Regina per un giorno nel Castello di Triora

Oh! Si! So già che state pensando: “Topina! Ti accontenti di poco!” ma è perché non sapete cosa riesco a fare con la fantasia e l’immaginazione. Ma oggi ve lo mostro.

So bene che andiamo verso quello che ormai è solo un rudere ma sono tante le cose che ci attendono quindi seguitemi.

Venite con me, vi conduco nel mio… Castello!

Ci saranno paggi e valletti, guardie e principi, tanta storia e, dalla torre più alta, potremmo vedere un panorama meraviglioso.

Nel bel mezzo dell’antico borgo di Triora prendiamo per Via Castello da Fontana Soprana. In realtà, il mio Palazzo Reale, si può raggiungere da diverse vie ma questa salita di ciottoli, che si srotola tra le case del borgo, mi piace molto.

Mi soffermo a guardare i miei monti. La loro immensità, il loro stagliarsi contro il cielo e cullare i paesi di Corte e Andagna.

Sorrido a quella bellezza e mi dirigo verso la meta di cui vi parlavo conosciuta anche con il nome di Castrum Vetus Triorae e che fu realizzata intorno al XII e il XIII secolo.

Il Capo delle Guardie mi viene incontro per salutare Sua Maestà. Ha un’espressione rude ma in realtà è un coccolone. Dovete capire che deve mantenere un certo contegno e una certa autorità per farsi rispettare da tutti i soldati.

Dopo avermi riempito per bene di pelo, miagolando a più non posso, mi lascia libera di giungere a Casa mia.

Tutti acclamano la Regina suonando trombe e sventolando bandiere. Le fiaccole appese fanno una gran luce grazie alle fiamme ardenti le vedete anche voi?

Ma come no? Guardate bene! Cola persino ancora la cera da quei porta-torce in ferro battuto. Che meraviglia!

Quanta pietra robusta a realizzare quello che un tempo era un fortino inespugnabile.

Quello che posso mostrarvi è poco: un bastione, un torrione dal quale un tempo si poteva scorgere il nemico arrivare e qualche pezzo rimasto del muro di cinta.

La vista da qui, infatti, è ampia e se mi arrampicassi fino in cima potrei vedere anche la strada principale di sotto ma mi accontento di vedere, da varie prospettive, i tetti rossi di Triora, il campanile e tutta la natura che circonda il paese.

E’ uno sguardo pieno di entusiasmo il mio.

Le case sembrano appiccicate le une alle altre e, viste da qui, appaiono decisamente più piccole.

Le restanti rovine mi permettono ancora di percepire l’altezza e la stabilità di questa costruzione.

Eppure dovete sapere che è stata distrutta diverse volte, sembrerebbe quattro volte, persino dagli stessi trioresi arrabbiati a causa delle tasse troppo alte che venivano imposte. Eeeeh… i miei antichi convallesi non erano certo degli smidollati! Perbacco! Siamo nel Paese delle Streghe mica in quello dove si pettinano i criceti!

Questo Castello appartenne infatti anche ai Conti di Ventimiglia i quali, come vi ho già spiegato in altri articoli, non erano proprio molto apprezzati dal popolo.

In un altro tempo, invece, questo luogo storico e fantastico era l’abitazione dei signorotti locali ma appartenente ovviamente anche alla Repubblica di Genova, dal 1267, come tutto questo territorio d’altronde. La torre era infatti definita – bastione difensivo della Repubblica -.

Sotto di lei sorgeva il Cimitero e, durante gli ultimi lavori esterni (avvenuti nella prima metà del 1800) vennero rinvenute parecchie ossa umane trasportate poi in quello che è ancora oggi il nuovo Camposanto e che tuttora riposa oltre il sentiero Beato Giovanni Paolo II.

Sto fantasticando in quello che venne per molti anni considerato uno dei punti più strategici di tutta la Valle Argentina.

Sto cercando la Sala del Trono, dovrò ben sedermi dopo aver fatto tutti questi passi in lungo e in largo, ma la mia attenzione viene nuovamente rapita dai bordi frastagliati di alcune mura. Posso di nuovo vedere i miei amati monti.

In realtà, quei perimetri, sembrano non finire come ad avere un proseguo infinito chissà dove. Mi è facile immaginare un vero e proprio Palazzo dai tratti severi e solenni.

Il piazzale davanti è un lastricato di grigia pietra e oggi è divenuto un balcone che si affaccia sulla mia Valle. In antichità invece era l’entrata del Castello ma anche il centro della cosiddetta “Cittadella”.

La Cittadella era un nucleo abitativo totalmente autosufficiente e racchiuso dentro a delle mura nella quale i trioresi vivevano senza bisogno di nulla se non quello di vendere o barattare i propri prodotti. Essi coltivavano, cucinavano, lavoravano sempre all’interno di questo feudo e protetti.

All’interno del bastione, se si alza il naso all’insù, si può vedere il cielo perché non esiste il tetto ma, oltre al velo azzurro, vedo trecce bionde e lunghissime scendere giù da quelle feritoie e Principi Azzurri pronti a… ehm… ma no, forse questa è un’altra fiaba.

Beh, lo scenario qui è talmente bello che sembra di essere in un mondo magico e in un tempo che fu. E’ assai facile confondersi.

L’entrata della torre è piccola e dalla volta tonda, sembra la porta di una cripta, mentre è interessante osservare la trave in legno che fa da portale a quello che doveva essere un vero e proprio uscio.

Durante la costruzione di questo edificio non era ancora stata usata l’ardesia come architrave.

Compio ancora un giro intorno a tutto ciò che resta del noto Castello e sogno ancora un po’, fino al calar del sole. Il Toraggio si illumina di nuova luce così come le case dei trioresi e il mio animo.

Adesso c’è ancora più silenzio e l’atmosfera è splendida da vivere. Con una zampa accarezzo un’ultima volta quelle pietre. Chissà cosa hanno visto da quando sono qui. Quali abiti? Quali persone? E chissà se hanno sentito urlare, o ridere, o chiamare, o suonare antichi strumenti.

Lascio immaginare anche un po’ voi, io devo rientrare in tana perché ho un altro post da scrivere.

Alla prossima topi! Un bacio regale a voi.

Vignago – il borgo antico

Oggi, Topi, concedetevi un po’ di tempo per seguirmi perché si va a visitare una piccola perla della Valle Argentina.

Il tempo non vi servirà solo per arrivare in questo luogo che si trova sopra al paese di Corte ma anche per immergervi in un altro tipo di tempo che oggi non esiste più ma, in qualche modo, ha saputo lasciare qualcosa di sé, persino il suo profumo e la sua voce.

Attraverso gli oggetti, gli angoli caratteristici, i carrugi, le finestre e l’atmosfera, il – passato è ancora presente – anche se sembra una frase assurda da recitare ma vedrete che dico bene se verrete con me.

Andiamo a Vignago, il borgo piccolo e antico. Il borgo sotto la Rocca.

Il nucleo centrale di questo paesino, infatti, è chiamato – Rocchetta -. Questa protagonista si trova esattamente sopra ai tetti delle vecchie abitazioni.

Per arrivare a Vignago si passa nel bosco e il paese stesso è circondato da Castagni e un’infinità di Roverelle. Un tappeto di ghiande viene calpestato dalle nostre zampe mentre giungiamo ad una delle prime costruzioni importanti.

La macchia diventa meno fitta, alcune rocce si sporgono sulla vallata mostrando Triora che domina di fronte e un’edicola ci aspetta presentando la meraviglia che stiamo per vedere.

Le giro intorno; è piccina, un tempo conteneva la statuetta di una Madonna.

Attraverso una delle sue aperture si nota Monte Pellegrino (1.521 mt) che, in questo periodo mostra anche un foliage spettacolare oltre le radure che lo contraddistinguono.

Davanti a lei, un grande albero di Alloro, ritto e austero, sembra consentire l’accesso al sentiero che scende e porta alle vecchie abitazioni.

Una manciata di case completamente in pietra. Una pietra oggi abbandonata. Nessuno vive più qui ma un tempo c’era persino la scuola. Pare che i bambini fossero una decina e gli adulti più numerosi ma, durante il dopoguerra, questa gente decise di trasferirsi in altre zone.

In effetti, salendo per il sentiero che parte dalla località Molini di Pio, dopo Molini di Triora, e quindi dalla parte bassa che conduceva ai paesi più forniti, non è per niente semplice arrivare qui eppure, un tempo, si percorreva questa strada ogni giorno per poi tornare su, superare i primi capanni e raggiungere una delle case più grandi.

Se invece arrivate da Corte e dal bosco di sopra, introdursi in questo borgo è un’esperienza fiabesca e par quasi di sentire una vocina cantare “A mille ce n’è…”…

Si nota subito come in certi tratti la natura, una meravigliosa natura, abbia preso il sopravvento ma non sembra presuntuosa anzi, sembra voler proteggere quel luogo immerso nel silenzio.

Solo qualche lieve fruscio si percepisce, ogni tanto, provenire da dentro i ruderi. Sono i miei cugini Pipistrelli, si saranno sentiti disturbati dalla mia visita, sono dei dormiglioni!

Dopo quel che rimane di qualche casa raggiungiamo una fontana sulla quale una minuscola targa recita queste parole: “Con la unione di tutta la popolazione di Vignago sorge la fontana dell’acqua potabile 12 – 5 – 1951”.

E’ situata in una piccola piazzetta ora ricoperta da erba alta e si trova nel mezzo della striscia di case.

Vignago è infatti un insieme di dimore che costeggiano l’unico carrugio accessibile.

Alcune di loro non hanno più nemmeno il tetto, altre invece riportano una copertura ancora in ciappe di ardesia, altre sono pericolanti, mentre qualcuna è piena di ragnatele al suo interno.

Se le travi e le solette fossero più resistenti penso che un regista, una volta giunto qui, pensi d’essere arrivato nel suo set cinematografico preferito!

Tutto è da guardare, da osservare, da contemplare. Tutto ha tanto da dire. Se ci si ferma con lo sguardo sopra ai vari particolari si notano cose mai viste prime, si può sentire un’antica narrazione e si può immaginare ciò che non si è mai vissuto.

Ho così tanta voglia di portarmi tutto in tana che faccio foto a non finire.

Questa piccola frazione di Corte, e quindi di Molini di Triora che fa Comune, fino al 1903 appartenne al territorio di Triora distaccandosi poi assieme ad altre frazioni vicine ancora oggi abitate.

Alcuni punti ombrosi sono umidi e bui. Capisco perché i Chinotteri qui si trovano bene tra le braccia di Morfeo ma, attraverso alcuni pertugi, la luce del sole entra e i suoi raggi rendono tutto ancora più affascinante donando un bagliore quasi argentato a quei resti circondati da una natura florida.

Travi di legno massicce, lastre incise, porte pesanti e sedie tarlate. Tra le pietre dei muri escono chiodi enormi, arrugginiti, in grado di sostenere il peso eccessivo.

Ci sono finestre chiuse da persiane di legno mentre altre sono oggi solo buchi dalla forma quadrata che permettono di vedere il mondo.

Siamo a circa 700 mt s.l.m. ma potendo vedere, attorno a noi, nei pressi di questo borgo, alcuni degli alti monti della mia Valle, pare di essere ancora più vicini al cielo. Siamo in un punto alto, aperto, che gode di aria buona e tanto sole.

Il panorama è stupendo e obbliga a spalancare gli occhi ma anche le piccole creature accanto a noi non sono niente male.

Insetti, fiori, funghetti, frutti… c’è davvero di tutto qui. Tantissima vita in un luogo che, a prima vista, sembra parlare soltanto di staticità.

E’ vero, il tempo in effetti sembra essersi fermato ma, nonostante il passare di molti anni, un’energia movimentata continua a imperlare tra queste mura.

Non vorrei più andarmene. Mi piacerebbe vivere quest’atmosfera durante le varie ore del tempo ma i miei lavori in tana chiamano e se non torno indietro voi rimanete qui a Vignago senza altri articoli.

E’ bene ch’io rientri quindi ma prima vi mando un bacio antico e vi aspetto per la prossima avventura.

Buon proseguimento Topi!

Fuori dal tempo ad Agaggio Superiore

Alcuni luoghi della mia Valle, soprattutto in certe stagioni, paiono come sospesi in un momento senza età. Ci sono posti che hanno la parvenza di essere simili ad Avalon, fuori dai canoni ordinari dello spazio e del tempo come noi li intendiamo.

Questa è l’impressione che fa Agaggio Superiore in questo periodo dell’anno, dove il vero, indiscusso protagonista resta il silenzio surreale che permea ogni cosa.

E’ una frazione di Molini di Triora e dista quattro chilometri da questo borgo. Ci si arriva da Agaggio Inferiore, si sale, si sale fino ad arrivare ai 702 metri sopra il livello del mare. E l’altitudine, qui, si fa subito sentire col suo freddo più intenso, gli sbuffi di vapore che escono dalle narici e dalla bocca quando si respira.

Tutto è sospeso, come vi dicevo. Neppure le foglie morenti sui rami osano più frusciare e quelle già abbandonate al suolo non scricchiolano, restano là, immobili, come se ogni cosa fosse vittima di un incantesimo.

Guardandosi intorno, parrebbe quasi abbandonato. Gli oggetti lasciati nei dintorni sembrano spettri di un tempo ormai perduto, ogni cosa permea una nostalgia palpabile, percepibile.

mollette bucato

E’ malinconico, Agaggio Superiore, con le sue finestre sbarrate, gli usci chiusi e quei tetti che gridano al cielo il loro bisogno di essere rimessi in sesto. Pietra e ciappe d’ardesia la fanno da padroni, e gli unici abitanti paiono essere gli animali, che ci salutano subito con affetto al nostro arrivo. Eppure nulla è come sembra, perché anche se qui tutto pare immobile e quieto, anche là dove il silenzio sembra sintomo di abbandono, c’è chi resiste come il timo aggrappato alla roccia e abita ancora nelle casette di Agaggio, con ritmi lenti, quasi come quelli di un tempo lontano. E c’è l’azienda Casciameia, che vende prodotti locali, ottimi vini e i tipici fagioli della vicina Badalucco.

Una volta c’era anche una bottega qui, come in ogni paese della mia Valle. E in quella stessa bottega abitava la famiglia che la gestiva. Un tempo era così: ci si accontentava di spazi modesti, qualche volta non si aveva neppure il lusso dei vetri alle finestre.

Oggi quella bottega è una casa che attende nuovi abitanti, nuove risate e rinnovati sorrisi.

La passeggiata nel piccolo borgo è piacevole, continuiamo a essere accompagnati da gatti e cagnoloni pronti a farci le feste, come se avessero rivisto un amico di vecchia data.

Ci abbandoniamo alle coccole di quel momento, ma poi continuiamo e raggiungiamo  Piazza San Carlo, dove svettano due chiese, l’una dirimpettaia dell’altra.

E qui diventiamo muti testimoni di un contrasto che quasi disorienta, un connubio tra vecchio e nuovo. C’è la chiesetta antica, con le mura di pietra, ormai fantasma di se stessa. E poi c’è la sua più nuova controparte, la facciata intonacata coi toni del cielo primaverile.

Ci sono anche qui, come ad Aigovo, i giochi per i bambini. E che bella l’altalena, in quel contesto di alberi, prati e panorami! Salirci è come darsi la possibilità di toccare il cielo con un dito, vestire per un istante i panni di una cinciallegra che guizza veloce da un ramo all’altro.

A proposito di boschi, quelli dei dintorni sono tutti di Castagno e i colori del re del bosco sono accesissimi in questo periodo. Una volta la popolazione di Agaggio viveva di castagne, si partiva presto al mattino per raccoglierle, lavorarle. Un po’ tutta la mia Valle viveva grazie a questa portentosa e generosa pianta, ve l’ho detto più volte. E faceva freddo in inverno, molto più di adesso. L’acqua ghiacciava nei catini durante la notte, e al mattino si doveva spaccare il ghiaccio per potersi lavare il viso.

Tempi duri, certo, e Agaggio li conserva tra le rughe delle sue case antiche, nella lapide dedicata ai caduti della guerra e in quella memoria bellica che permea ogni luogo della mia Valle con il suo grido di libertà che riecheggia ancora, rimbalzando da un borgo all’altro.

Adesso vi saluto, topi miei. Le gemme sugli alberi a novembre mi dicono che quello che sta per arrivare sarà un inverno lungo e freddo e devo ancora finire di preparare le mie provviste di articoli per voi.

Un bacio di brina dalla vostra Prunocciola.

Io sono tornata e voi siete semplicemente fantastici

grazieCiao topini, anzi, ciao Amici, penso di potervi davvero definire così e con la A maiuscola. Ho solo oggi riaperto il mio blog e una delle mie due mail (l’altra ancora non funziona) e tutti i vostri commenti mi hanno fatto venire le lacrime agli occhi. Ho ricevuto, persino da persone che non conoscevo, messaggi bellissimi senza contare i vostri che mi hanno davvero aperto il cuore. Messaggi qui sul blog, messaggi nella mail e addirittura c’è stato chi, in questo periodo di mia assenza, mi ha scritto tramite sms. Grazie. Grazie davvero. Mi scuso nel non aver risposto prima ma ho davvero avuto tanto da fare e il pc in coma, inoltre, non volevo collegarmi da quello di conoscenti solo per due minuti. Volevo prendermi e avere il giusto tempo e non rispondervi in sole due parole. Volevo dirvi che vi ho pensato molto e provavo a immaginare cosa stavate postando quel giorno. Quale immagine, quale articolo, quale canzone. Tutte cose che mi hanno tenuto sempre molta compagnia e mi hanno sempre interessato parecchio; e che adesso, piano, piano, verrò a curiosare. Ora come ora, non ho moltissimi post pronti, devo cercare di rimettermi all’opera e regalarvi nuovamente ciò che mi avete fatto capire essere da voi molto apprezzato. Che gioia topini, non potete capire che bel regalo mi avete fatto. A questo punto, non mi resta altro che venire un pò a trovarvi, uno per uno, e preparare un nuovo post con il quale si ricomincia. Vi mando un bacione e questa volta vi dico… a prestissimo! La vostra Pigmy.

foto presa da apropositodiuncinetto.it

Antiche insegne, vecchi ricordi

Guardatele topini, ve le ricordate? A me fanno venire un po’ di malinconia.

Mi ricordano le botteghe che oggi non esistono più, le cose piccole, i grandi valori. Mi ricordano le prime commissioni da fare alla mamma, che in realtà erano vere e proprie missioni, di quando si partiva con la borsa tra le mani e le 10.000£ così strette nelle dita che Aldo, il macellaio, doveva disfare un origami per darmi il resto.

SONY DSC

La mamma aveva detto – Non perderle Pigmy, mi raccomando! -. Dovevo ricordarmi tutto ma, in realtà, ella aveva già telefonato e fatto la sua prenotazione.

Mi ricordano anche le telefonate che facevo io. I pianti dalla colonia, alla sera, perchè volevo tornarmene al mio mulinoSONY DSC e i soldini non bastavano mai per mandare tutti i bacini che avrei voluto spedire dentro a quella cornetta… dovevo far più tenerezza che potevo… dovevo straziargli il cuore a mamma e papà! E i mega numeri, quelli lunghissimi di quando capimmo come fare a fare gli scherzi laggiù, fino in America. Sarà stata l’America poi? Boh? E chi aveva il tempo di scoprirlo?

Mi ricordo della farmacia e della farmacista. Più antica della sua stessa insegna e dei barattoli di erbe che teneva come reliquie. Amica di famiglia, sapeva tutto prima e sopra gli altri e, ai tempi, l’ascoltavo come incantata.

Mi ricordo il vanto di essere affacciata proprio alla finestra dell’insegna, dalla quale in realtà non si vedeva nulla, quando andavo a trovare la zia. Era la più scomoda finestra di tutta la palazzina, ma mi cuocevo i gomiti appoggiata al davanzale d’ardesia che scottava sotto il sole. Chi leggeva mi guardava. Che sfacciata! Ma da piccoli, tuttoSONY DSC è perdonabile. Tutto è comprensibile.

Mi ricordo, e i pensieri sono vivi dentro me, come freschi del giorno prima. Mi ricordo di quando andavo dalla Lina e le vendevo le uova delle mie galline. Lei aveva un modo di trattare quelle uova come se fossero state pietre. Io sembravo un’impedita e, per il terrore di romperle, andavo a SONY DSCrallentatore. La Lina rideva, rideva così forte e divertita che mi accorgevo dei denti che le mancavano in bocca.

Mi ricordo dell’odore di quello che le insegne stesse pubblicizzavano. Quell’odore di chiuso, di scuro, di umido o di buono, come quello del prosciutto cotto, e stavo lì, ad annusarlo per ore, al di là del bancone, finchè la campanella della tenda annunciava che mi avevano sentito entrare e stavano arrivando dal cucinino per servirmi.

Mi ricordo quelle più in voga della Coca-Cola, o della Plasmon, o quelle che annunciavano le mercerie e le vecchie osterie. A volte anche pendenti, a volte anche di legno. A volte cigolavano. A volte erano disegnate direttamente sulla parete o attaccate da tasselli e, con la pioggia, perdevano la tinta o la ruggine che coloravaSONY DSC il muro di marrone arancionato e sbavature irregolari.

Mi ricordo che non s’illuminavano e, alla sera, finivano di esistere, ma tanto sapevamo benissimo dov’era quel luogo che ci serviva.

E anche oggi, hanno smesso di esistere. Ora che si staccano, o l’intonaco sul quale erano disegnate, si sta sgretolando via. Ora che le guardi SONY DSCe ti dicono chiaramente quanto tempo è passato, senza indugi, senza batter ciglia. Ora che vorresti, rivederle vivere. Ora che dormono, che nessuno più le considera. Si sentono inutili e stanno lì, a lasciarsi andare. Mi mancate. E a voi? Che effetto fanno? Riportano anche a voi e alla vostra memoria, alcuni ricordi? Raccontatemeli…

Un saluto, vi aspetto per il prossimo tour.

M.

La prima foto è stata presa da tube.7s. it

I primi 12 giorni

Cari topi, ne ho scoperta un’altra e volevo condividerla con voi.

Sapete cosa dicono i vecchi nella mia valle e, forse, in tutta Italia? Si dice che il tempo dei primi 12 giorni di gennaio e, quindi, dell’anno, corrispondano ai 12 mesi.

Mi spiego meglio. Se il giorno 6 gennaio, ad esempio, c’è un bel sole, questo significa che giugno (che corrisponde al sesto mese), sarà soleggiato. Idem per le giornate di pioggia. Se il 9, il 10 e l’11 piove, ciò significa che settembre, ottobre e novembre saranno mesi piovosi e umidi.

Come poter paragonare questa diceria alla realtà? Qualcuno di voi ricorda che tempo faceva i primi 12 giorni di gennaio del 2011? E, ditemi, anche voi conoscevate questa specie di proverbio? Se fosse vero, io che adoro il sole, per devo ritenermi fortunata. Qua da me ha piovuto solo il 3/01, mi sembra.

E ora… arrivano i giorni che corrisponderanno ai mesi più particolari, quelli autunnali, quelli che, tra l’altro, negli ultimi anni ci stanno spaventando molto. Infatti, l’autunno è ormai la stagione delle alluvioni, non più dell’uva e delle castagne. Staremo a vedere.

Quante cose ci sono da osservare a gennaio, oltre ai famosi giorni della merla, quelli più freddi dell’anno! Un’altra diceria che mi ha molto colpito riguarda l’arancia. Sì, quel buonissimo e dolcissimo frutto che in tanti amiamo. Se mangiato a colazione è oro, a pranzo è argento e a cena è addirittura… veleno? Sì, sì, dicono che è indigesto e il nostro organismo fa difficoltà ad assimilarlo durante le ore serali!

Quali detti appartengono alla vostra cultura? E secondo voi possiamo credere a questi che vi ho citato? Io, comunque, sto diventando ogni giorno più saggia. Questi vecchietti mi riempiono di pillole di saggezza utilissime!

Un abbraccio.

La vostra Pigmy meteorologa.

M.