Quando ero piccola, andavo in colonia a Molini di Triora. Suor Cherubina ci portava sempre al Laghetto dei Noci, un magnifico posticino formato da un grande prato, il torrente che scorre vicino a formare delle polle d’acqua e il ponticello in legno.
C’erano, e ci sono ancora, degli scivoli e delle altalene, ma noi topini non dovevamo solo giocare, bisognava anche lavorare. I maschietti, intagliavano i rami e i bastoni e li rassomigliavano alle vipere, e noi topine dovevamo ricamare. Punto erba, punto croce, mezzopunto… e via con quell’ago che andava freneticamente su e giù come un delfino che entra ed esce dall’acqua del mare.
Per farci passare il tempo e per non farci chiacchierare troppo, la suora ci faceva cantare. Cantavamo tante canzoni, ma una, più delle altre, mi rimase impressa così tanto che me la ricordo ancora adesso. Mi piaceva. E’ una canzoncina davvero simpatica, ma, viste le parole, non potevamo fare a meno di farci le facce brutte l’una con l’altra, fingendo di essere dei mostruosi fantasmi. Già, già… leggete!
“Era una notte d’acqua a catinelle, andavo in giro senza le bretelle
quando poi giunsi in un cimitero, com’era nero! Com’era nero!
E passeggiando di tomba in tomba, vidi una bionda, mamma mia che bionda!
Era il fantasma della zia Gioconda, che ripuliva la sua tomba nera e fonda.
I vermicelli freschi di giornata, la rosicchiavan come l’insalata
e gatto Piero, re del cimitero, com’era nero! Com’era nero!
E passeggiando di tomba in tomba, vidi una bionda, mamma mia che bionda!
Era il fantasma della zia Gioconda…..”
Bella vero? E dopo averla cantata in questo modo normale la cantavamo di nuovo usando solo una vocale alla volta: prima tutta con la A, poi con la E, la I e così via. Ad esempio:
“Ara ana natta d’acca a catanalla, andava an giara sanza la bratalla
canda pa giansa an a ciamatara, cam’ara nara! Cam’ara nara!”
E poi ovviamente, per il piacere del mio amico Pani, in ultimo, la facevamo tutta con la… U! Bellissima.
Provate anche voi, vi divertirete!
Un buciunu u tuttu!
M.