L’Estate – il tempo dei frutti

Se la Primavera è il tempo dei fiori, l’Estate è quello dei frutti e, fortunatamente, nella mia Valle Argentina, le stagioni si distinguono ancora molto, offrendo ognuna le proprie meraviglie.

Il verde è il colore regnante, un verde acceso che ammalia e anche i doni di Madre Terra sono verdi, per il momento… o almeno quasi tutti.

Oggi vi porto a vederne qualcuno, sono bellissimi e golosissimi. Naturalmente, nella mia Valle si trovano ovunque, perché quelli autoctoni nascono selvatici nei boschi e nei sentieri.

Per conoscerli meglio andrò a trovare Maga Gemma, lei sa tutti i loro segreti e sono sicura che mi racconterà molte cose su questi straordinari regali della natura dei quali io sono ghiotta.

Inizio già a vedere alcune piantine che conosco, sento qualche dolce profumo e vedo le loro tinte sgargianti, che meraviglia! E’ tutto offerto dal pianeta… mi sento grata e ricca! Qui c’è da mangiare per mesi e mesi!

«Pigmy, cara!» esclama una bellissima voce femminile dietro di me. «E’ possibile che pensi sempre a mangiare?!» la maga mi sorride.

«Maga Gemma! Ma come hai fatto a capire che…»

«Oh! Pigmy, suvvia… sono una Maga…» sorride ancora.

Io sono sbalordita da tanta bellezza che mi circonda. Attorno alla casa di Maga Gemma, una stupenda dimora in mezzo al bosco, c’è qualsiasi ben di Dio e, curiosa come sono, inizio subito a gironzolare e a infilare il muso ovunque, rapita da tanto splendore.

«Quelli sono Piselli Pigmy. Tra pochissimo si potranno mangiare.»

Ma che meraviglia! Sono buffi e molto carini, delle piccole palline con le quali si possono realizzare minestroni, contorni, insalate, creme, zuppe…! Mi volto di scatto attirata da altre biglie. Questa volta sono colorate di un rosso fuoco e sono appese a un albero: «Le Amarene!» urlo raggiante.

«Esatto! Più aspre delle Ciliegie ma anch’esse ricche di proprietà.» mi rivela la Maga.

«Davvero?» sono una grande conoscitrice di piante e fiori, ma vorrei che Gemma mi dicesse qualcosa di suo. «Racconta!» la esorto.

«Beh…contengono melanina e quercetina, la stessa sostanza che trovi nelle Cipolle. pensa. Quindi sono antitumorali, ma rilassano e fanno dormire sereni. Ottime contro lo stress. Tu non ne soffri, ma i tuoi amici umani sì!». Ecco, questa cosa non la sapevo.

«Nel dialetto della Valle si chiamano “Agriotti”», dico. «Alcuni frutti assumono nomi davvero strambi. Le Fragole sono “Merelli” e le Albicocche “Miscimì”. Bah!» ridiamo entrambe e continuiamo la nostra gita tra erbe e alberi.

Ecco, una delle poche piante senza fiori e senza frutti, poiché sono invernali. E’ il Kiwi e, per ora, offre una gradevole ombra proprio davanti alla casa di Maga Gemma grazie alle sue foglie larghe e tonde. Il Melo, invece, ha già fatto nascere piccole melette ancora verdi. Saranno aspre anche quando saranno mature, ma succose e buonissime perché contengono un’acidità molto piacevole. Fanno proprio bene, tra l’altro! Queste sono le vere Mele che tolgono il medico di torno, se mangiate ogni giorno!

«Seguimi Pigmy, voglio farti vedere uno spettacolo» mi invita la Maga e, fiduciosa, mi avvio dietro di lei. Mi fa chiudere gli occhi, mi fa fare qualche passo e, quando spalanco il mio sguardo rimango allibita! Neanche qui i frutti ci sono ancora, ma quello che vedo è il loro preludio! Gli Ulivi, alberi quasi sacri per noi liguri, sono completamente bianchi perché ricolmi di minuscoli fiorellini che tra qualche mese saranno Olive, le migliori al mondo: la speciale Oliva Taggiasca. Sono un trionfo di candore, sembrano pieni di lana, di neve! Qui da noi si dice “con la panna”! Appena si sfiorano con le zampe, cadono lievi a terra, perciò è bene non toccarli troppo! Un affascinante manto bianco che incanta.

«E questa invece sai cos’è?» mi dice quella splendida donna. Riconosco il frutto, non sono mica nata ieri, in fondo: «L’Uva Spina!».

«Bravissima! Per chi soffre di problemi all’intestino, questa è un vero toccasana!»

«Oh, sì!» replico. «So che contiene anche tantissima Vitamina A e tantissima Vitamina C,ed è anche molto dolce.»

«Esatto. Ancora poco tempo e sarà pronta anche lei. Questa, come vedi, è la varietà bianca, ma c’è anche quella rossa o violacea.»

«Che splendore!» Ammiro tutto estasiata.

Non posso credere di essere circondata da tanta ricchezza. Neanche a dirlo mi sono fatta una bella scorpacciata di parecchie cose mentre quelle che devono ancora maturare sanno che dovranno attendermi, perché tra qualche giorno verrò ovviamente ad assaggiarle.

Saluto Maga Gemma, la ringrazio e me ne torno alla tana con un bel cestino pieno di tante prelibatezze e, nelle narici, il dolcissimo profumo dei Tigli che mi ha riempito i polmoni. Qualche Zucchino, due Albicocche, un po’ di Pomodori… posso sfamare un reggimento. Ora devo lavare tutto, cucinarlo e farmi un po’ di provviste, quindi vi saluto e vi aspetto per il prossimo tour nel bosco dove andremo a mangiucchiare altre squisitezze, tutte naturali.

A presto Topi! Preparate le dispense!

I colori attorno a me

Quando si associano i colori alla natura si pensa solitamente all’autunno, ma, ora che siamo in primavera, uscendo dalla mia tana mi rendo conto di quanta meraviglia colorata ci sia attorno a me.

L’autunno offre spettacoli incredibili di tinte accese, infuocate ed energiche, ma cosa vogliamo dire di questo periodo, che dona timide e delicate nuances? Il lilla, il rosa, il giallo, l’azzurro… E dell’estate, ne vogliamo parlare? Con quei tocchi sgargianti di rosso, arancio e blu! L’inverno, poi, regala sfumature più tenui di colori pallidi e gentili che riposano e sospirano.

Sapete bene ormai che io, a malincuore, di letargo ne faccio ben poco, altrimenti poi mi venite a bussare al tronco di castagno per chiedermi nuovi post, ma tutto questo ha anche il suo lato positivo perché ogni giorno dell’anno, ho la possibilità di svegliarmi e riempirmi gli occhi di arcobaleni! Oh sì! Anche tutto questo si chiama “Valle Argentina”!

E i suoi boschi, le sue falesie, i suoi doni, il suo mare, i suoi prati e il suo cielo propongono ogni dì una nuova bellezza. Colori che non solo si vedono, ma si respirano anche! Si percepiscono, si toccano! Sono colori che vivono con me. Non mi soffermerò a elencarvi le varie tinte come il marrone della nocciola, il verde delle foglie e il porpora dei mirtilli, voglio raccontarvi come possono, tali colori, estasiarvi.

Vedete: un conto è ammirarli, un altro è trovarvisi proprio nel mezzo. Io son piccina come una ghianda, a me riesce bene. Immaginatemi scorrazzare tra l’erba piena di fiori variopinti! Potete capire la mia meraviglia! Mi basta sostare sotto al piccolo fiore di un trifoglio per vedere tutto il mondo violetto. E lo sapete che solo di verde ce ne sono infinite tonalità?

Stavo pensando, infatti, che, come vi ho detto molte volte, persino il nome stesso della mia Valle è quello di un colore: “Argentina” da “argento”. Questo argento, però, è associato a un verde, quello degli Ulivi che sappiamo mostrare un verde argenteo quando le loro foglie sono mosse dal vento. Ma, guardandomi intorno, posso notare che questa particolare tinta è data anche dal Rosmarino, ad esempio, e dalla Lavanda, che l’argento lo ricordano parecchio. Per non parlare del brillio dell’Ardesia e dell’Arenaria… altro che argento! Può arrivare ad assomigliare a un luccicante… grigio topo… splendido colore! Vi pare poco?

E volete che vi racconti dei colori delle mie albe e dei miei tramonti? Ah no! Non posso! Solo un poeta potrebbe. Sono così splendidi e meravigliosi che non meritano di essere offesi da parole dal basso pregio perché, credetemi, quando i monti s’incendiano al sole, quando il cielo fiorisce di rosa, quando le nubi arrossiscono e il sole è come una grande arancia sospesa… be’… è tutto veramente meritevole di poesia.

Posso raccontarvi, tuttavia, qualcosa del blu notte che scurisce sopra il mio muso dopo il crepuscolo. Un blu quasi nero, che avvolge il firmamento e si veste di mistero. Un blu scuro che zittisce ogni cosa, che tutto spegne. Tranne le lucciole, che rifulgono beate in alcuni periodi dell’anno. E sono bellissime. A me tengono molta compagnia e mi permettono sempre di far ritorno in tana a qualsiasi ora. Dei minuscoli lanternini contro l’oscurità.

Allora topi? Cosa ne dite? Vi ho convinto a credere che, nella mia Valle, i colori siano grandi protagonisti e che sappiano mostrare anche qualcosa di magico? Lo spero, perché è davvero così.

Per adesso vi mando un colorato sorriso, vado a dipingere un altro post per voi.

Incantevoli Contorni – e si ritorna a camminare –

Evviva! Proprio quel che si può definire una vera passeggiata. Finalmente! La prima dopo tanto tempo e, per farla ho scelto la campagna. WP_20150602_0244 km di natura che si svolge tutto intorno, a perdita d’occhio. Ve l’avevo promesso, ricordate? E’ stato bellissimo e quindi ve lo propongo sperando anche di farvi sorridere con le belle immagini che ho fatto per voi. Non vi servirà aver pranzato per camminare qui. WP_20150602_004Nella giusta stagione, per questa via, si trova davvero di tutto: albicocche, fragole, ciliegie, mirto, mele, ginepro, susine, more, tarassaco, finocchio. Un insieme di erbe e frutti da arricchire l’intera valle. Valle Steria, ad Est, di fianco alla mia. WP_20150602_026La via che percorriamo si chiama Via Imperia e congiunge i magnifici borghi di Villa Faraldi e Tovo e poi… poi volendo si, si scende fin giù a Chiappa e a San Bartolomeo al Mare e i chilometri aumentano ma non esageriamo oggi, magari la prossima volta. WP_20150602_029Partiamo quindi da Villa Faraldi che vi avevo già descritto qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2012/03/10/villa-faraldi-accoglie-fritz-roed/, chiamata anche “la Piccola Atene dell’Arte” dopo aver gustato un ottimo pranzetto (e si, ormai si era mangiato) e dopo aver fatto interessanti e simpatici incontri. WP_20150602_015Un asino nato da sole 24 ore, trotta e sgambetta giù per le fasce e la mamma non lo molla mai di vista. WP_20150602_017E’ agile e vivace con un’espressione dolcissima dipinta sul muso e appena si ferma vuole subito ciucciare un pò di buon latte. E’ insieme a tanti amici e si diverte un mondo. WP_20150602_012Per la strada regna il silenzio. Sono solo le 14:30 e anche gli animali riposano. Non si sente davvero volare una mosca. La strada è asfaltata ma la vegetazione intorno mostra campagne, boschi e panorami mozzafiato. Laggiù si può anche vedere il mare. WP_20150602_018Siamo di poco sopra i 300 m. sul livello del mare ma l’aria e l’atmosfera sono nettamente diverse. I fiori parlano al posto degli insetti e degli uccellini che solo verso il tardo pomeriggio iniziano a farsi vivi. WP_20150602_028Ce ne sono davvero di tutti i colori: il giallo della ginestra e dell’elicriso, il fucsia del pisello selvatico, il bianco delle rose rampicanti, tantissime. E il verde. Quante tonalità di verde ci sono! WP_20150602_023Solo un piccolo rio tiene compagnia con il suo scrosciare delicato in una cascatella veloce e senza sosta. Ogni tanto una panchina offre riposo e scorci appaganti per lo sguardo ma io sono stata brava e ho sempre continuato a camminare. WP_20150602_022Ecco, quello che invece manca, e lo dico per chi volesse venire a passeggiare per di qua, è una fontanella per bere. Vi consiglio di munirvi d’acqua soprattutto nelle calde giornate estive. A metà percorso si giunge a Tovetto, una piccola frazione di Villa Faraldi, ancora più piccola di Tovo ovviamente, da come suggerisce anche il nome. WP_20150602_020Eccoli là, quello in alto è Tovo e quello più in basso Tovetto. WP_20150602_031Le poche case presenti sono molto carine e ben tenute, decorazioni di piante e fiori le rendono incantevoli e qualche cane, da dietro ai cancelli, ci guarda ma è anche lui troppo stanco per abbaiare e continua la sua pennichella.WP_20150602_025 Gli orti ordinati e ben tenuti sono uno spettacolo per gli occhi. Adorabili, sembrano quelli di una fiaba. Quanto lavoro, quanta dedizione da chi ancora vive come un tempo.WP_20150602_033 I miei cari muretti di pietra sono ben visibili in luoghi così sistemati a dovere. Si riconoscono bene i pomodori, i peperoni, gli zucchini, l’insalata e tanta altra verdura. WP_20150602_027La frutta invece, come vi spiegavo prima, è più selvatica e spontanea e cresce a bordo strada. Ce n’è di tante qualità ma naturalmente, in queste terrazze tipiche del mio mondo, a regnare sono sempre gli ulivi. WP_20150602_032 Tovo è la nostra meta d’arrivo e parlottando e osservando tutte le specie di flora presente, si raggiunge abbastanza in fretta.WP_20150602_035 Una volta arrivati, una Piazza si apre davanti a noi e su una lastra d’ardesia che circonda un monumento ai caduti in guerra, si trova scolpito il gioco della “Tela” che in molti probabilmente ricorderete, con a terra dei sassolini bianchi da utilizzare al posto delle pedine. WP_20150602_034Prima di tornare indietro una partita si può anche fare, perchè no? Il ritorno è stato più vivace. WP_20150602_040Ora gli animaletti sentivano più fresco e iniziavano le attività laboriose sospese al mattino. Insetti, gazze e merli ci hanno tenuto compagnia svolazzando di qua e di là. WP_20150602_036Troppo veloci per riuscire a fotografarli! E’ stata davvero una bella passeggiata ritemprante e rilassante. E io mi sento proprio di essere stata molto brava. WP_20150602_019Ora non mi resta altro da fare che cambiare meta e organizzarmi per una nuova missione. WP_20150602_039Vi aspetto alla prossima quindi, ovviamente verrete di nuovo con me. Un bacio!

Caccia ai dipinti

Il paese di Castellaro, nel quale vi portai tempo fa.

Qui, è molto bello scoprire, angolo dopo angolo, alcuni vecchi dipinti ancora visibili che arricchiscono il borgo e le case. Essi non avvisano, compaiono all’improvviso: sopra un muro, tra due finestre, sotto ad una balaustra, obbligandoci spesso ad alzare lo sguardo.SONY DSC Altri invece, si nascondono nei vicoli bui e bisogna fare attenzione per poterli scovare. I temi che ricalcano sono svariati. Ci sono quelli dedicati alla caccia, gli affreschi religiosi, che ritraggono spesso la Sacra Famiglia, alcuni inerenti alla natura e uno, che ovviamente non poteva mancare, riprende lo stemma del Comune che, suddiviso in quattro settori, è descritto come un araldo: SONY DSCnel primo, di rosso, all’olivo sradicato, d’oro, con dodici frutti, d’argento; nel secondo, d’argento, alla croce a bracci rossi; nel terzo, d’azzurro, al castello in argento, merlato alla ghibellina, murato di nero, con due torri riunite a cortina di muro, poggiante su una pianura verde; nel quarto, d’oro, al tralcio di vite verde, posto in banda, con due grappoli d’uva, pampini e due foglie“. Se andate su Wikipedia, potete vederlo anche voi.SONY DSCE’ proprio una specie di caccia al tesoro.

Tra i carrugi di questo soleggiato paese, circondato dagli ulivi e baciato dal sole e dal vento, si possono ammirare queste opere risalenti, alcune, a tantissimi anni fa. I castellaresi li hanno lasciati in bella mostra e, diversi, li abbelliscono ulteriormente mettendoci davanti piante e fiori. Non so da chi sono stati fatti, ho provato a cercare su internet ma non ho trovato nulla, ciò non m’importa, mi spiace semplicemente non rendere omaggio ai vari autori ma sono ugualmente notevoli.SONY DSC Sono molto belli da vedere e, alcuni, da toccare. Quello che mi ha maggiormente colpito è stato quello rappresentante dei cavalli bianchi al galoppo nell’acqua. Un fiume forse. Quel rosa-arancio sullo sfondo è un colore molto caldo e luminoso che da l’idea di poter entrare nel dipinto. E’ un’immagine molto grande, questa, che permette di essere vista molto bene e da vicino. Quasi magica. SONY DSCAlcuni, così consumati dalla pioggia e dal vento. Alcuni, così in alto da farsi riscaldare dai raggi del sole. Qui nella mia Valle l’arte c’è. Ce n’è molta, anche se può non sembrare, bisogna solo avere la voglia di cercarla. Non è soltanto chiusa in un museo, non è solo dentro alle Chiese, è tra noi, vicinissima, potente, ma così discreta da passare spesso inosservata. E io, oltre ad osservarla, la metto in mostra a tutti voi.

Un bacione topini.

M.

Amico bosco

SONY DSCBosco che ci sei, che palpiti sempre, senza fermarti mai.

Il bosco amici. Oggi sono nel mio. Quanti segreti nasconde. Quanti consigli. Quante antiche sapienze. Qui, in questo luogo dove il tempo si è fermato, dove si stabiliscono i ruoli, e sempre si mantengono, dove gli alberi ti sussurrano strusciando e la vita passa lieve, serena. Il bosco, dove tutto ha un senso. Dove ognuno appartiene ad una gerarchia, SONY DSCdove si lavora in branco e non si tradisce. Dove si vive nel rispetto degli altri. Dove nessuno vive solo per se stesso. Dove tutto ha un senso. Il bosco, un habitat armonioso, tana di molti, bellezza di tanti. E’ il bosco che canta con i suoi uccelli, che sa di buono con i suoi frutti, che ascolta con le sue foglie, che fa festa, s’intristisce, che profuma con i suoi fiori, che sa di erba, di terra, di fresco. E quanti boschi ci sono? Tantissimi. SONY DSCOgnuno fatto secondo natura. E anche qui, nella mia Valle, dove si trasforma man mano che si sale, dove prima lo solletica il mare e poi la nebbia, dove gli Ulivi lasciano il posto ai Castagni e ai Noccioli che a loro volta non s’intromettono tra Pini, Faggi, Betulle e Roverelle. E ognuno parla la sua lingua e tutti si capiscono. E ognuno ha il suo mistero. SONY DSCC’è il Brugo che difende, fa da recinzione e spiega agli altri che più in là non si può andare, c’è il Ginepro, forte, che dà forza a tutti, come un sire nel suo regno, c’è il Pino Silvestre, polmone insostituibile che disinfetta l’aria che tutti devono respirare e poi c’è il Rovo che ridona vita al terreno inespresso, le Felci, pelle di esso, che proteggono il sottosuolo mantenendone il giusto ph, c’è l’Edera che sostiene i vecchi alberi che tanto hanno vissuto, che tanto hanno da raccontare.SONY DSC Alberi da abbracciare e da assorbirne la sana energia. Il bosco verde vivo, vitale, o marrone, secco, che si sta trasformando, che cambia colore, si spoglia e si riveste. Il bosco che bacia il sole o lo tiene lontano dai suoi segreti. Il bosco che nasconde, che fa scendere prima la notte per svegliarsi presto al mattino. Che guarda le stelle ma da loro non si lascia ammirare. SONY DSCIl bosco che con i suoi sentieri, alcuni inesplorati, ci ingoia. Ci avvolge in se stesso e in un’atmosfera indescrivibile. Il bosco, che prende piede, non si ferma, vuol farsi conoscere ma è allo stesso tempo guardingo. Gentile, pungente, morbido, oscuro, irriverente. SONY DSCAmico bosco che ha rispetto di noi più di quello che noi abbiamo per lui. Ma non perdona se vuole. Il bosco, una delle creazioni più intelligenti di maestro Universo. SONY DSCA volte magico, a volte fatato, a volte reale. E ora topi, per concludere, vorrei lasciarvi con le meravigliose parole della mia amica Marta che potrete conoscere qui  http://tramedipensieri.wordpress.com/  Questa poesia, s’intitola “DONA FELCI” e quando l’ho letta sono rimasta a pensare, a lungo, alla sua profondità. Parole che mi hanno colpito molto.SONY DSC Ve l’ho trascritta così come la scritta lei, con tutti i suoi punti e la sua firma che rendono la scrittura unica, come lei. Grazie Marta. Amico bosco, l’amico di tutti noi.

.bosco
accogli l’elfo
stanco
.dona

felci  ghiande
.sorrisi
di petali

natura indifferente
.palpita

sul cuore dell’albero cavo

.cerca
un riparo dentro
il legno
.profumato

salva

la mosca dalla tela
mM

M.

Una fontana, una chiesa e una porta

Oggi, andiamo nella località più antica, presumo, di questo paese. Una fontana, una chiesa e una porta topini. Tre luoghi assai famosi in quel di Taggia.

Tre tappe SONY DSCda non sorpassare, ne sottovalutare, senza prima essersi fermati a capire dove siamo. Una vasca di pietra, guardate. Sembra quello e nulla più. Semidistrutta, che sarà mai? Ahi, ahi, fermi! Non è certo un qualcosa di banale sapete? Questa è una splendida fontana quattrocentesca eretta in questo paese nel 1555. E’ la fontana dell’antico acquedotto di Taggia, punto di arrivo di un canale tardomedievale che dava acqua alla parte alta (e oggi anche la più vecchia) di questo bellissimo e storico borgo. Venne qui posizionata per volere del Podestà Melchiorre Da Monleone e, in Taggia, c’èSONY DSC probabilmente un’altra vasca appartenente allo stesso periodo situata tra il quartiere di Piazza Grande, all’angolo tra Via Littardi e la salita di Via Nicolò Calvi, in quanto si dice che le vasche “ordinate” fossero due. Davanti a lei, uno dei vicoli più impervi del paese, un ciottolato grigio che sale, senza remore. Si è circondati dalla pietra pura, dalla storia, le cose antiche, dal sole caldo e, qualche passo dopo, anche dagli Ulivi.

E’ un bellissimo e vecchioSONY DSC campanile quello che vediamo tra i rami di un verde militare. Un campanile che sembra di pietra calcarea che riveste i mattoni pieni. Una campana, in ottone ormai ossidato, fa pendant con le fronde degli alberi a noi cari e una magra e sottile croce pende leggermente all’indietro. E’ la campana che risuonava negli orti e nelle fasce coltivate da sempre. Il panorama inizia ad essere bellissimo. Un muraglione e poi eccola, bianca, come una chiesa messicana, la piccola chiesa di Santa Lucia. Una chiesa che, a vederla da fuori, sembrerebbe inusata da tantissimo tempo.

Il portone in legno, è devastato, fatiscente, persino pasticciato. Le pareti esterne, godono davvero di ben poca manutenzione ma, nonostante tutto, è affascinante. Una chiesa in bilico su ampi gradini di mattonelle granata e piatti sassi, le sbarre alle finestre in spesso ferro battuto SONY DSCe, di fianco, un muro di epoca romana. Essa viene considerata uno dei titoli più antichi tra tutte le chiese di Taggia. L’aspetto attuale, come recita il cartello di latta verde che la descrive, è frutto di ricostruzioni cinquecentesche rinnovate da interventi barocchi. Vi è ancora oggi, al suo interno, conservata in modo esemplare, l’originale ed elegante acquasantiera di un tempo e, in cima al suo modesto altare, un bellissimo ed enorme dipinto. Oggi, questa chiesa, è sede della Compagnia di SantaSONY DSC Maria Maddalena. Questa topini, è la prima chiesa costruita dagli abitanti di Taggia. Una chiesa costruita fuori dalle mura di protezione, ardentemente desiderata ma, al di qua dei muraglioni non c’era abbastanza spazio.

Questa chiesa, si trova tra due porte importantissime: Porta Soprana, più distante, in cima al paese e che oggi non conosceremo, e Porta Sottana, subito sotto questa piccola chiesetta, sotto la quale passeremo insieme per andare al centro del paese. La parte di paese più moderna. Quest’ultima portaSONY DSC, è chiamata anche Porta di Santa Lucia, prendendo il nome dalla chiesa che vi ho appena descritto. Anche la salita si chiama così. Per arrivarci, occorre discendere la scalinata soleggiata. Da fare in salita non è uno scherzo, ve lo assicuro. E il punto è strategicoSONY DSC; di fronte a noi, in lontananza, si può vedere Castellaro e, dietro, la cresta del monte che porta alle Neviere e a Santa Rita e anche all’Eremo della Maddalena. Una vista stupenda. La discesa, ci conduce dritta, dritta, sotto ad un arco splendido.

Pensate, assieme alla sua “Porta” antagonista, questo è l’accesso più antico della città. E’ tutta in pietra e, le pietre, soprattutto quelle che formano l’arcata, sono messe con grande maestria, lo vede anche una come me che non se ne capisce nulla di architettura. Ti chiedi come possano star lì, ferme, a testa in giù. Dall’alto, a scendere, sono prima larghe e piatte e poi diventano tondeggianti o quasi cubiche. Grosse. Immagino pesantissime.

Il sole fa fatica ad entrare nel centro di questa galleria. Deve fermarsi prima, forse non è gradito. Per attraversare tutta Porta Sottana, bisogna percorrere parecchi passiSONY DSC. Il sole, non riesce a scaldare l’unico portone sotto di lei. Un portone color mogano che, in alto, su un bellissimo e lucido blasone di ardesia, nera come la pece, porta i simboli della chiesa e del paese. Di parecchi di questi stemmi, la Repubblica di Genova, ne volle la distruzione.

Originario dello stesso periodo di Porta Sottana è il famoso castello di Taggia sul quale sventola la bandiera del paese. Questo SONY DSCtunnel, è stato rimaneggiato nel corso dei secoli XVI e XVII e, ai tempi, permetteva un comodo collegamento con un’altra fontana situata in questa zona, che dava acqua alla popolazione. Siamo nel centro storico topini, la vita non era semplice e, ancora oggi, bisogna avere gambe buone ma assaporare tutte queste tradizioni e respirare l’aria di un tempo ripaga ogni fatica.

E ora topi, lo avrete capito, dobbiamo per forza andare a riposare; abbiamo sgambettato anche oggi e abbastanza direi! Se volete, domani vi porterò in un posto nuovo!

Un bacione a tutti, la vostra Pigmy.

M.

Conoscere Civezza dirimpettaia della Valle Argentina

Sul montSONY DSCe Faudo convergono i crinali che risalgono le Valli Argentina e Prino, le quali racchiudono al loro interno anche la valle del San Lorenzo, valle governata dall’alto dal bellissimo e soleggiatissimo borgo di Civezza. E’ probabile che da questo luogo si raggiungesse, soprattutto, proprio la valle Argentina, tramite il passo di San Salvatore e la vicina costa presso la foce del San Lorenzo.

E si sa, anch’essa, come i paesi della mia Valle, fu molte volte invasa e saccheggiata da Turchi e Saraceni. E’ a Civezza che si finisce passando per i miei prati, i miei monti, i miei boschi. Un percorso costiero d’altura la collegava direttamente a Pompeiana, Castellaro e Taggia. Nomi che già conoscete.

Leggete cosa si può trovare nel libro di Luciano L. Calzamiglia e del mio amico Giampiero Laiolo intitolato: Civezza – borgo collinare tra le Valli del Prino e del San Lorenzo. “Ci sono pervenuti gli accordi per l’uso dei pascoli del monte Follia e delle “Terre Comuni”, una estesa zona di prati e di boschi, tra i confini di Carpasio, Taggia e SONY DSCl’Argentina concessa nella prima metà del XIII secolo da conte Oberto di Ventimiglia, signore di Badalucco, alla communitas di Porto Maurizio. Civezza non solo faceva parte di questa comunità, ma è il borgo posto sul principale percorso che conduce a quelle terre, che erano i migliori pascoli, boschi, castagneti e il granaio della comunità. Tale concessione comitale fu duramente contestata per secoli dagli uomini di Montalto e di BadaluccoSONY DSC e di questo contenzioso ci è pervenuta una consistente documentazione relativa a quel territorio e al suo utilizzo. La via di crinale che da Civezza porta a  Santa Brigida e al passo di Vena accresce la sua funzione quando, nel 1259, gli eredi del già citato Oberto, «conte» di Badalucco, tramite Ianella Advocatus, cedono il loro feudo alla Repubblica. Genova organizzò le terre della Media e Alta Valle Argentina in poSONY DSCdesteria, sottoponendola al suo vicario generale della Riviera Occidentale residente in Porto Maurizio. Questa via, pertanto, venne ad assumere anche una funzione di collegamento ad uso amministrativo che conservò per i successivi cinque secoli“.

E allora andiamolo a conoscere meglio questo paese. Civezza, paese dipinto, vi accorgerete del perchè appena ci metterete piede. Siamo nello stesso paese in cui, a Natale, vi portai a vedere quel meraviglioso presepe, ricordate?

E’ un paese bellissimo che mantieneSONY DSC le caratteristiche liguri di uno storico passato e quindi merita d’esser presentato. Paese particolarissimo. Guardate bene le immagini che vi posto e noterete che le sue stradine, le sue vie, si distinguono ulteriormente dai borghi vicini. Ancora più chiuse, più dritte, molto ben tenute.

Civezza si sviluppaSONY DSC in alto, a 220 metri sul livello del mare, e si svolge intorno ad una principale via, lunghissima sua spina dorsale.

Baciato dal sole, insistentemente, e circondato dagli Ulivi più folti, esso è stato costruito più nell’entroterra per proteggerlo da chi ne voleva far razzia. Nel 1564, ad esempio, fu saccheggiato dal pirata turco Dragut, celebre nella mia Riviera per le sue razzie e rapimenti in vari borghi marinari e persino montani e, molti civezzini, subirono le più violente angherie di codesto corsaro. Proprio per contrastare il violento fenomeno furono erette le famose cinque torri d’avvistamento del paese, ancora oggi in parte conservate nella loroSONY DSC integralità.

E oltre al pirata, che morì un anno dopo aver deturpato questo villaggio, fu la volta, nel 1796, durante la Campagna d’Italia, di Napoleone Bonaparte.

Oggi Civezza è il paese dei ciottoli, dei carrugi piastrellati da mattonelle rosse e sassi grigi. E’ il paese delle lastre d’Ardesia che indicano sempre simpaticamente la via: “Carugiu de bazue” (carruggio delle streghe).

Domina, colorato,SONY DSC inconfondibile, con delle tinte liguri molto forti, accentuate. Con i suoi vicoli che non lasciano passare un solo filo d’aria e i suoi gradini. Tanti. A passare per queste strade, come ci dimostrano anche i dipinti che man mano andrò presentandovi, ci sono i circensi, i giocolieri e gli acrobati del “Circopaese”, tutti gli anni, il primo di maggio. Una delle feste principali assieme al Plenilunio di agosto. Se volete divertirvi, in questi giorni, non vi annoSONY DSCierete di certo considerando anche i bellissimi mercatini dell’artigianato che vi coinvolgeranno. Queste feste si svolgono per tutto il villaggio; e guardate che meraviglia: la piazzetta del Comune, Piazza Marconi con, al centro, la bellissima fontana di pietra e i ciclamini, il B&B – La Locanda del Gufo -, le case in cerchio, tutt’intorno, i monumenti.

E case importanti anche, come quella di Aurelio Saffi, uomo di Forlì, che è stato un patriota e un politico italiano; un’importante figura del Risorgimento, un politico di spicco dell’ala repubblicana radicale incarnata da Giuseppe Mazzini, diSONY DSC cui è considerato l’erede politico. Nato nel 1819 e morto nel 1890, durante il suo esilio, intorno al 1850, dimorò proprio qui, rifugiato, in questa casa rosa, come testimonia quest’Ardesia appesa alla pareteSONY DSC. Un secolo esatto dopo, invece, Civezza subì un significativo spopolamento. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, parecchi se ne andarono, chi a cercar fortuna, chi a cercar lavoro, chi a rifarsi una vita. Civezza non venne intaccata in modo brutale dalla guerra e dalle sue armi, confronto ad altri borghi della mia provincia, ma ciò bastò a far allontanare da lei, la popolazione. Solo da una ventina d’anni circa, le persone stanno capendo la sua bellezza e vogliono tornare a conoscerla e viverla ogni giorno.

Il monumento dei caduti, davanti all’Oratorio di San Giovanni Battista, all’inizio del paese, riporta comunque una serie di nomi di dispersi e deceduti e, intorno a lui, quattro proiettili di artiglieria pesante, molto particolari, gli fan da cornice.

A Civessa, come si dice in ligure, risiede una centenaria Scuola Elementare Statale. Una scuola particolare. Questa Scuola Elementare è, da decenni, motivo d’orgoglio per l’intera popolazione. Le classi sono uniche e gli alunni di tutte le età stanno assieme. Questo potrà sembrarvi strano ma il sistema funziona bene tanto da diventare una tradizione radicata ormai da decenni. Peccato che, tale istituzione, probabilmente per mancanzaSONY DSC di presenze, stà rischiando la chiusura. Un gran peccato.

Oltre alla scuola, una farmacia; un’unicSONY DSCa farmacia a Civezza. Un paese piccolo, di 650 anime.

Un’Associazione Culturale, la San Marco, ricavata laddove una volta c’era un antico Mulino. In queste ampie sale, sono oggi ospitati oggetti risalenti l’attività contadina e culturale di un passato medioevale ormai scomparso. Un’esposizione visibile durante le feste di cui vi parlavo prima. Questo Forum Polivalente offre anche rappresenSONY DSCtazioni teatrali, esposizioni pittoriche, conferenze e tantissime altre attività solitamente con l’unico scopo di fare della beneficenza.

Un’altra cosa carina da vedere qui a Civezza è il passaggio ipogeo, ripristinato nel 2003, con ancora i due originali tronchi dSONY DSCi colonna a inizio percorso, dell’antica parrocchiale del XV secolo. E’ questo passaggio che ci permette di arrivare in cima alla cresta dove un belllissimo panorama, arricchito da piantagioni di Ulivo, si prospetta innanzi a noi.

Là davanti, proprio di fronte, ecco Costarainera, a destra Torre Paponi e più in su, si sa, Pietrabruna. Ma Civezza è il più vivace di tutti.

Gli sportelloni dei contatori disegnati da mani esperte e fantasiose e sui muri, guardate, leSONY DSC meridiane, allegria per i nostri occhi.

Civezza, circondata da stradine di campagna che ti portano su, in luoghi magici e sconosciuti dai quali, volendo, si può scendere fino a Imperia – Porto Maurizio.

Civezza, circondata da simpatici animali, gli scuri asini e le bianche pecore dal muso nero che brucano tutto il giorno. Civezza che un tempo era sul mare, accanSONY DSCto a San Lorenzo ma poi, come ci informano le prime testimonianze, con la distruzione del villaggio da parte dei pirati di Frassineto, i civezzini decisero di rifare il loro nucleo abitativo molto più in su, in una zona riparata dai colli.

Sotto Civezza passa oggi l’Autostrada dei Fiori e questo dovrebbe farvi capire la sua posizione, simile a quella della nostra Castellaro.

Tutt’intorno a lei le fasce, le tipiche terrazze liguri coltivate, vento e sole, sole e vento, è una pacchia qui lavorare la terra e raccoglierne i frutti. E che frutti. Squisitezze da mettere sulle nostre tavole. E anche l’aria è buona qui: l’aria dei monti e del mare.

Insomma a Civezza potete trovare ogni cosa, vi voglio lasciare infatti con un ultima chicca su questo paese, la descrizione di questo borgo da parte del nostro scrittore e poeta Francesco Biamonti: “Civezza. Che volete di più? Paese in mezzo agli Ulivi e alto sul mare; per arrivarvi si passa in una sinfonia di tronchi di rami; l’orizzonte si apre, oltre che sul mare, su altri paesi dai nomi bellissimi, Pietrabruna, Boscomare, su crinali che se ne vanno lontano, SONY DSCcome melodie su flutti d’argento; le case e le piazzette sono antiche, di un’intimità raggrumata nel vento. C’è un che di sospeso, di dolce, di lieve, una vertigine che viene dalla luce in ascesa. Più su del paese, più su degli ulivi si stende la macchia mediterranea con strade polverose e chiese e sentieri e ovili rosi dai cespugli. La grazia, che sotto era fragile, si fa rude, SONY DSCsi accorda fuori del tempo alla forza del mare. Poiché le prime alture, bisogna pur dirlo, sono le più indifese, di un equilibrio che se si tocca si rompe. Collocata su un costone, arenatavi come una barca, Civezza è fragile e leggera, una nuvola che vi si accosti sembra trascinarla.Basta un palazzo sghembo per offenderla, e una macchina che passi in un vicolo disturba i morti. È un paese che ha bisogno di vivere intatto come un ricordo. Di che sia frutto questa bellezza rimane un mistero: vicoli e cascate di ulivi non bastano a spiegarlo. Che venga dal fatto che ha, sotto, la luce instabile del mare e, sopra, quella più ferma di un paesaggio montano?”.

Che altro aggiungere? Venite a Civezza, sarete i benvenuti. Un bacione, la vostra Pigmy.

M.

Santa Rita – tra le due Neviere

Il Cammino del Ghiaccio, dotato di segnaletica in legno, era un’antica mulattiera che permetteva agli abitanti di Taggia e dintorni di raggiungere le Neviere, costruzioni in pietra che raccoglievano la neve, e potersi rifornire di ghiaccio durante le estati o per la conservazione degli alimenti. Un giorno vi parlerò della Neviera dell’Albareo e della seconda grande Neviera.

L’inizio di questa strada si trova nella parte alta di Taggia, in piazza Santa Lucia, proprio dopo i due ultimi bastioni. Il primo tratto offre una vista spettacolare su tutta la mia Valle che da qui sembra davvero immensa: si può vedere senza difficoltà tutta Arma, laggiù sul mare, e poi Taggia, Castellaro e i monti di Colle D’Oggia ancora baciati dal sole. Poi ci sono le montagne che  racchiudono con un abbraccio tutto il paesaggio e il fiume che scorre giù in basso. L’orizzonte, se lo si osserva a lungo, assume diverse sfumature. Ci circondano le pratoline e gli asparagi selvatici. Le distese di ulivi sono infinite e le fasce sono ordinate.

Giunti qui, sulla cresta sopra Taggia, possiamo scegliere se salire verso destra, verso i Beuzi, e scendere a Bussana, oppure dirigerci a sinistra, verso l’eremo di Santa Maria Maddalena del Bosco.

Saliamo a sinistra. E’ un luogo magico, sembra di poter parlare con la foresta. Ci sono ancora le auto dei cacciatori, i cani che ululano correndo, avanzando. Si sente grufolare, o almeno così pare, i suoni sono tanti ed è difficile distinguerli con precisione.

Prima di inoltrarci nel bosco di querce e castagni, ricco di ghiande ancora acerbe, ammiriamo la via che stiamo percorrendo. E’ una strada di confine. La vecchia Podesteria di Badalucco e quella di Taggia se la sono sempre contesa. Dall’archivio di quest’ultima, si apprende che una piccola traversa di essa portava con ogni probabilità al castello di Campo Marzio, dove poco tempo fa sono ricominciati gli scavi archeologici.

Allontanandosi dal bivio Beuzi-Albareo, dove c’è il vecchio agriturismo, si raggiunge la località di Santa Rita. E’ una zona fresca e ombrosa. In estate è d’obbligo fermarsi e sorseggiare un po’ d’acqua fresca. Anche gli animali del bosco vengono a dissetarsi qui.  E’ un luogo prediletto dai Boy-Scouts, che aiutano a tenerlo ancora più pulito. Troviamo un pergolato, dei tavolini, alcuni di pietra, altri di legno, e poi delle panche, un barbecue davanti all’edicola votiva con la statuetta della Santa. Il suo vestito è nero e tra le mani stringe un crocefisso di legno. Questa zona le venne dedicata per volontà di due partigiani che, rifugiatisi proprio in quel punto in tempo di guerra, per salvarsi la vita  si erano affidati a lei in quel momento di difficoltà. Scampati al pericolo, hanno innalzato il piccolo monumento religioso dedicandolo anche a chi non era stato fortunato come loro. Sulla lapide in marmo bianco è scritto infatti: ” Nel ricordo di chi non è più a perenne custodia di questi monti “.

In basso a sinistra è visibile la frazione Campi, raggiungibile da un sentiero non segnalato e qui i Lecci sono verdi come l’Alloro e i Corbezzoli, finalmente maturi, la fanno da padroni. Sono dolcissimi. E’ una zona ricca di funghi di ogni tipo. In alcuni tratti, il Brugo è l’unica pianta rimasta verde, un manto di foglie rossicce ci fa da tappeto e i rami o sono spogli, o color dell’oro.

Ecco il sentiero della Grande Neviera, qui a sinistra, dopo la statua, da percorrere a piedi. Si scende. La strada è sterrata e siamo all’inizio dell’Entrà, un termine dialettale che intende definire la fine delle campagne e delle coltivazioni e l’entrata nel bosco. Non potremmo più godere del panorama come prima, ma quello che incontreremo, proseguendo questa strada, è una sorpresa per la prossima puntata. Non perdetela! Un fresco bacione a tutti.

M.

Francesco Biamonti e la sua Liguria

Quella di cui vi parlo oggi è La mia Liguria, anzi, solo una parte, quella di Ponente. E’ qui che vivo, nel lembo più aspro, e voglio raccontarvelo tramite la penna di uno scrittore.

Nella luce distesa tra ulivi e solitudini di rocce arrivò il suono della campana mediana. Varì ne contò i viaggi: erano tre, era per un uomo. Non riusciva a immaginare: non aveva sentito dire che a Luvaira qualcuno fosse sul punto. E lì intorno, negli uliveti, non c’era nessuno a cui domandare. Ma la sera, sceso a Luvaira, seppe ch’era stato il passeur ad andarsene e si recò al suo casolare. Era già cominciata la veglia funebre. Una strana veglia. Stavano tutti fuori della porta; solo una donna era rimasta accanto al morto e, insieme a un fiore dal lungo stelo, proiettava la sua ombra sul pavimento di battuto. Nessuno parlava fuori, sotto le stelle. Poi, accompagnate da uno stormire d’ulivi, frasi a mezza voce: Siamo proprio niente! Bisogna essere preparati! che non facevano rumore. Nelle pause della brezza il silenzio si posava sul silenzio. Nel cuore della notte qualcuno accennò al tempo: al gran secco, all’autunno luminoso. Varì lasciò Luvaira ch’era tardi. Prese una mulattiera che saliva in una gola buia e raggiunse un dosso di pietrischi. Lo aggirò e riprese a salire per le fasce di Aùrno. – Ne abbiamo fatto del cammino insieme, – pensava salendo, – ne abbiamo conosciuto nomadi e viandanti. Eravamo due passeurs onesti, lui di mestiere io a tempo perso. Non abbiamo mai lasciato nessuno di qua del confine -. Adesso andava su fasce d’argilla marnosa con ulivi grandi agitati da una brezza ch’era come un vento. Tra quegli ulivi aveva la sua casa e più in là, protette dagli ulivi e dalle rocce, le colture floreali. – Ne abbiamo fatto del cammino insieme, – tornò a dirsi mentalmente. – Lui adesso viaggia per altre terre: del silenzio, della penombra -. Le colline erano scure, e scure anche le montagne contro il cielo stellato. Solo la Cimòn Aurive aveva i crinali verso il mare toccati da barlumi. S’alzò presto. Ma trovò la terra indurita dal freddo e preferì aspettare il sole prima di mettersi a innaffiare. Con l’acqua quella terra dura avrebbe morso le radici”.

da Vento Largo 1991

Originario di San Biagio della Cima, in provincia d’Imperia – ben due valli più in là della mia – Francesco Biamonti ci ha lasciati nel 2001, nel pieno del suo vigore creativo e con un romanzo rimasto incompleto intitolato “Il Silenzio”.

Ogni tanto, a colorare il romanzo, c’è qualche termine occitano, altre volte  francese come i passeurs, i contrabbandieri o traghettatori: coloro che aiutavano a sconfinare chi non possedeva documenti. Sono vocaboli che ci fanno sentire lo scritto ancora più nostro.

Riconoscete la Liguria nelle sue parole? Non so se a voi risulta semplice, ma per me lo è: quasi la bevo tutta d’un sorso e, mentre leggo, non posso fare a meno di vedere l’argento delle piante, osservare i muretti a secco e le fasce, percepire il mare che si staglia contro il cielo. Vedo i boschi, i paesi… tutto. Non mi è difficile sentire lo scontro della mia terra con i popoli vicini, sempre attuale. E la Liguria di oggi risente ancora degli strascichi della mentalità di un tempo, della sua storia, fatta di scorribande, funghe e sconfinamenti.

Il Ponente sa essere arido, ma anche generoso… chissà poi come fa a scegliere tra l’uno o l’altro, tra il pregio e il difetto. E’ un luogo arcano, sospeso tra il mare e un antico entroterra.

“Vento Largo”,”Le parole la notte”, “Attesa sul mare”, “L’angelo di Avrigue”… sono tutti testi di Biamonti che parlano di questa terra meravigliosa. Francesco Biamonti fu spesso elogiato da Italo Calvino. La sua è una narrativa scorrevole e realista, che fa conoscere la parte più intima di una Liguria particolare, con le sue tradizioni, il suo modo di pensare. La mia terra.

M.

Ultimi tuffi

Eccoci. Due tuffi ancora da questo magnifico ponte, o da questi bianchi scogli, e poi, per quest’anno, abbiamo finito.

Tra poco arriverà l’autunno e quest’acqua sarà così ghiacciata che toccarla anche solo con la punta degli alluci è impensabile.

Andiamo in questo piccolo angolo di paradiso, subito dopo l’inizio della mia valle. E, se lo chiamo così, non esagero credetemi. Vi basta guardare queste splendide immagini.

Percorriamo le colline ed è facile impressionarsi nell’osservare le coltivazioni di Ulivi che ci circondano e i boschi di Castagni.

Ammiriamo il tortuoso percorso del torrente circondato da piante di Acacia e ci distendiamo ad osservare tutto ciò che esiste nei pressi di questo lago naturale, sotto a questo ponte.

Dietro di lui, si nota la cresta aspra anche se verdeggiante della montagna. E’ un ponte in pietra e cemento ad unica volta. Un ponte antico.

Sotto di lui il torrente, l’Argentina, si restringe, ma l’acqua è profonda e qui, sotto la sua ombra, assume un colore come negli abissi. Un blu scurissimo. E’ il ponte infatti che taglia i raggi del sole e non permette loro di penetrare in questo punto. Ma basta spostarsi di poco, vicino al “grande masso”, per ammirare un’acqua più verde e più brillante baciata dai raggi che da caldi stanno ormai diventando tiepidi. Il grande masso… meta ambita dei ragazzini più impavidi! Duro, tagliente. Regna sovrano nel bel mezzo del torrente.

Questo paesaggio è dato da un’evoluzione morfologica ad opera della natura ma anche del duro e tenace lavoro dell’uomo
che ha piegato alle proprie esigenze, nel corso dei secoli, un territorio selvaggio ed ostile.

In effetti, della valle primordiale, oggigiorno non esiste quasi più nulla. L’uomo ha modificato l’acclività dei versanti, realizzando terrazzamenti di muretti a secco per renderli coltivabili, mettendo a dimora alberi di Castagno e Ulivi, trasformando alcune cime in pascoli per le greggi e, come spesso vi ho mostrato, costruendo ponti che gli permettevano di attraversare le varie sponde di questa mia tortuosa valle.

Nonostante l’ambiente sia stato modificato, anche in maniera radicale in certe zone, dall’azione antropica, la natura continua a dominare e a proliferare, a testimonianza di come l’uomo possa convivere con essa in modo equilibrato e, infatti, accanto a questa opera dell’uomo, non possono passare inosservati il Brugo, il Timo, il Corbezzolo, gli arbusti sempreverdi, le More, il Caprifoglio. Tutti a formare una natura selvaggia e affascinante.

E questo è solo uno dei tanti ponti. Ponti aerei e arditi, antichi e moderni, che assicurano il collegamento con le frazioni più lontane e alcuni, addirittura, con i percorsi diretti in Piemonte.

E lui se ne sta lì. Appoggiando sulle grandi pietre chiare che lo sostengono da anni.

Non è difficile vedere pescatori su di lui. Qui sotto, le trote e altri pesci di fiume, passano numerosi. E proprio sotto quelle grandi pietre, hanno la loro tana. Da come potete capire è apprezzato per diversi scopi il Signor Ponte! Ed è apprezzato anche da me, che ora vi lascio e continuo a starmene un pò qua a contemplarlo. Sembra, tra l’altro, che la cosa non gli dispiaccia affatto!

Un bacione a tutti, alla prossima!

M.