta.

Anche nella radura ce ne saranno molte e alcune si adageranno su di noi per annusarci.

Una radura magica. Qui volano intorno al Melo che si trova in questo spazio verde e, come un Re nel suo Regno, questo Melo governa tutto quel mondo guardandolo dall’alto. Se ne sta lì, solitario, unico nella sua specie. E quando è fiorito è meraviglioso.

Se ne sta lì nella pace di quel promontorio guardato da altre piante che lo circondano da distante.

Un sorbo e altri Larici.

Accanto al suo tronco, a terra, alti ciuffi d’erba nascondono l’arrivo delle grandi Formiche che lo vivono. Sono le padrone del Gerbonte e tutto, in quella foresta, appartiene a loro.

Sul bordo del dirupo, che mostra una meraviglia assoluta, una grande pietra piatta permette di sedersi e ammirare quel territorio infinito. Davanti a noi si staglia la Catena Montuosa del Saccarello. Tutti i miei monti sono lì, davanti a me.

Si vede bene la statua del Redentore che spicca contro l’azzurro e le altre montagne che sembrano di velluto in questa stagione.

Si vede bene il paese di Borniga, un piccolo borgo di pietra che dorme appisolato nella pace più assoluta dell’Alta Valle.

Di fianco posso vedere il Gerbonte e gli alti fusti degli alberi che lo ricoprono.

Stare seduti vicino a questo Melo è qualcosa di meraviglioso. I pensieri ci abbandonano e solo la meraviglia prende posto negli occhi e nel cuore.

Lui è sempre lì. Di giorno, di notte, in inverno, in estate. E osservarlo ogni volta significa comprendere tutte le stagioni che passano liete.

Per arrivare sin qui siamo passati attraverso Conifere particolari. Non ci sono solo i Larici ma anche gli Abeti: il Rosso e il Bianco.

Si possono notare diversi Licheni sulle cortecce di queste piante. Sono utili organismi che assicurano all’albero una continua idratazione. Alcuni, i più bisognosi, ne sono totalmente ricoperti.

Per chi non è abituato a camminare, questo percorso che non è lungo ma neanche brevissimo può richiedere qualche minuto di sosta, di tanto in tanto, ma posso assicurarvi che è fattibilissimo da chiunque, anche dai piccoli Topini e merita veramente se poi si arriva in questo spicchio aperto che regala cotanta meraviglia.

Volendo proseguire oltre la radura si arriva, da come avrete capito, fin sul Gerbonte ma per chi vuole passare una semplice domenica a contatto con la Natura, senza affaticarsi troppo, qui ha già trovato ciò che cercava.

Mentre camminate cercate di non far rumore. In diversi luoghi di questo bosco speciale vivono Caprioli e Camosci e vi potrebbe capitare di assistere a qualche lieto incontro.

Mentre, quando il cielo si apre dinnanzi a voi, sarà possibile ammirare i voli acrobatici di Poiane e Bianconi che lì vivono.

Cosa ne dite Topi?

Vi ho portato anche questa volta in un bel posto? Io dico di sì e allora vi auguro una buona permanenza in questo praticello che ha tanto da offrire.

Un saluto a tutti, alla prossima! Squit!

Generosa Flora sopra Il Pin

Beh, che i fiori, in Valle Argentina, in questo periodo, siano i protagonisti assoluti non ci piove. Ed è giusto che sia così. Siamo in primavera, ormai alla fine, stiamo sfiorando l’estate ed è bellissimo vedere le loro forme davvero uniche e i loro colori.

Oggi però vorrei portarvi a vederne di particolari in un luogo altrettanto particolare. Si tratta di fiori che nascono nei prati, a bordo strada, ma anche su alberi e, insomma, creano un ambiente incredibile.

Andiamo dopo Realdo, dopo Borniga, oltre Il Pin, località così chiamata vista la grande presenza di Pini, salendo per andare verso l’inizio del sentiero che conduce ai Parvaglioni e possiamo godere di un luogo meraviglioso, pezzo di un paradiso unico.

Meraviglioso perché la natura qui dona il meglio di sé. C’è tanta vita soprattutto regalata dalla flora.

Ad accogliermi, dall’angolo di un grande prato, c’è una piccola comunità di alberi. Sono dei Larici. E’ curioso vedere come i più piccoli e giovani siano difesi da quelli più adulti e saggi che li circondano proteggendoli dal perimetro del boschetto. Sotto di loro è come essere dentro ad una capanna, un tepee indiano e l’ombra è così scura e fresca che sembra di aver oltrepassato un portale che porta in un’altra dimensione. Le loro fronde cadenti sono come tende vive e ci si sente accolti.

Esco da quella biocenosi dopo aver respirato il loro profumo balsamico e aver accarezzato i licheni che ricoprono quelle ruvide cortecce perché molto altro mi aspetta.

Sulla soglia un innocuo Orbettino (Anguis Veronensis) mi saluta e meno male perché quasi non l’avevo visto anche se è più lungo di me. Tranquilli, non è un serpente ma una Lucertola un po’ particolare che ha perso le zampe durante la sua evoluzione.

Riprendo a zampettare in su fino ad arrivare in un pezzo di strada che sembra dorata. Questo bellissimo colore è dato dalle cascate dei Maggiociondoli in fiore che, con i loro gialli grappoli, creano un portico suggestivo lungo la via. Si tratta di un albero tossico ma meraviglioso. E persino utile. Il suo legno, che si confonde facilmente con l’Ebano, soprattutto nei soggetti più anziani, era venduto un tempo al posto di quest’ultimo e ancora oggi infatti è conosciuto come “Falso Ebano”.

Passo sotto a quei numerosi e piccolissimi soli, in un mondo tutto giallo, e mi sembra di sognare. Non avevo mai visto tanti Maggiociondoli così assieme anche se, in Valle Argentina, ce ne sono davvero parecchi.

Mi viene in mente il Monte Pellegrino che, in questo periodo, è praticamente giallo!

Dopo aver percorso questo viale ritorno al grande prato e questa volta vengo rapita da un insieme di fiori di campo uno più bello dell’altro.

Persino i fiori, abbastanza classici, di Trifoglio qui sembrano ancora più belli, sono come grandi e morbidi pon pon che dal bianco arrivano alla tonalità fucsia e sono stupendi. Anche altri sembrano palline e assomigliano al Trifoglio anche se non lo sono. Quasi quasi me ne prendo due da mettere come cuscini nel mio guscio di noce.

Ma ci sono anche i Non ti scordar di me e la Veronica, conosciuta anche con il nome di Occhi della Madonna per via del colore blu intenso dei suoi minuscoli petali.

I campi sono completamente in fiore e tutta quella manna è una delizia per molti insetti.

Mi inoltro in un bosco che scorgo oltre il prato. I fiori non mi abbandonano. Ripensando agli insetti mi viene in mente che qui possono sfamarsi davvero quanto vogliono.

L’erba è alta eppure questi fiori sono così colorati e variopinti che spiccano in quel verde vivace. La parola “verde” deriva dal Latino “viridis” e significa “vivere”. Che bellissimo significato vero? Lo sapevate?

E infatti qui, chiunque ritroverebbe la vita. Si respira nuova vita. Perché tutto è vivo e palpitante.

Anche questa volta spero di avervi fatto cosa gradita portandovi con me a vedere tanta bellezza ma ora dobbiamo lasciarci perché un nuovo articolo mi aspetta tutto da scrivere.

Vi mando quindi un bacio floreale e vi aspetto per il prossimo tour.

Verso Gola dell’Incisa e le Peonie selvatiche

Oggi Topi, grazie al periodo di primavera avanzata nel quale ancora siamo, posso portarvi in un luogo davvero magico. E’ magico perché è bellissimo di suo ma, ora, lo è ancora di più grazie ad un verde vivacissimo e la fioritura di tantissimi fiori che rendono questo ambiente degno di tutta l’invidia di Walt Disney.

E’ infatti come camminare in una fiaba.

La Natura sta dando il meglio di sé in un trionfo di fiori, colori e profumi.

I doni sono tanti, di mille tinte e mille forme, ma uno sguardo particolare lo daremo alle splendide Peonie selvatiche che non crescono ovunque, ma ovviamente qui si, perché siamo in un paradiso.

Non siamo proprio in Valle Argentina ma sul suo confine.

Andremo sui monti che la incorniciano e che si possono vedere da ogni suo punto. Che partecipano a renderla meravigliosa.

Andremo verso montagne aspre, soprannominate addirittura le “Dolomiti Liguri” e visiteremo una Gola che sembra uscita da un film fantascientifico.

Severa, erta, profonda. Dalle pareti rocciose che la circondano, alte e colossali.

Partendo da Colle Melosa e più precisamente dalla Fontana conosciuta come “Fontana della Forestale”, qualche tornante più su della più nota “Fontana Itala”, ci dirigeremo verso il Monte Toraggio (1.973 mt) passando per la Valletta e fermandoci poi alla Gola dell’Incisa. Sarà proprio qui, attorno ad un sentiero scavato nella roccia un’ottantina di anni fa dai militari, che potremo godere di un panorama meraviglioso e una natura incontaminata.

La parte apicale di questa Gola presenta un Eden infinito che lascia a bocca aperta, delineato da questo percorso sul quale siamo, a picco sull’abisso. Si tratta del famoso “Sentiero degli Alpini”, oggi malridotto in certi punti, pericoloso a causa della mancanza di protezioni a valle e il suo essere molto stretto e persino inaccessibile dal lato, appunto, del Toraggio.

Per arrivare qui, infatti, siamo passati dal lato del Monte Pietravecchia (2.038 mt) che ci permette di camminare su un sentiero meraviglioso, prettamente pianeggiante e che sembra in molti tratti un lungo prati circondato da alberi lussureggianti.

Soltanto verso l’arrivo diventa più selvaggio ma resta adatto a tutti.

Oltre il bivio della Gola l’accesso invece resta adatto agli impavidi, i quali, dirigendosi poi verso l’immenso potranno godere dei fiori rari che vi ho citato prima: le grandi, rosa e magnifiche Peonie, simbolo di affetto, amore, generosità e abbondanza.

Qui siamo al Passo dell’Incisa, a 1.684 mt e siamo in un luogo che ha vissuto molta vita militare in passato. Quei costoni impervi che la formano sono stati palcoscenico di difese, osservazioni e battaglie.

Le rocce sono stratificate e, in alcuni punti, formano i famosi flysch dei quali spesso vi ho parlato e che troviamo in diverse zone della mia Valle, i quali donano alle pareti rocciose un’apparenza ancora più rude.

Stare qui è bellissimo. Viene in mente il titolo “Dove osano le Aquile”. In realtà, pur essendoci i nobili rapaci, a regnare sono i Gracchi Alpini e Corallini. Sì, qui ci sono entrambe le specie ma i Corallini vivono solo qui mentre gli Alpini si possono trovare anche in altri luoghi lungo la Catena Montuosa del Saccarello.

Anche gli insetti che svolazzano sembrano più coraggiosi di altri. Adattati a un luogo che può apparire ostile ma che ha davvero tanto da offrire.

Pensare ad un ritorno in tana fa quasi male, si vorrebbe restare a godere di questa pace e di tanta magnificenza ancora per molto tempo. La parola – tempo – mi porta con la mente al clima. Qui è davvero bizzarro e imprevedibile.

Si parte con il sole e un cielo terso, poi arriva la nebbia, piove ma spunta il forte vento e ritorna il sole a splendere con i suoi raggi che abbronzano. Se vi avventurate da queste parti vi consiglio di portarvi tutto l’occorrente dal k-way alla crema solare.

Ma in fondo… è anche questo il bello di questi luoghi e si potrebbe leggere come una generosità particolare da parte della natura che vuole offrirci tutto.

Spero che questo luogo vi sia piaciuto e che non vi siate stancati troppo perchè dovete prepararvi per la prossima escursione. Vi aspetto!

Un bacio massiccio, la vostra Topy!

Nel Regno di ghiaccio – tra Garlenda e il Saccarello

Oggi, cari Topi, non vi porterò a fare una semplice escursione ma vi condurrò, assieme a me, all’interno di una fiaba. Una fiaba che ci regala la nostra splendida Valle. Una fiaba che ha inizio presso il Passo di Garlenda dove un potente Mago, attraverso un incantesimo, ha ghiacciato un intero Regno.

Tornerà a brillare il sole diradando questa fitta coltre di nebbia?

Il gelo lascerà il posto alla primavera?

Scopriamolo insieme prendendo come spunto un fenomeno meteorologico che crea atmosfere incredibili per realizzare una fiaba che farebbe invidia persino ai fratelli Grimm attraverso la sua scenografia.

Dal Passo della Guardia, sopra l’abitato di Triora e oltre Gorda, intraprendiamo il sentiero in salita, un po’ faticoso da percorrere per chi non è abituato a camminare, e ci dirigiamo verso il Passo di Garlenda salendo verso creste che fan da confine tra la Valle Argentina e la Valle Arroscia.

Abbiamo attraversato anche il Bosco del Pellegrino che, avvolto da una spessa bruma, appare come un luogo incantato della Terra di Mezzo. Alcuni personaggi del Piccolo Popolo sono sicuramente nascosti qui da qualche parte, nel sottobosco di questa macchia.

Ma andiamo avanti, le vette ci aspettano e iniziamo ad arrampicarci per il sentiero che vi ho citato, il quale, permette di raggiungere molti altri luoghi oltre alla zona di Garlenda.

L’umidità la fa da padrona, tutto gocciola attraverso stille trasparenti che bagnano e rinfrescano l’aria. Sono le uniche forme di vita che si permettono di fare rumore.

Qualche piccola pigna giace su quell’erba tagliata dalla stradina. E’ un’erba che ancora non ha mutato il suo colore e appare riarsa dal freddo che padroneggia da diversi mesi.

Il silenzio si fa sempre più pesante, più si sale e più le gocce si zittiscono costrette a immobilizzarsi legate da temperature assai basse. Non possono più lasciarsi andare nel vuoto tuffandosi a terra, bensì restano ghiacciate attaccate ad ogni cosa.

Tutto si è trasformato all’improvviso. Tutto è immerso nel ghiaccio. Tutto è sospeso, come in attesa, in un luogo senza tempo.

La montagna sulla quale mi sto arrampicando mostra ora una barba bianca che prima non aveva.

Ogni stelo d’erba è ricoperto da minuscoli fiocchi gelidi e candidi. Trasparenti coperte, lucide e ghiacciate, abbracciano bacche e rametti.

Sui massi, una fredda corazza lascia muovere dell’acqua tra se stessa e lo scoglio. La si vede oltre quello scudo ed è l’unico movimento percepito in mezzo a quella natura che appare totalmente immobile.

Davvero pochi i segni di vegetazione se non dati da una pianta chiamata con un nome decisamente appropriato in situazioni come questa: Semprevivo.

Su Cima Garlenda, persino le rovine delle vecchie costruzioni militari sono ricoperte dalla neve. Proprio così. Qui c’è anche la neve. Tutto è bianco. Assolutamente bianco.

I resti delle vecchie casermette si vedono appena vista la foschia. Le pietre grigie sembrano più scure del solito in mezzo a tutto questo candore.

So esserci il Monte Frontè dinanzi a me ma non posso vederlo, la nebbia è troppa e io devo dirigermi verso la parte opposta. La mia meta è il Monte Saccarello.

E’ proprio grazie a questa grande quantità di nebbia che si può ammirare la galaverna, precipitazione atmosferica che vi spiegai in questo post https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2020/03/13/lincantesimo-della-galaverna/

I rami spogli degli alberi sono pieni di stalattiti ghiacciate costrette dal freddo ad una posizione orizzontale. Sono le gocce che hanno dovuto seguire obbligatoriamente la forza importante del vento e ora hanno reso quell’ambiente totalmente surreale.

Non è possibile che sia vero. Pare tutto così assurdo.

Quell’aria mi taglia il viso ma sono ben attrezzata e posso andare avanti. C’è l’obbligo di ramponi, al di sotto dei fiocchi farinosi si toccano lastre scivolosissime.

Avanzo, camminando in cresta, fino a raggiungere il Rifugio Sanremo ovviamente blindato in questa stagione. So di essere a 2.054 mt s.l.m. e riesco a vedere la struttura solo avvicinandomi parecchio a lei. Una breve sosta e riparto.

Alla mia sinistra posso ora captare e a volte vedere il vuoto dell’abisso di fianco a me. Devo fare attenzione a dove metto le zampe mantenendomi a destra. Mi sto dirigendo verso il Saccarello e, laggiù in fondo, quindi, alla fine di questo lungo dirupo, ci sono i paesi di Realdo e Verdeggia.

Lunghi tratti di bianco e silenzio assoluto mi aspettano prima di giungere al secondo Rifugio.

Si tratta del Rifugio La Terza decisamente più grande di quello precedente. Ora sono a 2.060 mt s.l.m. non è cambiato molto rispetto a prima, come altitudine, ma cambierà da adesso. La mia meta è in salita.

Riparto. E’ faticoso. L’aria e il terreno non mi aiutano. Il freddo neanche. Ma devo farcela per sciogliere l’incantesimo e continuo decisa. Non vedo nulla attorno a me. Sono diverse ore che i miei occhi osservano solo bianco… bianco… bianco….

Mi fermo, riprendo fiato, riposo ma senza mai un ripensamento e dopo altri passi… c’è una figura laggiù in fondo. Un’ombra scura si staglia leggermente in quella foschia.

Sono arrivata. La statua del Redentore si innalza in tutta la sua bellezza. La galaverna ha colpito anche lei, in modo significativo, donandole un aspetto incredibilmente affascinante.

Ce l’ho fatta. Non posso raggiungere la vetta del Saccarello, non ho più tempo, devo fare ritorno perché la montagna e la natura hanno i loro tempi e devo rispettarli ma sono comunque giunta dove volevo arrivare.

Mi preparo a tornare indietro e percorro diversi metri quando una potente folata di vento mi obbliga a girarmi verso l’altra sponda della Valle Argentina.

I miei occhi si spalancano dall’entusiasmo. Le nuvole si diradano permettendomi di vedere una bellezza infinita che non ha eguali e non mi consente di proferir parola.

Vedo il Monte Gerbonte, il Grai e tutte le altre montagne alle quali sono molto affezionata. Il cielo si tinge di azzurro e alcuni raggi del sole penetrano prepotentemente tra quelle nubi scaldandomi le guance. Ora vedo. Ora posso vedere. E non ho parole per descrivere tanta meraviglia consentita al mio sguardo.

Mi giro indietro, vedo di nuovo il Redentore che da poco ho salutato. Eccolo. Ecco dov’ero poc’anzi. Mi giro a destra, sono euforica. Riesco ad ammirare persino la Valle Arroscia e il suo distendersi tra quei monti.

Davanti a me, adesso, il Monte Frontè è ben visibile e lo sono anche Realdo e Verdeggia ora.

Alcuni pezzetti di ghiaccio si staccano da quelle piante appesantite e io sono circondata dalla bellezza.

Che splendore, non riesco neanche a descriverlo. Ne è valsa davvero la pena.

Approfitto di quel calore concessomi dalla luce solare e mi dirigo nuovamente verso Garlenda per far ritorno. Penso proprio di aver annullato l’incantesimo che ha trasformato questi luoghi in un Regno di Ghiaccio.

Penso di aver sconfitto il potente Mago. Sorrido.

Sorrido come se davvero vivessi una favola e faccio ritorno verso la tana.

Scendendo per il sentiero che mi riporterà verso Passo della Guardia mi trovo di nuovo in mezzo ad una natura che non è più gelata.

Alcuni Camosci si godono il sole sdraiati sui pascoli sopra Rocca Barbone e nei monti attorno. Qualche Cincia svolazza felice da un albero all’altro e c’è persino qualche insetto a dare segni di vita.

Una vita straordinaria che mi godo soffermandomi un secondo ad ammirarla e respirarla. Ho forse vissuto un sogno?

Ce l’ho fatta, non mi resta che lasciare questo posto trattenendolo nel mio cuore e attendere la prossima magia.

Che ne dite Topi? Vi è piaciuta questa fiaba? Un pizzico di fantasia in un tour che ho intrapreso realmente e che consiglio solo ad esperti perché, altrimenti, si può patire parecchio viste le condizioni avverse che ho incontrato. Non avventuratevi mai se non siete preparati o non avete qualcuno che sappia guidarvi davvero.

Non mi resta che salutarvi. Vado a preparare una nuova storia.

Un bacio gelido a voi!

Dal Sentiero dei Piumisti alla Leca

Topi conoscete il promontorio pianeggiante chiamato La Leca? Probabilmente sì, di nome, ma magari non ci siete mai stati e allora ho deciso di portarvi con me.

Per arrivarci prenderemo il Sentiero dei Piumisti, del quale vi parlai qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/12/11/accanto-al-zimun-per-il-sentiero-dei-piumisti/ e, anche questa volta quindi, lasceremo la topomobile dai Cubi dopo aver passato le zone di Gorda e di Grimperto sopra Triora.

Ora questo sentiero non è più ricoperto di neve e mostra un’erba dai colori pallidi. L’unica tinta più accesa è quella del rame che ha superato l’inverno ma anche il verde sta arrivando trionfante.

E’ il verde di foglie tenere che circondano i primi fiori dai petali ancora stropicciati.

Anche il colore del cielo oggi è sgargiante. Un azzurro vivido e intenso. Gli aerei sembrano dividerlo con le loro scie.

E’ un bel sentiero questo, abbastanza pianeggiante, per nulla faticoso e in terra battuta. Offre anche la possibilità di camminare su una moquette naturale. Occorre solo fare attenzione a qualche breve tratto nel quale la strada sembra scavata e può risultare scivolosa. Anche i passaggi sull’ardesia friabile, sporgenti verso l’abisso, sono da percorrere con cautela ma non fatevi ingannare dalle parole che uso per una precisa descrizione. Come vi ho detto, lo possono fare in molti.

Le conifere sono le piante più presenti, soprattutto fino ad arrivare a U Zimun (il Cimone), una montagnola che è considerata un punto di riferimento sia per questo sentiero che per quello sopra, più grande, percorribile anche in auto e che porta al Tunnel del Garezzo. Quella carrareccia passa proprio sopra le nostre teste.

C’è una bella vista da qui su gran parte della Valle e soprattutto sul Poggio di Goina con la sua croce simbolica.

Se si alza lo sguardo si può vedere anche U Cian du Russu (il Piano del Rosso) così chiamato a causa di una pietra che lo forma, simil ardesia, dal colore bordeaux.

Dell’acqua fresca sgorga da quelle rocce formando piccole cascatelle. E’ l’unico punto, vicino a me, nel quale il ghiaccio ancora resiste.

Se mi giro indietro posso invece vedere parte ampia della Catena Montuosa del Saccarello. Il Monte Frontè, del quale ne riconosco la Madonna bianca sulla vetta e U Ciotto de e Giaie (il Piano dei Torrenti).

Grossi spunzoni di roccia si affacciano sul vuoto pronti ad accogliere animali selvatici che si sporgono come ad essere in terrazza.

Tra le Conifere spunta, di tanto in tanto, qualche altro albero e diventa subito parco giochi per Cinciarelle e Cince More. Sono vivaci e allegre mentre svolazzano e cinguettano in mezzo a quella natura. Sono molto più gaie rispetto ai giorni precedenti. La Primavera sta arrivando e loro lo sentono.

Costruiscono persino i loro nidi, nei tronchi cavi, pronti ad accogliere le piccole uova che a breve deporranno.

La Leca la si vede già da lontano, il suo promontorio si distingue e non vedo l’ora di arrivare.

E’ un luogo bellissimo, sembra una prateria come quelle che si vedono nei film sugli Indiani d’America ma qui, anziché avere Bisonti, abbiamo le nostre simpatiche e bianche Mucche che vengono a nutrirsi di questa erba incontaminata. Ci sono infatti delle vasche che servono da abbeveratoi.

In lontananza si scorgono dei Caprioli, mangiano e trotterellano a quest’ora del mattino. La natura sembra in festa e io mi godo la pace assoluta che La Leca regala.

Una traccia, al centro dei suoi prati, appare come un sentiero che porta fino alla fine del promontorio e permette di ammirare un bellissimo panorama. La Valle si distende ed è meraviglioso osservarne i monti.

Si può anche vedere bene il sentiero che abbiamo percorso per arrivare sin qui. Taglia la montagna in mezzo a quell’erba in discesa.

Il Carmo dei Brocchi, da questo punto, mostra una bellezza che non ha eguali. E’ meraviglioso.

Qui, i Narcisi selvatici incontrati prima lasciano il posto ai Crocus bianchi e violetti.

Una volta giunti su questo piano e aver goduto della sua bellezza si può tornare indietro ammirando il tutto da una nuova prospettiva. Ancora meraviglia.

Che altro dirvi Topi miei?

Vi è piaciuto questo giro? A breve, questa zona, sarà ancora più ricca di fiori e di insetti di ogni tipo, come le farfalle ad esempio. Ci sarà ancora più vita. Vi consiglio quindi di venire a vederlo.

Io vi mando un bacio enorme e vi aspetto per il prossimo tour.

Dalle Caserme ai Balconi… di Marta

Quando si arriva alle Caserme di Marta, come vi ho raccontato in questo articolo qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2020/03/07/dal-monte-grai-a-cima-marta/ si può proseguire arricchendo ulteriormente la nostra giornata e vivere la magia di luoghi che raccontano di un nostro lontano passato e tanta storia di vicende militari.

Ma si possono anche ammirare una natura incredibile e monti che conosciamo bene da un’altra prospettiva davvero affascinante.

Perciò, da queste antiche caserme, chiamate anche “le casermette” ci dirigiamo verso Cima Marta e i Balconi di Marta.

Camminando nella bianca neve, facendo attenzione in certi tratti a non scivolare, in quanto si avanza su pendii che scendono netti ma non sono pericolosi, si ammira un paesaggio fantastico. Potrebbero essere utili le ciaspole.

Il candore della Bianca Signora è accompagnato da quello delle nubi che avanzano seguendo il vento, come a voler divorare quelle vecchie costruzioni, o si placano formando un mare di vapore denso e pomposo.

Il sentiero va in piano, non si fa nessuna fatica a percorrerlo e si passa in mezzo a distese infinite di bianco abbagliante.

Dopo aver rosicchiato diversi metri, possiamo già notare in lontananza, di fronte a noi, il grande rifugio dei Balconi.

Interessanti, alla nostra destra, sono anche i bunker che spuntano come cupole in mezzo a quel manto ghiacciato.

Si tratta di bunker costruiti dagli Alpini e, su questo belvedere, godono di un territorio meraviglioso attorno a loro.

Anche per giungere a queste fortificazioni sotterranee abbiamo percorso un’ex carrareccia militare che in estate è circondata da un verde vivace e onnipresente.

Tali fortificazioni sono state costruite poco prima della Seconda Guerra Mondiale. Io non ci sono ancora entrata dentro ma, ovunque, si legge che costituiscono l’interno dell’intera montagna.

Dopo essermene presa una vista di questi funghetti di pietra e aver ammirato anche i monti francesi dietro di loro, desidero voltarmi per ammirare quelli che ho nel cuore.

Ho appena sorpassato il Monte Grai ma da qui posso ben vedere anche il Monte Pietravecchia, un po’ barbuto, e il Monte Toraggio totalmente glabro. Il Pietravecchia sembra un vero colosso ma il Toraggio appare più aspro di lui.

Su quest’ultimo è ben visibile un tratto dell’Alta Via dei Monti Liguri chiamato Sentiero degli Alpini che suscita in me ricordi bellissimi riguardanti la mia escursione su questa appuntita montagna che adoro. Si tratta di un cammino anche pericoloso nei punti in cui è molto stretto e senza protezioni a valle. Completamente scavato nella roccia, risulta molto suggestivo e offre panorami indescrivibili.

Dietro di me, invece, si innalza ovviamente Cima Marta, dai dolci pendii.

La pace regna sovrana qui dove mi trovo e tutto è ovattato dalla neve che mi circonda che è come bambagia.

Le Conifere colorano di chiaro e di scuro il territorio creando una sorta di tridimensionalità. Lo sguardo si allunga e può veder lontano.

E’ da parecchio che cammino nel gelo quindi ora posso proprio decidere di tornare in tana e scaldare le zampe che però, grazie ai miei amatissimi scarponi, sono belle calde. Come sapete vi consiglio sempre la giusta attrezzatura per certe escursioni.

Scendo ritornando alle casermette e di nuovo vedo nuvole venirmi incontro.

Voi potete restare ancora un po’ qui ad ammirare questa bellezza. Spero vi sia piaciuto questo belvedere dei Balconi di Marta.

Io vi saluto e vi do’ appuntamento per il prossimo tour.

Un bacio alpino a voi!

Dal Monte Grai a Cima Marta

Prestate molta attenzione all’escursione che vi racconto oggi perché è meravigliosa, bellissima, splendida ma anche pericolosa perciò vi chiedo vivamente di evitarla nei mesi invernali se non siete più che esperti e più che attrezzati.

Detto questo direi di iniziare a parlare di un luogo fantastico, che ho avuto il piacere di vedere nel suo abito più freddo ma vi assicuro che anche in estate è stupendo se non di più.

Oggi, infatti, vi porto nel bianco più totale, in mezzo alla neve che ancora resiste, su uno dei monti più noti e conosciuti della mia zona.

Andiamo a Cima Marta, montagna della Catena Montuosa del Marguareis, sul confine tra Italia e Francia, e la raggiungeremo passando dal Monte Grai che abbiamo conquistato partendo da Colle Melosa.

Dal Rifugio Grai, percorrendo in leggera salita la strada non asfaltata, si raggiunge il Vallone del Negrè ed è proprio questo il pezzo più pericoloso di questa avventura.

Un tratto di sterrata che, ahimè, ancora nel dicembre del 2019 ha visto purtroppo morti e feriti i quali sono stati inghiottiti nel suo infinito abisso.

Il dirupo del Negrè è severo e ha poca pietà durante l’inverno.

Restando chiuso all’interno del Monte Grai e di Colle Bertrand non prende sole e, nonostante gli altri tratti di questa sterrata ex militare siano soleggiati o propongono neve morbida e farinosa, in quel punto si forma un ghiaccio che non perdona. La poca neve che lo ricopre inganna.

E’ un ghiaccio particolare che durante il caldo del giorno si indebolisce un poco per indurirsi nuovamente nella notte a causa dell’esagerata escursione termica. Una condizione particolare quindi, in un punto in cui il passaggio è stretto e non ci sono protezioni. E’ scivolosissimo. Dovete credermi, più di una pista di pattinaggio.

Oltrepassato questo luogo, il resto diventa facile e molto bello da ammirare. Le uniche cose che occorrono sono resistenza e abbigliamento adatto per non bagnarsi (soprattutto per quel che riguarda le calzature).

Si procede ammirando la Valle Argentina in tutta la sua bellezza e oltre. Si ammirano i monti della Francia e si cammina su tappeti molto ampi di aghi di Larice che propongono un arancio vivo in mezzo a tutto quel bianco candido che abbaglia riflettendo il sole.

Il Larice, che in autunno colora i miei monti, è l’unica conifera che perde le sue foglie per rimetterle nuove in primavera.

Interi boschi di questo saggio e alto albero ricoprono le pendici di quelle montagne sulle quali sto viaggiando e creano un’atmosfera attraverso la quale non è difficile immaginare Lupi spuntare da dietro qualche tronco.

La vista delle antiche casermette mi fa capire che sono arrivata.

Un enorme spazio bianco, leggermente a conca, le contiene. Si ergono queste strutture totalmente in pietra utilizzate come punto difensivo durante la Seconda Guerra Mondiale e oggi sono davvero affascinanti da guardare anche se in rovina.

Alcune parti di queste fortificazioni, comprese quelle sparse nei dintorni, sono addirittura più antiche e la loro costruzione risale alla fine dell’800.

Questo era considerato un luogo strategico in quanto, da qui, si poteva osservare bene parecchio territorio.

L’ampiezza riempie il cuore. La neve domina su ogni cosa.

Delle nuvole sembrano onde che giungono cavalcando impetuose per ricoprire tutto ma è soltanto uno strano effetto ottico.

Attorno a questo spazio sono diverse le rotabili che si smistano portando in vari luoghi e si nota bene la vetta morbida di Marta, conosciuto anche come Monte Vacchè, che domina quest’area militare dal lungo passato.

Intendo raggiungerla, ammirarla bene nella sua ampia curva sinuosa.

La sua altezza tocca i 2.138 mt ma già all’inizio delle sue pendici si può godere di una vista davvero suggestiva.

Al di là del panorama meraviglioso a livello generale ci si può soffermare e ammirare a 360° quello che è un paesaggio che ha molto da dire.

I monti francesi sono aspri e innevati. I Balconi di Marta, di fronte a me, sono poco distanti.

Dopo un pezzo di infinito posso vedere la bellezza dolomitica del Monte Toraggio, l’austerità del Monte Pietravecchia, la Valletta e il Monte Grai che ho appena oltrepassato.

Che luogo magnifico e interessante. Non ci si annoia di certo, c’è tanto da guardare, da conoscere, da sapere.

Per questo mi fermo e contemplo tutto quello che mi circonda prima di far ritorno per la facile carrareccia che ho percorso a salire.

Quindi vi saluto Topi, sono incantata e voglio restare incantata ancora un po’.

Alla prossima! Un bacio bianco a tutti voi!