Ebbene sì, topi, io con le marmotte ho sempre avuto un rapporto speciale.
Innanzi tutto, vi presento Miss Marmotta del Marguareis. Quel giorno io e la mia socia Niky, facendo una delle più belle gite della nostra esistenza, incontrammo questa madama che, credetemi, seppur impaurita e diffidente, non poteva fare a meno di seguirci e spiarci. Alla fine l’ho fotografata. Purtroppo le immagini sono quello che sono, ai tempi non ero nemmeno in grado di fare click! Accontentatevi.
Era simpaticissima. Aveva l’espressione che diceva “Mmh… Queste qua mi son simpatiche, non sembrano cattive!”.
Andavamo pianissimo in macchina, a passo d’uomo, e lei ci seguiva entrando e uscendo da diversi nascondigli. Siamo state insieme per un bel tratto di strada, poi, quando evidentemente il suo territorio è finito, ci ha lasciato andare continuando a osservarci da lontano.
Le altre avventure marmottesche, invece, le ho avute con il mio topopapà. Ho assistito alla splendida scena di due cuccioli che giocavano tra di loro. E’ difficile vederli, ma sono meravigliosi, piccoli, piccoli e di colore più chiaro rispetto agli esemplari adulti. Si rincorrevano, si abbracciavano, facevano insieme le capriole, si tuffavano in una tana per uscire da un’altra a dieci metri di distanza. Quel giorno capii che la tana di una marmotta, con tutti i suoi cunicoli sotterranei, può arrivare a essere grande come tutta la montagna. La marmotta sentinella fischiava e tutti sparivano, poi, però, sembrava che, vedendoci buoni nei loro confronti, potevano continuare a fare ciò che desideravano.
Ora vi racconto una vicenda che non dimenticherò mai.
Eravamo io e topopapà in auto. Pian piano salivamo per andarcene in cima al monte “Schiena D’Asino” e ammirare il paesaggio. Fortunatamente, come sempre, andavamo lenti come lumache. All’improvviso, a un certo punto, abbiamo visto una cosa enorme, marrone e grigia, uscire da una roccia e passarci davanti, velocissima. Papà ha frenato di colpo ma…. sbam! Che botta. Ma cos’era?
Scendiamo dalla macchina. Una marmotta!
La poverina corse subito dentro una cunetta per riposarsi e ansimava. Potete immaginare come stavo io. Amante degli animali come sono, sapere di avere investito una marmotta a casa sua, nella sua zona era un sacrilegio imperdonabile! Mio padre era conciato peggio di me.
Stavamo andando davvero piano, tutto ci sembrava impossibile. Ho provato ad avvicinarmi, ma lei ha iniziato a soffiare e a mostrarmi dei denti che, credetemi, un castoro è niente a confronto. Ero preoccupatissima. Sembrava stesse bene, a parte lo spavento, ma poteva avere un’emorragia interna. La botta era stata abbastanza forte, ma lei era veramente grossa e robusta.
L’unica cosa che potevo fare era chiamare quelli del ristorante a fondo Valle, probabilmente loro conoscevano qualche veterinario della zona. I veterinari che conosco io ci avrebbero messo quattro ore ad arrivare, eravamo davvero in alto. Il cellulare non prendeva e così papà è risceso a Valle. “Resta qui con lei” mi ha detto.
Ci ha messo quasi un’ora, che io passai da sola, seduta in mezzo alla strada con una marmotta a cinquanta centimetri da me. Intorno regnava il silenzio.
Dopo un po’ lei ha iniziato a calmarsi, respirava meno velocemente. Avrei voluto avvicinarmi, accarezzarla, provare a capire se stesse bene. I minuti passavano mentre lei mi guardava negli occhi, poi si è alzata con agilità, senza particolari problemi. Ha riattraversato la strada e si è infilata dentro una roccia, tenendo la testa appena fuori dall’uscio.
Se ne stava lì. Si puliva, si leccava, si grattava. Sembrava non avere nulla.
Ecco arrivare papà, infine. Gli ho raccontato l’accaduto e anche lui, vedendola, era abbastanza tranquillo. Si muoveva senza difficoltà, aveva soltanto soffiato un po’ e si era rintanata all’arrivo dell’auto, ma poi è uscita di nuovo.
“Mandano qui uno che dicono sia molto bravo a prendere marmotte, magari la portano da un veterinario.” ha detto papà.
Infatti, dopo poco, arriva un pastore del posto con gabbia, bastone, guanti e…. tanto, tanto alcool in corpo.
“Allora, dov’è la bestia?” ha urlato biascicando. Mio padre ha sgranato gli occhi e ha capito tutto prima di me, così ha risposto: “Se n’è andata”.
L’uomo quasi si è arrabbiato: “Come, se ne è andata?”.
“Sì, guardi, proprio lassù, dietro a quella rocca, ma non dev’essere andata molto lontano, vada a vedere!”.
Il pastore si è diretto dove era stato indirizzato e topopapà venne da me: “Mandala via, Pigmy! Spaventala, falla scappare!”
“Ma se ha qualche problema?” chiesi io.
“Meglio aver qualche problema che morire!” mi rispose.
Che potevo fare? Dopo un’ora quella marmotta si stava quasi fidando di me. Come facevo, ora, a fargli paura? Cosa avrebbe pensato di me? Feci comunque come mio padre mi aveva consigliato. Avevo 13 anni, non potevo fare molto altro.
Andai davanti a quel muso peloso che sbucava dalla pietra e urlai forte: “Psssscccccch! Psssssssccccccch!”, ma niente. Lei mi guardava e stava lì. A quel punto ho commesso l’errore di battere le mani. Il pastore mi ha sentita, mi ha vista ed è arrivato traballando. Puzzava di vino. Aveva capito che lì c’era la marmotta.
Mio padre mi ha fulminato con lo sguardo e io mi sentii morire quando udii le parole del pastore: “Vieni, bella, vieni! Che come te, in pentola, buone non ce n’è!”.
Non potevo fare nulla. Mio padre gli stava dietro, forse, se fosse riuscito a prenderla avrebbe cercato di fermarlo. Non lo so perchè è andata così. Appena quell’uomo si è avvicinato al pertugio, la marmotta ha soffiato violentemente e ha emesso una specie di ringhio, come un digrignare stridulo, ed è scomparsa. Quell’antro era profondissimo, e lei lo conosceva bene. Fin dall’inizio avrebbe potuto andarsene quando voleva e invece aveva continuato a stare lì, con me. Avevo creduto che fosse solo una piccola grotta che non andava oltre.
Il pastore se è imbestialito e ha iniziato a urlare e a tirare calci alla roccia, poi, finalmente se ne è andato.
Mio padre mi ha guardato, mi ha sorriso e mi ha detto: “Meglio così, Pigmy. Credimi che quella marmotta stava bene. Era solo un po’ spaventata per il colpo. Questi animali hanno una forza incredibile, non ti preoccupare, ora lei si cura da sola. Quello là, altro che curarla! Se la sarebbe mangiata!”.
Mi auguro che papà abbia avuto ragione e ne sono convinta, perchè ho visto anch’io che in realtà stava bene. Ho soltanto un piccolo rimpianto. Se lei è stata lì, quando avrebbe potuto andar via, mi sarebbe piaciuto salutarla diversamente.
Queste che vi ho raccontato sono alcune delle mie avventure marmottesche e ogni volta è stata una grande emozione.
M.