La vita di Rio Infernetto

Al di sopra delle porte dell’antico Monte Gerbonte (1727 mt) tra le falesie di una delle zone più impervie dell’Alta Valle Argentina, nasce un Rio al quale sono molto affezionata in quanto attraversa luoghi splendidi del mio mondo e seguirlo è sempre una meraviglia.

Nasce tra rocce severe, accarezzando scogli grigi, ma il suo percorso offre poi scenari davvero particolari che ogni volta mi incantano.

Sono diversi tra loro, a volte dolci e morbidi, a volte rudi e spogli ed è difficile far ritorno alla propria tana quando si è nei pressi delle sue acque che rapiscono l’animo.

Si tratta di Rio Infernetto che taglia il sentiero dei Parvaglioni (e cioè dei Larici Monumentali della Foresta del Gerbonte) dando vita ad una natura florida e spettacolare.

Ma ci sono punti in cui attraversa rocce aguzze e sporgenti, austere e taglienti.

Le attraversa placido, con le sue acque linde, per poi tuffarsi in cascatelle impetuose come a dare maggior vita a se stesso e al Creato che lo circonda.

Lo si può infatti incontrare calmo, a formare pozze, oppure vivace, mentre allegramente scavalca grandi massi, sorpassa ponti, si infila in canali di pietra e bagna rive.

Rio Infernetto è tutto questo e anche di più.

Splendido, in qualsiasi stagione dell’anno.

Il punto che preferisco è il suo arrivo dove forma una piccola laguna che in estate è abitata dai Gerridi (i Ragni d’acqua) e le Libellule.

Una laguna cangiante, dalla bellezza che lascia senza fiato sia in estate che in inverno.

Qui l’acqua è così trasparente che si può vedere il fondale e diverse piante scendono a cascata a far da cornice.

Le rocce le danno una forma circolare ed è come essere in un piccolo paradiso.

Il silenzio avvolge, rotto soltanto dal canto di qualche uccellino cordiale.

Trovo molto divertente il modo di fare di questo rio.

In alcuni tratti luccica al sole come a volersi far ammirare in tutto il suo splendore, altre volte invece appare cupo, sembra voler nascondere qualche misterioso segreto che solo chi lo ama profondamente può scoprire.

Sa nutrire ma anche proteggere.

Grazie a lui, molta natura viene alimentata e sono tante le esistenze che prendono vita grazie al suo scorrere perpetuo.

Fiori di ogni tipo spuntano per primi già nei mesi ancora freddi per lasciare poi il posto a quelli più grandi e colorati dell’estate.

Un ciclo che si ripete manifestando la bellezza della Natura.

Enormi foglie sembrano ninfee e molte creature del bosco si abbeverano mentre lui scende a Valle sereno.

Le rane depongono le loro uova nei suoi piccoli laghetti. A loro basta un palmo di acqua e, in certi punti, Rio Infernetto è proprio la tana ideale per anfibi e rettili acquatici.

Anche il Gambero di fiume adora questo piccolo torrente perché offre nascondigli adatti alla vita che conduce questo raro crostaceo d’acqua dolce. Raro perché, purtroppo, non ce n’è più una quantità come un tempo ma qui, gli esemplari rimasti, riescono ad ottenere il loro habitat ideale per vivere e riprodursi.

Amano infatti nascondersi e avere angolini bui dove stare tranquilli e adorano anche una certa vegetazione.

A proposito di questo il Rio Infernetto cambia persino colore sapete?

Il muschio e le alghe gli conferiscono sfumature uniche.

Ci sono zone in cui la sua acqua sembra azzurra come il cielo e nei suoi abissi diventa blu cobalto… ma in altri punti invece è verde come gli smeraldi.

Le rocce si specchiano in lui grazie alla sua limpidezza.

Nascendo tra le alte vette che circondano Borniga, osservando i Bastioni rocciosi del Monte Gerbonte, non può certo inquinarsi.

Lì tutto è arido, pulito, roccia pura, ricca di minerali.

Luoghi in cui un tempo vivevano uomini primitivi in profonde grotte e, oggi, queste montagne, sono vissute solo dagli animali più agili e selvatici.

Dove passa Rio Infernetto tutto è selvatico.

E’ sicuramente una delle parti più selvagge della Valle. L’Alta Valle Argentina. Ed è di una bellezza mozzafiato.

Questo rio incontra il Torrente Argentina poco prima del paese di Creppo.

Al di sopra di alcune delle sue incredibili forre si può vedere gran parte della vallata manifestarsi a Sud, verso Loreto, e il panorama è incredibile.

Dona libertà, senso dell’infinito. Permette di vedere le mie amate montagne.

Sono sempre felice quando giungo nei pressi di questo torrentello.

E’ la vita che si mostra e illumina il mondo.

Fa questo effetto anche a voi vero?

Ma ora vi mando un bacio Topi!

Ci vediamo alla prossima meraviglia della Valle! A presto!

Case Carmeli: un nido in Valle Argentina

Si ritorna a viaggiare per la mia splendida Valle e a scoprire luoghi magici dal profumo antico che affascina e lascia di stucco. Come ad essere in un’altra dimensione.

Sono incantata e non vedo l’ora di condividere con voi questa gioia. Non accadeva da tanto tempo, visto il mio lungo letargo… abbiate pazienza… però, ora, seguitemi perché un posto fiabesco vi attende per mostrarsi in tutta la sua umile ma attraente bellezza.

Un posto che non vi concederà di venir via tanto facilmente, vi terrà nel suo morbido abbraccio silenzioso e ricco di meraviglia.

Sotto la più nota Realdo, borgo caratteristico e assai suggestivo dell’Alta Valle Argentina, affacciato a strapiombo sulle falesie che incorniciano Rio Sant’Antonio, c’è una piccola frazione che non ha nulla da invidiare alle altre.

E’ circondata dalla pace e da Castagni secolari, da orti ben curati e al di sotto di lei scorrono le limpide acque del Torrente Argentina che ne ravviva l’anima.

Sono a Case Carmeli Topi! E oggi vi porto con me in un tour mozzafiato!

A circa 1.000 mt s.l.m., in un angolo appartato della mia Valle, sboccia un gruppetto di case prevalentemente in pietra, un tempo nido di parecchie persone che si dedicavano soprattutto alla raccolta delle castagne da vendere verso la costa.

Terrazze pianeggianti e pulite, abitate da grandi Castagni, circondano questo minuscolo paesino e accoglievano molti anni fa i mulini dove quei frutti venivano lavorati e trasformati in farina.

C’è persino un campo da bocce sotto l’ombra di questi alberi. Un campo da bocce come se ne vedono molti nei dintorni dei borghi della mia Valle.

Sgattaiolo sopra a quelle foglie che adesso, durante la fredda stagione, dopo essere cadute in autunno, scrocchiano sotto le mie zampe. Un terreno ben diverso da quello che poi troverò tra le dimore, realizzato in ciappe di ardesia come i tetti antichi che qui ancora sorgono.

Tra i terrazzamenti spunta un’edicola bianca dedicata alla Madonna che, negli anni, ha ricevuto diversi restauri. Il culto mariano, nella mia Valle, è sempre presente e mai viene dimenticato.

Man mano che mi avvicino al mucchietto di case sono ora gli orti con la terra arata e soffice ad accogliermi. Orti piccoli ma numerosi e importanti.

Sembrano sistemati da poco e, non so perchè, mi mettono allegria.

Queste piccole distese scure fanno capire che esiste, tutt’oggi, una quotidianità.

Ebbene, che ci crediate o no, da circa tre anni, a Case Carmeli vivono un’arzilla coppietta e un signore che hanno deciso di ripopolare questo luogo anche se, umilmente, raccontano di essere una quantità assai scarsa. Io invece ne sono felicissima e quel numero, considerato “povero” da loro, mi sembra già una ricchezza!

Fino a qualche anno fa, infatti, Carmeli era completamente disabitato. Le persone utilizzavano le loro seconde case solo in estate. E lo fanno ancora ma, oggi, qualcuno ci vive tutto l’anno e ha persino disposto delle – Case Vacanze – per accogliere eventuali ospiti.

Ora, come vi ho preannunciato prima, cammino su questa pavimentazione storica realizzata dalla mano di uomini che costruivano ogni cosa.

Se alzo il muso verso l’alto posso vedere case splendide, ancora ben curate. Verande, balconi e travi riempiono i miei occhi. E non mancano i messaggi di “Benvenuto” vicino alle porte d’ingresso. Qui, sono tutti cordiali.

Arrivati a Case Carmeli ad accogliervi saranno i padroni del paese e cioè gattini dall’espressione furba che lì vivono felici e liberi formando una simpaticissima gang. Sono abbastanza socievoli ma anche guardinghi e io, che sono un Topo, devo dire che apprezzo il loro osservarmi da lontano e avvicinarsi con estrema cautela.

A dire il vero, arrivando dalla stradina principale, comoda e asfaltata, la prima cosa che vedrete sarà una fontana in pietra, con una tettoia in legno.

Si tratta di una fontana dedicata a Edoardo Alberti, un anziano muratore della Valle Argentina, nato a Realdo e considerato una memoria storica.

Poi ecco lo svolgersi del borgo. Il sole lo bacia ovunque.

Illumina anche gli attrezzi per coltivare, le ringhiere che proteggono, le canne e i bastoni che servono nelle campagne.

Gli arnesi sono appoggiati ai muri. Alcuni sono arrugginiti mentre altri sembrano essere stati sempre usati. C’è davvero di tutto: seghe, rastrelli, imbuti, mestoli, vanghe, carriole…

Solo alcuni carruggi restano in ombra. Sono carruggi brevi, fatti di scale e antri.

Diverse porte in legno conducono a delle cantine.

Al posto della ringhiera, una grossa corda è utilizzata come scorrimano. Per non cadere. I gradini sono ripidi in effetti.

Troviamo ancora qualcosa dedicato alla Vergine Maria accompagnato da una frase assai conosciuta nel mio mondo: “Oh passegger che passi in questa via volgi lo sguardo a salutar Maria”.

A volte si legge anche: “Oh pellegrin che passi da ‘sta via, non ti scordar di salutar Maria”… il significato non cambia.

A Carmeli ci sono una piccola piazzetta, aiuole e vasi ovunque, staccionate e… i miei adorati monti tutt’intorno.

Al di sopra di quei tetti, laggiù in fondo, posso ben vedere, stagliati contro il cielo, la statua del Redentore e il Monte Saccarello che svettano sopra Verdeggia, ultimo paese della Valle Argentina.

Così vicina alle mie montagne, questa frazione, regala scorci davvero particolari e penso riesca a farlo in ogni stagione dell’anno essendo già bellissima in inverno, periodo dai colori più spenti e opachi.

Sulle rive del piccolo rio che costeggia Carmeli da un lato, cioè Rio Paves, la Natura è già desta e vispa pur essendo gennaio. Quei raggi luminosi rendono tutto più tiepido e piacevole.

Alcune Lucertoline corrono sulle pietre adesso calde e, con sorpresa, noto persino la presenza di qualche Cincia Bigia abbastanza rara da vedere.

Appare simpaticissima con il ventre bianco e tondo come una pallina e il caschetto nero sulla testa. Il suo “Tciùùùù”, che emette di continuo, mi fa alzare lo sguardo verso il cielo terso e sotto ai balconi degli edifici adiacenti al rio.

Chi alloggia qui ha davvero una splendida vista su un gran pezzo di Valle! Un panorama da invidia! Forse anche la Cincia, dall’alto dei rami spogli, si sta godendo questo spettacolo.

Decido di continuare a guardare meglio e più da vicino quelle case. Le viuzze sono poche ma permettono di raggiungere ogni abitazione.

Non ci vuole molto a girare per tutta la borgata ma sono diversi i punti in cui soffermarsi ad osservare, annusare e immaginare il passato.

Le scale non mancano e sono tutte circondate da erba e fiori che stanno nascendo per festeggiare, in largo anticipo, la primavera.

Intorno a Carmeli, infatti, ci sono già le Violette, la Veronica e tantissime Primule a regnare con il loro giallo che spicca tra quelle tinte marroni.

Queste Primule, nate qua e là, circondano anche il vecchio lavatoio. Oggi di acqua non ce n’è più nelle sue due vasche ma lui è ancora lì, in memoria di mestieri antichi che incuriosiscono.

L’acqua la si può comunque ottenere dalle varie fontanelle che ci sono sparse per il paese. Piccole ma molto caratteristiche.

Anche il lavatoio, raggiungibile grazie ad un breve sentiero, è circondato dai Castagni e da quelle terre silenziose.

Siamo molto vicini alle cave d’Ardesia dell’Alta Valle e la presenza di questa pietra protagonista è assai nota anche qui. I portali, le vie, i gradini, i tetti… tutto la esalta. La si può vedere grezza oppure lavorata.

In Valle è la Regina nera della Natura!

Alcune case hanno più di un piano e parecchie sono state restaurate anche se l’atmosfera è rimasta quella di un tempo.

La maggior parte delle volte sono stati utilizzati materiali naturali per i restauri, come la pietra e il legno. Questo fa sì che il borgo resti affascinante e riporti ai tempi dei nostri nonni.

Notare il fumo di una stufa uscire da un camino e sentire odore di legna nell’aria è stato poi un vero tocco magico che ha completato quella bellezza.

Tra quegli edifici si continua ad affacciarsi sulla Natura che è davvero vicina e sfiora i muretti a secco e le strade. Non solo le rocce severe ma anche i fitti boschi sono proprio a un passo dalle dimore.

Partendo dalla costa, in un’oretta scarsa, si giunge dove il tempo si è fermato.

Ritrovo persino la Lunaria, che qui abbonda. Quando ero ancora una cucciola, la mia Topononna la usava essiccata per abbellire la nostra tana e la chiamava “Le Monete del Papa”.

Non vorrei più andar via da qui ma so che ho ancora tanto da scoprire e tanto da scrivere sulla Valle Argentina quindi mi devo incamminare verso la via del ritorno.

Non perdo l’occasione di guardarmi ancora intorno, come a voler immagazzinare tutto nei miei ricordi e immortalare con lo sguardo quella meraviglia, oltre che con la mia fida macchina topografica.

Quelle case, quelle piccole finestrelle con le persiane in legno chiaro… è come se mi salutassero e mi dessero appuntamento alla prossima…

Persino una Poiana viene a dirmi << Arrivederci! >> volando quieta, sulla mia testa, nel cielo azzurro di questa indimenticabile giornata.

Case Carmeli è un posto che tornerò a frequentare perchè mi è davvero piaciuto molto. E anche salendo a Realdo, o a Verdeggia, o a Borniga non si può non fare una tappa qui.

Ci si passa proprio davanti!

Saluto questo luogo che mi ha accolta splendidamente e a voi prometto che ci vedremo presto per il prossimo tour!

Restate con gli scarponi nelle zampe mi raccomando!

Ciao Carmeli e… a presto Topi!

Squit!

Un Ponte per la Pace – in Terra Brigasca

Cari Topi,

forse non tutti sapete che, in Valle Argentina, due paesi, quelli più in alto, verso il confine con la Francia e il Piemonte, sono considerati – brigaschi -. In realtà sono tre perché bisogna tener conto anche di Borniga ma quelli più grandi e più abitati (seppur abbastanza solitari) sono Realdo e Verdeggia, belli e amati.

Alcuni storici dichiarano, però, che Verdeggia non appartenne mai alla cultura brigasca ma essendoci un po’ di disordine in questo mi sento di citare entrambe le versioni. Non dimentichiamoci che, a quanto pare, le radici sono comuni per entrambi i paesi ma, come ben sapete, io non sono uno storico bensì un’allieva sempre vogliosa di imparare.

Da quello che ho capito, la confusione nasce per il fatto che Realdo apparteneva a Briga, prima di passare a Triora nel 1947, mentre Verdeggia è sempre appartenuta a Triora.

Con diversi villaggi, non liguri, come Carnino, Piaggia, Briga e altri, formano l’ultima comunità di terre brigasche esistente. Una comunità assai unita un tempo, unita soprattutto da un linguaggio, il noto dialetto brigasco, diverso da altre parlate e che oggi, purtroppo, si va perdendo.

Si tratta di un dialetto definito “occitano” ma, anche qui, ci sono contrasti in quanto parecchi linguisti affermano che non ha nulla di occitano ma si tratta di un antico linguaggio ligure alpino.

Nonostante questa unione e le loro usanze, nonostante la loro cultura, apprezzata e portata avanti negli anni con orgoglio, si narra che, tra storie reali e qualche leggenda, Realdo e Verdeggia abbiano vissuto un tempo di litigi che li ha visti separarsi al punto da detestarsi come si conviene.

Pare che il tutto sia nato per una questione di terre e confini, in un tempo dove la terra era l’unica fonte di nutrimento e reddito, sia per quel che riguardava la coltivazione sia per i pascoli.

E allora potete ben immaginare cosa accadeva quando, ad esempio, una fanciulla di Realdo si innamorava, corrisposta, di un baldo giovane di Verdeggia. I due poverini potevano vedersi soltanto di nascosto, magari di notte, e magari tra quei boschi meravigliosi che circondano questi due borghi. Sono diversi, infatti, i sentieri che uniscono queste due frazioni passando tra la macchia più fitta.

Un astio che è andato avanti negli anni e, ancora oggi, tra lo scherzo e la realtà, pur avendo mentalità decisamente più aperte, c’è chi fa notare che se si elargisce qualcosa a Realdo, occorre darlo anche a Verdeggia, fosse anche solo un complimento. Me ne guardo bene, infatti, io, a scrivere apprezzamenti soltanto a uno dei due! (Sorrido…).

Stiamo parlando di due villaggi davvero particolari, simili tra loro ma anche assai differenti.

Mentre uno è arroccato e incastonato tra le falesie più severe dell’Alta Valle Argentina, mostrando un carattere rude e sprezzante del pericolo, l’altro si lascia abbracciare dal verde più intenso che c’è, attraverso i profili morbidi della sua personalità. Mentre uno appare impavido e solenne, sull’orlo di un dirupo profondo e brullo, l’altro mostra dolcezza e sensibilità adagiato su un letto smeraldino.

Non è assolutamente così. Le doti descritte le hanno entrambi ma, all’apparenza, sembra proprio di poter godere di tantissime qualità differenti accoppiandoli assieme. Non per niente, uno si chiama Realdo che deriva da “Re Alto” e il nome dice tutto, l’altro invece si chiama Verdeggia che deriva da “Verdeggiante” e, anche in questo caso, il nome è totalmente esplicito.

Per favore, state zitti e non dite assolutamente quale preferite dei due altrimenti succede un quarantotto!

E insomma che questi luoghi magici e storici han litigato dispensandosi screzi a vicenda per molto tempo e restando divisi anche nel loro essere più antico e tradizionale.

Restarono divisi fino al momento in cui decisero, per la gioia di tutta la Valle, di fare la pace. Questo momento fu talmente importante che si decise di far qualcosa per renderlo significativo e ricordato nei tempi a venire.

E cosa poteva esserci di meglio di un Ponte per rimarcare questo giorno solenne?

Ebbene sì, Topi, un vero Ponte venne realizzato proprio prima del bivio che conduce sia a Realdo che a Verdeggia continuando la strada principale in modo da attraversare il Torrente Argentina. A questa struttura venne ovviamente conferito il nome di “Ponte della Pace”. Mai nessun termine fu più adatto.

Come se non bastasse, proprio dal bivio, venne persino posizionato un grosso masso a reggere una targa in memoria del lieto evento. Una targa che recita così (vi traduco quello che è scritto in lingua originale):

Realdo e Verdeggia uniti da tradizioni, modi di fare e parlata a Briga, Morignole, Piaggia, Upega, Carnino e Viozene (sarebbero gli altri paesi brigaschi, non liguri, che vi citavo prima) in ricordo, al segno di Pace, nell’antica origine Occitana

Pensate quindi, questo momento, quanto fu significativo.

E che luogo stupendo è questo. Il Ponte, breve e diritto, vive tra una vegetazione florida.

Il grande masso è sempre circondato da tante Farfalline.

Se si alzano gli occhi al cielo si può vedere il Monte Saccarello che sovrasta Verdeggia e si nota anche la bellezza austera di Rocca Barbone.

E’ piacevole ritrovare con lo sguardo i monti dai quali siamo abituati a lasciarci abbracciare.

Questo Ponte, oggi asfaltato, passa sopra al torrente rigoglioso, giovane, dalle acque fresche e limpide.

La quiete del luogo è rotta proprio dal rumore delle sue cascatelle che però, naturalmente, non disturbano affatto, anzi… Al di sotto di questa struttura, si possono anche notare diverse pozze d’acqua che, placide, bagnano cespugli e massi chiari.

Il canto degli uccellini più piccoli è vivace mentre il volo delle Poiane che sorvolano questa zona è silenzioso e lento.

Lento come lo scorrere del tempo che qui non ha fretta. Sia Realdo che Verdeggia, infatti, sono due paesi dove è assai facile ritrovare il benessere, la serenità e la gioia per la vita e per la Natura. Siamo appena sopra i 1.000 mt s.l.m. e anche l’aria che si respira diventa complice di uno star bene totale.

E allora, insomma, che Pace fu. Tutti lieti quindi. Un avvenimento che appartiene alla storia della Valle Argentina e che dovevo assolutamente raccontarvi.

Qui, vicino al grande masso, c’è anche una panchina, quindi io mi siedo e mi riposo mandando un bacio pacioso a tutti. Mi sento molto mediatrice.

Non starò molto, ho da scrivere altri articoli sulla mia splendida Valle che, ogni giorno, da come vedete, mi regala sorprese e nuove cose da scoprire, perciò, riposatevi anche voi perché presto si parte per altre avventure.

Squit!

Il Ponte di Glori tra abbracci silenziosi

I raggi del sole tardano a scaldare in questa mattina di febbraio e la brina, sulle piccole foglie dall’animo placido, può donare il suo abbraccio più a lungo.

Ne ricopre i bordi, disegnando asterischi ghiacciati che creano un contrasto con il colore della natura ancora addormentata.

L’erba è schiacciata dal gelo come perduta, in realtà a riposo.

Cammino per questo piccolo sentiero indicatomi da una vecchia casa abbandonata a bordo strada e continuo a guardare quella bellezza che scricchiola sotto alle mie zampe. E’ proprio vero che la meraviglia si nasconde nelle piccole cose.

Starei ore, incantata, ad osservare quei bianchi e freddi fiocchetti ricoprire ancora tutto il mio mondo e so di avere poco tempo anche se il sole non si è ancora alzato nel cielo.

Il sentiero è davvero breve e pulito. Mi condurrà a un ponte conosciuto come “Il Ponte di Glori” perché si trova proprio sotto a questo paese del quale vi parlai qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2012/03/25/glori-un-mucchietto-di-case/

Il barego (casone-rudere) è appena prima questo ponte che sto cercando. E’ fatto completamente in pietra e, al posto di porta e finestre, ora ha delle aperture che permettono di vederne il nudo interno.

Mi trovo per la strada che sale per la Valle conosciuta come “la strada di sotto”, cioè la via che sarebbe dovuta essere ricoperta dalla diga non più realizzata. Questa vecchia struttura la si vede molto bene sotto strada, a sinistra (salendo).

La natura si è impossessata di lei dentro e attorno.

Mentre la guardo posso già sentire lo scrosciare dell’acqua poco distante da me. E’ potente e la sua voce riecheggia colpendo le alte rocce che formano il canale del suo passaggio.

Sono rocce lisce alcune, altre ruvide mostrano strie in rilievo. Sono grigio chiaro, a tratti ricoperte da un muschio che mostra varie tonalità di verde.

Anche quello di questa tenera erbetta minuscola, che sembra una moquette, mi pare un abbraccio stretto verso quelle grandi pietre.

In certi punti, le rocce, formano dei veri muraglioni ed è proprio nel punto in cui tali pareti si alzano molto che sorge il ponte.

Posso già intravedere, tra la vegetazione, il suo esserci e gli spruzzi bianchi dell’acqua sotto di lui.

Sul ponte non ci sono muretti a protezione e nemmeno staccionate.

Occorre non sporgersi troppo, è abbastanza altino e sotto scorre il Torrente Argentina in tutto il suo splendore scontrando i massi e formando pozze dove Trote e Gamberi di Fiume trovano dimora.

Sembrano lagune in miniatura. Quanta vita celano là sotto.

E’ possibile passare su questa antica costruzione e raggiungere l’altra parte che mostra un altro sentiero ma permette di raggiungere anche scogli enormi dai quali si ha una bella vista sull’intero arco in pietra che forma quello che oggi voglio ammirare.

In realtà gli archi sono due ma uno è più piccolo, da un lato. L’altro invece, sostiene l’intera struttura centrale.

Il fiume scorre veloce ma attorno al ponte la natura è quieta.

Nonostante la fredda stagione, qualche piccolo accenno di primavera prova a spuntare e, ora che il sole si è alzato e batte forte su quelle rocce, si sta d’incanto.

Tenere e minute foglie dal verde sgargiante spiccano in mezzo a quelle sfumature spente.

Solo gli alberi che racchiudono il percorso offrono zone d’ombra ed è proprio qui, in questo piccolo boschetto, che noto l’abbraccio più bello che mi sia capitato di vedere oggi. Quello tra due alberi che sembrano ballare il tango. E con tanto di casquet!

Mi sposto per osservare quella realizzazione storica da un’altra prospettiva cercando di distogliere lo sguardo da quelle piante romantiche.

Si tratta di un ponte medievale che permetteva lunghe passeggiate sulle sponde opposte e sui monti. Monti che donavano lavoro ma anche frutti e la possibilità di costruire dimore che venivano realizzate in quella macchia.

E’ bellissimo stare qui. Seppur sono vicina alla strada che passa di sotto, per raggiungere da Taggia – Molini di Triora, non si sente volare una mosca e tutto offre un’atmosfera onirica.

Non sono in grado di affermare se questo ponte abbia bisogno di un intervento di restauro. Di certo, guardandolo dal di sotto, pare più solido e più in buone condizioni rispetto a molti altri. E’ facile confonderlo con quello di Agaggio, molto più antico e più malconcio, ma secondo le mie fonti, quello di Glori, è proprio questo.

Vi mando un abbraccio quindi, per restare in tema, anziché un bacio, e vi aspetto per il prossimo tour!

Racconti da osservare nella forma delle rocce

Avete mai fatto caso a come ci parlano le rocce Topi? Sicuramente utilizzano uno dei linguaggi più antichi di Madre Terra.

Le rocce appaiono tutte uguali per chi non sa osservarle ma non è assolutamente così. Ognuna ha il suo passato, ha visto e vissuto cose, situazioni, persone. Alcune hanno assunto col tempo forme strane e certe sembrano persino avere una personalità. Ma venite con me, andiamo a vederle da vicino e proviamo a fare la loro conoscenza.

Occorre prima di tutto sapere che in Valle Argentina si incontrano prevalentemente l’Arenaria e l’Ardesia ma molte altre pietre e altri minerali formano questo angolo del pianeta e, tutti, sono qui da tanti tanti anni.

Qualcuna forma gigantesche e severe montagne, altre, più umili invece, ma utili anche loro, sono oggi rocche o piani o poggi.

Se si va al Pin e ci si inoltra verso la Foresta del Gerbonte, le rocce che si incontrano e ci sovrastano sono così grandi e austere da farci sentire piccoli come insetti. Tra di loro passa l’aria della nostra voce e non è difficile godere del fenomeno dell’eco.

Sono rocce vecchie, sagge, padronali. Vere e proprie montagne che si sono formate a causa dell’orogenesi che c’è stata tantissimi anni fa, più precisamente tra i 90 e i 40 milioni di anni fa.

Si tratta di rocce contenenti anche materiali oceanici, come molte altre d’altronde, e diversi fossili ancora presenti soprattutto nei calcari argillosi e sabbiosi.

Sono alte falesie che godono di una vista mozzafiato su tutta la parte dell’Alta Valle Argentina.

Ad incutere timore, visto il loro aspetto severo, sono anche le pareti del Monte Pietravecchia così alte e massicce che dal basso non si riesce a vedere la loro fine e sembra riescano a toccare il cielo.

Accarezzarle significa ascoltare una voce profonda che esce dal cuore della terra e dopo la meraviglia iniziale si china il capo colmi di rispetto.

Queste rocce così possenti sono molto diverse da quelle fatte a guglia del Monte Toraggio, meta ideale di Gracchi Alpini.

Impertinenti e affilate svettano verso l’alto col quel fare presuntuoso. Forse perché sanno di essere su un monte maestoso e amato da tutti.

Di lui ne formano anche il profilo del viso di un uomo che, se visto da lontano, pare addormentato. Briose come le farfalle e le cicale che gli svolazzano attorno.

Restando in questi paraggi e andando verso la Gola dell’Incisa, proprio di fianco ad una parete del Toraggio, non si possono non notare i Flysch cioè stratificazioni di rocce sedimentarie che formano delle linee indicanti le alternanze cicliche.

Sembrano serpenti in rilievo in un moto ondulatorio. Dal Passo della Guardia a Verdeggia esiste un sentiero chiamato proprio “Sentiero dei Flysch”.

Prima di Verdeggia, subito dopo il Ponte di Loreto, grandi rocce chiare sono usate anche come palestra di arrampicata, si tratta di una falesia soleggiata chiamata appunto “Rocce di Loreto” alta circa 700 mt. a strapiombo sul Torrente Argentina.

Si tratta di rocce che hanno visto molta disperazione. Il Ponte di Loreto, per molti anni il ponte più alto d’Europa, è stato teatro purtroppo di diversi suicidi e non oso immaginare ciò che queste rupi hanno vissuto.

Verso il Passo del Garezzo, dove alcune pietre danno i natali al Torrente in un punto chiamato “Ciotto dei Fiumi”, si percepisce più dolcezza. Il Muschio e il Capelvenere conferiscono loro morbidezza e colore.

L’umidità delle frizzanti goccioline rende quel tratto di strada più allegro e alcune pietre sono più arrotondate consumate dal passaggio dell’acqua.

In quei pressi ci sono rocce più piccole a dare protezione e regalare un habitat naturale ai Camosci.

Sorvolate dall’alto da Aquile, Nibbi e Gheppi offrono nascondiglio anche a diversi animaletti spesso prede dei nobili rapaci.

Queste rocce mostrano l’apertura della Valle in tutto il suo splendore e sembrano formare una cinta difensiva. Se quelle che abbiamo visto prima potevano ricordare Alpini e Partigiani, queste rivelano le giornate di Pastori e Commercianti.

Al Ciotto di San Lorenzo, invece, si incontrano massi bianchi dalla forma cubica che hanno una lunga vita da raccontare piena di vicissitudini e misteri che riguardano popoli antichi e persino streghe.

Su di loro venivano sacrificati animali e il loro essere tozze e quadrate permetteva la costruzione di ripari, tombe e altari.

C’è anche Rocca Barbone, il dente anomalo della Valle. Col suo fare solenne spunta prima della Catena del Saccarello e sembra voler dire alle montagne più alte dietro di lei << Non mi volete tra di voi? E io sto qui lo stesso! >>.

Sul suo cocuzzolo un bel prato è il giaciglio perfetto per Caprioli e diverse specie di uccellini. Le sue pareti sono nude e aspre ma la sommità è un verde tappeto.

E poi, ovviamente, non posso non ricordarvi della mia dolce e materna Nonna Desia, la mia antica e saggia Nonna in Ardesia, che spesso vi ha raccontato al posto mio storie arcaiche della Valle e anche adesso è qui con me.

Vero Nonna? << Scì me belu ratin >> (Si, mio bel topino).

Prima di concludere questo articolo, però, ho voglia di farvi vedere ancora una cosa particolare e cioè le forme bizzarre che a volte le rocce della Valle Argentina possono assumere.

Guardate queste immagini. A sinistra, una parte di roccia che forma il Poggio del Foresto, dopo il paese di Corte, sembra avere la forma di un rapace, mentre a destra, sotto al paese di Borniga un’altra roccia sembra una Cicala. Non lo trovate buffo?

E voi avete mai notato altre strane figure tra le montagne di questo luogo magico?

Aspetto le vostre foto e intanto sgattaiolo a prepararvi un altro articolo interessante.

Un bacio granitico tutto per voi!

La Valle delle Favole

Be’, topi, che dire? Io ho provato a dirvelo in tutti i modi che la mia Valle è degna dei più bei film fantasy, dei migliori romanzi e pare uscita da un libro di favole. Se non mi credete ancora, questo post è per voi. E se invece mi credete, tanto meglio: avrete di che rifarvi gli occhi.

Nel mio continuo girovagare per tutta la Valle Argentina, ho scattato così tante fotografie che non basterebbe una biblioteca per tutti gli album che potrei realizzare con esse. Qualche giorno fa mi trovavo a scartabellare tra le foto del mio topo-pc, quando mi sono accorta di una cosa… Per tutte le ghiande! C’erano degli scatti che parevano proprio usciti da una raccolta di favole! E allora  a ogni scatto che ho selezionato ho assegnato il titolo della fiaba che me lo ha ispirato, così vedrete se non ho ragione.

Hansel e Gretel

Un povero taglialegna abitava davanti a una gran foresta con la moglie e i suoi due bambini; il maschietto si chiamava Hansel e la bambina Gretel…”

hansel e gretel

Questa casa si trova a Monte Ceppo. È minuscola, tutta in legno, circondata da alte conifere e da un prato dall’ampio respiro. A me sembra un luogo surreale, magico, una di quelle capanne di cui si legge all’inizio dei racconti fiabeschi. Ed ecco che nella mia fantasia è diventata la dimora di Hansel e Gretel, ma non siamo nella Foresta Nera, topi! Siamo qui, in Liguria!

Cappuccetto Rosso

“C’era una volta una cara fanciullina che bastava vederla per volerle bene, ma più di tutti le voleva bene la sua nonna, che non sapeva più cosa potesse ancora regalarle. Le aveva fatto dono anche di un cappuccetto di velluto rosso, e siccome le stava che era un amore e si metteva sempre quello, fu chiamata Cappuccetto Rosso…”

Cappuccetto Rosso

Dai, devo proprio spiegarvela, questa? Parla da sé! Potevo, forse, non dare il titolo di questa celebre favola all’Amanita muscaria? Il suo cappello scarlatto spicca nel sottobosco, proprio come la mantella della bimba che tra gli alberi incontrò il lupo.

Biancaneve

“C’era una volta – era inverno e i fiocchi di neve scendevano dal cielo come piume – una regina che cuciva vicino a una finestra dalla cornice d’ebano. Cuciva e guardava ogni tanto la neve, ma poi si punse un dito con l’ago e sulla neve caddero tre gocce di sangue. Il rosso le parve così bello sulla neve candida che pensò: Ah, se avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l’ebano!”

Biancaneve

Una folata di vento basterebbe a portar via i semi bianchi di questi pappi fioriti di Senecio. E, quando volano, paiono davvero una nevicata candida e soffice, per questo ho intitolato la foto alla fanciulla dalla pelle bianca come neve, le labbra color di rosa e i capelli d’ebano.

La guardiana delle oche alla fonte

C’era una volta una donnetta vecchia, vecchissima, che viveva col suo branco di oche, in una radura fra i monti e là aveva una casetta…”

la guardiana delle oche alla fonte

Forse una favola poco conosciuta, questa, ma basta gironzolare alla foce dell’Argentina per notare quante oche vi abitino. Ed ecco che mi è subito balzata alla mente questa bellissima storia.

Rosaspina

“Nel paese si sparse la leggenda di Rosaspina, questo era il nome della Bella Addormentata, e ogni tanto arrivava un principe che cercava di attraversare la siepe per entrare al castello. Ma nessuno ci riusciva: i rovi lo stringevano in una morsa come se avessero avuto le mani …”

Rosaspina

Ci voleva qualcosa di acuminato, ma di altrettanto bello per rappresentare la favola della Bella Addormentata nel Bosco. Dunque, niente di meglio della Rosa Canina, non trovate?

La Sirenetta

Non c’era per lei gioia più grande che sentir parlare del mondo degli uomini sopra di loro; la vecchia nonna dovette raccontare tutto quanto sapeva delle navi e delle città, degli uomini e degli animali; soprattutto la colpiva in modo particolare il fatto che i fiori sulla terra profumassero e che i boschi fossero verdi…”

La Sirenetta

Va be’, è scontato, no? Il Mar Ligure, quello che incanta sempre tutti con la sua selvaggia bellezza. E sì, mi ha ispirato proprio La Sirenetta, quale altra favola, sennò?

La Regina delle Nevi

“Vola nella grandine e ricopre i campi di neve. Paralizza i fiori con la brina e ghiaccia i fiumi. Il suo cuore è di ghiaccio e vorrebbe che anche quello degli altri fosse come il suo.”

La regina delle nevi

Ebbene, quando certe zone della mia Valle, nel profondo dell’Inverno, si ricoprono di un candido manto gelato, pare proprio passata lei, la Regina delle Nevi, che allunga le sue dita di ghiaccio tra i rami dei larici e degli abeti, soffia bufere sulle cime più alte e adorna di stalattiti rocce, anfratti e alberi, dipingendo così paesaggi degni di una favola nordica.

La Bella Vasilisa

“Vasilisa camminò tutta la notte e tutto il giorno, solo la sera successiva giunse a una radura, dove si trovava la casetta della Baba Jaga…”

baba yaga.jpg

Baba Jaga è una strega davvero particolare e vive in una casa altrettanto peculiare. La staccionata che la circonda è fatta di ossa e la capanna può muoversi a suo piacimento, poiché è dotata di zampe di gallina alla sua base. Anche se la capanna che ho fotografato io non è altrettanto fantasiosa, mi ha ricordato la strega del folklore slavo. Di capanne come questa la mia Valle ne è piena, e ogni volta parrebbe ospitare uno stregone o una donna conoscitrice delle arti magiche.

Il Principe Ranocchio

“Un giorno che la palla d’oro della principessa non ricadde nella manina ch’essa tendeva in alto, ma cadde a terra e rotolò proprio nell’acqua. La principessa la seguì con lo sguardo, ma la palla sparì, e la sorgente era profonda, profonda a perdita d’occhio. Allora la principessa cominciò a piangere, e pianse sempre più forte, e non si poteva proprio consolare. E mentre così piangeva, qualcuno le gridò: «Che hai, principessa? Tu piangi da far pietà ai sassi.» Lei si guardò intorno, per vedere donde venisse la voce, e vide un ranocchio, che sporgeva dall’acqua la grossa testa deforme.”

rospo

Non è affatto difficile imbattersi in polle d’acqua e rospi che sguazzano, nella mia Valle. Quando ho visto questo scatto risalente a qualche tempo fa, l’associazione con la favola è stata immediata.

Il Mago di Oz

«Ti chiami Dorothy, cara?»

«Sì», rispose la bambina alzando il capo e asciugandosi le lacrime.

«Quand’è così, devi andare alla Città di Smeraldo. Forse Oz ti aiuterà.»

«E dov’è questa città?» chiese Dorothy.

«Al centro esatto del paese e la governa Oz, il Grande Mago.»

[…] «Come faccio per arrivarci?»

«Devi camminare. È un viaggio lungo, attraverso un paese a volte ameno, a volte cupo e terribile. […] La strada della Città di Smeraldo è lastricata di mattoni gialli» disse la Strega. «Dunque non ti puoi sbagliare.»

Il Mago di Oz

Ok, questa non è una favola, ma un vero e proprio romanzo. Però ci sono dei luoghi, in Valle, che ricordano spesso la via di mattoni d’oro che conduce proprio a Oz, come nel caso di queste felci dorate a bordo sentiero.

Pinocchio

«C’era una volta…»

«Un re!» diranno subito i miei piccoli lettori.

«No ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e riscaldare le stanze. Non so come sia andata, ma il fatto fu che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname…»”

Pinocchio

Che volete che vi dica? Di ceppi ne ho visti tanti, così come di legna da catasta, ma questo in particolare mi ha ricordato il famoso burattino. Già me lo vedo a prendere vita sotto le mani amorevoli di Mastro Geppetto. Voi no?

Topi, il tour fiabesco della Valle Argentina per ora si conclude qui. Mi auguro di avervi fatto sognare almeno un po’, perché nella mia Valle si sogna tanto, sì… ma non c’è affatto bisogno di chiudere gli occhi: è un regno incantato sempre pronto a stupire.

Un bacio da favola a tutti!

 

 

 

Dal Pin a Creppo seguendo Rio Infernetto

Rio Infernetto è un ruscello che rotola giù per il Monte Gerbonte andandosi poi ad unire con il Torrente Argentina nei pressi di Drondo, antico e minuscolo abitato di un tempo, nei dintorni di Creppo.

Oggi percorriamo più o meno la sua strada, incontrandolo di tanto in tanto sul nostro cammino, ma costantemente accompagnati dalla sua voce vivace.
Decidiamo infatti di vivere il Gerbonte e i suoi magnifici boschi andando in discesa, verso valle, partendo dal Pin, località dell’Alta Valle Argentina situata sopra Borniga, per arrivare fino al paese di Creppo vicino al ponte di Loreto.
Ci serviranno circa due ore di cammino o anche di più se si è appassionati, come me, di fotografia e di osservazione.
Si inizia questo meraviglioso percorso da un sentiero scavato tra le rocce nude dove la vegetazione, accanto alle nostre zampe, scarseggia.
Un sentiero che vi avevo fatto conoscere qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/05/15/alla-conquista-del-monte-gerbonte/ e che, come ripeto, è adatto a chi è esperto vista la mancata protezione a valle, il profondo dirupo sul quale sorge e il suo essere molto stretto in alcuni punti.
Un sentiero un po’ ostico ma preludio di un bosco fatato che diventa, a metà percorso, una via comoda, pianeggiante, larga e morbida. È la via che ci condurrà a destinazione.
Si esce, pertanto, dai bastioni rocciosi – porte imponenti di questo castello incantato – che prima abbiamo visto dall’alto e adesso invece attraversiamo, e ci si inoltra in un bosco vissuto soprattutto da faggi incredibilmente grandi e contorti, bizzarri, fiabeschi.
I loro tronchi assumono varie forme e ci si chiede come abbiano potuto addirittura dividersi per poi riunirsi in quello che è più di un abbraccio eterno. Attraverso loro si possono facilmente immaginare figure, cose, mondi… mondi impenetrabili ma che ci concedono il passaggio come se fossimo dei prescelti. Non sto esagerando, ci si sente davvero fortunati e tutta quella maestosità, nella quiete di quel creato, permette di sentirsi particolarmente appagati e felici.
Guardandosi indietro si vede il territorio più brullo che abbiamo oltrepassato e, da qui, sembra più florido potendo vedere di lui anche la parte retrostante sopra Borniga, l’incantevole villaggio.
Rimanendo su questa comoda strada si scorgono anche prati all’ombra di faggi più giovani e di noccioli.
Risulta ovvio immaginare Caprioli brucare quel verde vivo nascosti tra i rami e l’erba alta. All’imbrunire, in quelle radure così magiche, sono certa che qualche strega arriva a danzare attorno a quegli alberi connettendosi a Madre Natura.
Caprioli però non ne ho visti, in compenso, non mi sono mancati i simpatici Camosci che, con il loro sguardo languido e il muso un po’ inclinato, osservano incuriositi mantenendo la distanza.
Anche più varietà di fiori iniziano a fare capolino e, tra questi, la pigra Lavanda che ancora non ne vuol sapere di sbocciare la si nota con il suo verde spento e argenteo. Il Timo, invece, tronfio e pomposo, si presenta vittorioso e lilla sulle pietre aride.
Solo il muschio si presenta ovunque, nemmeno fosse prezzemolo. Le sue mille sfumature ricoprono come arazzi di velluto la strada, le rocce e il legno degli alberi.
Continuando a scendere, ogni curva riserva una sorpresa. Ogni tornate si apre su un palcoscenico diverso da quello precedente: la pietraia, la brughiera, la gola di ginestre, la distesa d’erba, la macchia più fitta.
Tra queste pietre, d’estate, non manca certo la presenza di alcuni rettili. Da una di queste aperture si vedono bene Creppo e il ponte di Loreto. Così piccini da quassù! Abbiamo ancora tanto da camminare.
Più in giù, quando si giunge al ponte di Drondo e alla fine di Rio Infernetto, che qui forma un piccolo lago stupendo, un tempo vidi persino una biscia d’acqua spaparanzata sopra ad uno scoglio.
Oggi invece sono i gerridi a mostrarsi allegri, piccoli ragni d’acqua molto presenti lungo tutto il Torrente Argentina.
Prima di arrivare all’acqua, però, si passa attraverso i ruderi di Case Costa, una borgata che assieme a Case Drondo e Case Bruzzi formava piccolissime frazioni attorno al paese nostra meta.
Come ho detto, ora sono solo ruderi e muri a secco ma trasformano il paesaggio ulteriormente.
Il ponte che ci permette di attraversare quello che è diventato il Torrente Argentina, nel quale Rio Infernetto si unisce, è piccolo e in pietra. Bellissimo. Intimo.
Circondato da un verde che più verde non si può. Accanto a lui una piccola edicola contenente la statua di una Madonnina e, da qui, inizia un altro ombroso sentiero, classificato “sentiero n°9”, più breve di quello che abbiamo appena percorso, questa volta in salita, ed è spettacolare.
Spettacolare perché si passa sotto a Castagni secolari enormi. Magnifici. Si sente il desiderio di inchinarsi al loro cospetto. Sembrano dei Re immobili che, silenziosi, osservano il procedere di quella vita naturale.
La loro grandezza ti fa sentire piccino ma sanno di buono e di saggezza.
Dopo aver preso un po’ di sole, scendendo, ora ci stiamo rinfrescando sotto la loro larga chioma. L’ambiente appare più cupo e umido.
Solo qualche sprazzo di giallo lo colora e ancora si sente il cantare dell’acqua che fin qui ci ha accompagnato.
Adesso va via, verso fine Valle, mentre noi saliamo ancora raggiungendo l’asfalto, Creppo e la topomobile. Soddisfatti e pieni di energia.
Ho appena vissuto un’altra avventura splendida.
Un bacio secolare a voi!

U Ciottu de e Giaie – l’acqua dell’Alta Valle Argentina

Oggi andiamo in un punto abbastanza conosciuto della Valle Argentina e si tratta di un luogo importante che si trova sopra al paese di Triora.

Un luogo conosciuto sì, ma forse non tutti sanno che si chiama così. Almeno per noi.

Andiamo dove molti ruscelli prendono vita, dove fonti sgorgano, dove i ghiacci si sciolgono, dove gocce iniziano percorsi e cascatelle si tuffano vivaci… insomma, dove l’acqua è la protagonista. Un’acqua che, in mille modi diversi, va poi a formare e incrementare il nostro Torrente Argentina.

U Ciottu de e Giaie, nome dialettale, significa “Conca dei torrenti” (“conca” intesa come depressione) e non è certo difficile sentire gocciolii ovunque che accompagnano il mio cammino.

Questa zona è splendida da conoscere attraverso passeggiate che arricchiscono la mente e il cuore. Come anche altre zone della mia Valle è bella in qualsiasi stagione.

Regala varie tonalità di verde, dal cupo allo smeraldo, in estate, e si ricopre di bianco quando arriva l’inverno che quasi soffoca, con il suo dolce peso, i ciuffi d’erba dei pascoli.

Sono al Passo della Guardia e mi dirigo verso il Colle del Garezzo e il suo tunnel. U Ciottu de e Giaie si trova nei pressi del Monte Frontè (2153 mt) al di sotto della strada che percorro. Il Monte Frontè, con la sua Madonnina, è una delle cime più alte di tutta la Liguria e mi permette di ammirare un panorama bellissimo che amo molto.

Si possono vedere le cime dei monti più verdi, alcuni più dolci, altri più aguzzi, mentre, dietro di me, ci sono quelli più aspri con le loro falesie taglienti, rocce umide e qualche fiore.

Più sotto, la croce di Goina che osserva la gola della Valle e tutto U Zimùn del dente roccioso che la ospita (Zimùn da Zima, cioè “Cima” nel nostro dialetto).

La strada è sterrata, aperta, e si può percorrere anche in auto ma se si viene a piedi, d’estate, è consigliabile l’uso di una crema solare e acqua da bere. I raggi del sole, qui, abbagliano ogni cosa.

E’ naturalmente sconsigliabile percorrerla in auto durante il periodo invernale. Le slavine, il ghiaccio e la mancanza di protezione a valle, la rendono molto pericolosa. In certi tratti, non si possono oltrepassare i cumuli di neve che si formano neanche a piedi. Ci sono punti in cui sembra un falsopiano ma è per lo più una delicata salita.

Sottostrada, poco più avanti, si vedono i ricoveri dei pastori che durante la bella stagione portano il loro gregge a pascolare e sono invidiabilmente circondati da una natura incontaminata.

Questo percorso provinciale, che continuandolo permette di raggiungere anche Monesi e il Monte Saccarello, e quindi la Valle Arroscia di conseguenza, è stato creato dagli Alpini e s’interseca con altre Strade Marenche verso il Piemonte e la Francia. Tale strada viene infatti definita ex rotabile militare a fondo naturale. Allargata, in certi tratti, nel dopoguerra.

È facile vedere rapaci e camosci in questi luoghi tranquilli dove Madre Terra è adatta a loro e, in tarda primavera, qui, iniziano a svegliarsi anche le marmotte.

Possiamo considerarlo anche questo un luogo magico. Mi direte che sono retorica ma così è.

Il silenzio è profondo e pieno e tutto intorno aleggia un’atmosfera fresca, pulita e ricca, che riempie l’anima.

Beh, si sa, in fondo, acqua e sole formano la vita e qui, la vita, si percepisce tantissimo.

Una cascata di baci a voi!

Un verde che più verde non si può!

Topi, ve ne sarete accorti anche voi, ormai: la Valle Argentina si è tinta di un colore stupendo che rimanda all’abbondanza e alla rinascita della Natura tutta.

In questa stagione, quando la Primavera è ormai in discesa e cede sempre più il passo all’Estate, ecco che la tavolozza della Valle assume tutte le sfumature delle tinte smeraldo.

torrente Argentina Badalucco

Verde è l’acqua del torrente Argentina e dei suoi affluenti.

Verdi sono i monti e i prati e gli alberi.

valle argentina strada di sotto

Verde è la Natura in tutto il suo più rigoglioso splendore.

Ogni cosa intorno a noi viandanti di sentieri appare rinnovato, gonfio di vita e pieno di energia.

Il colore di cui è vestita la Valle, dal Saccarello al Mar Ligure, è sinonimo di equilibrio, armonia. Tutte doti di cui possiamo riempirci gli occhi e, attraverso di essi, lasciare che penetrino in noi e ci riempiano. I colori sono importanti, topi! Non per niente esiste la cromoterapia come strumento aggiuntivo utile alla guarigione di alcune patologie.

foce torrente Argentina Arma di Taggia

Quello di questo periodo è un verde che talvolta pare brillare di luce propria, è vivo, splendente, pulsante. A guardarlo, infonde calma e pace, ci permette di respirare più profondamente lasciando andare le preoccupazioni della giornata. E’ utile soprattutto ai topi di città per alleviare lo stress. D’altra parte, in luoghi belli e smeraldini come quelli offerti dalla mia Valle lo stress non è ammesso. L’abito verde dei monti, dei prati e delle fronde di questo periodo stimola il sistema nervoso, svolgendo su di esso una benefica azione calmante. Madre Natura ha pensato a ogni cura per tutte le sue creature, come potete vedere!

Valle Argentina strada di sotto2 - Glori

Ma il verde è anche il colore dell’amore incondizionato e della compassione, associato al cuore e alla sua apertura verso l’altro e il mondo.

Mette buon umore, già solo a riempirsi gli occhi di questo colore le labbra si distendono, le sopracciglia si rilassano e con esse tutti i muscoli del viso. E intanto si respira più a fondo, portando i suoi effetti benefici a tutte le cellule dell’organismo.

torrente Argentina strada di sotto

Fa assai bene anche per chi si diletta nell’arte, poiché stimola la creatività. Costituisce una vera e propria ricarica energetica, nonché un rimedio per l’ansia e la rabbia.

Insomma, topi, il verde è davvero prezioso e farne scorta con lo sguardo è assai facile in questo periodo.

Torno a zampettare per voi e intanto vi saluto. Un bacio di smeraldo per tutti voi!

Tuffi simbolici in Valle Argentina – il Martin Pescatore e l’abbondanza

Corriamo immediatamente a conoscere un caro amico, decisamente più simpatico di Serpilla, la presuntuosa Ghiandaia (alla quale però voglio bene). Oggi intendo presentarvi una creatura strabiliante sotto diversi punti di vista, in primis, il colore sgargiante della sua livrea; un bellissimo azzurro metallico.

Topine e topini, ecco a voi, messer Martin Pescatore!

Vi chiederete perché ve lo presento. Beh… è molto semplice. Anche se parecchi di voi magari non lo hanno mai visto, esso popola le rive del Torrente Argentina soprattutto nella zona della foce. Siamo ad Arma quindi, poco prima della Darsena, dove gabbiani, papere e altri uccelli vivono serenamente trascorrendo le giornate al sole e osservando l’infinita’ del mare. Tra questi, sono tantissime le specie di volatili che abitano questo luogo: aironi, falchetti, pettegole, scriccioli, verdoni e… insomma, chi più ne ha più ne metta. E’ davvero incredibile pensare che, dove il mio torrente incontra il mare, ho la possibilità di vedere tanta bellezza.

E, la bellezza di oggi, il grande protagonista, possiamo ammirarlo grazie alle splendide foto di un fotografo esperto di avifauna, l’amico Luigi Giunta, che per questo articolo mi ha permesso di utilizzare le sue immagini. Anche perché se aspettavate che io riuscivo a immortalare un Martin Pescatore… potevate stare anni…

Ma veniamo a noi, ho diverse cose da raccontarvi su questo uccello che brilla.

Partirei subito con il messaggio che vuole trasmetterci. Fin dai tempi più antichi, infatti, il Martin Pescatore era considerato simbolo di abbondanza intesa come opportunità. E’ come se dicesse << Tuffati, senza paura, e vivi la vita che meriti! E’ ricca di cose che ti aspettano! Ci sono molte altre cose che non sai e belle per te! >>.

In effetti, se parliamo di tuffi, a lui non lo batte nessuno. Saprete bene che, appena adocchia un pesce nuotare sott’acqua, si tuffa a capofitto senza timore e fiducioso e non sbaglia il colpo. Per questo consiglia all’essere umano di buttarsi in un nuovo lavoro o in un nuovo amore, cogliendo le occasioni.

Per la maggior parte del tempo, se ne sta appollaiato su rami, o giunchi, che reggono bene il suo peso leggero e che lui trasforma nei suoi punti d’osservazione. Attento e con in sé il brivido del prossimo slancio. Per questo ci dice di uscire dalla propria zona di comfort e vivere la vita appieno!

Il Martin Pescatore, chiamato anche Alcione, dal suo nome scientifico Alcedo atthis, è un uccello solitario e diurno. Ed è un gran mangione. Non si accontenta di un solo pesce al giorno. I suoi balzi in acqua possono essere parecchio numerosi. Ma quando il cibo scarseggia, non può perdere tempo, deve “andare a caccia” e quindi lo si vedrà svolazzare a pelo d’acqua, con voli veloci e brevi, in una posizione di tanto in tanto quasi ferma definita: volo a spirito santo. In questi periodi di magra, si adegua a mangiare anche piccoli anfibi o insetti.

Il nome Alcione, non è dato a caso. Alcione era la Dea Greca figlia di Eolo, Dio del Vento. Essa fece arrabbiare il Re dell’Olimpo perchè, assieme al marito Ceice, si chiamavano tra loro con i nomi di Zeus ed Era visto che vivevano molto felici come gli Dei più importanti. Quest’ulitimi si arrabbiarono e fecero morire Ceice annegato. L’ombra di Ceice appariva ogni tanto sott’acqua e, la povera Alcione, nel disperato tentativo di riprendersi il marito, si tuffava con sicurezza tra le onde ma senza riuscire ad afferrare il suo grande amore. A quel punto, gli Dei, ebbero pietà di loro e permisero ai due giovani di tornare a vivere assieme e gli permisero anche di realizzare la loro casa sulla riva di un fiume dopo il solstizio di primavera affinchè potessero riprodursi.

In Europa e in Italia ce ne sono molti perché amano il clima temperato e sono molto felice di sapere che si trovano anche nella mia zona. Nidifica all’incirca due volte all’anno e il guscio delle sue uova è di un bianco talmente bianco che sembra di plastica.

Il maschio e la femmina sono pressoché uguali anche se il maschio ha colori forse appena più vivaci ma una differenza tra loro c’è e si trova nel becco, completamente nero nel maschio e più chiaro nella femmina soprattutto per quello che riguarda la parte di becco inferiore.

Allora topi, sapevate le cose che vi ho raccontato su questo fantastico animale? Mi auguro di avervi detto qualcosa che non sapevate ancora ma ora devo andare a cercare qualche altra creatura per voi.

Prima di concludere fatemi ringraziare ancora una volta Luigi Giunta per le splendide foto che mi ha dato e per quelle che ogni giorno scatta facendo conoscere a molti la meraviglia che ci circonda e che gli occhi spesso non notano.

Al prossimo amico!