Dal Praetto ai Confurzi fino a Santa Brigida

Dal Passo della Mezzaluna, prendendo il sentiero tra i pascoli che taglia i Monti Donzella e Bussana arrivo ad una piccola radura chiamata il Praetto (Piccolo Prato).

È un sentiero molto carino, pulito, arricchito da un vasto panorama e tanta erba che, in questo periodo, è addormentata.

Le zampe poggiano su schegge di una particolare Ardesia. È bicolor, grigia e bordeaux. I coriandoli della Terra. Sono friabili, si rompono facilmente.

Appena intrapreso questo sentiero, se mi giro indietro, posso vedere ancora una piccola parte del Passo e il Monte Arborea illuminati dai raggi del sole.

Se guardo alla mia sinistra, invece, si apre un panorama bellissimo, fatto di monti e paesi.

Al Praetto si arriva in fretta e anche qui si può godere di una vista spettacolare.

Se mi giro verso la Catena Montuosa del Saccarello, un bosco di Conifere inizia in discesa e nasconde diversi animali. Un Gallo Forcello mi ha quasi spaventata partendo all’improvviso davanti alle mie zampe e andando a nascondersi lì, tra quegli alberi dalla corteccia ruvida.

Ma non devo passare di lì, in mezzo a quel verde scuro. Devo dirigermi in giù, verso Andagna e più precisamente verso la piccola Chiesetta di Santa Brigida. Sbucherò infatti dal tornante sopra di lei.

Inizio per quello che non ha più niente a che vedere con il sentiero piano e pulito di prima.

Sono in discesa su un terreno sconnesso. Non è pericoloso ma vi posso assicurare che tonifica di sicuro zampe e glutei.

Piccole frane, piogge e Cinghiali han reso questo tratto di bosco abbastanza impegnativo. Le foglie secche a terra (ce n’è una quantità industriale) ricoprono pietre tonde che rotolano e scivolano se ci si mette una zampa sopra, perciò occhio a non prendere storte che lo so che non siete agili come me.

E’ bellissimo vedere come il suolo muta dopo qualche metro; prima è ricoperto da foglie di Nocciolo, poi di Castagno, poi di Roverella e così via, cambiando tappeto molto spesso.

Sono infatti circondata da alberi, alberi dalla forma anche strana e mi rendo conto che alcuni sono la tana di qualche parente.

Continuo a scendere per quel bosco fatto di massi e tronchi fino ad arrivare dove a regnare è l’acqua. Eccomi giunta nella zona chiamata I Confurzi (ad indicare acqua che confluisce).

E’ tutto bagnato attorno a me. L’acqua sgorga da ogni dove e scende verso fondo Valle.

Ci sono piccoli edifici in pietra e cemento chiusi da porte verdi. Ci sono fontane e rii.

Le piccole onde e gli spruzzi scavalcano pietre e rami.

E’ acqua fresca, limpida e allegra che passa sotto le foglie, crea pozzanghere e ruscelli.

Il sentiero si appiana. Si passa vicino a delle alte rocce sotto alle quali noto le prime Primule di quest’anno e anche qualche Helleborus Faetidus sempre pronto a sbocciare. Ama le zone umide e ombrose e non patisce il gelo. Ne ho visti molti sopravvivere con tanta neve attorno.

Conosco anche un nuovo Tizio, mai visto prima, sembra un Maggiolino con le borchie ma riesce a sparire prima di rivelarmi il suo nome.

Quando non ci sono alberi si può vedere una bella parte di Valle fatta di montagne ricoperte di un verde pallido e spento che sembra velluto.

E’ tutto bellissimo e, laggiù in fondo, intravedo già la mia meta, il Santuario conosciutissimo al quale molte persone della Valle Argentina sono affezionate. Nella foto (scattata dalla parte opposta di dove mi trovo oggi) potete vedere da dove sbucherò quando giungerò in fondo a questa mia escursione.

Incontro un’edicola solitaria in mezzo a tutta quella natura. E’ bianca, anch’essa in cemento. Uno dei tanti emblemi del culto mariano molto sentito in zona.

Anche una specie di costruzione realizzata con le pietre del luogo sembra voler abbellire quel posto. Stanno ferme e in bilico.

Immagino che d’estate questo posto sia pieno di fogliame e fiori. Sono sicuramente tante le specie di flora che arricchiscono questo territorio anche se, in questo periodo, devo accontentarmi di un Creato più svogliato e ancora sonnolente. Splendido comunque.

Si arriva al traguardo senza nessuna fatica. Dopo quei primi cinquecento metri, di cui vi ho parlato a inizio post, il sentiero e bello e pianeggiante.

Anche questa volta ho vissuto una bella esperienza e ho visto un luogo che ancora non conoscevo e che mi ha colpito per il suo incredibile silenzio.

Un silenzio rotto solo dallo scorrere dell’acqua.

Bene Topi, come avete visto sono arrivata, non mi resta che salutarvi e aspettarvi per il prossimo tour che faremo assieme, come sempre!

Un bacio schioccante a voi!

Le Fate lavandaie

Topi, guardate che oggi ve ne racconto una niente male, sono andata a scovare per voi una leggenda che sembra appartenere alla credenza popolare ligure, così come di altri popoli. Lo so che è una storia da brividi, ma sentite qua.

bosco valle argentina fiume

L’entroterra ligure, fatto di monti a picco sul mare, è bagnato da numerosi corsi d’acqua. Alcuni sottili rigagnoli, altri più gonfi e generosi, creano cascate, gole, anfratti suggestivi che non hanno fatto che alimentare la fantasia e il timor panico nei confronti di certi luoghi.

torrente argentina loreto

Vi ho parlato di alcuni di essi su questo mio blog e di come alcuni angoli di valle sembrino proprio ospitare le fate, pare di vederle sbucare da dietro le foglie, tra le onde dei laghetti montani e fra le pieghe degli alberi secolari.

torrente argentina molini di triora

Ebbene, ci sono spiritelli che accomunano la Liguria con la vicina (ma non troppo!) Sardegna e persino con la più lontana Irlanda, ci avreste mai creduto?

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Illustrazione di Arthur Rackham

Qui da noi non hanno nome, o per lo meno se ce l’hanno è a me sconosciuto, ma in Sardegna sono chiamate Pànas, in Irlanda sono le beansidhe (termine anglicizzato con banshee). Appaiono come lavandaie, con gli occhi spesso arrossati dal pianto… perché questa creatura fatata piange, piange da tempo immemore, riversando le sue lacrime nel corso d’acqua in cui lava i panni.

pozza d'acqua glori carpasio

Erano credute presagi nefasti di grande sventura, vederne una avrebbe significato morte certa. Nonostante abbiano caratteristiche molto simili tra loro, le fate liguri differiscono da quelle sarde e irlandesi per alcuni tratti.

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Illustrazione di Alan Lee tratta dal libro “Fate” di A. Lee e Brian Froud

Mentre le Panas sono fantasmi di madri decedute di parto e le banshee piangono dall’alba dei tempi per la prossima morte di uno dei membri del clan (o della famiglia) di cui sono protettrici, le fate dei fiumi nostrane preannunciano la morte degli uomini che malauguratamente capitano vicino a loro. Lavano i panni dal sangue immergendoli in acqua, qualche volta si lamentano per il peso della biancheria zuppa.

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L’uomo, allora, mosso a compassione, aiuta la fata travestita da giovane ed esile donna dalla pelle cerulea e dai capelli chiari, ma un incantesimo gli impedisce di fermarsi e continua a lavare finché le sue braccia mortali cedono e si spezzano fino a condurlo alla morte. Si dice compaiano in specifici momenti della giornata, e cioè al crepuscolo, quando la luce del giorno sta cedendo il passo alla notte, ma non è ancora tenebra pura. Questi frangenti erano considerati magici, talvolta pericolosi, da ogni popolazione antica: erano momenti in cui il cosiddetto “velo tra i mondi” si fa più sottile e le creature fatate, gli spiriti e gli elementali potevano essere visti dai mortali.

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Una reminiscenza di queste antiche credenze legate all’acqua è riscontrabile nella superstizione di probabile origine medievale che vedeva i lavatoi come luoghi in cui era più facile essere colpiti dal malocchio. Il lavatoio della Noce a Triora, per esempio, è uno di questi.

Quel che c’è di sicuro è che l’acqua ha sempre avuto una grande importanza per i popoli antichi. Ne ho già parlato in un altro articolo, perciò non mi dilungherò sull’argomento, ma una volta le fonti si credevano abitate da draghi (lo testimonierebbero alcuni toponimi liguri, come la Fonte Dragurina, sul versante del Monte Toraggio) o da esseri divini che le proteggevano.

laghetto carpasio

Ancora oggi se ne venerano le proprietà sacre e curative, tant’è che spesso nei luoghi in cui abito ci sono madonnine e santuari a vegliare su fiumi e sorgenti, poste lì anche per scacciare le paure umane e il timore reverenziale che spesso si accompagna a questi luoghi.

valle argentina torrente

Non vi ho spaventati troppo, vero? Dai, non siate fifoni, ché zampettare per valli e per monti resta sempre un piacere!

Vi saluto con un bacio da brivido e vi do appuntamento al prossimo articolo.

 

La forza dell’acqua

Un giorno di questi, me ne stavo tranquillamente con le zampe a mollo sulle rive del torrente. Mi succede spesso nella stagione estiva, perché mi piace vedere l’acqua che scorre e fa scivolare via con sé tutti i pensieri.

bosco torrente Molini di Triora

Anche se sono una bestiolina, qualche volta capita anche a me di intristirmi un po’ o di avere qualche preoccupazione per la testa e quel giorno il mio stato d’animo non mi faceva sorridere con la stessa enfasi di sempre. Allora sono andata lì, sull’Argentina, che sempre mi accoglie con il suo fresco e sinuoso abbraccio.

Mi sono seduta su un masso e ho lasciato le zampe a penzolare giù, nell’acqua.

torrente Argentina Badalucco1

In quel momento mi è venuto da pensare che niente aveva più importanza davanti alla bellezza della Natura che mi circondava. Tutto era perfetto intorno a me, non poteva essere altrimenti.

Il vento tra le foglie degli ontani, le fronde dei noci, le tenere nocciole non ancora mature sugli alberi, una timida rana nascosta nell’ombra… tutto parlava, tutto aveva una voce…

«La Vita scorre in ogni cosa, topina.» ha detto una voce che si trovava al contempo dentro e fuori di me. La riconoscerei tra mille.

«Spirito della Valle, sono contenta di averti qui con me, oggi.»

«Io sono sempre con te, dovresti saperlo, ormai. Come mai non percepisco i tuoi occhi brillare? Cos’hai, piccola creatura?»

«Non ti sfugge niente, eh? Nulla, a dire il vero. Solo qualche pensiero.»

«Lascialo andare, allora. Non trattenerlo. E ascolta il battito che ti circonda, sentilo dentro di te e intorno al tuo corpicino. Pervade tutto: puoi percepirlo?»

torrente acqua

Non ho risposto subito alla sua domanda. Seduta lì, sulle rive del torrente freddo come il ghiaccio, mi sono messa in ascolto. Lo scroscio dell’acqua era un balsamo per l’anima, e il verde… oh, già solo quello bastava a ritrovare la serenità che si era incrinata in me. Non c’erano più le preoccupazioni, il muso mi si è disteso in un sorriso autentico, vero. Respiravo a pieni polmoni e riuscivo a sentire scorrere intorno a me la Vita, come già mi era successo altre volte. Gli occhi e il cuore si sono riempiti di tanta bellezza, avrei voluto affogarvi.

«Sì, Spirito della Valle. Lo percepisco!» e, detto questo, mi sono bagnata anche le zampe anteriori, rinfrescandole con l’acqua limpida e cristallina del fiume. Si sono intorpidite all’istante, come quando si tocca la neve in inverno.

«Ah, l’acqua! Che elemento potente e meraviglioso… Racconta storie interessanti, sai?»

acqua torrente

In quello stesso istante, è accaduto qualcosa di incredibile. Vedevo scorrere immagini in trasparenza sul pelo dell’acqua, veloci e sfuggenti. Potevo vedere l’intero ciclo di quelle gocce, finite in mare, poi evaporate nel cielo e infine precipitate sulla terra sottoforma di pioggia. Scorgevo anche i luoghi che quell’acqua aveva attraversato, traendone in sé le caratteristiche fisiche, chimiche ed energetiche. Ma c’era di più. Vedevo riflesse nel torrente immagini dei topi di un tempo che amavano recarsi alle sorgenti, considerate luoghi sacri poiché in essi sgorgava acqua limpida e pura, fonte primaria di vita. Sono rimasta sbalordita da ciò che stavo osservando.

«Spirito della Valle… le cose che vedo sono accadute davvero?»

«Sì, molto tempo fa. Lascia scorrere insieme all’acqua tutto quello che non ti appartiene: lei sa sempre guarire le ferite dell’anima. Dona forza, vigore…»

«E’ potente, sì, lo sento! Porta con sé gioia di vivere. Per questo vengo spesso qui.»

«E fai bene, topina. Fai bene. Non ti serve nient’altro: qui hai tutto quello di cui hai bisogno. Chiedi agli alberi, ai fili d’erba, all’acqua e alle montagne ciò che vuoi, loro ti ascolteranno e ti guideranno.»

torrente nel bosco

Detto questo, una folata di vento si è portata via la voce dello Spirito della Valle, lasciandomi sola.

Le foglie sui rami degli alberi che avevo intorno cadevano al suolo a formare un manto morbido e fertile. Alcune precipitavano in acqua, trasportate dalla corrente. Il terreno era nero, succulento, preparato da quelle stesse foglie che fino a poco tempo prima erano sui rami più alti e che ora erano mangiate da insetti, trasformate da microrganismi e avrebbero portato nuova vita. Su quegli stessi alberi, che affondavano le radici non nella terra, ma nell’acqua, esistevano città brulicanti di insetti operosi. E poi, più su, il cielo sfiorato da dita nodose colore del legno che sembravano voler afferrare scampoli di azzurro e fiocchi di nuvole per portarli un po’ qui, sulla Terra.

Ancora una volta lo Spirito della Valle si dimostrava essere in ogni cosa. Potevo sentirlo nei cicli dell’acqua e della vita degli alberi intorno a me. Non ne udivo la voce, ma lo percepivo nel profondo, permeava ogni mia cellula. E averlo in me, in nessun luogo, eppure dappertutto, mi rendeva gioiosa e profondamente grata.

acqua torrente2

Topi, la gioia, quando la trovate, indossatela come un vestito sempre nuovo. Tiratela fuori dal cassetto nella quale l’avete relegata, riempitevi gli occhi dei suoi colori e mettetevela addosso, ricordandovela, cucendovela sulla pelle per non toglierla mai più. Credetemi, ne vale la pena!

Squit!

Caselle Fenaira – il fienile della valle

Quello in cui vi porto oggi è un luogo incantato. Siamo sul confine tra la Valle Argentina, appena sorpassata, e la Valle Arroscia. Abbiamo lasciato il vecchio insediamento rurale di Drego e stiamo per entrare nella foresta incantata di Rezzo, che conta 5.000 anni. Qui, a metà percorso, ci fermiamo ad ammirare gli alberi, che creano un’atmosfera davvero particolare.

Siamo a Caselle di Fenaira, a 1351 metri sopra il livello del mare. Un torrente forma  spettacolari cascate e il sentiero che si snoda nel bosco, le piante e il cinguettio degli uccelli danno vita a un ambiente suggestivo, da vivere intensamente.

La strada asfaltata passa nel bel mezzo di tanta meraviglia, un’architettura naturale delle più alte terre della Liguria. Se proseguissimo, scenderemmo giù fino alla città di Imperia, ma non ne ho la minima intenzione oggi. Il baccano cittadino non fa per me.

Me ne resto qui ad ascoltare la natura che mi parla e mi racconta la sua storia. Un tempo, la frequentazione di queste zone era legata soprattutto alla presenza di pascoli ricchi e abbondanti molto graditi per attività quali l’allevamento di mucche, capre e pecore. Se zampettassi un po’ più su, oltrepassando questi alberi dalle alte chiome, giungerei su prati ampi, distese erbose tanto belle da togliere il fiato. Le zone prative costituivano uno dei punti essenziali dell’organizzazione territoriale ed economica della valle ed esistono ancora le tracce degli insediamenti estivi delle tribù liguri protostoriche, come il Castellaro della Rocca di Drego, che vi avevo fatto conoscere in un articolo precedente (si intitolava “Drego: il villaggio fantasma”, se volete leggerlo). Il Castellaro è prossimo ai pascoli più ricchi proprio come accade alle borgate costruite ad alta quota in età più moderna.

All’inizio dell’estate, dai prati si ricavava il fieno per l’inverno, poi vi pascolava il bestiame. La zona di Caselle Fenaira era tra le migliori per la raccolta del fieno, tanto che si giungeva a proibirvi il pascolo per tutta la stagione. Questa zona consentiva, infatti, notevoli guadagni dalla concessione ai forestieri (i fuestei, in dialetto) del diritto di taglio del fieno per le greggi. Durante il giorno, il bestiame era condotto a brucare e rientrava nei recinti la sera, dopo l’abbeverata da sorgenti o fonti d’acqua. Alla sera, nelle marghe, avveniva la mungitura e il latte veniva raccolto e conservato separatamente a seconda che si trattasse di vacche, capre o pecore in attesa di essere lavorato nel modo più opportuno. La lavorazione permetteva di ottenere burro e formaggio in particolar modo il “bruzzo” (u brussu) una sorta di ricotta fermentata dal sapore deciso, famosissima nella mia Valle. Può essere più dolce oppure più stagionato, dal gusto molto forte, ed è buonissimo spalmato sul pane.

In questo luogo giungono numerosi anche gli sportivi. Sono tante le passeggiate a piedi, a cavallo o in bicicletta che si possono fare, e l’aria che si respira apre i polmoni. I Noccioli sono quasi i padroni qui, e il bordo strada ricco di fogliame ormai secco che produce ad ogni passo uno scricchiolio.

Che pace!  E’ un angolino che non dovete perdervi, se passate da qui!

Un bacio scricchiolante dalla vostra Pigmy.

M