A visitar Castel Vittorio

SONY DSCA un passo dalla mia Valle. E con la mia Valle ha avuto in passato anche un importante collegamento. Proprio vicino. Quasi a vederlo affacciandosi dalla finestra. Beh, più o meno. E’ che bisogna fare tutto un giro lungo, altrimenti sarebbe davvero subito lì. SONY DSCE comunque, giro o non giro, è un piacere arrivare qui, in questo bellissimo paese tra i monti.

Siamo a Castel Vittorio, dove non si sente nemmeno volare una mosca. Siamo in un paese composto da salite e discese, tra i carrugi, e ricoperte di ciottolato tipico ligure.SONY DSC Siamo in un paese che un tempo, quando ancora si chiamava Castel Dho, apparteneva ai Conti di Ventimiglia che ne furono padroni fino al 1260. Dopo, il nome, gli venne cambiato in Castel Franco, dalla famiglia dei Moro, e rimase così anche passato sotto la possessione della Repubblica di Genova che lo sottopose al controllo giurisdizionale della Podesteria di Triora. Vi ricordate quando, parlando di Triora, vi dissi come questo borgo della mia Valle era il preferito dalla Repubblica padrona?SONY DSC A un passo dalla Francia, offriva importanti vie di comunicazione, di commercio, di difesa e di attacco. Il nome Castel Vittorio lo deve quindi al Piemonte che, divenne nel 1862, nuovo proprietario del borgo e volle rendere omaggio al Re Vittorio Emanuele II di Savoia. Quante vicissitudini in un villaggio così piccolo! Pensate che i suoi abitanti sono solo circa 300 ora.SONY DSC Siamo a 420 metri sul livello del mare e qui la vita scorre lenta e pacifica. Per arrivarci bisogna scendere da Bajardo e, a Bajardo, ci si può arrivare anche dalla Valle Argentina, poi si scende ancora nel bellissimo San Gregorio, ricco di natura, e infine eccoci qui. Dalla piazza principale l’Albergo Italia ci saluta, imponente, appena sopra una salita. E’ la strada che bisogna percorrere per visitare meglio il paese. Ci porta dentro ai piccoli vicoli dove al sole non è permesso entrare.SONY DSCDeve rimanere fuori. Che fresco qui! Bastano pochi passi per arrivare in un altra piazzetta. Un ciottolato per terra forma la figura della Rosa dei Venti. E’ una piazzetta dove una bellissima fontana echeggia con il suo scrosciare di acqua fredda e limpida.SONY DSC Sopra di essa, una lapide in ardesia ricorda, come spesso avviene in questi borghi, l’invasione nazista e ne commemora il 25° anniversario. E’ stata posizionata lì nel 1969. Un’altra lastra recita così: “Il 2 luglio 1944 la popolazione di Castel Vittorio insorgeva a contrastare un attacco di nazi-fascisti con lungo martirio di stragi scontando il suo stoico eroismo.SONY DSC La F.I.V.L. a imperitura memoria per degnamente onorare i castellesi gloriosamente caduti per un’Italia libera da ogni tirranide pose. Il 2 luglio 1950 “. La fontana, sotto alla pietra, dalla forma che ha doveva essere un tempo un lavatoio. SONY DSCOggi, intorno a lei, c’è parecchio muschio che si rinfresca e, di fronte, c’è l’Asilo Infantile Orengo un bell’edificio alto e giallo.SONY DSC Anche i muri delle vie sono ricche di muschio e erbetta e le piccole margheritine campestri e i garofanini selvatici, si arrampicano ovunque assieme ad altri fiori.SONY DSC Siamo in un posto circondato dal bosco, dal verde assoluto, dagli alti monti e sembra di essere in un altra regione. In certi punti sa di “vecchio” cioè di una vita antica che è lì da anni. Alcuni angoli sono bui, mettono quasi a disagio, a me però affascinano moltissimo. Che fatica riuscire a scorgere anche un solo tocco di cielo.SONY DSC Sono tanti gli edifici religiosi ma i più importanti sono due: la Chiesa Parrocchiale di Santo Stefano, di grande interesse artistico, la quale custodisce un bassorilievo sul portale laterale risalente al XVI secolo che mostra, al suo interno, un dipinto di Venusti rappresentante la crocifissione di Gesù, anch’esso molto antico;SONY DSC e l’Oratorio di Santa Caterina, in stile medievale e oggi sconsacrato.

Tra le vie, le protagoniste sono le piccole botteghe. Ben tenute, piene di roba e dalle vetrine simpatiche, caratteristiche e colorate. SONY DSCSono botteghe che vendono ovviamente prodotti tipici del luogo, al di là delle vecchie cartoline che stanno diventando sempre più introvabili, hanno l’olio, i pomodori, le olive. Le principali attività economiche del territorio di Castel Vittorio sono legate all’agricoltura, alla viticoltura, alla floricoltura e alla raccolta di funghi.SONY DSC Ebbene sì golosoni! In questo posto, che rimane leggermente nascosto dai monti, i funghi pullulano che è un piacere. Che dirvi ancora topini? E’ anche questo, da come avrete già capito, un luogo da venir a visitare.SONY DSC E’ un luogo che vi aspetta e vuole farvi conoscere tutte le sue caratteristiche e, anche in ambito culinario, le sue specialità. Qui a Castel Vittorio si mangia divinamente e con pochi euro. Se andate nell’Albergo Italia, che vi indicavo prima, vi sfido ad arrivare anche solo alla fine degli antipasti! Da leccarsi i baffi!SONY DSC Non perdete tempo ora che c’è la bella stagione! Questo paese vi potrà anche far trascorrere intere giornate all’aperto andandovene in giro a fare interessanti passeggiate nel verde.SONY DSC E’ circondato da sentieri che incuriosiscono e da boschi meravigliosi. A questo punto, non mi rimane altro che salutarvi con un bacione e ricordarvi di venire qui, a Castel Vittorio… ma passando dalla Valle Argentina! M.SONY DSC

L’Autostrada dei Fiori

La mia Valle, così come la metà a ponente della Liguria, è attraversata da un tappeto nero lungo e duro, a tratti sospeso, chiamato Autostrada dei Fiori. Niky e io l’abbiamo fotografata per voi da diverse angolazioni.

Nella mia Valle attraversa il paese di Castellaro, tagliandolo a metà e avendo come panorama il grande campo di golf, passando poi sopra il paese di Taggia. La via che da Taggia s’inoltra in vallata, verso Badalucco, è costeggiata per un tratto dagli enormi piloni di questo stradone. Proprio in questo punto tra l’altro, anni fa, è caduto un camionista che, addormentatosi e precipitando, è andando a picchiare sopra una casetta. Oltre a lui, a rimetterci la vita, sono stati i coniugi che stavano cenando e il loro cane. Purtroppo di incidenti e fatti brutti, sulle strade, ne accadono moltissimi. Io trovo questa autostrada molto cara, tra l’altro è sempre sottoposta a “lavori in corso”, ma questo dovrebbe essere un bene. Conosciuta anche come A10, percorre il tratto Ventimiglia-Genova, offre una cosa molto bella, che poche altre strade possono offrire – scusate la modestia -… il panorama, quello vero ligure!

Dalla mia Valle, andando verso il capoluogo, alla nostra destra troviamo la distesa azzurra del mare. Spesso possiamo essere accompagnati da colori stupendi che inondano di luce il cielo. Alla nostra sinistra, invece, potete scorgere la meraviglia dei nostri monti. L’autostrada permette di godere di scorci particolari.

Il tratto che da Genova arriva a Savona è stato aperto il 5 settembre del 1967, mentre è più recente quella da Savona a Ventimiglia, che è stata aperta il 6 novembre del 1971 e, a differenza dell’altra è solo a due corsie. Un problema della Liguria è proprio questo, essendo stretta e lunga come regione: non si dispone di molto spazio per ampliamenti.

Una caratteristica di questo stradone sono poi le gallerie. Ce ne sono tantissime, soprattutto nella mia zona e andando verso il confine francese. Sono lunghe e, purtroppo, spesso poco illuminate.

Quando ero piccola, giocavo a indovinare quant’era lungo il prossimo tunnel. Ognuno ha un nome. Alcuni prendono l’appellativo dalla zona, dal paese, altri invece accennano a un fatto accaduto vicino a essi.

Questa strada rialzata ci permette di vedere i paesi dall’alto, quelli marittimi, tutti raggruppati sulla costa e quelli più montani con un’ottica completamente diversa. Sono vere e proprie cartoline, viste da lassù.

Dal punto di vista estetico non è bello vedere queste verdi vallate divise trasversalmente da un ammasso di cemento, ma come si potrebbe, oggi come oggi, vivere senza un’autostrada? Certo, le stradine dei miei boschi sono spesso tronchetti di alberi messi uno dopo l’altro ma gli esseri umani hanno bisogno di compiere più chilometri di noi topi durante il giorno. In tanti, infatti, la usano per andare e tornare dal lavoro, è sempre molto trafficata e a causa di ciò può influenzare negativamente l’acquisto di una casa alla quale regala disturbo e fastidio.

Sapete, non siamo abituati alle grandi città e ogni rumore risulta insopportabile. Comunque topi, tra poco tanti di voi percorreranno questo tipo di strade per andarsene un po’ in vacanza. Forse rimarrete imbottigliati e patirete un tantino il caldo, so che di solito accade così, ma vi auguro comunque di passare giorni lieti nel riposo e nel divertimento più assoluto.

Mi raccomando: andate sempre piano!

Vostra Pigmy.

M.

Mitico Topononno – il “rapimento” della nipote

Quale miglior post, per iniziare l’anno nuovo, se non con un’altra delle mie tante avventure? Questa topi, non ve l’ho ancora raccontata. Un’altra che riguarda me ma anche il mio topononno. Nonno paterno, lo sottolineo, perchè è importante per la storia che sto per raccontarvi.

Siamo nel 1980, io ero davvero uno scricciolo. Una coppia di amici di mia nonna, ma in questo caso parlo di nonna materna, scendono da Milano per passare qualche giorno in nostra compagnia.

Sono amici di questa mia nonna e di mia mamma. Conoscono anche mio padre, ma il padre di mio padre non l’hanno mai visto e, allo stesso tempo, nemmeno quest’ultimo sa della loro esistenza. Ho dovuto farvi questa premessa perchè questi due, marito e moglie, due persone tra l’altro molto educate e per bene, decidono di portarmi a fare un giro  a Bussana per stare un po’ con me essendo, all’epoca, l’unica cucciola di casa.

Non hanno potuto avere figli e io ero sono come una nipote, per loro.

Andiamo a Bussana, facciamo una passeggiata, prendiamo un gelato, mi concedo un giro sugli scivoli dei giochi per i bambini e poi, i due, decidono di andare in un bar-trattoria a prendere un caffè e a riscaldarsi un po’. Era inverno.

La proprietaria prepara loro il caffè e il punch richiesti e, proprio mentre stanno consumando la loro ordinazione, un gruppo di cacciatori, finita la battuta, entrano a bersi in compagnia un bicchiere di vino e ritemprarsi al calduccio.

Tra questi, c’era mio nonno. Ha il fucile in spalla e il cappello imbottito. Mi vede in braccio a uno dei due, mi guarda attentamente e con perplessità e poi pensa: “Oh belin! Sta lì a l’è me nessa...” (“Oh c…o” – diciamo “perbacco” va’ – “Oh perbacco! Quella lì è mia nipote…”).

Sì, sono sua nipote, ma… cosa ci faccio insieme a due sconosciuti in quel paese?

Ma puscibile? Me sbaju? Ma a ghe sumeja…” (“Ma possibile? Mi sbaglio? Ma le assomiglia…”) continua a pensare lui incerto e osservandomi ancora più scrupolosamente.

Il resto è avvenuto tutto in un lampo. Io lo vedo e, seppur piccina, lo riconosco, gli sorrido e grido – Nonno! – allungando le braccia verso di lui.

Quel mio grido “Nonno!” che vuole essere di gioia, è per lui come una parola d’ordine, gli ho dato praticamente il “via!”. Non aspettava altro.

In men che non si dica, sfodera la carabina puntandola contro i due poveri “rapitori di bambini” urlando in un italiano ben comprensibile e scandito: – Mollate immediatamente mia nipote o vi lascio secchi qui dove siete! -.

I due, ignari e tapini, se la fanno letteralmente nei pantaloni.

Nel bar scendee un silenzio tombale. La barista smette di asciugare i bicchieri e si mette le mani nei capelli. L’intera squadra di cacciatori si schiera, a ferro di cavallo, dietro  mio nonno. La coppia mi posa delicatamente a terra e, con tutto il bene che posso voler loro, mio nonno è sempre mio nonno, e sgattaiolo tra le sue gambe lasciandogli strada libera verso gli sfortunati.

I poverini iniziano a balbettare e poi a urlare e a pregare mio nonno, cercando di spiegargli l’equivoco, ma al solo udire i nomi dei miei genitori e di mia nonna si acquieta.

La donna dietro al bancone, che conosce molto bene mio nonno, prende un gettone telefonico e si fa dare il numero di telefono di casa mia per accertarsi che siano davvero due amici.

A quel punto, nemmeno lei sa cosa pensare.

Dall’altra parte della cornetta, mia madre, alzando gli occhi al cielo, spiega tutto all’uomo che mi sta difendendo con le unghie e con i denti (e con un fucile) e che, a quel punto, si scusa con i signori e gli offre caffè e punch.

Scusatemi – dice, ordinando alla barista altre due consumazioni per quel marito e quella moglie che si stanno asciugando il sudore freddo dalla fronte.

La storia finisce con una bella risata da parte di tutti e, alla sera, cenano addirittura insieme.

Questa vicenda è passata alla storia, la si racconta ancora oggi che son passati quasi 40 anni, ma tutto è bene quel che finisce bene.

Certo che tu, nonno, mezze misure niente, eh? – gli dico oggi sorridendo.

Ah – mi risponde lui – Ti u sai ca sa ghe fagevu passà a fruntiera da Ventimija a nu te vigevamu ciù?! Eh? – (- Lo sai che se gli facevo passare la frontiera di Ventimiglia non ti vedevamo più?! Eh? -).

Ah! Ah! Ah! Fantastico!

Grazie nonno, ti voglio tanto bene. Hai i tuoi modi, ma sei speciale!

Un bacio grande,

Tua Pigmy.

M.