sapete bene che della mia Valle amo raccontare qualsiasi cosa persino le vicissitudini e le avventure di chi ci ha preceduto.
Alcuni fatti mi intrigano parecchio e mi incanto sempre ascoltando certe testimonianze. Per questo mi fa piacere condividerle con voi.
Oggi andremo sopra l’abitato di Corte e, più precisamente, in una zona chiamata “Loggia”.
E’ un luogo bellissimo che permette l’accesso al cuore della Valle Argentina e ci si trova velocemente alle pendici di tutti i monti principali della Catena Montuosa del Saccarello.
Sarà una strada ben tenuta, ampia e sterrata, a portarmi qui.
Una strada che percorro sempre, circondata da piccoli uccellini, Corvi e Cuculi.
Da qui si raggiunge anche Rocca delle Penne, uno sperone roccioso assai noto nella mia zona. Vissuto da Lupi, Cinghiali e Caprioli.
E’ una zona selvaggia. Non aspettatevi sentieri facili da percorrere, molto spesso si avanza grazie agli “sbreghi”, cioè i tagli, che creano gli animali al loro passaggio. Tagli che non sono adatti a tutti.
Nella conca, in cui ci si trova alla fine dello sterrato principale, prima di inerpicarsi su per le montagne, si nota un bel casone il quale è stato costruito anticamente proprio sulle rive del torrente.
Ricordate tutti cosa è accaduto la notte tra il 2 e il 3 Ottobre del 2020 vero? Esatto, una tremenda alluvione, creata dalla tempesta Alex, ha distrutto tantissime case, strade e boschi della Liguria di Ponente, senza risparmiare la Valle Argentina.
La Foresta dei Labari, che si trova esattamente sotto “Loggia” non sembrava neanche più lei. I grandi massi bianchi si erano spostati rotolando via, gli alberi caduti, i sentieri perduti. Tutto era franato.
In quel luogo si poteva ben vedere il devasto di una Natura che spaventa chiunque.
Persino il pastore perse la stalla, molti animali subirono le conseguenze di quella violenza; io stessa, al sicuro nella mia tana, ero spaventatissima ma, quel casone, che come ripeto è esattamente sul torrente, non subì alcun danno.
Com’è stato possibile?
Quando ho parlato con il proprietario di quello che era accaduto, guardando la devastazione che regnava attorno a noi in un silenzio disarmante, tra un sorriso e uno sguardo d’intesa mi ha indicato una piccola cavità proprio di fronte a quella dimora, dall’altra parte del grande rio.
Nemmeno lui sa se sia possibile o no ma gli piace affettuosamente credere che, forse, il merito è anche di quella statuetta che brilla nell’oscurità della grotta.
Una splendida Madonnina bianca e azzurra se ne sta lì dentro, protetta dalle pareti rocciose a sorvegliare quella casa a lei cara.
Cara perché, questa Madonnina, apparteneva alla nonna del proprietario: Nonna Amalia.
Una donna molto buona, la quale era affezionatissima a quella statua e la teneva in camera da letto.
Vi svelerò anche un piccolo segreto su questa straordinaria Nonnina… è persino stata ospite del – Maurizio Costanzo Show -! Si! Da non credere!
Il nipote e io abbiamo molto di cui parlare mi sa…
Quando Nonna Amalia morì, i nipoti non se la sentirono di buttare quella rappresentazione di Maria e quindi decisero di posizionarla in quel pertugio con lo sguardo rivolto verso il casone.
Beh… pare proprio che il loro gesto li abbia premiati e soprattutto salvati. La Madonna, o forse proprio Nonna Amalia, hanno protetto quel luogo caro.
Un luogo che è come una tappa obbligatoria. Non si può passare di lì senza rivolgere uno sguardo a quella piccola grotta tra i massi.
Questi racconti mi emozionano sempre, non c’è niente di più bello che riportare alla luce ciò che è stato nel cuore di chi ancora vive con noi.
Ora però devo lasciarvi, ho ancora molto da sapere su Nonna Amalia e su tante altre storie della mia Valle che voglio condividere con voi.
Vi mando quindi uno squitbacio e vi aspetto per il prossimo racconto!
Al di sopra delle porte dell’antico Monte Gerbonte (1727 mt) tra le falesie di una delle zone più impervie dell’Alta Valle Argentina, nasce un Rio al quale sono molto affezionata in quanto attraversa luoghi splendidi del mio mondo e seguirlo è sempre una meraviglia.
Nasce tra rocce severe, accarezzando scogli grigi, ma il suo percorso offre poi scenari davvero particolari che ogni volta mi incantano.
Sono diversi tra loro, a volte dolci e morbidi, a volte rudi e spogli ed è difficile far ritorno alla propria tana quando si è nei pressi delle sue acque che rapiscono l’animo.
Si tratta di Rio Infernetto che taglia il sentiero dei Parvaglioni (e cioè dei Larici Monumentali della Foresta del Gerbonte) dando vita ad una natura florida e spettacolare.
Ma ci sono punti in cui attraversa rocce aguzze e sporgenti, austere e taglienti.
Le attraversa placido, con le sue acque linde, per poi tuffarsi in cascatelle impetuose come a dare maggior vita a se stesso e al Creato che lo circonda.
Lo si può infatti incontrare calmo, a formare pozze, oppure vivace, mentre allegramente scavalca grandi massi, sorpassa ponti, si infila in canali di pietra e bagna rive.
Rio Infernetto è tutto questo e anche di più.
Splendido, in qualsiasi stagione dell’anno.
Il punto che preferisco è il suo arrivo dove forma una piccola laguna che in estate è abitata dai Gerridi (i Ragni d’acqua) e le Libellule.
Una laguna cangiante, dalla bellezza che lascia senza fiato sia in estate che in inverno.
Qui l’acqua è così trasparente che si può vedere il fondale e diverse piante scendono a cascata a far da cornice.
Le rocce le danno una forma circolare ed è come essere in un piccolo paradiso.
Il silenzio avvolge, rotto soltanto dal canto di qualche uccellino cordiale.
Trovo molto divertente il modo di fare di questo rio.
In alcuni tratti luccica al sole come a volersi far ammirare in tutto il suo splendore, altre volte invece appare cupo, sembra voler nascondere qualche misterioso segreto che solo chi lo ama profondamente può scoprire.
Sa nutrire ma anche proteggere.
Grazie a lui, molta natura viene alimentata e sono tante le esistenze che prendono vita grazie al suo scorrere perpetuo.
Fiori di ogni tipo spuntano per primi già nei mesi ancora freddi per lasciare poi il posto a quelli più grandi e colorati dell’estate.
Un ciclo che si ripete manifestando la bellezza della Natura.
Enormi foglie sembrano ninfee e molte creature del bosco si abbeverano mentre lui scende a Valle sereno.
Le rane depongono le loro uova nei suoi piccoli laghetti. A loro basta un palmo di acqua e, in certi punti, Rio Infernetto è proprio la tana ideale per anfibi e rettili acquatici.
Anche il Gambero di fiume adora questo piccolo torrente perché offre nascondigli adatti alla vita che conduce questo raro crostaceo d’acqua dolce. Raro perché, purtroppo, non ce n’è più una quantità come un tempo ma qui, gli esemplari rimasti, riescono ad ottenere il loro habitat ideale per vivere e riprodursi.
Amano infatti nascondersi e avere angolini bui dove stare tranquilli e adorano anche una certa vegetazione.
A proposito di questo il Rio Infernetto cambia persino colore sapete?
Il muschio e le alghe gli conferiscono sfumature uniche.
Ci sono zone in cui la sua acqua sembra azzurra come il cielo e nei suoi abissi diventa blu cobalto… ma in altri punti invece è verde come gli smeraldi.
Le rocce si specchiano in lui grazie alla sua limpidezza.
Nascendo tra le alte vette che circondano Borniga, osservando i Bastioni rocciosi del Monte Gerbonte, non può certo inquinarsi.
Lì tutto è arido, pulito, roccia pura, ricca di minerali.
Luoghi in cui un tempo vivevano uomini primitivi in profonde grotte e, oggi, queste montagne, sono vissute solo dagli animali più agili e selvatici.
Dove passa Rio Infernetto tutto è selvatico.
E’ sicuramente una delle parti più selvagge della Valle. L’Alta Valle Argentina. Ed è di una bellezza mozzafiato.
Questo rio incontra il Torrente Argentina poco prima del paese di Creppo.
Al di sopra di alcune delle sue incredibili forre si può vedere gran parte della vallata manifestarsi a Sud, verso Loreto, e il panorama è incredibile.
Dona libertà, senso dell’infinito. Permette di vedere le mie amate montagne.
Sono sempre felice quando giungo nei pressi di questo torrentello.
E’ la vita che si mostra e illumina il mondo.
Fa questo effetto anche a voi vero?
Ma ora vi mando un bacio Topi!
Ci vediamo alla prossima meraviglia della Valle! A presto!
Che meraviglia! Che meraviglia! Oggi Topi vi porto in un luogo che considero fantastico!
Molte volte vi chiedo di seguirmi in zone della Valle che raccontano di una vita passata che non esiste più. Spesso si tratta di avvenimenti militari, leggende legate alla stregoneria, il significativo operato di personaggi religiosi ma, oggi, tutto questo non c’entra.
Non c’entra perché questa volta andiamo a vivere “semplicemente” quella che era la vita in Valle Argentina fino agli anni del dopoguerra. Una vita fatta di contadini, terrazzamenti, la quotidianità di un tempo, il sole, le case di pietra…
E che sensazioni indescrivibili ci aspettano!
Credetemi… non posso non immaginare una donna, con la sua pitocca scura e u fudà (il grembiule) infornare del buon pane nel forno comune, non posso non immaginare un uomo uscire al mattino per dirigersi nei suoi campi; piedi che affondano in questo tappeto di foglie secche e ricciolute, sacchi di patate riposti nelle caselle, grida di richiamo da una fascia all’altra che echeggiano per tutto il fondovalle.
E’ impossibile non fantasticar su tutto questo e sapete perché? Perché andiamo a Drondo Inferiore cari amici! E questo significa fare un salto in un passato che poche volte si mostra così evidente.
Drondo Inferiore, oggi completamente disabitato e riconoscibile solo grazie ai ruderi rimanenti, è una piccola frazione di Creppo che sorge nei pressi delle pendici del Monte Gerbonte.
Siamo in Alta Valle Argentina e il termine – Inferiore – ci fa capire che sicuramente c’è anche una parte più sopra chiamata – Superiore – e infatti è proprio così. Di quest’ultima zona resta però davvero pochissimo, per questo vi porto prima qui, in zona Sottana. L’altro Drondo ve lo farò conoscere un’altra volta.
Per arrivare in questo nucleo fantasma serve prendere il sentiero che scende dalla strada principale subito dopo Creppo oppure, proprio da Creppo, prendere la mulattiera che và verso il torrente e si congiunge poi con questa stradina in mezzo al bosco nella quale camminiamo oggi.
Si tratta di un bosco meraviglioso. Faggi, Noccioli e Abeti mi circondano ma sono, senza ombra di dubbio, i maestosi Castagni secolari ad attirare maggiormente la mia attenzione. Non bastano cinque uomini per abbracciarli sapete?
Sì, alcuni sono davvero enormi e rinfrescati da Muschio e Felci.
Altri invece sono molto vecchi, secchi e sono stati attaccati da funghi e parassiti. Sulla loro corteccia generosa zampettano insetti di ogni tipo e parecchi uccelli e roditori hanno costruito la loro tana.
E’ un bosco magico. La Primavera esulta attraverso Violette, Anemoni e Primule e il sentiero è pulito e pianeggiante. Adatto a chiunque.
Tutti quegli alberi sembrano schiere di soldatini messi in fila e, grazie a diverse indicazioni, capisco che da qui posso dirigermi in diversi luoghi.
Potrei andare sulla vetta del Gerbonte o a Borniga, potrei tornare verso Creppo e ammirare il suo ponte antico oppure, come ho detto, proseguire per Drondo attraversando il Rio Infernetto che mi accompagna strada facendo.
Il suono delle sue acque che scorrono sembra a volte silenziato dal canto degli uccelli vivaci che vivono in questa fitta macchia e non stanno zitti un secondo!
Santa Topa, non riesco neanche a scrivere con il baccano che fanno… Vabbè, tanto lo sanno che li adoro e se ne approfittano…
Picchi, Cince, Ghiandaie e Fringuelli se la cantano allegri che è un piacere ma, più avanti, risalendo verso i confini a Nord della Valle, lasceranno il posto a Gheppi, Poiane, Falchi e persino ai Bianconi nella giusta stagione.
Anche Drondo ha un suo ponte e devo attraversarlo per arrivare alle case ma, qui, una sosta è d’obbligo.
L’acqua che scorre sotto di lui è quieta e passa tra grandi massi brillando sotto il sole.
E’ un ponte in pietra così come le fasce che posso iniziare a intravedere.
L’edicola di una Madonnina avvisa che si sta giungendo a un centro abitato dove, un tempo, poteva ricevere preghiere da chi, ogni dì, le passava davanti.
Anche in muretti che racchiudono queste coltivazioni sono in pietra e, immediatamente, mi faccio domande sulla fatica che è stata consumata per poter avere da mangiare.
Passo sopra a quell’arco sospeso nel vuoto. Ora il sentiero si modifica leggermente.
Dei grossi gradini di pietre e radici mi conducono un po’ più su e la vista di alcuni vecchi ripari mi fa procedere con sempre più entusiasmo. Ci sono quasi.
Attorno a me il verde nuovo gareggia con il marrone dell’autunno scorso che l’inverno non è riuscito a spegnere.
Salgo ancora una rampa, sorpasso qualche tronco sceso che forma portali e…. eccomi!
Le prime case di Drondo si mostrano davanti a me sul ciglio di un corridoio calpestato chissà quante volte, in passato, da chi qui viveva.
Alcune porte sono aperte e io sono elettrizzata.
Ci sono delle inferriate alle finestre, alle poche rimaste, e molti oggetti dentro e fuori queste costruzioni.
Pare che qui la gente abbia vissuto fino alla Seconda Guerra Mondiale ma la presenza di pali della luce e cassette delle lettere indicano anni decisamente più recenti.
Anche la fantasia dei rivestimenti sembra la classica degli anni ’70.
<< E’ permesso?! >> domando a quello che sembra essere il nulla ad un primo sguardo. Non posso entrare perché quelle dimore sono parecchio distrutte e malconce ma posso affacciarmi ai loro usci e non vorrei dar fastidio a Pipistrelli o Merli che si sono appropriati di queste costruzioni.
Letti in legno, a una piazza e mezza come si usava una volta… damigiane, piastrelle, scarpe, armadietti dei medicinali… c’è di tutto e c’è anche tanta tanta natura che adesso ha preso il sopravvento.
L’edera si aggrappa a quei muri con tenacia mostrando tinte vivide e venuzze quasi fosforescenti.
Ma da chi sono state toccate quelle pietre prima del suo nascere? Da un anziano che si appoggiava per riposare prima di riprendere il suo cammino? Da un bimbo che giocava a nascondino con i suoi compagni? Da una signora che ci sbatteva contro la sua ramazza per pulirla?
Grandi alberi sono nati all’interno di questi bareghi (ruderi) e hanno distrutto intere pareti.
I Rovi si sono presi la briga di riattivare il DNA di quel terreno indebolendo così le strutture dell’uomo e la maggior parte dei tetti sono crollati mostrando grosse travi di legno che sembrano in bilico.
Mi faccio largo in mezzo a quella vegetazione e salgo scalini tra le case.
Dove una volta c’erano finestre ora ci sono semplici aperture dalle quali i raggi del sole non faticano ad entrare.
Avrete notato che vi ho nominato il sole già diverse volte e adesso vi spiego il perchè.
Una delle cose che più mi ha rapita, pur conoscendo bene l’intelligenza dei miei predecessori, è proprio osservare come i borghi venivano costruiti in base alla presenza della Grande Stella.
Prima e dopo l’abitato di Drondo il bosco è fitto e la strada curva verso fondovalle costeggiando il rio.
Tutto è ombroso, umido… alte rocce delineano il passaggio di piccole cascatelle, il ghiaccio in certi punti persiste… ma non qui a Drondo, non qui dove sorgono le case che vengono baciate dai raggi del sole per lungo tempo durante la giornata.
Eh… mica stupidi i nostri avi!
Continuo a salire tra quelle rovine e giungo a quella che era la costruzione più importante di un’intera borgata: il Forno.
E’ piccolo ma splendido. Realizzato con mattoni pieni e cemento.
Oggi alcune piante lo stanno ricoprendo ma lui continua ad esistere perfetto e intatto.
Salendo per la stradina che passa dietro a questo forno si possono raggiungere Drondo Superiore e Borniga mentre continuando per il sentiero si arriva sulle rive del Rio Infernetto.
Diversi terrazzamenti pianeggianti, un tempo coltivati, mi accolgono. Ci sono parecchi alberi anche qui. Le punte più tenere dei loro piccoli rami appaiono rosicchiate, probabilmente sono tanti i Caprioli che frequentano questo paradiso.
Oltrepassando quelli che erano gli orti di Drondo giungo al rio e alzando gli occhi al cielo posso ammirare le alte falesie della mia Valle. Sono spettacolari e abitate da numerosi Camosci.
Avanzo ancora e, dopo essere scesa, adesso risalgo. Mi guardo intorno, sono nel bel mezzo di un territorio incredibilmente selvaggio. Il Gerbonte si staglia davanti a me, ci sono delle grotte tra le rocce nude e poi ginestre, foglie dorate, sassi bianchi.
Starei qui per ore ma, per oggi, il mio topotour è giunto al termine. Devo far ritorno in tana.
Girandomi per tornare posso vedere Creppo. Da qui non l’avevo mai visto. E’ bellissimo. Una manciata di case sul crinale di una montagna.
Non è lontano. Posso raggiungerlo in poco tempo.
E allora, con un goccio di dispiacere, lascio questo luogo antico e disabitato ma ancora pieno di vita. Una vita sottile da percepire.
Grazie Drondo per le belle emozioni che mi hai regalato nonostante il silenzio (assai apprezzato) che ti avvolge.
Però voi adesso non restate fermi a fare i patetici, dovete prepararvi per la prossima passeggiata che percorreremo a breve.
Su su! Forza… andate a sistemarvi che arrivo e partiamo!
E’ una soleggiata mattina di inizio autunno quando mi inoltro per un sentiero largo e pulito che passa sotto a dei Noccioli e dei Castagni meravigliosi.
Il silenzio assai apprezzato di quel luogo è rotto, di tanto in tanto, dai fruscii delle lucertoline veloci che si muovono tra le foglie secche a terra e il cinguettio di uccelletti felici.
Cardellini e Fringuelli, infatti, mi circondano e mi accompagnano in quella macchia che trionfa di vita.
Posso però udire anche il crocidare di qualche Ghiandaia che sembra alterata (come al solito, visto il caratteraccio che hanno, e mi riferisco soprattutto alla mia amica Serpilla) e il battere del Picchio che buca quei tronchi enormi alla ricerca di linfa e insetti. O forse vuole prepararsi un nuovo nido.
Attorno a me, l’Erica e i Noccioli, rendono tutto ancora più brioso e rigoglioso, colorando di rosa e di verde ciò che ormai sta assumendo tinte più calme e mature.
Nonostante la stagione, posso godere ancora della presenza di qualche fiore più temerario che non ha paura a sfidare i primi freddi.
Il sentiero scende a tornanti e mi porta verso il torrente che attraverso per ritrovarmi nell’antica Foresta dei Labari.
Sono sopra al paese di Corte, ho preso la strada che va verso Vignago, facendomi aprire la sbarra che ostruisce il passaggio, e mi sono diretta verso Case Loggia per la via che conduce ai Casai.
Qui, un percorso morbido di erbetta e foglie, scende alla mia destra e lo prendo per portarvi dove vedrete.
Il piccolo torrente si lascia attraversare con facilità anche se ci vogliono scarponi adatti per non bagnarsi i piedi. Gli scarponi adatti ci vogliono anche perché, nei Labari, la vegetazione è esagerata e senza la giusta attrezzatura e un abbigliamento adatto si rischia di farsi male o di non apprezzare tutta quella bellezza.
I Rovi, infatti, impediscono il cammino con il loro voler essere totalmente al centro dell’attenzione. Carichi di More gustose, che mi consentono una bella scorpacciata, si innalzano boriosi per far notare quelle meraviglie viola e rosse che li abbelliscono.
Altre piante legano le caviglie e trattengono come a voler essere notate anch’esse. Ci sono arbusti che graffiano e fronde che accarezzano ma, tra loro, qualche ragno ha costruito ragnatele resistenti e assai vaste.
Mi rendo conto che da questa descrizione, questo luogo può apparire poco piacevole, ma vi assicuro che non è così. Ci vuole un po’ di sacrificio per raggiungere la meraviglia e, inoltre, tutto quel verde è davvero suggestivo anche se all’essere umano può apparire antipatico. Io poi, che sono una piccola Topina, mi faccio meno problemi sgattaiolando sotto a tutta quella flora.
Quel bosco continua ad essere florido ed esuberante ma, ogni tanto, regala angoli stupendi e quando si giunge in questi piccoli eden si pensa davvero che sia valsa la pena della fatica di prima e di quella che si dovrà fare poi.
Queste zone sono delle affascinanti radure sotto a Castagni secolari dalla bellezza indescrivibile. Non bastano cinque uomini adulti per abbracciarli. Sono enormi, antichi, saggi.
Sono in quel luogo da tantissimi anni e mi chiedo cosa possano aver vissuto.
Hanno già partorito dei ricci che il vento forte dei giorni precedenti a fatto cadere a terra ancora acerbi. Il loro verde è sgargiante, quasi fosforescente ma, dentro, le Castagne protette sono sane, turgide e pronte per essere consumate.
Le chiome generose di questi alberi fanno ombra alle Felci sottostanti che rendono quel sottobosco prospero e fresco. Sono le piante che simboleggiano il mistero e infatti chissà quanta vita si nasconde sotto i loro rami leggeri. Piccoli roditori come me e insetti trovano il loro habitat naturale proprio tra questo cupo fogliame.
La Felce permette al bosco di essere più idratato e umido in quei punti. Lo si nota anche dalla presenza di molti Funghi strani attaccati ai tronchi.
I Noccioli persistono e con i loro fusti sottili e ramificati e le loro foglie a cuore nascono tra scogli ricoperti di muschio nuovo, rendendo quel palcoscenico un territorio simile a quello dell’Irlanda.
Mi aspetto di vedere un Druido uscire da dietro un arbusto e parlarmi.
Un’ulteriore radura, ancora più aperta delle precedenti, mi permette di vedere il cielo che da tempo non riuscivo ad osservare sotto a quelle alte piante.
Che meraviglia quelle montagne ancora verdi!
Non solo, vedo anche i profili dei miei monti e vengo salutata persino da un’Aquila Reale che sorvola su quei crinali alla ricerca di cibo.
Gli spunzoni delle Rocche più conosciute svettano nel vuoto e fanno impressione. Viste da qui assumono un aspetto austero e imponente.
Quella più dolce, dietro di me, è Rocca della Mela, il panettone della Valle Argentina. Un enorme masso bianco e tondo che amo sempre guardare come se fosse un punto di riferimento.
Da qui posso vedere anche il Toraggio e il Pietravecchia se mi volto verso Sud – Ovest e mentre mi accingo a scrutare quelle cime conosciute l’eco mi porta il grugnire di diversi cinghiali.
Il sole scalda di meno rispetto a qualche giorno fa e i rettili fanno di tutto per riscaldarsi a quei tiepidi raggi. Una grossa Vipera se ne sta in panciolle sdraiata su della legna e non vuole essere disturbata. Si mimetizza molto bene tra quei rami secchi che formano una catasta naturale. Sta facendo rifornimento di calore. E’ bellissima con quei disegni che le arricchiscono il corpo e deve aver appena mangiato perché la sua pancia è davvero enorme! Santa Ratta, speriamo non si sia divorata un mio parente!
E’ bene proseguire. Nel bosco mi vogliono tutti bene ma la fame è fame, quindi meglio lasciar in pace Signora Aspide e continuare per la propria strada.
Ascolto cos’ha da dirmi questa Foresta così sontuosa. Mi parla di tempi passati. Immagino Saraceni e poi Partigiani nascondersi qui. Immagino animali che oggi non vedo e mi soffermo al suo nome – Labari -.
Dopo aver visto l’Aquila Reale mi viene in mente che i Labari erano degli stemmi Romani che venivano applicati a delle aste per onorare l’Imperatore che accompagnava il proprio esercito. Su questi drappi, di stoffa rossa e oro, veniva proprio ricamata la figura di un’Aquila Reale.
Nella mia Valle sono ancora oggi presenti tante strutture realizzate dai Romani e mi ci vuole davvero poco a pensare, con la fantasia, a truppe armate, cavalli bardati e uomini pronti a conquistare luoghi. Proprio qui.
Proprio in questi boschi che ora invece mostrano solo pace e natura.
Alcuni resti di vecchi casoni di pietra mi portano ad una vita pastorale. Potevano essere case, cascine, rifugi, stalle, magazzini, caselle… qui qualcuno ha vissuto o teneva provviste.
Alcuni tratti sono freschi e scuri, è come essere nel ventre di una madre, ci si sente protetti ma occorre ugualmente fare attenzione. Dobbiamo cercare di essere cauti e gentili in un territorio che non abitiamo quotidianamente.
Il tappeto di foglie cadute l’anno scorso scricchiola sotto le mie zampe e mi fermo per ascoltare altri nuovi rumori di quella vita.
Si sta d’incanto. Mi siedo. Tiro fuori la mia piuma e l’inchiostro. Prendo una grossa foglia di Castagno e inizio a scrivere le mie sensazioni.
Vi lascio quindi ma, come vi dico sempre, restate pronti. Appena ho finito, vi porterò in un altro posto da favola.
forse non tutti sapete che, in Valle Argentina, due paesi, quelli più in alto, verso il confine con la Francia e il Piemonte, sono considerati – brigaschi -. In realtà sono tre perché bisogna tener conto anche di Borniga ma quelli più grandi e più abitati (seppur abbastanza solitari) sono Realdo e Verdeggia, belli e amati.
Alcuni storici dichiarano, però, che Verdeggia non appartenne mai alla cultura brigasca ma essendoci un po’ di disordine in questo mi sento di citare entrambe le versioni. Non dimentichiamoci che, a quanto pare, le radici sono comuni per entrambi i paesi ma, come ben sapete, io non sono uno storico bensì un’allieva sempre vogliosa di imparare.
Da quello che ho capito, la confusione nasce per il fatto che Realdo apparteneva a Briga, prima di passare a Triora nel 1947, mentre Verdeggia è sempre appartenuta a Triora.
Con diversi villaggi, non liguri, come Carnino, Piaggia, Briga e altri, formano l’ultima comunità di terre brigasche esistente. Una comunità assai unita un tempo, unita soprattutto da un linguaggio, il noto dialetto brigasco, diverso da altre parlate e che oggi, purtroppo, si va perdendo.
Si tratta di un dialetto definito “occitano” ma, anche qui, ci sono contrasti in quanto parecchi linguisti affermano che non ha nulla di occitano ma si tratta di un antico linguaggio ligure alpino.
Nonostante questa unione e le loro usanze, nonostante la loro cultura, apprezzata e portata avanti negli anni con orgoglio, si narra che, tra storie reali e qualche leggenda, Realdo e Verdeggia abbiano vissuto un tempo di litigi che li ha visti separarsi al punto da detestarsi come si conviene.
Pare che il tutto sia nato per una questione di terre e confini, in un tempo dove la terra era l’unica fonte di nutrimento e reddito, sia per quel che riguardava la coltivazione sia per i pascoli.
E allora potete ben immaginare cosa accadeva quando, ad esempio, una fanciulla di Realdo si innamorava, corrisposta, di un baldo giovane di Verdeggia. I due poverini potevano vedersi soltanto di nascosto, magari di notte, e magari tra quei boschi meravigliosi che circondano questi due borghi. Sono diversi, infatti, i sentieri che uniscono queste due frazioni passando tra la macchia più fitta.
Un astio che è andato avanti negli anni e, ancora oggi, tra lo scherzo e la realtà, pur avendo mentalità decisamente più aperte, c’è chi fa notare che se si elargisce qualcosa a Realdo, occorre darlo anche a Verdeggia, fosse anche solo un complimento. Me ne guardo bene, infatti, io, a scrivere apprezzamenti soltanto a uno dei due! (Sorrido…).
Stiamo parlando di due villaggi davvero particolari, simili tra loro ma anche assai differenti.
Mentre uno è arroccato e incastonato tra le falesie più severe dell’Alta Valle Argentina, mostrando un carattere rude e sprezzante del pericolo, l’altro si lascia abbracciare dal verde più intenso che c’è, attraverso i profili morbidi della sua personalità. Mentre uno appare impavido e solenne, sull’orlo di un dirupo profondo e brullo, l’altro mostra dolcezza e sensibilità adagiato su un letto smeraldino.
Non è assolutamente così. Le doti descritte le hanno entrambi ma, all’apparenza, sembra proprio di poter godere di tantissime qualità differenti accoppiandoli assieme. Non per niente, uno si chiama Realdo che deriva da “Re Alto” e il nome dice tutto, l’altro invece si chiama Verdeggia che deriva da “Verdeggiante” e, anche in questo caso, il nome è totalmente esplicito.
Per favore, state zitti e non dite assolutamente quale preferite dei due altrimenti succede un quarantotto!
E insomma che questi luoghi magici e storici han litigato dispensandosi screzi a vicenda per molto tempo e restando divisi anche nel loro essere più antico e tradizionale.
Restarono divisi fino al momento in cui decisero, per la gioia di tutta la Valle, di fare la pace. Questo momento fu talmente importante che si decise di far qualcosa per renderlo significativo e ricordato nei tempi a venire.
E cosa poteva esserci di meglio di un Ponte per rimarcare questo giorno solenne?
Ebbene sì, Topi, un vero Ponte venne realizzato proprio prima del bivio che conduce sia a Realdo che a Verdeggia continuando la strada principale in modo da attraversare il Torrente Argentina. A questa struttura venne ovviamente conferito il nome di “Ponte della Pace”. Mai nessun termine fu più adatto.
Come se non bastasse, proprio dal bivio, venne persino posizionato un grosso masso a reggere una targa in memoria del lieto evento. Una targa che recita così (vi traduco quello che è scritto in lingua originale):
“Realdo e Verdeggia uniti da tradizioni, modi di fare e parlata a Briga, Morignole, Piaggia, Upega, Carnino e Viozene (sarebbero gli altri paesi brigaschi, non liguri, che vi citavo prima) in ricordo, al segno di Pace, nell’antica origine Occitana”
Pensate quindi, questo momento, quanto fu significativo.
E che luogo stupendo è questo. Il Ponte, breve e diritto, vive tra una vegetazione florida.
Il grande masso è sempre circondato da tante Farfalline.
Se si alzano gli occhi al cielo si può vedere il Monte Saccarello che sovrasta Verdeggia e si nota anche la bellezza austera di Rocca Barbone.
E’ piacevole ritrovare con lo sguardo i monti dai quali siamo abituati a lasciarci abbracciare.
Questo Ponte, oggi asfaltato, passa sopra al torrente rigoglioso, giovane, dalle acque fresche e limpide.
La quiete del luogo è rotta proprio dal rumore delle sue cascatelle che però, naturalmente, non disturbano affatto, anzi… Al di sotto di questa struttura, si possono anche notare diverse pozze d’acqua che, placide, bagnano cespugli e massi chiari.
Il canto degli uccellini più piccoli è vivace mentre il volo delle Poiane che sorvolano questa zona è silenzioso e lento.
Lento come lo scorrere del tempo che qui non ha fretta. Sia Realdo che Verdeggia, infatti, sono due paesi dove è assai facile ritrovare il benessere, la serenità e la gioia per la vita e per la Natura. Siamo appena sopra i 1.000 mt s.l.m. e anche l’aria che si respira diventa complice di uno star bene totale.
E allora, insomma, che Pace fu. Tutti lieti quindi. Un avvenimento che appartiene alla storia della Valle Argentina e che dovevo assolutamente raccontarvi.
Qui, vicino al grande masso, c’è anche una panchina, quindi io mi siedo e mi riposo mandando un bacio pacioso a tutti. Mi sento molto mediatrice.
Non starò molto, ho da scrivere altri articoli sulla mia splendida Valle che, ogni giorno, da come vedete, mi regala sorprese e nuove cose da scoprire, perciò, riposatevi anche voi perché presto si parte per altre avventure.
I raggi del sole tardano a scaldare in questa mattina di febbraio e la brina, sulle piccole foglie dall’animo placido, può donare il suo abbraccio più a lungo.
Ne ricopre i bordi, disegnando asterischi ghiacciati che creano un contrasto con il colore della natura ancora addormentata.
L’erba è schiacciata dal gelo come perduta, in realtà a riposo.
Cammino per questo piccolo sentiero indicatomi da una vecchia casa abbandonata a bordo strada e continuo a guardare quella bellezza che scricchiola sotto alle mie zampe. E’ proprio vero che la meraviglia si nasconde nelle piccole cose.
Starei ore, incantata, ad osservare quei bianchi e freddi fiocchetti ricoprire ancora tutto il mio mondo e so di avere poco tempo anche se il sole non si è ancora alzato nel cielo.
Il barego (casone-rudere) è appena prima questo ponte che sto cercando. E’ fatto completamente in pietra e, al posto di porta e finestre, ora ha delle aperture che permettono di vederne il nudo interno.
Mi trovo per la strada che sale per la Valle conosciuta come “la strada di sotto”, cioè la via che sarebbe dovuta essere ricoperta dalla diga non più realizzata. Questa vecchia struttura la si vede molto bene sotto strada, a sinistra (salendo).
La natura si è impossessata di lei dentro e attorno.
Mentre la guardo posso già sentire lo scrosciare dell’acqua poco distante da me. E’ potente e la sua voce riecheggia colpendo le alte rocce che formano il canale del suo passaggio.
Sono rocce lisce alcune, altre ruvide mostrano strie in rilievo. Sono grigio chiaro, a tratti ricoperte da un muschio che mostra varie tonalità di verde.
Anche quello di questa tenera erbetta minuscola, che sembra una moquette, mi pare un abbraccio stretto verso quelle grandi pietre.
In certi punti, le rocce, formano dei veri muraglioni ed è proprio nel punto in cui tali pareti si alzano molto che sorge il ponte.
Posso già intravedere, tra la vegetazione, il suo esserci e gli spruzzi bianchi dell’acqua sotto di lui.
Sul ponte non ci sono muretti a protezione e nemmeno staccionate.
Occorre non sporgersi troppo, è abbastanza altino e sotto scorre il Torrente Argentina in tutto il suo splendore scontrando i massi e formando pozze dove Trote e Gamberi di Fiume trovano dimora.
Sembrano lagune in miniatura. Quanta vita celano là sotto.
E’ possibile passare su questa antica costruzione e raggiungere l’altra parte che mostra un altro sentiero ma permette di raggiungere anche scogli enormi dai quali si ha una bella vista sull’intero arco in pietra che forma quello che oggi voglio ammirare.
In realtà gli archi sono due ma uno è più piccolo, da un lato. L’altro invece, sostiene l’intera struttura centrale.
Il fiume scorre veloce ma attorno al ponte la natura è quieta.
Nonostante la fredda stagione, qualche piccolo accenno di primavera prova a spuntare e, ora che il sole si è alzato e batte forte su quelle rocce, si sta d’incanto.
Tenere e minute foglie dal verde sgargiante spiccano in mezzo a quelle sfumature spente.
Solo gli alberi che racchiudono il percorso offrono zone d’ombra ed è proprio qui, in questo piccolo boschetto, che noto l’abbraccio più bello che mi sia capitato di vedere oggi. Quello tra due alberi che sembrano ballare il tango. E con tanto di casquet!
Mi sposto per osservare quella realizzazione storica da un’altra prospettiva cercando di distogliere lo sguardo da quelle piante romantiche.
Si tratta di un ponte medievale che permetteva lunghe passeggiate sulle sponde opposte e sui monti. Monti che donavano lavoro ma anche frutti e la possibilità di costruire dimore che venivano realizzate in quella macchia.
E’ bellissimo stare qui. Seppur sono vicina alla strada che passa di sotto, per raggiungere da Taggia – Molini di Triora, non si sente volare una mosca e tutto offre un’atmosfera onirica.
Non sono in grado di affermare se questo ponte abbia bisogno di un intervento di restauro. Di certo, guardandolo dal di sotto, pare più solido e più in buone condizioni rispetto a molti altri. E’ facile confonderlo con quello di Agaggio, molto più antico e più malconcio, ma secondo le mie fonti, quello di Glori, è proprio questo.
Vi mando un abbraccio quindi, per restare in tema, anziché un bacio, e vi aspetto per il prossimo tour!
In Valle Argentina ci sono luoghi che offrono ambienti suggestivi e sempre diversi ogni volta che ci vai, a seconda della stagione e delle condizioni meteorologiche del momento. Ecco perché certi scorci vanno assaporati in occasioni diverse, per poter godere della bellezza che Madre Natura offre e che sa dipingere in modo sempre differente.
Oggi vi porto a visitare un posto che definire fiabesco è poco, conosciuto e visitato soprattutto da fotografi e appassionati di epiche storie fantastiche, non a caso, aggiungerei. Sto parlando del ponte di Creppo e dei suoi dintorni, attraversati da sentieri variegati in cui è bello perdersi e abbandonarsi all’avventura.
Per scendere giù, fino alle acque limpide e cristalline del torrente, si imbocca il sentiero dalla strada provinciale, subito sotto l’abitato di Creppo. Volendo, da qui si potrebbe arrivare a Drondo, a Ca’ de Bruzzi, al Gerbonte e in altri luoghi meravigliosi, ma oggi il nostro breve tour si fermerà al ponte.
Si scende dolcemente, seguendo i profili soleggiati delle campagne e dei prati assolati, dove gli alberi da frutto sono spogli. Siamo accompagnati dalle pietre rustiche dei muretti a secco, quei massi che caratterizzano la mia terra e ai quali sono affezionata.
Roverelle e Ippocastani svettano contro il cielo azzurro e terso, sono ormai spogli e i loro rami paiono dita nodose agganciate alla volta celeste.
Giungono anche due occhioni dolci a salutarci in questa nostra passeggiata e intorno è tutto un andirivieni colorato del giallo e del blu delle cinciallegre.
Anche se siamo a gennaio, il tepore del sole scalda a sufficienza e ci permette di indugiare sul paesaggio senza rabbrividire. Il Gerbonte si erge davanti a noi, il suo volto aguzzo è piacevolmente familiare, punto fermo di tante passeggiate. Con lui, stretto in un abbraccio tra rocciosi parenti, c’è anche il Grai coperto di bianco.
Si abbandonano le bionde campagne per attraversare luoghi più umidi, si passa sotto rocce incombenti dalle quali piovono cascate di piante verdi e tende di rami ormai secchi.
E ancora la luce del sole si spegne un po’ di più, resta in alto e non ci raggiunge. Siamo assai vicini al torrente ormai. Si passeggia fra i tronchi delle conifere sempre rinverdite dal loro fogliame, alternate dalle spoglie latifoglie, che mostrano senza pudore il loro tronco nudo.
Ci sono anche castagni secolari, perfettamente riconoscibili in mezzo all’apparente desolazione della natura. I colori che prevalgono sono il marrone del suolo e il grigio-bruno degli alberi, ma c’è un’altra tinta che inizia a dipingere i massi: il verde brillante del muschio, talmente acceso da sembrare surreale.
Poi, tutt’a un tratto, si gira una curva, si fanno due passi in salita e…
… ci si trova in un mondo del tutto diverso, magico e incantato come una fiaba, dove ogni cosa è coperta da uno spesso manto di brina. E il ponte di Creppo è là, immobile in mezzo al candore. Il suo suggestivo semicerchio è come la gobba della luna di cui oggi imita il pallore.
Sembra che la Bianca Signora sia passata di qua lasciando dietro di sé una scia come un sentiero di petali gelati da seguire. E io li seguo, eccome!
Sembra incredibile che solo pochi istanti fa eravamo al sole, baciati dal suo calore, mentre adesso la punta della coda e del naso sono fredde, circondate da una temperatura ben diversa. Il terreno è duro di gelo, i fili d’erba scrocchiano sotto le scarpe al nostro passaggio, talmente sono gelati. E in alcuni momenti, il ghiaccio pare formare coi suoi merletti dei minuscoli fiori congelati, se ne contano persino i petali.
I profili delle nervature delle foglie cadute sono dipinti di bianco e tutto sembra ingioiellato da minuscole perle argentate.
I rami più bassi protendono le loro dita ossute verso di noi, qualche volta indossano guanti di licheni e paiono volerci afferrare per farci restare un altro po’.
Anche le pietre del ponte antico hanno la loro morbida e bianca pelliccia, mentre sotto scorre l’acqua col suo scroscio costante, ma mai impetuoso.
Saliamo su quel ponte, lo attraversiamo e in un attimo siamo dall’altra parte, pronti a salire di nuovo. La brina ci accompagna ancora per un po’, poi lascia il posto ai raggi del sole, che illumina gli alberi sui versanti dei monti e tinge il mondo di colori più vivaci. A questo punto, dopo una breve salita, il sentiero prosegue in piano tra ginestre, pini silvestri e castagni ritorti.
E da qui si attraversa un altro ponte, questa volta in legno, ristrutturato dal Comune di Triora e co-finanziato dal Parco Alpi Liguri. Oltre quel ponte, qualche passo più in là, la cavalla dagli occhi dolci ci attende insieme all’abbraccio di Creppo.
Per oggi ci fermiamo qui, topi, ma presto vi farò conoscere altre meraviglie.
Topi, ve ne sarete accorti anche voi, ormai: la Valle Argentina si è tinta di un colore stupendo che rimanda all’abbondanza e alla rinascita della Natura tutta.
In questa stagione, quando la Primavera è ormai in discesa e cede sempre più il passo all’Estate, ecco che la tavolozza della Valle assume tutte le sfumature delle tinte smeraldo.
Verde è l’acqua del torrente Argentina e dei suoi affluenti.
Verdi sono i monti e i prati e gli alberi.
Verde è la Natura in tutto il suo più rigoglioso splendore.
Ogni cosa intorno a noi viandanti di sentieri appare rinnovato, gonfio di vita e pieno di energia.
Il colore di cui è vestita la Valle, dal Saccarello al Mar Ligure, è sinonimo di equilibrio, armonia. Tutte doti di cui possiamo riempirci gli occhi e, attraverso di essi, lasciare che penetrino in noi e ci riempiano. I colori sono importanti, topi! Non per niente esiste la cromoterapia come strumento aggiuntivo utile alla guarigione di alcune patologie.
Quello di questo periodo è un verde che talvolta pare brillare di luce propria, è vivo, splendente, pulsante. A guardarlo, infonde calma e pace, ci permette di respirare più profondamente lasciando andare le preoccupazioni della giornata. E’ utile soprattutto ai topi di città per alleviare lo stress. D’altra parte, in luoghi belli e smeraldini come quelli offerti dalla mia Valle lo stress non è ammesso. L’abito verde dei monti, dei prati e delle fronde di questo periodo stimola il sistema nervoso, svolgendo su di esso una benefica azione calmante. Madre Natura ha pensato a ogni cura per tutte le sue creature, come potete vedere!
Ma il verde è anche il colore dell’amore incondizionato e della compassione, associato al cuore e alla sua apertura verso l’altro e il mondo.
Mette buon umore, già solo a riempirsi gli occhi di questo colore le labbra si distendono, le sopracciglia si rilassano e con esse tutti i muscoli del viso. E intanto si respira più a fondo, portando i suoi effetti benefici a tutte le cellule dell’organismo.
Fa assai bene anche per chi si diletta nell’arte, poiché stimola la creatività. Costituisce una vera e propria ricarica energetica, nonché un rimedio per l’ansia e la rabbia.
Insomma, topi, il verde è davvero prezioso e farne scorta con lo sguardo è assai facile in questo periodo.
Torno a zampettare per voi e intanto vi saluto. Un bacio di smeraldo per tutti voi!
So che a parecchi di voi questa immagine potrebbe fare un po’ ribrezzo, eppure vi sto per parlare di un habitat importantissimo e fondamentale della natura.
Il colore verde, che da come potete vedere ha tinto tutta l’acqua e il fondale, è dato da piccolissime alghe e mucillagini che si sono formate grazie alla luce solare. Ecco infatti i protagonisti della vita: l’acqua e il sole.
Le mucillagini sono microorganismi che contengono proteine date proprio dalle piante sia terrestri che acquatiche.
Le bollicine si formano invece attraverso il surriscaldamento e l’attività frenetica dei batteri, molto utili anche loro, i quali si occupano della trasformazione delle cose. In caso di pozza, l’acqua dopo un po’ evapora e attende la pioggia per riempirsi nuovamente o assorbe nuova acqua dalla falda sotterranea che la nutre. Alcune bolle, invece, possono essere create da piccole creature e dalla loro respirazione o dal loro movimento, mentre altri tipi possono essere le uova di certi animali.
In questo ambiente, che si può definire a tutti gli effetti un micromondo, c’è tutto quello di cui alcuni animali necessitano. Ci sono nascondigli, cibo, zone per il relax.
Qui, zanzare, moscerini, trote, salamandre, rane, rospi, pipistrelli, gamberi, bisce, gerridi e molte altre specie trovano da mangiare o sono loro stesse alimentazione per altri, dove un circolo perfetto continua perpetuo.
In Valle Argentina siamo abituati a vedere acqua limpida e fresca sgorgare dalle fonti o correre in discesa, impetuosa nel torrente, ma se si bada bene lo stesso torrente, ai bordi, può mostrare questi particolarissimi habitat. Da noi, certo, sono sempre molto piccoli, ma in alcune zone del mondo possono invece ricoprire l’area di interi chilometri quadrati e questo accade perché il pianeta ha bisogno di questi cosmi in miniatura.
Da qui, infatti, risale evaporando l’umidità giusta che occorre al bosco e al territorio circostante, la quale regola la temperatura, il microclima e permette a fiori e foglie e al terreno stesso di essere imbibiti del liquido più prezioso e vitale: l’acqua.
Questa specie di stagno si può ricreare anche artificialmente in giardino, dove alcuni pesciolini saranno lieti di sfamarsi con larve o pupe, purché sia abbastanza capiente da permettere all’ittiofauna di muoversi in tutta tranquillità.
Non è difficile trovare in queste mini paludi anche delle bellissime piante acquatiche come gli Iris d’acqua, il Papiro, le Ninfee o le Canne.
D’ora in poi, prima di storcere il muso davanti a certe tane, sappiate che possono essere importantissime anche per voi! La vita inizia proprio lì!
Come ogni fiume e ogni torrente del mondo, anche l’Argentina sfocia nel mare in quella che è chiamata “zona della Darsena”, ad Arma di Taggia. Si immette nel Mar Ligure, un mare chiaro dal carattere deciso che ha scolpito e intagliato nel tempo, col suo andirivieni, paesaggio e abitanti.
Un mare che si infrange contro scogli scuri, moli sistemati dall’uomo nell’ultima metà dello scorso secolo e spiagge chiare, color maggese, che accolgono spesso folate di forti venti nonostante il clima mite che perdura a ogni stagione.
Quella che si presenta è una spiaggia sabbiosa che nel 2016 ha ottenuto il conferimento della Bandiera Blu dalla FEE-Italia (Foundation for Environmental Education).
Arma, con le sue spiagge, risulta essere una zona bella e pittoresca del Golfo Ligure e la passeggiata a mare che costeggia i lembi di sabbia è lunga quanto tutto il paese.
In queste zone, i gabbiani sono i padroni assoluti, sorvolano gridando sulle teste di chi passeggia pigro, per poi tuffarsi nell’acqua e lasciarsi cullare dalle onde. Anche i piccioni bazzicano sulla sabbia tiepida e le loro impronte sono inconfondibili.
Un bello svago e un gran vantaggio anche per gli amici a quattro zampe degli armaschi, i quali possono scorrazzare liberi e giocare con un’onda e con l’altra, soprattutto durante la stagione invernale.
Anch’io mi diverto molto sulla morbidezza di questo terreno. E mi diverto a rincorrere le alghe essiccate al sole che svolazzano rapite dalle correnti.
Su queste spiagge si possono trovare anche molte cose interessanti. È la corrente a portarle. Come gli splendidi pezzi di legno, levigati dall’acqua, dalle forme più stravaganti. Solo la fantasia può dare un senso a certe sagome bizzarre, ma il divertimento è assicurato.
Per non parlare di sassolini e conchiglie: ce ne sono per tutti i gusti!
È bello vedere le persone anziane ritemprarsi al profumo di salsedine e al rumore soave del mare.
Se ne stanno lì, seduti per ore, a contemplare l’infinito azzurro. È in questo infinito che si può scorgere la Corsica in base a determinate condizioni meteorologiche.
I più attivi, invece, e anche più giovani, sono decisamente più sportivi, ma questa zona balneare offre spunti interessanti per l’attività fisica. Immaginatevi cosa vuol dire correre o camminare sulla spiaggia con un panorama come questo. C’è anche chi può praticare nordic-walking, uno stile di camminata molto salutare che si esegue con i bastoncini.
E che meraviglia quando queste spiagge vengono baciate dai colori delle albe e dei tramonti! Nessun pittore riuscirebbe a creare qualcosa di più bello… no, no.
Le sfumature si riflettono sulla sabbia beige e l’accendono di toni caldi e nutrienti.
Nutrono lo sguardo e il cuore.
Le spiagge di Arma, un luogo meraviglioso di cui godere, nella pace e nella quiete, preludio di una Valle incredibile che offre tutto.