Il divino nella Vite, nell’Uva e la Vendemmia

Topi cari, l’estate ci abbandona e i suoi colori sgargianti si spengono per lasciare posto a tinte più scure. In tutta la Valle e le sue zone limitrofe le aree collinari sono cariche degli acini succosi e tondi dell’Uva, uno dei frutti autunnali per eccellenza. Com’era divertente, quando ero topina, schiacciarli con le zampe per aiutare con la vendemmia! Una vera gioia, una di quelle che difficilmente si possono dimenticare.

vite e uva

Ebbene, proprio una manciata di sere fa è venuta nella mia tana Maga Gemma. L’ho invitata per condividere con lei l’abbondanza del mio raccolto ed è stata entusiasta di  unirsi a me. La mia tavola era imbandita: non mancavano piatti a base di zucca, mele e frutta secca, ma l’attenzione della Maga era rivolta interamente verso quello che è divenuto il vero protagonista della serata…

«Il tuo vino è squisito, Pruna. Ah, la Vite… che pianta divina!» mi ha detto sorseggiando dal bicchiere.

vino rosso

«Sono proprio contenta che ti piaccia, lo abbiamo fatto io e topo-papà. Non è molto, perché non abbiamo una vigna ampia, ma quel poco che ricaviamo è prezioso, lo usiamo per le occasioni speciali, come questa per esempio.»

«Ti ringrazio, Pruna. Davvero molto gentile da parte tua. Un tempo, così come oggi, il vino era considerato una bevanda sacra, legata al Divino: per questo mi fai ancor più onore offrendomelo con la generosità che ti contraddistingue.»

 

«In effetti, ora che ci penso, il vino insieme al pane non manca mai sulle tavole della Valle…»

«Esatto. E come accade sempre, dietro ogni abitudine ci sono origini e motivi ormai quasi dimenticati.»

«Il pane e il vino sono simboli importanti della religione cristiana, alla quale gli abitanti della Valle sono molto devoti. Credo sia noto a tutti il significato di questa usanza… no?»

Gemma ha annuito: «Hai ragione, certo. Ma persino nella gestualità e nelle parole della religione si celano significati più profondi di quelli che siamo abituati a cogliere in superficie. Fin dall’antichità la Vite è stata assunta come simbolo della divinità, dell’amore e della purezza. Si sono celebrate feste e cerimonie in onore di questa pianta e dei suoi frutti…»

vite

«Parli dell’antica Grecia?»

«Certo, ma non solo.» ha puntualizzato sorseggiando ancora un po’ dal calice. «La Vite divenne uno dei simboli per eccellenza dell’immortalità, sai perché?»

Ho riflettuto un secondo prima di darle la mia risposta: «Be’, i frutti della Vite sfamano esseri umani e bestioline d’ogni genere. E poi dall’Uva si produce il Vino e quest’ultimo viene consumato abitualmente da tutti. Non è difficile trovare la sua analogia con il ciclo di vita, morte e rinascita.»

«Brava, topina!» ha detto soddisfatta. «La Vite ci racconta proprio questo. Ci parla del ciclo delle stagioni, della Trasformazione alla quale nessuno è immune e che coinvolge tutti gli esseri viventi del pianeta. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Lo stesso atto della vendemmia, per esempio, rappresentava nell’antichità la morte, il disfacimento del corpo. Il Vino che si ricava da tale procedimento, necessiterà di buio e temperature basse per essere chiarificato e divenire limpido, come noi lo beviamo. Freddo e assenza di luce sono, guarda caso, due elementi che associamo per antonomasia alla morte, ma l’antica saggezza racchiusa anche nella Vite e nel Vino ci insegna che questi due elementi sono necessari per giungere all’essenza delle cose. Accade nella morte fisica, ma anche simbolicamente nelle avversità che tutti siamo chiamati ad affrontare. Si scende metaforicamente in quelli che chiamiamo gli inferi per poi ascendere al paradiso, al regno celeste.»

damigiana vino

Ero affascinata dall’interpretazione di Maga Gemma, i miei occhi brillavano di meraviglia: «Insomma, niente di diverso da quello che tocca a tutti noi in questa stagione appena cominciata, quella autunnale: attraverseremo il buio e il freddo del prossimo Inverno, per rinascere rinnovati in Primavera, in un ciclo che si ripete sempre e che noi bestioline conosciamo molto bene!».

Maga Gemma ha sorriso: «Esatto, Pruna. Non esiste il tempo dei fiori, se prima non viene il tempo del seme: il momento del buio, del riposo, di un’energia che si concentra all’interno per poi manifestare la bellezza della vita all’esterno.»

A quel punto, restava un solo piccolo nodo da sciogliere nella mia testolina di sorcio: «Maga Gemma… che mi dici, allora, del fatto che i cristiani associno il Vino al sangue?»

vino bianco e rosso.jpg

«Una domanda davvero interessante, la tua. Vedi, Pruna, come immaginerai il Vino è diventato sinonimo del sangue per via del suo colore e le sue caratteristiche. E’ il sangue di Cristo offerto per l’umanità. Non siamo abituati a pensare in questi termini, ma il sangue rappresenta la gioia, quella di vivere in armonia con il Creato e le sue leggi, tant’è che perdere sangue, sia esso in piccole o grandi quantità, equivale a perdere un po’ di quella vita preziosa che ci è stata donata. Il sangue che Cristo ci offre è la sua gioia, la gioia di chi vive seguendo i suoi principi. E quella gioia è offerta con amore a tutti noi. Possiamo attingere in ogni istante al suo calice, ma troppo spesso lo dimentichiamo.»

«Wow!» ho esclamato.

vite dipinta

La Maga ha continuato: «Ma il simbolismo in sé nasce dal fatto che, come sai, Gesù ha sempre accettato la volontà del Dio suo Padre “barcollando” molto raramente in fatto di Fede. Ebbene, la prima volta che ebbe paura fu proprio durante la sua notte passata nel Getsemani, nell’uliveto, dove sapeva bene che le guardie sarebbero andato a prenderlo da lì a poco per crocifiggerlo. In quel momento Gesù esclamò: “Padre, tu che puoi tutto, allontana da me questo calice!”, ma subito si riprese e continuò: “Tuttavia, sia fatta la tua volontà, non la mia”. La sua angoscia, Pruna, era così forte e tanti erano il suo spavento e la sua sofferenza che si dice abbia sudato sangue. Quel suo sudore, talmente concreto e intriso di terrore, aveva i bagliori rossi e purpurei del sangue. Lo stesso sangue, sostituito dal Vino, che ancora oggi viene offerto. Ancora una volta, la Fede totale e assoluta verso Dio aveva prevalso in quel cuore puro. Quello venne considerato dai teologi un momento catartico della vita del Messia.»

«Cavoli… non conoscevo questa precisazione. Però, tornando al discorso della gioia… Be’ mi pare proprio di capire che, ancora una volta, gli esseri umani si facciano tanti problemi, quando in realtà avrebbero la soluzione a portata di mano, sotto i loro occhi, dico bene? Basterebbe solo comprendere di avere dentro una riserva preziosa di gioia e amore, per non focalizzarsi sempre e solo sulle cose negative.»

«Hai detto proprio bene, amica mia. Pensaci tu a ricordarlo, ora però propongo un bel brindisi.» ha detto, alzando il calice.

«Alla gioia!»

«E all’Amore, di cui dobbiamo ricordarci sempre.»

«E sia!»

Unitevi a noi, topi! Brindiamo insieme! In alto i calici, allora, e… Cin cin!

Nell’agriturismo “Gli Ausenda”

Nell’agriturismo “Gli Ausenda”, cari topi, non si mangia: si divora. Il cibo che ti viene servito è talmente buono e le porzioni così abbondanti che resti sazio e felice per tutta la giornata.

Voglio raccontarvi la mia personale esperienza, ma, ovviamente, il menù cambia a seconda delle occasioni e del periodo, tenetelo presente.

L’agriturismo “Gli Ausenda” si trova nel bellissimo borgo di Glori, proprio all’inizio del paese, non potete sbagliarvi. Fuori è stato posto un cartello in legno con sopra scritto “U scitu daa tora” ossia “Un posto a tavola”. Verrete accolti dalla coppia di proprietari come se foste degli amici, hanno una cordialità che trovo semplicemente fantastica e mi fa sentire subito come a casa mia.

Come prima cosa, vi verrà offerto l’aperitivo, che consiste in un bel bicchiere di Pigato reso più dolce da un tocco d’uva di Vermentino, ovviamente coltivato da loro, accompagnato da stuzzichini ricoperti di patè di coniglio, sardenaira  (che è una speciale e squisita pizza tipica ligure), focaccia di cipolle, pane croccante con salame sporcato di salsa di fave e tante, tante altre golosità. Credevamo fossero già gli antipasti, invece ci sbagliavamo! Quelli sonoa rrivati dopo, accompagnati dall’Ormeasco e dal San Giovese. Anche gli antipasti sono abbondanti, ma non voglio svelarveli tutti, dovete venirli a provare! Posso solo dirvi che a ricordarli mi viene ancora l’acquolina in bocca.

I simpatici proprietari servono poi due primi piatti tipici della cucina ligure…. volete un piccolo esempio? Mega raviolo aperto con carciofi e funghi in salsa…. mmmmhmmm! Non posso spiegarvi la bontà a parole. E dopo, i due secondi anch’essi buonissimi accompagnati da polenta di cicernia. Una favola!

Mentre si mangia, sullo schermo vanno in onda dei video che ripropongono la vita di un tempo nella Valle Argentina.

Infine – pancia mia fatti capanna! – ecco i tre dolcetti elegantemente serviti in un unico piatto, tra i quali, meraviglia delle meraviglie, un pezzo di favo! La cera delle api con il primo miele è da mangiare, succhiare e buttare via la cera che un tempo era considerata la chewing-gum dei poveri. Il proprietario ci elenca tutte le erbette raccolte con le quali sono stati preparati i piatti, da non credere, mangiamo i frutti dei prati, mentre la proprietaria ci spiega la vita nel paese. Il locale è pulitissimo, con cucina a vista e molto intimo. Sono solo quattro i tavoli a disposizione, ecco perché è indispensabile prenotare.

Viene servito allora il caffè, preparato ancora con la moka, accompagnato da digestivo.

Bene, detto questo vi immaginerete che avremo speso una cifra immensa.

No, cari topi, si spende pochissimo, e la mia topina di quattro anni, che ha mangiato come una lupa comodamente seduta in un seggiolone di legno messo apposta per lei, non ha speso nulla! Credetemi, topi: è un posto da provare.

Io rosicchio di tutto, son di bocca buona, ma, come tutti i topini, ho un palato e un odorato finissimo, quindi, se vi dico che in questo agriturismo ho mangiato veramente bene, potete fidarvi.

Ora vi mando un abbraccio e vi aspetto per il prossimo tour! Squit!

M.

Per scaldarci un pò…

Topoli, ciao. Fuori piove, piove, piove.

Non fa ancora freddo ma, tutta quest’acqua, inizia ad inumidirci fin dentro alle ossa.

Penso di avere un’idea da darvi per scaldarvi un pò, considerando ovviamente che patite quanto me, soprattutto davanti ad un bel fuoco, con tanti amici e, ovviamente, dei croccanti Cantucci.

Ebbene si, gli indizi che vi ho dato, vi avranno già fatto capire.

Quest’oggi v’insegnerò a fare un ottimo Vin Brulè amato da chiunque.

Le dosi andranno bene per 2 litri di questo elisir.

Io solitamente lo preparo utilizzando un Barbera abbastanza sofisticato ma, se lo volete ancora più deciso, potete servirvi di un buon Merlot. Deve essere un vino rosso comunque in grado di raggiungere almeno i 13,5%.

Innanzi tutto dovete dirigervi in una fornita e valida Erboristeria dove acquisterete tutti gli ingredienti, altre piccolezze so che potete già averle in tana o trovarle in qualsiasi bottega d’Alimentari.

Ecco quello che dovete chiedere all’erborista: Cannella, chiodi di garofano, semi di coriandolo, semi di cardamomo, bacche di ginepro e macis arillo.

Procuratevi anche zucchero e la scorza di un’arancia o di limone, io preferisco la prima.

Portate a ebollizione, in un tegame, 2 litri del vino rosso, corposo, che avete scelto e, quando lo vedete bollire, aggiungete gli ingredienti acquistati in Erboristeria.

Fate voi un miscuglio di circa 100 grammi, potete vederlo nella foto.

Mentre il miscuglio inizia ad ammorbidirsi, aggiungete anche 350 grammi di zucchero ma c’è chi ne mette molto di più (400, 450gr); quello va a gusti, non potete far altro che provare.

Dopo alcuni minuti riducete l’ebollizione a fuoco più lento, per almeno dieci minuti, rimescolando, di tanto in tanto, con un cucchiaio rigorosamente di legno. Sarà in questi attimi che tutta la vostra casa prenderà odore di un Vin Brulè che viaggerà per le vostre stanze senza alcuna pietà.

Passati questi dieci minuti lasciate riposare a fuoco spento, con la scorza di arancia dentro che, prima di servire, toglierete. A questo punto potete filtrare il tutto e servire ben caldo. Farete un figurone se lo mettete nei bicchieri o nelle tazze, utilizzando un mestolino.

Buon inverno! Un bacio scaldotto da Pigmy.

M.