Il Dio Marte abbraccia la Valle Argentina

Col tempo, cercando di conoscere sempre di più la mia bella Valle e i suoi segreti, ho scoperto qualcosa di molto interessante riguardo (secondo me) un Dio della tradizione romana noto a chiunque: il Dio Marte.

Come tutti saprete, si tratta del Dio della guerra, della battaglia, ma anche della tempesta.

Detta così sembra di parlare di un Dio violento e bellicoso, beh… sì, Marte non era certo serafico, ma Priapo insegnò lui l’arte della guerra rendendolo un vero guerriero e rendendolo in grado di rappresentare la lotta per la vittoria, la gloria e la forza della natura tutta, della vita, del movimento. Di quel potere perpetuo che crea e si manifesta.

Molte volte vi ho raccontato di come sia significativo, nelle zone che vivo, questo movimento vitale e, sempre di più, mi sono imbattuta proprio in questo Dio.

Ci tengo a sottolineare che sono soltanto mie supposizioni, non sono uno storico lo sapete, ma quello che ho scoperto serba in sé qualcosa di davvero interessante e penso di non essere poi così lontana dalla realtà…

Realtà… che poi, il termine “realtà”, come sinonimo di “verità”, lascia sempre un po’ di punti interrogativi. Bellissimi punti interrogativi che portano alla scoperta e alla voglia di conoscere, non trovate?

Ma veniamo a noi.

Ad Ovest della Valle Argentina, quindi siamo sui confini che abbracciano il mio mondo, una splendida zona dalla storia assai antica si chiama – zona di Marta – (Marta/Marte).

Perché si chiama così? Alcuni affermano che sia per via dello spettro di una pastorella di nome Marta, caduta in un precipizio, che ancora si aggira di notte per gli infiniti pascoli.

Altri dicono, senza dilungarsi troppo, che sia proprio per onorare il Dio Marte, tenendo conto che quella zona è stata da sempre palcoscenico di guerre e battaglie anche in tempi molto antichi, altri ancora sono sicuri che il nome Marta derivi dal termine scientifico con il quale vengono chiamati due animali molto presenti in questi luoghi; si tratta di due mustelidi molto astuti, veloci e avidi: la Martora e la Faina, rispettivamente “Martes martes” e “Martes foina”.

Io li trovo simpatici entrambi ma non hanno una bella nomina. Vengono ritenuti subdoli, bellicosi, scaltri, violenti e, nell’antica arte degli animali di potere, vengono proprio correlati al Dio Marte come suggerisce il loro nome.

Come ho detto sono molto presenti nella mia Valle e nei dintorni. Sono anche molto simili tra di loro. Serve una vista molto acuta per identificarli. La Martora presenta una macchia chiara dal colore giallognolo nel sottogola, mentre la Faina, la stessa macchia, ce l’ha più bianca e più estesa. E poi hanno una lieve differenza nella forma delle orecchie e nella tonalità del naso ma sembrano davvero lo stesso animale.

Andiamo avanti.

Oltre alla Fauna, serve osservare anche la Flora.

Durante il periodo estivo, infatti, proprio in queste zone, nasce un fiore particolare e bellissimo. Si tratta del Giglio Martagone (Lilium Martagon) uno dei Gigli selvatici più belli.

Si innalza sopra la vegetazione nel suo splendido color viola maculato e i suoi petali, girati all’insù, lo rendono elegante e virtuoso.

La nascita di un fiore rappresenta sempre il risveglio della vita, il rinnovo, il movimento della natura, l’energia vitale, proprio come il Dio protagonista di questo articolo ma, in tali termini, l’argomento può apparire senz’altro abbastanza generico. Ebbene, lasciatemi allora scendere in profondità. Sono una Topina e sapete che amo i cunicoli, anche metaforici.

Non avete notato nulla nel nome Martagone? Marta – gone. Esatto! Di nuovo Marte! E dovete sapere che, questo fiore, che vi ricordo essere una specie protetta, era davvero sacro a Marte perché simboleggiava la fatica di una battaglia e di un eroe. Per gli antichi soldati era considerato un vero e proprio amuleto di protezione e gloria e ne portavano sempre una piccola parte con sé o lo disegnavano come stemma. Pare che anche in Francia e altre parti d’Europa, il Giglio, assunse un valore militare.

Nel linguaggio dei fiori, il Giglio (a parte il Giglio bianco che simboleggia la purezza, l’innocenza, l’alba e l’amore) è emblema di fierezza, visto il suo lungo e ritto stelo a rappresentare la posizione di un soldato sull'”attenti”. Ma è emblema anche di nobiltà, fedeltà e procreazione. Tutte virtù degne di un vero guerriero e parecchio associate con le espressioni della Sorgente creatrice di tutta la natura.

La zona di Marta è una zona che supera i 2000 mt di altitudine.

Qui l’aria è salubre e il paesaggio incontaminato.

E’ un angolo di mondo meraviglioso che presenta, a tratti, balsamici boschi di conifere, pascoli infiniti e dolci pendii ma è anche una delle zone più impervie e più difficili da vivere soprattutto durante il periodo invernale.

Le falesie che la circondano sono severe, le temperature rigide, il territorio diventa aspro e pungente pur mantenendo il suo fascino.

Sarò ripetitiva ma anche tutto questo mi ricorda un po’ Marte.

Le piante e gli animali che vivono qui sono esseri coraggiosi, forti, resistenti e queste loro virtù non posso che associarle proprio a Marte e a quelle di Madre Natura che, molto spesso, ci insegna come anche attraverso le difficoltà si possa vivere e trovare la forza di andare avanti…

…in un fiore che sboccia nel cemento o nell’aridità di una pietra.

In una pianta che trionfa nonostante il gelo, in una creatura che corre dove pare impossibile muoversi.

Tante sono le indicazioni che riportano a vari Dei e a vari culti nella mia Valle.

Pizzo Penna, Rocca delle Penne… pare derivino dal Dio Penn, divinità venerata proprio dagli antichi liguri. Colle Belenda e, più in là, il Monte Abelio, ricordano il Dio Belenos (luminoso) come vi avevo spiegato qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2018/05/04/belenda-belenos-belin/ e allora, forse, anche il Dio Marte è stato in qualche modo considerato.

Gli indizi combaciano tutti e, che le mie teorie siano vere o false, devo ammettere che ho trovato davvero affascinante e divertente fantasticare su questi toponimi….… TOPO-nimi… eh…! Lo vedete che tutto è collegato?

Io vi mando un bacio mitologico e vi aspetto per il prossimo viaggio assieme. Chissà se il prossimo sarà reale o di nuovo fantastico…

Belenda, Belenos, Belin!

Il post di oggi è luminoso, anzi, luminosissimo!

Il titolo è tutto un programma, sembra una formula magica, vero? Be’, in un certo senso è di magia che tratterà, ma la smetto di tenervi sulle spine e inizio a raccontarvi.

Recentemente ho iniziato a interessarmi ai toponimi della mia zona – e no, nel caso in cui ve lo steste chiedendo, questa volta i topi non c’entrano niente! – e ho scoperto delle cose davvero interessanti che voglio condividere con voi.

Vi siete mai chiesti, cari miei amici liguri, da dove provenga l’imprecazione da noi più utilizzata? Ve lo spiego subito, belin! Prima, però, mi tocca fare una premessa importante.

colle belenda

Sul confine tra le valli Nervia e Argentina c’è un colle che si chiama Belenda, di cui vi ho già parlato nel post “Da Loreto a Colle Belenda tra castagni e betulle”. Lo stesso nome, però, appartiene anche a un’altra altura, situata tra le valli Nervia e Roia. Questi luoghi erano frequentati fin da tempi remoti dagli Antichi Liguri, quelli che subirono, pare, le influenze dei Celti. Non è un caso che la radice “Bel-” si ritrovi in vari luoghi delle nostre zone (il monte Abellio nell’intemelio, per esempio).

I Celti veneravano una divinità maschile che fu assimilata dai nostri antenati Liguri, il dio Belenos (o Belanu), che può essere tradotto come “il brillante”. Si tratta di una divinità legata alla luce e, di conseguenza, al sole. Tuttavia, Belenos il Brillante non era solo questo. Era collegato a tutto ciò che aveva bisogno di luce per prosperare, per cui era la divinità dell’agricoltura e dell’allevamento, presiedeva le stagioni e “illuminava” l’intelletto degli uomini per guidarlo a nuove invenzioni e innovazioni. Belenos aveva una consorte, i cui nomi sono molti, ma il significato è uno solo: “la più brillante”. Belisana, Belisma, Belenda… comunque la si voglia chiamare, a lei erano sacri il fuoco e la scintilla della creazione.

Che coppia… divina, non trovate?

Ebbene, non è certo un caso che molti siano ancora oggi i riferimenti a queste due figure, che influenzarono la vita dei liguri così tanto che l’eco di quel culto si sente ancora oggi. Come? Nell’intercalare tanto usato e tanto amato da tutti, dai monti al mare, da ovest a est: belin!

Oggi ha assunto il significato di un’imprecazione, che assimila questa parola all’organo riproduttivo maschile. Ma cosa c’entra quest’ultimo con Belenos? Ebbene, un tempo l’uomo primitivo aveva una concezione della vita ben diversa dalla nostra. Sapeva che il maschile e il femminile si univano per dare origine a una nuova vita e riproducevano questo anche in natura. Per ottenere un buon raccolto, dunque, ecco che conficcavano simbolicamente nel ventre della Madre Terra una pietrafitta o un bastone, assimilandolo al fallo maschile. Molte sono le simbologie legate al culto della fertilità della Terra, non starò qui a spiegarvele tutte, ma il nostro beneamato belin sembra derivare proprio dalla divinità luminosa tanto cara ai nostri antenati. È come se, nelle nostre frasi, nei nostri proverbi e nel nostro quotidiano richiamassimo ancora a noi l’energia di Belenos e di sua moglie, a ricordarci che la Luce è Vita.

Belin, s’è fatto tardi! Non mi resta, dunque, che mandarvi un brillante e luminoso saluto.

Vostra Pigmy