Zona Sella – la Primavera sboccia su un passato antico

Dopo l’inverno si ha sempre voglia di un po’ di primavera vero Topi?

Anche se quest’anno il periodo invernale è stato particolarmente mite so che lo sbocciare di Veroniche, Borragini e Primule mi aprirà il cuore e quindi, essendo a Triora, storico borgo conosciuto come “Il Paese delle Streghe”, mi reco in Zona Sella che mi mostrerà tante piccole nuove fioriture.

A dire il vero non ho solo voglia di Natura… intendo sentire attorno a me anche la forza di un passato che non morirà mai, radicato bene nelle memorie dei trioresi, inciso su pietre e pagine antiche.

Un passato che appartiene alla mia terra e che voglio condividere con tutti voi.

Prendete con voi elmi e blasoni… si parte per vivere un topo-tour strabiliante!

Dalla Strada Provinciale una piccola mulattiera scende verso il basso tra varie costruzioni. E’ Via Sella, a Sud del Paese, adiacente all’ex Albergo “La Colomba d’Oro” (storico locale chiuso da diversi anni ma il suo nome echeggia ancora in questi luoghi) mi dirigo in giù ammirando i miei monti che, come sempre, mi circondano.

Farò un anello e sbucherò di nuovo sulla Provinciale 52 per poi risalire in paese. Seguitemi quindi.

Via Sella si apre davanti a me con il sole che la illumina. So già che vedrò cose meravigliose percorrendola ma, prima di proseguire oltre, alzo subito gli occhi al cielo voltandomi all’indietro.

Da qui posso vedere il retro dell’Albergo e, immediatamente, vengo catapultata alla fine dell’800. Ebbene sì! “La Colomba d’Oro” era in realtà un Convento, chiamato Convento di San Francesco, e gli amati frati del paese alloggiavano in questa struttura posta in una delle zone migliori del territorio. Appena fuori dal centro abitato ma vicina al popolo e in grado di prendere sole tutto il giorno vista l’ampia apertura della Valle sulla quale si affacciava.

Di quel tempo è rimasto l’umile e squadrato campanile. Un campanile che sembra insignificante e invece tratta di avvenimenti molto importanti di questo paese.

I padri francescani dovettero presto lasciare la loro dimora perché quella struttura venne adibita a Caserma così come venne spazzata via la Chiesa dei Santi Pietro e Marziano, poco più su, per realizzare una piazza d’armi.

Continuo a scendere e, quel passato, è come se si facesse sempre più ricco e significativo. Consistente, quasi tangibile.

E’ come se mi toccasse nonostante la presenza di case più moderne.

Dopo aver attraversato campi e orti, dai quali mi saluta persino la Calendula che qui nasce in gran quantità, mi rendo conto di avere accanto a me numerosi muretti in pietra e pezzi di ruderi. Sono infatti nei pressi dell’antico Fortino Sella o meglio… di quel che rimane di lui.

I Rovi si sono di nuovo impossessati del loro ambiente in certi tratti.

Questo Fortino, uno dei più grandi di Triora, è conosciuto anche con il nome di San Bernardino e presto capirete il perché.

E’ stato distrutto, assieme agli altri Forti, dagli stessi trioresi quando si ribellarono alla Repubblica di Genova e continuando per la mulattiera che lo attraversa abbraccio magnifici campi che in questo periodo dell’anno iniziano a mostrare di nuovo un bel verde vivido.

Da qui posso vedere Triora da una nuova angolazione. Si erge lassù in tutta la sua bellezza e la vedo come uno scrigno prezioso che racchiude segreti.

Vedo anche il cimitero e le mura che lo circondano. Anche loro appartenevano ad un Fortino ma di questo ve ne parlerò in un altro articolo.

Continuando il percorso ecco lo spuntar di un tetto ben noto tra quelle fasce e l’infinito. E’ il tetto in ciappe di ardesia di una Chiesetta famosissima in Valle Argentina. E’ anche una delle più antiche.

Una Chiesetta del XV secolo dedicata a San Bernardino da Siena, francescano e teologo del ‘400.

San Bernardino è circondata da ampie radure pianeggianti.

A presentare la struttura religiosa c’è una croce e girando attorno a questo Santuario si passa sotto ad archi e contrafforti in pietra.

Sì, è proprio la pietra la vera protagonista, lo si nota anche guardando delle creazioni che sfidano l’equilibrio e abbelliscono il luogo.

Tanti sono al suo interno gli affreschi di valore e un giorno ve li farò vedere.

Ora dobbiamo continuare inoltrandoci per la via che ci riporterà sulla Provinciale e che anch’essa si chiama come il Santo.

La vista che si gode da qui è unica. Riesce persino a raccontare un territorio e una vita che non esiste più.

Un Fringuello mi accompagna di ramo in ramo. A volte si nasconde tra i fiori di Pesco, a volte invece si posa su alberi ancora spogli.

Il suo canto è paragonato alla voce dell’Anima. E’ così melodioso che vari popoli pensavano arrivasse direttamente dal cuore di quell’esserino, il quale diventava un mezzo per far udire una delle voci più belle e che raramente ascoltiamo all’interno di noi.

Sono diverse le cappelle votive e le edicole che si possono ammirare strada facendo.

Sono dedicate alla Madonna e immagino i contadini di un tempo che dopo aver lavorato per ore in questi campi, sotto al sole cocente, tornavano a casa al rintocco delle campane soffermandosi davanti a questi capitelli per pregare o ringraziare chi, dall’alto, proteggeva quei raccolti.

Questo è l’ultimo tratto della mulattiera e poi rieccomi sulla strada asfaltata.

Adesso c’è un intero borgo che mi aspetta. Un borgo pieno di misteri. Un borgo che conosco bene ma ha sempre qualcosa di nuovo da raccontarmi.

Non mi resta che inoltrarmi tra questi carrugi e stare ad ascoltare.

E voi muovetevi, su! Non posso aspettarvi! Devo scrivere un altro articolo!

Ecco… lo sapevo che vi sareste incantati…

Qui e là attorno a Aigovo e Carpenosa

Si arriva presto ad Aigovo e a Carpenosa, compagni da una vita. Pungenti come l’aria frizzantina che li accarezza, gentili come la pace che regna su di loro. Dal mare si tratta solo di quindici/venti minuti di strada. Sono due frazioni attorniate dai monti della mia Valle che tutti conoscono, situati subito dopo l’abitato di Badalucco.

Sopra di loro c’è San Faustino, un altro piccolo borgo che dall’alto del suo esistere, si guarda negli occhi con Glori.

Aigovo e Carpenosa, “il bivio”, dove arriva la SP 21bis, luoghi che divennero celebri qualche tempo fa, quando c’era l’intenzione di chiudere la strada per costruire una grande diga. Come raccontai in questo articolo,  venne realizzata un’altra strada, superiore, comunque utilizzata ancora oggi nonostante al lago artificiale non diedero mai il – Via! -.

Aigovo e Carpenosa, inseparabili, sono la porta di accesso per Agaggio Inferiore e, mostrando meno case di quest’ultimo, più paese. Hanno da offrire tanta natura bagnata dal Torrente Argentina che, nelle sua discesa a curve cieche, si mostra impetuoso e quasi trasparente. Molti, però, sono anche i tratti in cui si allarga, raddrizza e si mostra in tutto il suo splendore. Con i suoi fondali di ciottoli e tane, la sua sabbia grigia, i suoi massi chiari, le sue sfumature verdi come la giada.

Tanti i colori delle piante, in qualsiasi stagione, perché numerose sono le specie. E molte di loro stanno aggrappate alle rocce sotto strada.

Anche alcune dimore si trovano a strapiombo sul fiume ma non c’è molta distanza tra loro e quell’acqua fredda come il ghiaccio.

Un fiume attraversato un tempo da ponti in pietra, antichi, lunghi e stretti, oggi ricoperti dalla natura a imitare sentieri perduti nel bosco.

Qui, in questa umida conca della Valle Argentina. Passaggio obbligatorio per chi sale e per chi scende. Passaggio che collega il mare alle montagne.

Aigovo e Carpenosa, la brezza in mezzo ai monti pettinati. Le aperture del terreno, coltivate a vigna, fin dove si perde lo sguardo. Il verde vispo delle terrazze ordinate e lo spogliarsi degli alberi da frutta. Gli spazi vellutati, come prati a bordo strada.

I casoni che riportano a tempi che furono e, tutt’intorno, il creato sovrastato da un cielo limpido. Tinte bruciate al sole, spente dalla bruma, accese dalla stagione. I mutamenti della natura sono ben visibili qui, dove gli occhi possono viaggiare in lungo e in largo nei dintorni di questi luoghi, zona d’arrivo della strada antica.

I campi coltivati, il bosco selvatico e, col naso all’insù, ecco le cime dei monti che si mostrano austere e ci abbracciano. Come i cedri attorno alla piccola Chiesa di San Faustino, così chiamata proprio come la manciata di case sopra la nostra testa, sul crinale a Ovest.

Siamo a 626 mt s.l.m. e, alcuni tratti che possiamo guardare, hanno già qualcosa di selvaggio.

Qui, un sentiero che porta verso San Zan (San Giovanni) condurrà fino a Monte Ceppo, passando per Colla Bracca. Dovrò farlo un giorno questo tour e portare anche voi.

Ora, però, mi godo ancora questa pace, questa flora e questa atmosfera che solo Aigovo e Carpenosa sanno regalare. Come sanno regalare anche un delizioso torrone, proprio tipico di questi borghi. Ma questa è un’altra storia e sarà un altro articolo.

Un bacio topi!

Stregati dal sentiero

Questa Primavera è davvero pazzerella con il suo tempo instabile, ma niente può fermare la vostra Pigmy dal percorrere sentieri in lungo e in largo per la Valle.

E allora un sabato di questi decido di inoltrarmi su un percorso intitolato da molti alle streghe, proprio perché attraversa alcuni dei luoghi che si credevano frequentati dalle nostre ormai celebri bàzue.

Con lo zaino in spalla e topoamico a fianco a me, mi addentro nell’abitato di Molini di Triora, passando accanto alla bottega stregata di Angela Maria e salendo su per i carruggi. Il pavimento lastricato si fa sterrato nei pressi del camposanto, e si continua a salire la stradina tortuosa, una mulattiera che conduce fino a Triora.

sentiero molini di triora

Durante la salita non possiamo impedirci di fermarci a godere della vista. L’abitato di Molini è sempre più piccolo, sembra un presepe sotto le nostre zampe. Sopra di esso, svettano i monti che fanno da cornice al Passo della Mezzaluna, antico luogo di culto delle popolazioni liguri nonché importante per i pascoli alti in cui i pastori trascorrevano – e trascorrono ancora – i mesi più caldi con il bestiame. Si distinguono molto bene anche i borghi di Andagna e Corte, che formano un triangolo con il più basso Molini.

Molini - Corte - Andagna

Intorno a noi è un tripudio colorato e profumato di fiori, la natura è rinata, finalmente! Fiori candidi spandono per l’aria la loro dolce fragranza, mescolandosi a quella dei meli selvatici, dei ciliegi e dei rovi. L’erba è alta e di un verde brillante, le timide lucertole fuggono via veloci al nostro passaggio. E poi le farfalle! Ce ne sono tantissime e dalle ali variopinte, accarezzano i fiori con la loro tipica eleganza e poi volteggiano via, alla ricerca di nuovo oro da poter gustare. Le api sono così operose e impegnate da non badare alla nostra presenza, ronzano allegre, affaccendate, tuffandosi in tutto quel ben di Dio fiorito fatto di tarassaci, pratoline, trifogli e nontiscordardimé.

Continuiamo a salire col profumo nelle narici, godendo della vista dei borghi vicini di Corte e Andagna. Ogni tanto qualche gocciolina di pioggia ci cade sul muso, come rugiada, ma noi non ci lasciamo intimorire dalla sua bugiarda minaccia e, di buona lena, raggiungiamo la parte bassa di Triora. C’è una panchina qui, con vista sulla Valle. E’ uno spettacolo per gli occhi restare seduti a guardare la vita umana che scorre sotto di noi, si intravedono le automobili, piccole, piccole come quelle dei modellini. Proprio alle spalle di quel sedile panoramico c’è la chiesetta della Madonna delle Grazie, risalente al XVII secolo, come reca il cartello posto sull’ingresso. La sua facciata colorata si intona bene col prato rigoglioso, pare un fiore anch’essa.

Proseguendo, ci troviamo a poggiare le zampe sul nero asfalto della strada provinciale e continuiamo a camminare in salita fino a raggiungere il tratto di mulattiera che conduce alla chiesa campestre di San Bernardino, ben segnalato.

chiesa san bernardino triora

Questo piccolo edificio è un vero gioiello della mia Valle, così antico che, se fosse un essere vivente, avrebbe il volto scavato da rughe profonde. Raggiungiamo la chiesa e anche qui troviamo delle panchine; possiamo fermarci, se lo desideriamo, per mangiare un boccone prima di ripartire.

chiesa san bernardino triora2

Fiancheggiamo a questo punto l’edificio, passando sotto le arcate dei contrafforti, e proseguiamo in discesa. Ci sono piccole case ai margini di questo sentiero, alcune davvero suggestive, con sculture moderne poste a ogni angolo e curate nei minimi dettagli, seppure lasciate alla loro spartana semplicità. Poco dopo esserci lasciati alle spalle l’agglomerato di costruzioni in pietra, ci troviamo a un bivio. Dobbiamo salire, dirigendoci verso Loreto.

Come si fa bello il sentiero, topi miei! L’erba è alta, succulenta, e gli alberi sono più fitti. Ciliegi, meli selvatici, noccioli, querce e carpini ci fanno da tetto con le loro fronde rigogliose e in aria volano fiocchi di polline come fossero neve. Si continua a scendere, e ogni tanto il sentiero è attraversato da giocosi ruscelli, che scendono giù da chissà dove, non ne vediamo l’inizio né la fine. Creano polle d’acqua limpida, lo scroscio è piacevole, lento. Li attraversiamo con estrema facilità, accompagnati dal cinguettio degli uccelli, eterni presenti soprattutto in questo periodo dell’anno, mentre gridano al mondo le loro canzoni d’amore. Nonostante le numerose deviazioni, continuiamo a seguire il sentiero maestro, senza mai abbandonarlo, e seguiamo il segno rosso e bianco, sicuri di non rischiare di sbagliare strada. Ci imbattiamo persino in un tavolo da pic-nic.

sentiero triora

A un certo punto arriviamo in un posto bello, meraviglioso, incredibile! Giungiamo sul ponte di Mauta, sotto quello più moderno e vertiginoso di Loreto. E’ una costruzione antica, in pietra e, salendoci sopra, si può godere di uno spettacolo che ci toglie il fiato: sotto di noi scorre il torrente Argentina, scavando gole profonde e scure.

Qui l’acqua sembra quasi d’inchiostro, perché la luce solare fatica ad accarezzarla e rischiararla con i suoi raggi dorati. Poco più in giù delle gole di Mauta si trova la località di Lago Degno, luogo un tempo rinomato come raduno delle bàzue, che vi si incontravano in compagnia del demonio (così dice la leggenda). Oggi, invece, Lago Degno è frequentato da esploratori, turisti ed esperti di canyoning, nonostante il divieto di accesso che dal 2010 interessa tutta la zona per via di un enorme masso che rischia di franare. Restiamo ad ammirare le curve del torrente, affascinati da questo ennesimo spettacolo naturale della mia bella Valle, poi proseguiamo. Oltre il ponte si tiene la sinistra e riprende la salita in mezzo al bosco.

E che bosco! Ogni tanto, dal fitto della vegetazione, spiccano rocce di dimensioni enormi, pareti grige sulle quali sono addossati i ruderi di antiche costruzioni.

Qui la salita si fa importante, ma è breve, non preoccupatevi. Si giunge a un bivio non segnalato, ma a giudicare dalla traccia GPS che vediamo dal topo-smartphone (sono una topina tecnologica, ormai!), da qui si prosegue verso Cetta, mentre noi dobbiamo rientrare a Molini. Imbocchiamo allora il sentiero più stretto che svolta alla nostra sinistra e, procedendo tra gli alberi, giungiamo su un percorso a me conosciuto e molto caro, quello che costeggia il Rio Grognardo.

Attraversiamo l’affluente dell’Argentina grazie al ponte di legno. Sì, lo so che sembra traballante e pericolante, ma non lo è! Certo, non bisogna ballarci sopra, ma è bello mettere le zampe su quella passerella, dà un brivido lungo la spina dorsale che non è niente male.

ponte rio grognardo2

Avanti, dov’è finito il vostro spirito d’avventura? Non fate quella facce e continuate a seguirmi. Questo è un luogo magico, per me, dove lo Spirito della Valle fa sentire più forte la sua eco. Se ancora non avete conosciuto lo Spirito della Valle, leggete il mio articolo “In nessun luogo, eppure dappertutto”.

Questo tratto del sentiero è di grande facilità, prosegue per gran parte in piano. A un certo punto lo troviamo sbarrato da un tronco poggiato sul terreno: è il segno che, anziché proseguire dritti e in piano, dobbiamo imboccare la deviazione a destra, in salita in mezzo ai castagni, che ci permette di aggirare la frana di cui vi avevo parlato nell’articolo “Frana per andare a Lago Degno”. Terminata la salita, il percorso si snoda nuovamente in piano e in discesa e poi, finalmente, raggiungiamo la provinciale.

lago degno molini di triora strada colle langan

Proseguendo in su arriveremmo a Monte Ceppo, San Giovanni dei Prati o Colle Melosa, mentre oggi imbocchiamo la discesa per Molini di Triora.

Lungo la strada possiamo rifarci gli occhi con le case che gli esseri umani si sono costruiti in questa zona tranquilla. Ce n’è per tutti i gusti, davvero! Ci sono abitazioni spartane, con pietre a vista, altre dai colori sgargianti e con giardini popolati da nanetti e e altre fiabesche creature. E’ bello fantasticare sulla vita in un luogo del genere, immerso nel bosco e con tanto giardino intorno. E pensare che, una sera, su questa stessa strada, saltavano una moltitudine mai vista di grossi rospi! Passavo da qui con la mia topo-mobile e dovevo fare una grande attenzione nel guidare, perché saltavano da ogni dove e c’era anche una nebbia così fitta che quasi si tagliava col coltello. Era proprio una notte da streghe, quella! Vedete, nella mia Valle non ci si annoia mai, davvero!

A un certo punto, giungiamo nei pressi di una casetta intonacata di un rosa molto pallido, al di sotto della quale possiamo scorgere un ponte di pietra. Scendiamo, dunque, e lo attraversiamo. E’ un ponte a schiena d’asino, la sua è una gobba notevole! Ci fermiamo ancora una volta a rimirare il torrente Argentina, il bosco sembra volerlo celare, proteggere da sguardi indiscreti.

Che vegetazione fitta, e che verde intenso! Scendiamo dal ponte e ci dirigiamo verso il borgo di Molini di Triora, ammirando anche il punto in cui il Rio Capriolo si getta tra le braccia dell’Argentina e si mescola con lui.

torrente capriolo torrente argentina molini triora

Siamo stanchi, estasiati e stregati dalla passeggiata di oggi, ne abbiamo viste proprio delle belle, non trovate anche voi?

Un abbraccio incantato dalla vostra Pigmy.