Ad Abenin, nel tempo dei lupi

Ah, topi… che terra, la mia! Una terra di artisti, di anime sensibili che hanno prodotto capolavori più o meno conosciuti. La Valle Argentina che da tempo mi impegno a farvi conoscere è stata prediletta come sfondo perfetto per varie ambientazioni, sono diversi gli scrittori che l’hanno immortalata nelle pagine uscite dalla loro penna. Calvino, Biamonti, Montale… ormai li conoscete. Ma ce n’è uno ben più vicino, nostro contemporaneo, che ha saputo descrivere certe zone della Valle e certe vicende in un modo così particolare e vivido da farmi venire un fremito dal cuore alla punta della coda!

Sto parlando di Giacomo Revelli, autore taggese del libro “Nel tempo dei lupi. Una storia al confine”. Be’, credetemi se vi dico che vale la pena di leggerlo.

Nel tempo dei lupi - Giacomo Revelli

Ambientato nei dintorni di Realdo, a fare da sfondo alle vicende che vedono Guido Valperga come protagonista c’è lei, la natura in tutta la sua potente bellezza, la stessa che elogio sempre nei miei articoli. Ma oggi non voglio essere io a parlare, vorrei che vedeste Borniga, Abenìn, il Gerbonte con gli occhi di Giacomo Revelli, che ha saputo intrappolare tanta bellezza in un libro.

Ma non si è limitato a questo, nossignori! Ha anche trattato tematiche molto belle, attuali e importanti che invitano a riflettere, soprattutto gli esseri umani che – lo so benissimo – frequentano il mio blog. E allora eccomi qui a darvi qualche assaggio delle sue parole. Sono andata sui luoghi del romanzo per voi a scattare qualche foto e mostrarvi la bellezza selvaggia dei luoghi descritti dall’autore.

Valle Argetina - Realdo - Abenin

Il romanzo inizia con Guido Valperga, il protagonista, che viene incaricato di piazzare un’antenna per il wifi in alta Valle Argentina e più precisamente nei pressi di Abenin, dopo l’agglomerato abitativo di Borniga. Il capo dell’azienda per cui lavora gli ha ordinato di piazzare l’antenna a Barëghë d’r bola, una zona impervia e pericolosa, lontana da occhi indiscreti e segnata da crepacci e strapiombi.

E’ un posto brutto – ripeté il vecchio – c’è una scarpata, uno strapiombo. Già una volta, anni fa, sono andati a prendere uno che era caduto giù. C’è un sentiero, ci portavamo le bestie malate. Ma è pericoloso, da solo con ci può andare. E nessuno la può accompagnare”.

“Beh, pài… cheicün ër li sëria…” (Be’… qualcuno ci sarebbe)

“E chi?”

“Cul… ën l’Abenìn.” (Quello… ad Abenìn)

“Chi? ‘R ni i a ciù nësciüni lasciù!” (Chi? Non c’è più nessuno lassù!)

“Ma sì! Cur mesagée… com ‘r së ciama…” (Ma sì, quello zoticone… come si chiama…)

“Chi? Chi ti diju? Giusé Burasca? (Chi? Chi dici? Giusé Burasca?)

“Certu! Ee” (Certo!)

“Ma va! Sëra mort!” (Ma va, sarà morto!)

“Ma nu! Miliu, ‘r figl’ de Lanteri, ër l’à vist a faa de fascine ën lë bosch damùnt de cave.” (Ma no! Emilio, il figlio di Lanteri, l’ha visto fare delle fascine nel bosco sopra la ceva)

Guido, torinese abituato alla vita e ai ritmi cittadini e dipendente dalla tecnologia, si ritrova così ad affrontare un viaggio alla ricerca di qualcuno che possa guidarlo tra i monti e i sentieri della Valle Argentina. I suoi passi lo condurranno ad Abenìn, dove dovrà affidarsi ad altri per portare a compimento il proprio lavoro, senza poter utilizzare apparecchi elettronici, i quali nelle zone impervie dell’alta Valle non captano i segnali della rete.

Abenin

“Ad Abenìn non c’era nessuno, nemmeno il vento. La conca era immersa nel silenzio profondo, di quelli in cui, camminando, si sentono le pietre parlare coi sassi. Le poiane volteggiavano nell’aria immobile. Una cornacchia tagliò radente le cime e scomparve. C’era qualcosa di fragile. Trovare l’unica casa abitata di Abenìn non fu difficile. Ce n’erano un gruppetto, fatte di sassi grigi messi uno sopra l’altro, incastrati e impastati di terra, invasi dai muschi. Erano basse e anguste, con poche o nessuna finestra, un buio così pesto all’interno da impedire il respiro. Gli usci, bassi e stretti, avrebbero costretto all’umiltà qualsiasi visitatore che non fosse stato un bambino.”

Abenin

Ed è qui che avviene l’incontro tra Guido e Giusé soprannominato da tutti Burasca per via del suo carattere tempestoso. Guido deve restare ad Abenìn per poco tempo, ma… be’, non sta a me rivelarvi la trama del romanzo e i suoi colpi di scena, topi, ma chissà se alla fine riuscirà a montare la sua antenna e se Giusé Burasca lo aiuterà nell’impresa!

Guido finirà per trovare amici (e nemici) inaspettati e metterà in discussione ciò che ha sempre creduto di se stesso. “Nel tempo dei lupi” è un romanzo che ha una grande profondità, nonostante l’apparente semplicità della trama. Ma continuiamo a camminare sulle parole dell’autore…

edicola Abenin - Realdo

“Ad Abenin, in cima alla collina, c’è un’edicoletta con una croce e vicino un abete. Lì la strada spiana dopo la brusca rampa che sale dal Pin. Dentro c’è una Madonna e una bottiglia di coca con dei fiori appassiti. E’ un buon posto se si ha da pregare. Quando Guido ci arrivò, era un monumento di ghiaccio e di silenzio.”

Abenin - Realdo

“La neve si posava sulle fasce d’erba e lentamente le coricava, come un mantello. I dirupi, i burroni, le cicatrici della montagna apparivano ora più serie e profonde. File di muretti ordinavano i gradoni della conca e delimitavano la strada e le case. Alcuni erano gonfi, ingravidati dal tempo. Altri avevano già ceduto e vomitato nel terreno il loro magma di sassi. Altri resistevano fieri, chiusi, perfetti… ma per quanto ancora?”

Abenin - Realdo2

Che poesia, che parole! Non sono la sola a elogiare questa valle antica e fiera.

E nel romanzo è l’anziano Giusé Burasca, allevatore dai modi burberi e schietti, a insegnare indirettamente a Guido un modo di comunicare nuovo per lui, un linguaggio semplice e più diretto rispetto a quello portato dalla modernità e dalle antenne nell’era degli smartphone. E alla fine anche Guido, forse, riuscirà a far parte di quella natura che dapprima gli era apparsa ostile e distante…

lichene

“Riconosceva i larici, li distingueva uno dall’altro dalla forma del tronco o dai muschi che ne ricoprivano la corteccia. La montagna cominciava a parlargli. La piramide del Gerbonte, le colline di Abenìn non erano più il muto scenario in cui misurare un campo elettromagnetico; capiva finalmente la loro indole. Un lato dolce, con i fianchi della montagna che abbracciano le quattro case, il pontetto per il paese, come in un piccolo presepe, e poi poggi stretti, ma comodi, scalati dai muretti ordinati di sassi. Un lato severo, selvatico, con il dirupo e la valletta spezzata nel baratro: un ciuffo d’erba e poi più nulla, la valle giù, aperta, con qualche pino che si aggrappava alle rocce.”

abenin gerbonte

Ma c’è un altro personaggio in questo libro di cui non vi ho ancora parlato: una lupa, muta spettatrice degli eventi. Silenziosa, selvaggia e misteriosa, con la sua presenza sconvolgerà ogni certezza di Guido e Giusé. (Per la foto seguente ringrazio il fotografo Paolo Rossi, al quale avevo dedicato il seguente articolo qui sul blog: “Paolo Rossi racconta il lupo e i suoi segreti“).

lupo

“La lupa non sembrava avere problemi: proseguiva decisa qualche metro avanti a lui. Guido non vedeva altro che la bestia davanti a sé che ogni tanto si voltava a guardarlo. Ma cosa voleva dirgli? Dove voleva portarlo? La seguì fino ad abbandonare la radura dei larici. Si trovò così immerso completamente nel bianco. Non era cieco, ma la vista gli era assolutamente inutile in tutto quel bianco. La lupa era un’ombra grigia davanti a lui. […] Era qualcosa di profondamente diverso rispetto all’uomo. Tra lui e lei, là fuori, non c’erano solo alberi, erba e colline, ma anche tutto ciò che fa tuonare le nuvole, il vento che le muove, il buio, la notte, il gelo. Cose che oggi, quotidianamente ignoriamo, persi nel rumore di fondo. Quella lupa era arrivata come dal passato, percorreva sentieri che altri lupi prima di lei avevano percorso e si trovava davanti i nemici di sempre, come se anche il tempo ad Abenìn fosse tornato indietro. Ma ora, dove si trovava? Nel tempo dei lupi o in quello degli uomini?”

Il lupo, quello straordinario mammifero ormai sulla bocca di tutti, è tornato a popolare le zone selvagge della mia Valle, ormai lo sapete. E’ un essere schivo, che si fa beffe dell’uomo, e nel libro Revelli usa un motto semplice e schietto per definire questo animale libero fiero: l’è ‘r louv l’animàa ciù furb! (E’ il lupo l’animale più furbo).

Abenin - Realdo - Gerbonte

Il sottotitolo di questo libro è “Una storia al confine”. Revelli parla molto di confini nella sua opera: il confine tra l’Italia e la Francia, dove le vicende sono ambientate; il confine tra antichità e modernità, tra umanità e bestialità, tra civiltà e zone selvagge e incontaminate. Si sente il confronto tra i confini, quelli reali e immaginari che l’uomo ha creato, quelli ai quali la natura non obbedisce perché le leggi umane non hanno validità assoluta su tutto e sfuggono al suo controllo, a differenza di quanto egli stesso tenda a pensare.

Valle Argentina Realdo

Siamo in terra brigasca, dove in passato si consumarono battaglie sanguinose e di cui ho già avuto modo di raccontarvi molte volte, qui sul blog. Sono luoghi che hanno visto scontrarsi italiani e francesi in numerose occasioni, proprio perché questa sembra ancora oggi terra di nessuno, dove ogni cosa è possibile e dove le leggi umane faticano ad arrivare.

E ancora oggi qui, sulle montagne che vi mostro in queste mie immagini e tramite le parole di Giacomo Revelli, gli sms, il web e i social network non arrivano. Qui tutto è autentico, non ci sono schermi a fare da tramite. E quello che l’autore vuole farci vedere è che le sofisticate tecnologie odierne arrivano ovunque, ma l’unico ripetitore che non riescono a toccare è il più importante: quello del cuore.

Sentiero Colle Sanson Valle Argentina

Una terra, questa, che sta pian piano riconquistando il suo lato selvatico e selvaggio, là dove la presenza antropica si limita ormai a sporadiche e occasionali occupazioni, limitate al periodo estivo. Ci si sente ospiti, qui, non di certo padroni, e Revelli lo ha descritto molto bene.

Abenin - Realdo - Valle Argentina

Con delicatezza e semplicità, riporta in vita gli antichi conflitti tra uomini e lupi, riapre vecchie ferite non ancora rimarginate e fa riflettere su due mondi distanti e vicini al contempo – quello umano da una parte e quello animale dall’altra – che viaggiano paralleli senza (quasi) mai incontrarsi. Una storia che invita al rispetto, a sentirsi padroni soltanto di se stessi e ad aprire gli occhi per incrociare lo sguardo con quello del lupo.

Adesso vi saluto, topi. Torno a zampettare in zone selvagge per voi. Un ululato a tutti!

 

Angoli di Tibet a Borniga, in Valle Argentina

Lo so che voi umani state mugugnando da un po’ perché quest’anno è scesa poca neve (almeno per ora) e che fa più caldo del normale, ma dal mio punto di vista da Topina posso dirvi che la cosa non è sempre negativa. Per esempio, se ci fosse stata la neve, oggi non avrei potuto portarvi fin quassù, in questo piccolo angolo di Tibet della mia Valle.

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No, non sono impazzita e non ho mangiato troppo panettone! State a sentire quello che ho da raccontarvi.

Avete presente quelle belle e terse giornate che abbiamo avuto a cavallo tra dicembre e la prima settimana di gennaio? Bene. Una di quelle giornate limpide col cielo tanto azzurro da fare invidia al mare, decido di esplorare un po’ la mia Valle per voi. Parto da vera esploratrice, facendo persino una sosta al Ricicì di Triora, con un panino da favola ben farcito e poi mi dirigo con la topo-mobile fino a Loreto, poi salgo ancora.

pane triora ricicì

Arrivo a Realdo, ma non è ancora il momento di lasciare la mia Passepartout a bordo strada. Mi lascio alle spalle l’abitato e proseguo, fino a giungere alla mia destinazione: Borniga.

borniga

Siamo in terra brigasca, topi, a circa 1300 metri sul livello del mare, e qui si può godere della natura in tutto il suo splendore. E’ un privilegio essere qui in questa stagione, perché quando scende tanta neve la strada diventa inagibile, le casette del borgo restano chiuse per tutto l’inverno, per riaprire le persiane solo in Primavera, quando si risveglia anche la natura tutt’intorno.

Borniga – Burnighe in dialetto – appare come una terrazza sulla Valle, la sua vista è così ampia che spazia dal Saccarello, la cima più alta della Liguria, fino al Faudo.

borniga panorama

I veri protagonisti di questo borgo abbarbicato sui monti, però, sono il Gerbonte, che svetta con la sua cima proprio davanti all’agglomerato di casette in pietra, e Cima Marta insieme al Grai, imbiancati come pandori coperti di zucchero a velo.

borniga gerbonte cima marta

E’ il regno dei corvi, dei rapaci, di caprioli, camosci e cinghiali, che qui scorrazzano liberi e quasi indisturbati. Il borgo non è abitato, in queste tane vengono saltuariamente topi con famigliole o topi stranieri a godersi le vacanze e, lasciatemelo dire: è proprio il posto migliore in cui rilassarsi!

A Borniga tutto parla di infinito. Le ginestre verde brillante che fanno da contrasto all’erba secca e vecchia. I Pini, che solo a guardarli pare aprano i polmoni per permetterci di respirare ancor di più tanta abbondante meraviglia. Il panorama che fa sentire piccoli dinnanzi al creato, così fulgido nel suo semplice splendore. Ogni cosa pare avere una sua voce, qui. Una voce che parla attraverso il silenzio, il lieve fruscio del vento, e che racconta la pace di un luogo per trasmetterla allo spirito.

Borniga è incastonato tra prati pianeggianti e larghe terrazze, lo incorniciano le creste montuose delle Alpi Marittime, abbastanza lontane da permettere al borgo di godere del generoso abbraccio del Sole, ma anche abbastanza vicine per farlo sentire protetto.

C’è ancora il forno di paese ed è funzionante, con la legna accatastata con ordine e gli attrezzi riposti con cura. E c’è quella panchina, là, nel cuore di un prato con vista su tutte le montagne, fino al Faudo, e pare quasi di riuscire a vedere persino il mare. E’ stato un giovane atleta tedesco a costruirla, così come sue sono le bandierine tibetane disseminate tra gli alberi e sugli speroni di roccia. Che pace, che tranquillità!

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Ecco perché sembra quasi di essere sull’Himalaya, topi. C’è un sentiero che si inoltra nella macchia mediterranea costellata di Pini Silvestri che conduce a Bric Corvi. E’ breve, e io vi consiglio di seguirlo, perché ne vale davvero la pena.

bric corvi borniga

Si cammina in cresta e si affaccia sulle falesie rocciose che lambiscono i dintorni di Borniga. Non poteva esserci nome migliore per un luogo così, dove pare davvero di volare sulle ali di un corvo e di potersi aggrappare alle rocce come fanno le aquile prima di riprendere quota.

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E poi si giunge a destinazione, ce lo dice una torretta di pietre decorata con le bandierine che svolazzano al vento e spargono le loro preghiere di benedizione, come da tradizione.

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Qui, topi, sembra per un attimo di essere davvero dall’altra parte del mondo, ma ancora una volta siamo sempre qui, nella mia Valle, un piccolo Universo che racchiude mondi interi, un lembo di terra che dal mare arriva alle Alpi, capace di raccontare storie provenienti da ogni dove.

falesie valle argentina

E con questo, vi saluto.

Un bacio dal sapore d’infinito per voi da Borniga!

Poco più in là: Viozene

AndiamoSONY DSC a Viozene oggi topini. In terra brigasca e, in terra brigasca, è chiamato Viusena, con la S che sibila come una Z leggera. Andiamo ai confini della mia Valle.

Viozene, il paese delle casette che sono baite, lavorate con il legno. Par di essere nel Tirolo. SONY DSCCon le ante delle finestrelle e le ringhiere dei balconi che fanno a gara per sentirsi dire chi è la più bella! Vere lavorazioni impegnative, vere opere d’arte.

Viozene, nel Comune di Ormea, nell’Alta Valle Tanaro, esattamente tra le provincie di Cuneo e di Imperia. Un borgo cullato e protetto dalle Alpi Marittime, tra le quali, spicca sopra di tutte, il Monte Mongioie alto ben 2.630 mt e situato ad Est della Punta del Marguareis. Un imponente dente di pietra che sovrasta l’intero villaggio e regna protagonista.SONY DSC E’ in terre come: Viozene, come Upega, come Carnino, che si parla quel dialetto occitano, particolare, di cui spesso vi ho raccontato. Quella lingua mista di francese che sta andando via via perdendosi. La lingua d’òc, la lingua provenzale, la lingua minoritaria dell’Italia Nord-Occidentale. E Viozene ne è uno degli scrigni più grandi e fervidi.

A 1240 mt circa, sul livello del mare, offre un’aria e uSONY DSCn’acqua superate da poche in fatto di purezza; fredde, limpide, pungenti. E’ la meta preferita delle persone anziane che vogliono stare al fresco in estate, e dei bambini che devono rinforzare i loro bronchi e respirareSONY DSC la buona aria di neve per combattere bronchiti e pertossi in inverno.

E perchè no, è la meta della pace e della quiete per le giovani coppie che vogliono tranquillità e, allo stesso tempo, conoscere e scoprire una natura mozzafiato; particolare, tipica di questo entroterra, a volte aspra, acerba, egoista, a volte più generosa.

E’ qui che si possono svolgere mille attività, dall’alpinismo alla mountain bike, dal rafting al trekking.

E’ la terra delle Madonnine a bordo strada, dentro a cappelle create a mano dai pellegrini fedeli. E’ una terra tipicamente simile alla mia.

Ad arricchirne i confini, vere a proprie meraviglie al di là dei sentieri che portano al Mongioie. Il Canyon chiamato “Passo delle Fascette”, di cui già vi avevo parlato, e tutte le falesie che lo circondano. Il Parco Naturale dell’Alta Valle Pesio e Tanaro, nel quale gongola. I suoi ricchi patrimoni: faunistico SONY DSC– rappresentato da cervi, camosci, caprioli, aquile, galli forcelli ad esempio, e quello floreale – interpretato da abeti bianchi, larici, faggi, borsa del pastore, una bellissima erba di campo.

Sono pochi i suoi abitantiSONY DSC residenti, appena 43. Lui si popola solo in determinati periodi dell’anno, divenendo, come dicevo prima, un vero e proprio rifugio per molti.

Ed è la terra del muschio, delle mele e dei monti che, all’imbrunire, si stagliano contro il cielo color degli abissi. E’ un paese fresco dove ti può capitare di sentire cori che intonano vecchie canzoni o partecipare a “I racconti intorno al fuoco“, dove giovani signorine narrano, spesso accompagnate da un soaveSONY DSC strumento musicale, fiabe che raccontano di quei posti magici e misteriosi della terra brigasca, adatte a grandi e piccini.

E’ il paese dei cortili recitanti davanti a casa, giardini morbidi di prato, i ciottoli per terra, il piccolo campo da petanque che mai può mancare e l’edera che si arrampica indisturbata sulle pareti esterne delle dimore. Il paese delle tegole rosse, degli insetti che svolazzano indisturbati, delle ciappe e dei sentieri. E del bosco. Il magnifico bosco tutt’intorno che finisce all’improvviso. E dei piccoli SONY DSCfiorellini gialli di genepy, dalle foglie verde chiaro, verde velluto.

Il genepy è un tipico liquore che viene fatto in questa terra e prende il nome dalla pianta dalla quale si ricava e che riesce a nascere anche in zone davvero impervie, dal sapore buonissimo e inconfondibile, attraverso il quale, si può percepire tutto il gusto dell’alta montagna.

Qui regnano felici e sazi e anche indisturbati mucche, capre, pecore, cervi e addirittura scoiattoli. E’ un piacere passeggiare per il paese e fare il loro incontro. Sono così carini! E così coraggiosi. Si avvicinano impavidi. E’ giusto.SONY DSC Ogni animale dovrebbe essere sereno nell’avvicinarsi all’uomo e, qui, accade. Spesso, al giungere della sera, è facile imbattersi nella nebbia, in quella ovattata atmosfera che cala piano, nonostante ci sia stata una tersa giornata di sole. Siamo davvero alti e le nubi è come se scendessero per dar la buonanotteSONY DSC alle montagne con un bacio poi… vanno di nuovo via e mostrano un cielo nero dai mille puntini dorati, luccicanti e brillanti. Un cielo splendido come raramente ne ho visto. Nessun tipo di inquinamento luminoso, più nessuna foschia, solo stelle, tante stelle, una miriade di stelleSONY DSC.

Le casette in pietra tornano ad essere limpide, visibili, illuminate da fiochi lampioni giallognoli intorno ai quali svolazzano grandissime falene. Loro hanno una lingua arricciata e lunghissima. Non intendono allontanarsi dalla luce ma nemmeno dal succoso nettare dei lilium. Che buffe! Non stanno ferme un solo secondo. Riuscire a fotografarle è un’ardua impresa davvero. Tramano frenetiche. Stanno sospese in aria come dei colibrì. Per stare qui a guardarle mi devo mettere il golfino.

Alla sera, anche in pieno agosto, non si può stare solo in maniche corte e le vecchineSONY DSC si mettono lo scialle sulle spalle oltre al golf pesante di cotone. Le vecchine che cuciono tutte insieme nel giardinoSONY DSC di una di loro.

 

 

 

I cani sono tutti liberi. ognuno ha un padrone e, alla sera, se ne tornano nella loro cuccia ma di giorno è bello gironzolare e nessuno può impedirglielo. Si conoscono e sono tutti amici.

Il problema giunge quando andate voi, con il vostro cane, legato educatamente al guinzaglio e tutti gli si avventano contro… poco ospitali devo dire. Oh mamma!

Le persone invece sono simpatiche e alla buona. Si trovano senzaSONY DSC difficoltà gentilezza e cordialità e tanta voglia di divertirsi. Si organizzano anche lotterie e mercatini pur di giungere allo spasso. E il paese è in festa!

Per non parlare dell’ottimo cibo! La cucina casalinga è di casa ed è un vero piacere per i nostri palati: sardenaira, coniglio alla ligure, frittata di erbette, fiori ripieni, insomma, da leccarsi i baffi. Dovreste provare. SONY DSCAllora topi, che ne dite? Vi è piaciuto questo posto? Bene, ne sono contenta. E’ meraviglioso, potete credermi. E’ l’ideale per un soggiorno in cui si vuole solamente ritemprarsi un po’ e non si chiede nulla di meglio, nulla di più.

Io vi mando un bacione per ora ma vi aspetto per la prossima mini-vacanza! Un grande squit a tutti voi!

M.

Upega – cugina di I° grado

I ricordi che ho sigillato qui, dietro la porta dell’albergo Edelweiss sono tantissimi.

La festa in maschera, il passaggio del motociclista, la fontana e il lavatoio, i colpi alla pentolaccia, i gerridi e i girini, i racconti dell’orrore. Provo a guardare attraverso la finestra come a ritrovarli palpabili, concreti.

Edelweiss – Stella Alpina. Stella raggomitolata nel suo caldo burberry dalle tinte chiare. Stella di Upega. Dove, in inverno, la neve permette a tutti di riposare trasformando il paesino in un presepe.

Io invece, vivevo questo paese in estate, con gli amici, la topo zia, il pallone e il gioco del nascondino.

Mica si può andare sempre nei soliti posti. Cambiamo un po’. Andiamo a Upega.

Non c’è nulla a Upega; come potete pensare che una bambina possa divertirsi a Upega? Oltre la Gola, dopo Viozene, par non esserci più niente. Solo gli speleologi si sono avventurati e hanno scoperto Upega. Non appare nemmeno sulle vecchie cartine.

Vedi Pigmy, quei monti, davanti a te… lì è passato nonno, a piedi sai? -.

E quella mano tremante disegnava l’immaginabile profilo stagliato nel cielo tra le aspre falesie. Lì era passato suo fratello. Un pò di storia, di sentimento e poi via, a giocare, a rincorrere i cavalli selvatici.

Una bambina deve divertirsi a Upega. Può farlo, perchè in fondo c’è tutto quello che serve a Upega.

Upega, 1.300 metri sul livello del mare.

Upega, U con due punti sulla u. Pegau – Posizionato in alto. Questo il significato del suo nome. Oppure – Opaco -, dove non ci picchia il sole, chi può dirlo. Sono significati così anichi.

Upega, in provincia di Cuneo. Upega, terra brigasca. Ecco perchè cugina prima. La terra dei Brigaschi dove, anche la mia Valle, la Valle Argentina risiede, in su, verso la Francia, verso il Piemonte. La terra dei Brigaschi, la terra dell’Occitano, del Nizzardo, del Ligure, del Piemontese, insieme, a formare un’insolita tribù.

Con le sue tradizioni, il suo folklore, la sua cultura. Quel dialetto intemelio, particolarissimo.

Upega, pays brigasque, da poco riconosciuto come tale e d’inverno isolato dal mondo, con il suo Bosco Nero di Larici e Abeti e la sua Gola delle Fascette a preannunciarlo.

Con la – Sorgente della Salute -, della lunga vita, che sfocia da un tronco d’albero, fredda come i tre metri di neve che vengono a nascondersi dietro questi monti e danno il nome alla piccola Chiesa.

Upega, il Santuario della Madonna della Neve e i pascoli in fiore. Upega raccontata dalla rivista Ní d’áigura (Il nido dell’aquila). Rivista brigasca.

Upega, appoggiata nell’Alta Val Tanaro, ai piedi del massiccio del Marguareis, con le sue orchidee selvatiche e il profumo di Raschera che esce dalle baite montane. E le mucche e le pecore erano un’attrazione per noi bambini. E si giocava a fare i pastori credendo che obbidivano proprio a noi. E si portavano al di fuori del Bosco delle Navette, incuranti dei pericoli, della distanza da casa, delle voci che chiamavano, dell’abbaiar dei cani.

Arroccato alle pendici della lunga cresta del Ferà, godendo di tutti i piaceri della montagna, questo paese, appartenente al Comune di Briga Alta, è a soli 20 km dal mare e la strada che dall’Aurelia ci porta a lui è spettacolare; verde e tortuosa, panoramica e stupefacente.

E l’incontro dei suoi tre torrenti: il Negrone, il Corvo e il Znìge, che con le loro felci e le loro ninfee sono un palcoscenico da fiaba.

Upega, con il suo forno comune, il suo mulino comune, la sua grande Chiesa, la Chiesa di Sant’Anna, che risale presumibilmente alla seconda metà del XVIII secolo. Tutta in pietra e con un piccolo piazzale davanti a sè, essa ha sostituito una più antica cappella, ubicata dietro l’edificio del forno e adibita un tempo a cimitero, in comune anch’esso. Questo prima che venisse distrutta alla fine dell’ Ottocento.

Upega, oggi meta turistica, passaggio nascosto di Alpini e Partigiani, dai balconi di legno e dalle case caratteristiche in pietra con fienili sovrastanti l’abitato.

Case con i tetti in ciappe e uniti tra loro in un lungo susseguirsi come in una processione a coprire 25 abitanti che, un tempo, erano più di 400.

E oggi vi ho fatto conoscere Upega topi, nostra parente, parente stretta. Paesaggio tipico di un’antica terra. E, nella speranza di avervi reso la lettura interessante, vi aspetto per la prossima passeggiata.

Ora mi rilasso, chiudo gli occhi e immagino, ricordo, la vita all’interno dell’albergo Edelweiss. Del suo simpatico proprietario con le sopracciglia un po’ all’insù e sua moglie, ben pasciuta, che cucinava divinamente.

Un albergo avvolto dal verde ora. Un albergo che oggi, non esiste più.

M.

Il Bosco delle Navette

… dei fiori, degli Abeti e dei Cavalli. Questo è il Bosco delle Navette. Un bosco che quasi confina con la mia Valle, in terra brigasca; è il bosco di Upega.

Upega è un paese che fa parte del Comune di Briga Alta ed è situata nella Val Tanaro. Siamo sul confine tra la provincia d’Imperia e quella di Cuneo. Potrei dire di fianco a me per un certo senso.

Questo bosco, si trova esattamente appena sopra Upega e si estende per 2.770 ettari.

Lo si può definire uno tra i più spettacolari e interessanti boschi delle Alpi Marittime.

Si chiama così perchè un tempo, con il legno dei suoi alberi, Larici e Abeti bianchi secolari, si costruivano le imbarcazioni tipiche liguri per la Repubblica di Genova, oggi, gli stessi alberi, sono tana di animali stupendi come Camosci, Lupi, Marmotte, Caprioli e Forcelli.

Siamo nell’Alta Valle Tanaro e, nel cuore e nei confini di questo bosco meraviglioso, si snodano due itinerari che offrono spettacolari vedute di una natura incontaminata e padrona.

Essi sono la Colletta delle Salse che regala piacevoli scorci e il pregio di vivere ambienti creati da un ecosistema di rara bellezza e il Colle delle Selle Vecchie che permette di godere di panorami particolari e suggestivi per chi ha gambe e volontà allenate.

Considerati i tratti esposti in prossimità di Cima del Ferà e i punti tra Selle Vecchie e Case Nivorina, il cui sentiero è ridotto a tracce non chiare, si consiglia la percorrenza ad escursionisti esperti e competenti della zona. Quindi è bene ch’io me ne stia buona buona dove sono e vi mostri il bosco dai lati che son riuscita a vedere.

Come ad esempio l’area pic-nic, attrezzata, del Giarretto presso il ponte della provinciale sull’omonimo torrente ricco di fiori colorati di un fucsia acceso e spighe dorate.

Un torrente che, scendendo, accarezza ninfee e felci.

Ma per fortuna non sono tutti come me e, questo bosco, è visitato tutti i giorni da alpinisti e amanti della mountain bike oltre che da chi ama camminare.

Siamo ai piedi di Cima Bertrand, un monte alto 2.481 metri.

Dall’area pic-nic parte una pista forestale che s’inoltra salendo nel Bosco delle Navette e raggiunge la rotabile ex-militare Monesi-Limone. Ma questo non è l’unico sentiero, varie mulattiere, stradine e tagliafiamme ci portano ognuna in un luogo incantato ed è facile poter fare piacevoli incontri. Mucche, Pecore e Cavalli vengono spesso a pascolare e a correre felici.

Per arrivare qui, abbiamo preso la Provinciale 6 e sorpassato prima Viozene e poi Upega. Abbiamo attraversato la piazzetta dei camper e la Sorgente della Salute dove l’acqua, freddissima, passa dentro a tronchi cavi.

Intorno a noi, alte falesie e un vero Canyon, ci facevano sentire piccolini come non mai. Quelle rocce austere, quegli alberi, quel silenzio. Rocce che sembrano volerci chiudere in una morsa mentre ci passiamo sotto e le guardiamo dal basso verso l’alto.

E immagino correre i Lupi, i nostri soldati a scavalcare quelle montagne come fossero semplici vie.

Quante grotte s’intravedono da qui. Rifugi da primo soccorso.

Il Bosco delle Navette, sorge qui, a 1.580 metri circa sul livello del mare. Dopo questi aspri monti, quasi ad addolcire un pò il territorio. E’ un Parco Naturale dal grande fascino e dalla lunga vita ricca di storia ed avventure. Basta pensare che accanto a lui passa una delle più famose Vie del Sale.

All’inizio del bosco la piccola chiesetta della Madonna della Neve ci accoglie. Immersa nel verde, da’ le spalle alle alte conifere e ai cespugli di Rododendri che circondano questo paesaggio incantato. Vicino a lei, un rifugio di pastori vende latte e formaggio prodotto dalle loro Pecore e, a far da guardia, due splendidi Maremmani che si mimetizzano tra i velli degli ovini. Vere Pecore brigasche, ricce, pelose, bianche come la neve.

Qui si sogna. Qui vi ho voluto portare perchè possiate rimanere affascinati.

Qui potete ascoltare ad occhi chiusi, la voce del bosco, il suo accogliervi e il suo salutarvi. Una voce che echeggia rimbalzando tra Cima Missun, Cima Bertrand e Colla Rossa. Una voce che chiede rispetto ma sa darne altrettanto. Un parlare interrotto solo, di tanto in tanto, da un ululare, un frinire, un bubbolare, un belare e uno scalpiccio di zoccoli che trottano felici.

Un abbraccio.

M.