Fontana Sottana – il dono dei massari

E dopo avervi portato a visitare Fontana Soprana, non posso non farvi conoscere anche Fontana Sottana.

Siamo quindi sempre nel caratteristico borgo di Triora, paese dal ricco passato, che ha tanto da raccontare.

Il nome della Via, omonimo al luogo protagonista di questo articolo, ci indica che siamo sulla strada giusta, ma per vedere la Fontana dobbiamo scendere per Via San Bernardino e raggiungere Via Camurata.

Fontana Sottana non si trova infatti in Via Fontana Sottana.

Si tratta di una Fontana in pietra, piccola ma massiccia, anch’essa, come la sorella, dotata di un bel rubinetto in ottone.

E’ molto antica, è stata fatta costruire dai massari del comune Bertone Oddo e Matteo Stella nel 1480 ed è collegata a Fontana Soprana perché da lei ne riceve l’acqua attraverso canali in pietra, costruiti a mano, che attraversano le fondamenta del borgo o ne affiancano le abitazioni.

Siamo in una parte del paese molto intima e centrale.

I carruggi sono umidi e scuri. Ciottoli e mattoncini pieni, color vermiglio, formano il suolo sul quale poggiamo le zampe.

Le volte importanti, anch’esse in pietra, donano una frescura sicuramente piacevole nei mesi caldi dell’anno.

Mentre sopra a Fontana Soprana era stata costruita la nota Casa del Boia del paese, Fontana Sottana nasce sotto ad un edificio anche lui significativo per Triora: si tratta infatti dell’antico Ufficio Postale che però non esiste più.

Oggi è una specie di monumento, un punto di ritrovo che parla di storia e della vita di un paese.

Sotto all’arco che la ricopre e la protegge, incisa su una lastra di ardesia, una scritta in latino lascia un messaggio a tutti quelli che la leggono da parte di chi, questa Fontana, l’ha voluta e realizzata.

Questa scritta, scolpita, recita: Bertonus Odus / Mateu Stela massarii fecerunt fieri hoc opus.

Attorno a lei le case sono unite come in uno stretto abbraccio e i vicoli si snodano come fili di lana da un gomitolo.

Da qui non si gode di nessun panorama, si può solo alzare il muso verso l’alto e osservare come alcuni spicchi di cielo si mostrano tra quei tetti costruiti tanti anni fa.

Delle piante, dal verde cupo, sono gli unici punti luce in quel grigio storico, ricco di eventi e vicissitudini talvolta ricoperto di ragnatele.

So che attorno a lei sono molti altri i punti di interesse e quindi non posso più soffermarmi troppo, devo andare ad ammirare altro.

Se venite a Triora però, non perdetevi questa Fontana. E’ uno degli elementi più antichi di tutto il paese e fa quasi impressione toccarla con le mani.

Un bacio a voi!

Contro il nemico da Fontana Soprana

Punto strategico per sconfiggere il nemico.

Siamo a Triora, in centro paese, tra cunicoli oscuri e un dedalo di vie. Siamo da una fontana, la più importante del borgo. Sicuramente anche la più antica.

Attorno a questa fontana delle feritoie. Dietro di loro, un tempo, nascosti nel buio più oscuro, i “nostri” ad abbattere chi cercava di conquistare e saccheggiare l’abitato triorese.

Siamo davanti a Fontana Soprana, ancora oggi luogo significativo di Triora dal quale si diramano diverse strade che conducono ai luoghi più importanti da visitare. Un incrocio che ha visto la morte di tanti nemici e, per questo, non può passare inosservato. Un insieme di pietre che, ancora oggi, profuma di tempi lontani.

Fontana Soprana, punto dal quale sgorga un’acqua fredda come la neve, si trova sotto ad un grande arco di pietra ed è formata da lastre di ardesia e due conche che raccolgono l’acqua.

Il suo piccolo rubinetto in ottone, più recente di tutto il resto, spicca nel grigio della parete umida.

Davanti a lei, il carrugio Via Castello, che inizia con una volta anch’essa in pietra, davvero antica, porta a quello che un tempo era il Castello di Triora, mentre uscendo dalle mura che la circondano, ci si può trovare davanti a Strada Dietro la Colla dove si può decidere se proseguire a destra verso la Cabotina e i vecchi casun delle streghe, o a sinistra, verso le rovine della Chiesa di Santa Caterina.

Una cosa è certa, sicuramente ci si ferma ad ammirare il paesaggio magnifico che quella vista offre. Un panorama incredibile sui miei monti che ha la capacità di mozzare il fiato da tanto che è bello.

C’è solo pietra accanto a me. C’è solo gusto antico e una leggera brezza frescolina.

Le volte ad arco fanno apparire quei vicoli ancora più angusti ma, nonostante tutto, la sensazione che mi pervade è quella della bellezza.

Sopra a questa fontana vedo una costruzione, edificata dopo la realizzazione della protagonista di questo post, e leggendo la scheda che la presenta capisco essere la “Casa del Boia”, colui che era addetto alle pene capitali.

La lavorazione, in ferro battuto, di alcuni lampioni posizionati attorno ad essa, mi permette di andare indietro con la fantasia. Corro in un tempo di carrozze e cavalli, di carri e muli, di uomini vestiti in modo strano e soldati che osservano e proteggono il territorio. Vedo donne vestite di stracci, catturate dall’Inquisitore, vedo bambini correre e anziani raggomitolati in un angolo sottomessi alla peste. Sento urla e risa, guardo maschere e colori e il mio naso sensibile percepisce strani profumi di elisir antichi.

In ogni suo più piccolo anfratto, Triora, riporta alla storia e alla magia. Alla battaglia e alla superstizione.

Questa fontana particolare, molto utilizzata da sempre, riceve l’acqua dalla sorgente di Gorda la quale passa nei pressi del Castello.

E’ come essere dentro a un cuore pulsante. Il cuore di quella che in passato era chiamata città. Un motore propulsore di meraviglia e vita.

E’ normale passare di qui quando si viene a Triora e se ne vive il borgo più intimo e storico. D’ora in poi, giungendo in questa zona, potrete alzare lo sguardo verso un rettangolo di cielo, guardare quelle pareti attorno a voi e pensare che tutto quello che vedete è stato vissuto, molti anni prima, da personaggi singolari che di Triora, ognuno a modo suo, ne hanno fatto ciò che ancora oggi è.

Io vi mando un bacione storico e corro a scrivere ancora per voi!

Quelle fessure chiamate “caruggi”

In Liguria, e quindi anche nella mia splendida Valle, le piccole vie che attraversano i borghi vengono chiamate “caruggi”. C’è anche chi li chiama “carrugi” o “carruggi” ma il significato è lo stesso.

Si tratta di stradine strette, a volte anguste, a volte splendide, dove i raggi del sole spesso faticano ad entrare e la gente, che vive in queste vie, è il cuore pulsante del borgo antico.

La parte più vecchia del paese. Quella costruita astutamente, come il guscio di una chiocciola, intorno a un dedalo di strade buie e socchiuse in modo che il nemico invasore potesse perdersi e rendersi così più vulnerabile.

La maggior parte di questi caruggi, che appaiono proprio come piccole fessure, sono dotati di contrafforti, strutture in grado di reggere e unire le abitazioni tra loro e attutire i vari spostamenti sismici di quegli edifici costruiti in altezza per rendere il borgo ancora più a chiuso come uno scudo umbone rovesciato.

Da alcuni di questi elementi architettonici veniva buttato olio bollente su chi si permetteva di invadere il paese. I caruggi infatti, sono pieni di nascondigli sia in basso che in alto e, ancora oggi, in alcuni di loro, si possono trovare gradini che scendono chissà dove o nicchie utili agli appostamenti.

Alcune di queste stradine hanno un aspetto tondo e dolce. Si passa sotto le case attraverso volte a semicerchio e le loro curve donano sinuosità. Possono mostrare il vermiglio arcaico dei mattoni pieni o pietre levigate che rendono il tutto più aggraziato.

Altre invece appaiono come affilate e taglienti, squadrate, e disegnano verso il cielo figure che sembrano geometriche.

Alcune sono davvero buie e molto fresche. L’umidità le rende come se fossero celle frigorifere all’aperto e non è difficile vedere del muschio nascere al suolo.

Altre ancora, un poco più aperte e magari più lunghe, sono solitamente addobbate con cura da chi le vive; i nomi dei caruggi vengono scritti in modo particolare, su lastre d’ardesia o dipinti di cerchi di legno.

Molti fiori abbelliscono le case, i numeri civici sono disegnati sul muro o su piastrelle decorate, e anche i panni stesi, appesi come un tempo, tra una finestra e l’altra in condivisione, donano un tocco di folklore e di colore.

Certi vicoletti sono così particolari che incantano. Statue, quadri, mosaici e roba appesa li rendono veri angoli artistici.

A proposito di ardesia, essa è sicuramente l’elemento più presente in questa ragnatela di viuzze. Naturale e resistente. Con essa si costruivano scale, portali, androni, lapidi, lastre e persino le tegole dei tetti delle case, chiamate “ciappe”, assolutamente tipiche nei miei luoghi.

La pavimentazione può variare. Ha solitamente righe a lisca di pesce intagliate nel cemento per poter frenare l’acqua e permettere di non scivolare a persone, carretti e animali come gli asini. Dovete sapere che alcuni caruggi sono molto in discesa e, se visti all’incontrario, molto in salita. Se si pensa ai nostri vecchi, che passavano di qui con pesi enormi sulla schiena, pare impossibile davvero immaginarli inerpicarsi per queste vie.

Venivano però usati anche i piccoli ciottoli di fiume e i sampietrini, mattoncini quadrati dalle sfumature rosse-violacee con i quali si potevano anche realizzare linee tonde che davano un senso di bellezza alla strada.

Il suolo doveva comunque essere ben praticabile dai carri, unici mezzi di trasporto assieme agli animali che potevano passare per questi vicoli e si pensa addirittura che, proprio la parola caruggio, derivi da “carro”.

C’è però chi afferma siano stati i Saraceni, i grandi nemici antichi dei Liguri, a dare questo nome nella loro lingua.

La parola “kharuj” significherebbe “di fronte al mare” o “sul mare” e potrebbe avere a che fare con la mia splendida regione.

Molti turisti amano passare sotto a questi portici e percorrere queste vie perché hanno davvero un fascino incredibile. Sono estremamente attraenti e raccontano di storia e passato.

Ancora oggi qualche vecchina resta per ore affacciata ad una finestra osservando la vita che passa o donando briciole ai piccioni che regnano indisturbati tra queste case. In realtà si vedono quasi ovunque dissuasori messi apposta per questi volatili ma hanno ben poco successo.

Le sigle di un tempo, scolpite nel marmo o incise nel ferro, e diverse Madonnine non mancano mai ma è facile vedere anche parecchie fontane per queste vie.

Ovviamente tutte una diversa dall’altra. Ognuna mostra il gusto di chi le ha realizzate.

Spero che questo articolo all’interno dei cuori dei paesi della Valle Argentina vi sia piaciuto, io vi lascio un bacio storico e vado a prepararvi un nuovo post.

Squit!

E “messe in mustra” de Baäucu

Sono tante, tantissime topi e vi avviso subito che non le ho nemmeno fotografate tutte. Sono numerosissime e poi comunque non posso farvele vedere tutte io, dovete andarvele a godere dal vivo perché meritano tantissimo!

Ce n’è di tutti i tipi possibili e immaginabili e… Oh! Ma che sbadata! Non vi ho detto di cosa sto parlando! Scusate, mi sono fatta prendere da tanto fascino, tanta bellezza e soprattutto tanta bravura.

Ebbene, sto parlando delle stupende opere d’arte che si trovano in bella mostra per le vie e i carruggi di Baäucu (Badalucco). E sono una più bella dell’altra.

Dopo avervi presentato Piazza Etra, un intimo luogo di questo paese dove l’arte pura trionfa (se ve lo siete perso, potete cliccare qui) non posso non farvi osservare altre carinerie artistiche. Venite insieme a me, che ne vediamo qualcuna.

Badalucco è uno degli abitati più grandi della Valle Argentina e ha un centro storico ampio e ricco. Oggi, o meglio, da qualche anno, ricco anche di queste bellezze che si possono trovare appese, in quanto creazioni di argilla, o vetro, o porcellana, oppure dipinte direttamente sui muri.

Vogliono essere soltanto ammirate, ma a volte svolgono anche un ruolo importante, come quello di indicare la Bottega Artigiana che le realizza. E da qui si capisce bene come, in questo borgo, si possano anche visitare laboratori o centri nei quali si lavorano i materiali come una volta.

Tutte insieme, rendono questo dedalo di vie intricate davvero suggestivo e incantevole. E variopinto, anche! Dove neanche il sole osa entrare e i carruggi appaiono bui e sinistri, ci pensano loro a mettere allegria con i loro colori e le loro forme.

Guardate, guardate: non sono splendide? In vari stili e per tutti i gusti. Dall’astrattismo al realismo. Certe sono firmate riportando il nome dell’autore.

Alcune costruzioni sono completamente dipinte, o lo è una gran parte di esse, e su diverse pareti si possono leggere anche scritte che sanno di bello, di pace e di speranza.

Gli occhi si spalancano dietro ogni angolo e, dopo un po’ che si cammina, viene spontaneo aspettarsi la sorpresa… che non manca. Non ci sono zone prive di queste bellezze – messe in mustra – (messe in mostra).

Insomma, girovagando di qua e di là per questo bel borgo, non ci si annoia di certo, che siate patiti di arte o meno. Pure i piccoli topini, noto, rimangono estasiati e sorpresi e giocano a chi trova la prossima per primo.

Il centro storico, così antico e scuro, appare più allegro e certamente curato in modo migliore. Dove la luce, come ho già detto, non scalda e non illumina, ci pensano i colori e la dedizione che traspare da queste realizzazioni ad abbracciare affettuosamente il passante.

Splendidi trampolini per lanciarsi e tuffarsi appieno nella fantasia. Sì, perché da una soltanto di queste opere si può iniziare a viaggiare con l’immaginazione verso mondi sconosciuti che sanno di arcobaleno.

Ecco come rendere una semplice passeggiata tra carruggi in una camminata indimenticabile per le vie di un borgo. E già li sento i fuestei (turisti) una volta tornati a casa – Come si chiamava quel paese che abbiamo visitato pieno di opere d’arte per le vie?

Si chiamava Badalucco. Si chiama Badalucco!

Un bacio artistico a voi, topi!

Perallo, il borgo che ama raccontare

È una strada ombrosa, quella che ci porta nel minuscolo borgo di Perallo.

E’ breve, in salita e in mezzo alla macchia, anche se asfaltata.

Passa sotto a castagni e acacie, donando frescura e mostrando campanule e margherite.

Le rocce sono ricoperte da muschio proprio a causa dell’umidità offerta dal fiabesco sottobosco e da un’acqua fresca che scende veloce in un canale, passando anche per la piccola fontana di Riella.

Il borgo di Perallo è poco conosciuto, pur facendo paese assieme a Moneghetti e ad altre frazioni sparse qua e là. Oggi ci vivono solo due abitanti, il signor Augusto e sua moglie Anna, ma un tempo erano ben 600 le persone che popolavano questi luoghi.

C’era la scuola, l’Osteria, il Tabaccaio… tutto quello che poteva servire in un vero paese, insomma.

Ogni weekend, la gentilissima signora Mirella diventa il terzo abitante e, soprattutto nel periodo estivo, parenti e amici salgono in Valle a rilassarsi in queste meravigliose zone e partecipando alle diverse sagre nei dintorni.

Perallo si apre ai margini del bosco, regalando una vista mozzafiato su Andagna, Molini e Triora. Visti da qui hanno il loro fascino, così come ne ha il luogo in cui mi trovo. Perallo è un gioiellino, con le sue viuzze strette e i suoi carruggi nei quali il sole non riesce a penetrare.

In alcuni angoli, infatti, le mucillagini ricoprono come un morbido tappeto scalini, rocce e pareti, ma nelle zone più aperte ad accogliere i raggi della Stella Madre lo sguardo può ricevere i colori di piante e fiori.

Qualche micio assonnato dalla calura estiva apre un occhio e mi guarda come a dire “De chi ti sei a fia tü?” (di chi sei la figlia?), come a valutare se mi conosce o, altrimenti, che caspita ci faccia io lì.

Un piccolo piazzale, davanti alla chiesa dedicata alla Madonna di Laghet, permette di sedersi su ceppi di castagno e ammirare il panorama godendo del riparo degli Ippocastani.

A uno di essi è appesa un’altalena e qui, un tempo, aveva vita la scuola nella quale molti bambini prendevano lezioni dalla maestra e dal parroco che, anni addietro, si prestava a svolgere diverse mansioni.

Ora la scuola è un edificio che, attraverso le targhe e le lapidi inchiodate alle sue pareti, racconta di personaggi che hanno dato vita a Perallo.

Oggi questa borgata vive ancora attraverso le sue ambientazioni e i tanti racconti delle tre persone che ho avuto il piacere di conoscere.

Mi hanno confidato memorie e permesso di visitare l’interno della chiesa che vi mostrerò in un prossimo articolo.

C’è tanto da dire su di essa. La signora Mirella mi accompagna a vedere il camposanto e l’adiacente chiesetta di San Giuseppe, risalente al 1929.

È tutto in miniatura. Molte lapidi sono vecchissime, mentre la chiesetta mostra al suo interno l’altare dedicato al santo e sfoggia un pavimento in ardesia lavorato a mattonelle esagonali nere e grigio perla. E’ ben tenuta ed è stata restaurata recentemente. Pensate: è più piccola di una camera da letto, molto intima e raccolta. Davvero carina!

Il breve sentiero che ci riporta al paese è praticato da gazze che schiamazzano allegre e da qui posso vedere altri scorci di Perallo.

Case e casette tutte attaccate, vicine, a formare un nucleo unito e dall’espressione familiare.

Il forno, pur essendo della signora Mirella, viene utilizzato anche da altri ed è simpatico da vedere. Ha una forma particolare e sulla facciata principale si legge appunto la scritta “forno” in stampatello ricoperta dalla nera fuliggine.

Il silenzio e la quiete regnano sovrani interrotti di tanto in tanto da qualche uccello o insetto per nulla fastidioso. Ci sono le rondini a volare nel cielo, qualcuna ha fatto il nido, proprio sotto il porticato della vecchia scuola, ma oggi, vista la stagione, è rimasto ormai vuoto.

Per giungere a Perallo occorre arrivare a Molini da Taggia, ma anziché proseguire per Triora, all’inizio del paese bisogna svoltare a sinistra in direzione del campo sportivo, imboccando la carrozzabile che conduce a Colle Melosa e a San Giovanni dei Prati. Si segue la strada che sale e, dopo qualche curva, ecco un tornate con l’insegna che riporta il nome del villaggio protagonista di questo articolo. Dalla strada non si scorgono le case, ma il cartello non si può non notare.

La piacevole atmosfera che si respira qui mi obbliga a soffrire leggermente nel momento in cui devo andare via. Ho incontrato tanta disponibilità, cordialità e umanità. Per non parlare della natura, così vicina qui a Perallo da incidere nei cuori la sua linfa vitale. Uno splendore.

Siamo alle appendici del Monte Stornina in un paesino tanto minuto quanto invece grande è la sua storia e la sua gente, che lo vive ancora nei propri ritorni al passato.

Gente che, ancora bambina, mungeva mucche e portava secchi pieni di latte a Molini, a piedi, e che con il mulo scendeva fino a Taggia trasportando materiale adatto alla creazione di orti. Qui a Perallo c’erano stalle molto grandi, un tempo, ed erano piene di animali da lavoro, i quali affiancavano l’uomo nel suo quotidiano. Di queste bestiole oggi non è rimasta traccia, tuttavia posso dire di averle conosciute attraverso le parole di Augusto e il ricordo della mula di suo nonno. Era intelligentissima: sapeva bene, a ogni metro di strada che percorreva, dove doversi mettere per far passare la vecchia corriera senza che questa potesse scontrare il carico straripante che si portava appresso. Quest’asina, quindi, sapeva considerare quanto spazio occupava per strada il suo trasporto, che fuoriusciva lateralmente dai suoi fianchi! Vi rendete conto?

Ora devo fare ritorno in tana, ma i miei tre nuovi amici mi hanno invitato a tornare e io non vedo l’ora. Eccoli, i tre guardiani di Perallo: persone squisite della mia Valle che mi hanno regalato una giornata fantastica. Grazie di cuore!

Da sinistra Augusto Mirto, Mirella Nocerini e Anna Mapelli.

Tutti a Corte!

No, non serve fare un inchino! Questo, topi, è un altro bellissimo paese della mia Valle. Si chiama Corte ed è una frazione di Molini di Triora. Sorge a circa 670 metri sopra il livello del mare e i suoi abitanti sono all’incirca una quarantina. Si trova a 2 km dopo Molini di Triora, comune al quale appartiene. Per arrivarci, si prende una strada che, salendo, rimane alla nostra destra dalla Provinciale 52 e si percorrono alcuni tornanti, molto vissuti durante la notte da cinghiali e altri abitanti del bosco. Di fronte a lei, sorgono Andagna da una parte e Triora dall’altra, quasi a formare un triangolo con al centro, giù in basso, Molini.

Dentro Corte non si può viaggiare in macchina, ma bisogna inerpicarsi a piedi per questo paesello, in salita, e la prima cosa che colpisce i nostri occhi è la pulizia. Le stradine, spesso formate da bassi gradini che le attraversano, sono come il pavimento di casa nostra. Vie per le quali solo gli esperti possono condurre piccoli trattori, magari per trasportare i carichi di legna o altra merce pesante.

Gli orti degli abitanti sono tutti intorno al paese, ognuno ha il suo. Si coltiva alla maniera di un tempo. Pensate che proprio gli interessi di Triora, (un tempo il paese più importante e influente della vallata, essendo la Podesteria della Repubblica di Genova) sul commercio del grano causarono una sorta di malcontento tra le diverse ville di Molini, Andagna e Corte, arrivando il 2 maggio del 1654 alla dichiarazione di indipendenza locale da Triora. Ogni villa ottenne di beneficiare di propria autonomia amministrativa e fiscale.

Ancora oggi ci sono un po’ di scaramucce tra questi paesini, ma chi non ne ha, in fondo? Gli abitanti di Corte sono molto ospitali e fanno di tutto per rendere il loro paese rigoglioso e riparare ciò che in passato è stato distrutto, come ad esempio il tetto della vecchia chiesa nella piazza. Tutte le estati, infatti, si organizza una festa chiamata “cena sotto le stelle” e il ricavato va alle opere di ristrutturazione di questi importanti edifici. Uno tra questi, è la vecchia scuola elementare. Pensate, è una vecchia scuola che ora è diventata la biblioteca di Corte. Ebbene sì, Corte può vantare una biblioteca che pochi paesi hanno.

E’ un borgo bellissimo, tutto inizia dalla piazzola denominata Casai, in fondo al paese, per poi salire attraverso grotte e carruggi in quello che è un villaggio formato prevalentemente da case di pietra. Sembra di girare in un presepe e, di tanto in tanto, una piazzetta di ciottoli, qualche panchina e degli alberi, come dei magnifici salici piangenti, offrono la possibilità alle persone di ritrovarsi alla sera e raccontarsi com’è andata la giornata. Ovviamente con lo scialle sulle spalle. Quest’anno, non c’era differenza tra la temperatura al mare e quella a Corte (erano 35 i gradi, in alcune giornate di agosto… che bellezza! Rosolavo come uno spiedino!),  ma solitamente il golfino, in questi paesini di montagna, è quasi d’obbligo alla sera.

A Corte si possono visitare anche tanti monumenti religiosi, come la chiesa parrocchiale di San Giacomo Maggiore, che conserva al suo interno un quadro raffigurante la Sacra Famiglia del XVII secolo dipinto da un pittore ignoto. E’ una bellissima e grande chiesa al centro del paese, con appesa alla facciata principale una lastra di ardesia in onore dei figli caduti per la patria, e il suo campanile è altissimo. Questa chiesa sorge su una piazza di sassolini incastonati nel cemento. E’ Piazza del Popolo, che racchiude in sé anche una fontana, e, su un marmo, sono impressi i ringraziamenti a chi ha costruito l’acquedotto di Corte.

Poi c’è l’ex oratorio di San Tommaso, che conserva una statua della Vergine Maria con il Bambino Gesù sovrastanti San Bernardo, San Bartolomeo apostolo e il diavolo incatenato. Proprio questo oratorio sta particolarmente a cuore dei cortigiani, gli abitanti di Corte, che vorrebbero farlo rivivere come luogo di ritrovo ideale per i bambini.

C’è ancora la chiesa di San Vincenzo. Il portale di questo edificio è del 1497. Attualmente si trova in stato di rovina, sommersa dalla vegetazione, ma è un’opera antica e va citata.

Infine, percorrendo a piedi una stradina per circa venti minuti, si può raggiungere il Santuario della Madonna del Ciastreo o della Madonna della Consolazione, un bellissimo santuario, principale luogo di culto degli abitanti. Un giorno vi ci porterò a vederlo e, tornando indietro, vi farò passare dal bosco. Vedrete come vi divertirete, è un luogo bellissimo e offre una vista mozzafiato sulla Valle e le montagne ricche di alberi.

Corte, che dista dal mare circa 28 km, ci offre anche la possibilità di vedere da lontano la statua del Redentore. Per notarla, bisogna andare in cima al paese, dove le ultime campagne ci segnalano che lì il borgo finisce. Più in su ancora, una splendida vigna lo incornicia verso est.

A Corte c’è un solo negozio, portato avanti con tanto amore dalla signora Gemma. In questa bottega si vendono sigarette, pane, alimentari ed è fornito anche di cabina telefonica, quei telefoni che stanno diventando ogni anno più rari. Il negozio non ha orari. Spesso, alle nove di sera si può ancora andare a vedere se Gemma sia ancora lì. Vicino alla sua bottega ci sono i lavatoi che un tempo venivano usati per il bucato e dai bambini che d’estate ci si tuffavano dentro. Sono ancora funzionanti, vengono tenuti vuoti per non lasciare acqua sporca stagnante all’interno dei vasconi.

E, a proposito di acqua, quante fontane a Corte! Un giorno ve le farò vedere, sono una diversa dall’altra, posizionate nei giusti luoghi per dissetare gli escursionisti come noi. Acqua fresca, buona, dissetante!

E che belle le porte! Le case di Corte hanno delle porte stupende. E poi gli animali… Oltre ad aver visto gatti e conigli, siamo stati accompagnati a lungo anche da una pernice.

C’è proprio da divertirsi qui! I nomi delle vie sono tutti scritti su pezzi di legno. Su anelli di tronco d’albero, tagliati come vassoi e a mano, sono state pitturate le denominazioni di piazze e strade.

Che bel paesino! Tutti si conoscono e i ruderi di un tempo sono stati ristrutturati e resi magnifici e, nelle case, oltre ai termosifoni, si hanno anche stufe e camini. D’inverno, qui, non si scherza.

Di Corte colpiscono i particolari: le finestre, le porte, i muri, i dipinti… tutto. Gabbie appese fuori casa contenengono ogni cosa fuorché uccellini. Ognuno arreda la sua dimora con gusto e originalità e, nonostante sia un piccolo borgo, per osservarlo bene ci vuole tutta la giornata!

Insomma, vi consiglio vivamente di venire a farci una visita. Non ve ne pentirete e non vi annoierete di certo, se siete amanti di paesaggi caratteristici.

Vi aspettano a Corte, ma non serve fare un inchino! Bacioni!

M.