Il divino nella Vite, nell’Uva e la Vendemmia

Topi cari, l’estate ci abbandona e i suoi colori sgargianti si spengono per lasciare posto a tinte più scure. In tutta la Valle e le sue zone limitrofe le aree collinari sono cariche degli acini succosi e tondi dell’Uva, uno dei frutti autunnali per eccellenza. Com’era divertente, quando ero topina, schiacciarli con le zampe per aiutare con la vendemmia! Una vera gioia, una di quelle che difficilmente si possono dimenticare.

vite e uva

Ebbene, proprio una manciata di sere fa è venuta nella mia tana Maga Gemma. L’ho invitata per condividere con lei l’abbondanza del mio raccolto ed è stata entusiasta di  unirsi a me. La mia tavola era imbandita: non mancavano piatti a base di zucca, mele e frutta secca, ma l’attenzione della Maga era rivolta interamente verso quello che è divenuto il vero protagonista della serata…

«Il tuo vino è squisito, Pruna. Ah, la Vite… che pianta divina!» mi ha detto sorseggiando dal bicchiere.

vino rosso

«Sono proprio contenta che ti piaccia, lo abbiamo fatto io e topo-papà. Non è molto, perché non abbiamo una vigna ampia, ma quel poco che ricaviamo è prezioso, lo usiamo per le occasioni speciali, come questa per esempio.»

«Ti ringrazio, Pruna. Davvero molto gentile da parte tua. Un tempo, così come oggi, il vino era considerato una bevanda sacra, legata al Divino: per questo mi fai ancor più onore offrendomelo con la generosità che ti contraddistingue.»

 

«In effetti, ora che ci penso, il vino insieme al pane non manca mai sulle tavole della Valle…»

«Esatto. E come accade sempre, dietro ogni abitudine ci sono origini e motivi ormai quasi dimenticati.»

«Il pane e il vino sono simboli importanti della religione cristiana, alla quale gli abitanti della Valle sono molto devoti. Credo sia noto a tutti il significato di questa usanza… no?»

Gemma ha annuito: «Hai ragione, certo. Ma persino nella gestualità e nelle parole della religione si celano significati più profondi di quelli che siamo abituati a cogliere in superficie. Fin dall’antichità la Vite è stata assunta come simbolo della divinità, dell’amore e della purezza. Si sono celebrate feste e cerimonie in onore di questa pianta e dei suoi frutti…»

vite

«Parli dell’antica Grecia?»

«Certo, ma non solo.» ha puntualizzato sorseggiando ancora un po’ dal calice. «La Vite divenne uno dei simboli per eccellenza dell’immortalità, sai perché?»

Ho riflettuto un secondo prima di darle la mia risposta: «Be’, i frutti della Vite sfamano esseri umani e bestioline d’ogni genere. E poi dall’Uva si produce il Vino e quest’ultimo viene consumato abitualmente da tutti. Non è difficile trovare la sua analogia con il ciclo di vita, morte e rinascita.»

«Brava, topina!» ha detto soddisfatta. «La Vite ci racconta proprio questo. Ci parla del ciclo delle stagioni, della Trasformazione alla quale nessuno è immune e che coinvolge tutti gli esseri viventi del pianeta. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Lo stesso atto della vendemmia, per esempio, rappresentava nell’antichità la morte, il disfacimento del corpo. Il Vino che si ricava da tale procedimento, necessiterà di buio e temperature basse per essere chiarificato e divenire limpido, come noi lo beviamo. Freddo e assenza di luce sono, guarda caso, due elementi che associamo per antonomasia alla morte, ma l’antica saggezza racchiusa anche nella Vite e nel Vino ci insegna che questi due elementi sono necessari per giungere all’essenza delle cose. Accade nella morte fisica, ma anche simbolicamente nelle avversità che tutti siamo chiamati ad affrontare. Si scende metaforicamente in quelli che chiamiamo gli inferi per poi ascendere al paradiso, al regno celeste.»

damigiana vino

Ero affascinata dall’interpretazione di Maga Gemma, i miei occhi brillavano di meraviglia: «Insomma, niente di diverso da quello che tocca a tutti noi in questa stagione appena cominciata, quella autunnale: attraverseremo il buio e il freddo del prossimo Inverno, per rinascere rinnovati in Primavera, in un ciclo che si ripete sempre e che noi bestioline conosciamo molto bene!».

Maga Gemma ha sorriso: «Esatto, Pruna. Non esiste il tempo dei fiori, se prima non viene il tempo del seme: il momento del buio, del riposo, di un’energia che si concentra all’interno per poi manifestare la bellezza della vita all’esterno.»

A quel punto, restava un solo piccolo nodo da sciogliere nella mia testolina di sorcio: «Maga Gemma… che mi dici, allora, del fatto che i cristiani associno il Vino al sangue?»

vino bianco e rosso.jpg

«Una domanda davvero interessante, la tua. Vedi, Pruna, come immaginerai il Vino è diventato sinonimo del sangue per via del suo colore e le sue caratteristiche. E’ il sangue di Cristo offerto per l’umanità. Non siamo abituati a pensare in questi termini, ma il sangue rappresenta la gioia, quella di vivere in armonia con il Creato e le sue leggi, tant’è che perdere sangue, sia esso in piccole o grandi quantità, equivale a perdere un po’ di quella vita preziosa che ci è stata donata. Il sangue che Cristo ci offre è la sua gioia, la gioia di chi vive seguendo i suoi principi. E quella gioia è offerta con amore a tutti noi. Possiamo attingere in ogni istante al suo calice, ma troppo spesso lo dimentichiamo.»

«Wow!» ho esclamato.

vite dipinta

La Maga ha continuato: «Ma il simbolismo in sé nasce dal fatto che, come sai, Gesù ha sempre accettato la volontà del Dio suo Padre “barcollando” molto raramente in fatto di Fede. Ebbene, la prima volta che ebbe paura fu proprio durante la sua notte passata nel Getsemani, nell’uliveto, dove sapeva bene che le guardie sarebbero andato a prenderlo da lì a poco per crocifiggerlo. In quel momento Gesù esclamò: “Padre, tu che puoi tutto, allontana da me questo calice!”, ma subito si riprese e continuò: “Tuttavia, sia fatta la tua volontà, non la mia”. La sua angoscia, Pruna, era così forte e tanti erano il suo spavento e la sua sofferenza che si dice abbia sudato sangue. Quel suo sudore, talmente concreto e intriso di terrore, aveva i bagliori rossi e purpurei del sangue. Lo stesso sangue, sostituito dal Vino, che ancora oggi viene offerto. Ancora una volta, la Fede totale e assoluta verso Dio aveva prevalso in quel cuore puro. Quello venne considerato dai teologi un momento catartico della vita del Messia.»

«Cavoli… non conoscevo questa precisazione. Però, tornando al discorso della gioia… Be’ mi pare proprio di capire che, ancora una volta, gli esseri umani si facciano tanti problemi, quando in realtà avrebbero la soluzione a portata di mano, sotto i loro occhi, dico bene? Basterebbe solo comprendere di avere dentro una riserva preziosa di gioia e amore, per non focalizzarsi sempre e solo sulle cose negative.»

«Hai detto proprio bene, amica mia. Pensaci tu a ricordarlo, ora però propongo un bel brindisi.» ha detto, alzando il calice.

«Alla gioia!»

«E all’Amore, di cui dobbiamo ricordarci sempre.»

«E sia!»

Unitevi a noi, topi! Brindiamo insieme! In alto i calici, allora, e… Cin cin!

Un Santuario, una Pastorella e le Uova

Tempo fa vi ho portato a visitare il Santuario di Corte, meglio conosciuto come  Madonna del Ciastreo, una Chiesa molto conosciuta nella mia Valle eretta in seguito a un miracolo. Cliccando qui potrete leggere la storia della pastorella che riacquistò l’uso della parola, ma non vi ho mai raccontato con precisione come andarono le cose quel giorno.

La bimbetta aveva portato al pascolo le sue mucche e, alla sera, tornando a casa, era stata colta da un violento e improvviso temporale. Certe tempeste, si sa, in montagna possono essere spaventose.

Dove oggi sorge il Santuario, un tempo c’era un passaggio attraversato da un piccolo rio che, quel giorno, a causa della pioggia incessante, si era trasformato in un torrente impetuoso che impediva alla pastorella e alla sua mandria di attraversare il canale e far ritorno a casa.

La pastorella, sorda e muta dalla nascita, non poteva nemmeno gridare per chiamare aiuto ed era rimasta ferma davanti a quell’acqua che scendeva a valle. Non riusciva neanche a muoversi, completamente frenata dallo spavento. Anche le mucche iniziavano ad agitarsi e lei piangeva.

In quel momento che la Madonna le è apparsa davanti e con voce dolce le ha detto: Passa pure, non ti accadrà nulla, le acque non ti faranno niente. La giovane, assai stupita e in preda al terrore, ha obbedito ed è riuscita a passare dall’altra parte senza complicazioni: non appena ha messo un piede nell’acqua, il torrente è ritornato a essere il piccolo rigagnolo di sempre. La pastorella si è voltata per ringraziare la Vergine Maria, la quale le ha detto ancora: Ora torna al paese e racconta a tutti quello che è successo, affinché qui possa essere eretto un Santuario in mio onore e che tutti possano venire a pregare per ricevere delle grazie da me.

La pastorella, emozionata, è corsa a casa e proprio mentre si chiedeva come fare a raccontare quello che era le successo, si è resa conto di poter parlare. La sua voce era uscita limpida e chiara, proprio come l’acqua che poco prima le era stata amica.

Il Santuario è stato costruito in onore della Madonna e, ancora oggi, è visitato e frequentato da molta gente. Alcuni sono pronti ad affermare che la storia della pastorella non sia una fiaba inventata, ma pura realtà. Che fascino la mia Valle!

Sono diverse le cerimonie e le feste che vedono questa costruzione religiosa protagonista, ma ce n’è una davvero curiosa e inusuale. Si tratta del giorno in cui si celebra: la benedizione delle uova.

Tra la seconda e la terza domenica seguente alla Pasqua, i molinesi si recano al Santuario per la celebrazione religiosa e, al termine della funzione, vengono offerte a tutti i presenti uova sode da mangiare in compagnia nel cortile adiacente alla Chiesa. Queste uova, prima di essere spartite e divorate allegramente in compagnia accompagnandole con del buon vino, vengono benedette dal Parroco. Non si conosce l’origine di questa tradizione, poiché i documenti che potrebbero svelarla sono andati persi con i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, ma è risaputa la simbologia di rinascita legata alle uova e, con esse, al periodo primaverile.

E’ una circostanza davvero simpatica per vivere tutti assieme e felici la Pasqua e l’amicizia, noi della Valle siamo sempre molto cordiali e amiamo vivere eventi significativi tutti insieme condividendo emozioni.

Se dovesse capitare anche a voi di passare da quelle parti in quei santi giorni, preparatevi e state pur certi che non mangerete in solitudine!

Pancia mia fatti capanna!

Squit!

Dai granai della Valle alla tavola: la trasformazione del grano e di te

Topi, qualche volta capita che, anziché invitarla io, sia Maga Gemma in persona a chiedermi di andare da lei a consumare un pasto salutare e genuino. E, cercate di capirmi, come posso rifiutare tanta gentilezza?

Ebbene, ieri ho avuto il piacere di essere ospitata a casa sua. Mi sono seduta al suo tavolo, avvolta dai rivoli di fumo dell’incenso, e mi sono preparata ad ascoltare quello che avrebbe voluto insegnarmi. Quando si parla di Maga Gemma, infatti, c’è sempre qualcosa da imparare, statene certi!

tavola apparecchiata - occasione speciale

«Mia cara topina, sai perché ti ho invitata da me, oggi?»

Ho scosso la testa, così lei ha continuato: «Perché desideravo parlarti di una cosa che credo sia molto importante.»

«So che può sembrare strano, detto da me, ma sono tutt’orecchie!» ho ribattuto.

La Maga ha sorriso: «Molto bene. Come sai, la Natura può essere nostra Maestra in moltissime occasioni. Nessuna creatura terrestre può sottrarsi alle sue regole e ai suoi influssi, che influenzano ogni cosa. A dire il vero, volendo essere precisi, non è solo la Terra a influenzare le creature che la abitano: i pianeti, le stelle e l’Universo intero hanno potere sull’Esistenza.»

Pendevo già dalle sue labbra, topi! Non ho fiatato, l’ho lasciata continuare, perché volevo capire dove volesse arrivare con quei discorsi grandiosi.

«Adesso, per esempio, ci troviamo in un momento dell’anno molto particolare…»

I suoi occhi mi hanno interpellata, così ho cercato di dire la mia: «Sì, siamo in Estate!»

«Esatto, piccola amiche. Ma anche l’Estate ha in sé diverse energie.»

Questa Maga mi fa sudare freddo, con le sue domande a trabocchetto: «Be’, è la stagione dei frutti…» ho risposto.

«Proprio così, ma è anche molto altro. Conosci il motto “Come sopra, così sotto; come dentro, così fuori; come l’Universo, così l’Anima“?»

Ho riflettuto un attimo su quella specie di indovinello appena ascoltato, poi ho scosso la testa: «No, non mi pare di averlo mai sentito.»

«Era proprio qui che volevo arrivare. Forse non avrai mai udito le parole umane di cui ti ho resa testimone poco fa, ma sono sicura che tu in realtà le conosca profondamente: sei una bestiolina e, come tale, sei molto sensibile ai cambiamenti della Natura, molto più di quanto lo siano gli esseri umani, ormai offuscati dai loro pensieri e spesso dormienti. Il moto del nostro pianeta intorno al Sole ha fatto sì che il nostro emisfero lo scorso giugno entrasse nella stagione in cui ci troviamo tuttora, l’Estate. L’energia dapprima euforica di questo periodo, data dal Sole che con i suoi raggi ci scalda e permette alla Natura di rinascere, ora, sul finire di luglio, assume sfumature differenti. E’ tempo di trasformare i doni preziosi della Natura, lo sai bene anche tu.»

«Ah sì, è vero! E’ tempo di conserve e provviste, sia per gli esseri umani che per noi animali del bosco.» ho detto entusiasta, credendo di essere entrata meglio nel discorso che voleva farmi la Maga.

Grano

«Proprio così. Ed è la Trasformazione, quella di cui voglio parlarti oggi.» Dicendo così, mi ha porto del pane fragrante. Era tiepido, sfornato da poco, e aveva un profumo e un aspetto indescrivibili. «Per lungo tempo, qui in Valle Argentina, le coltivazioni di grano hanno arricchito i pendii delle montagne con il loro colore oro. Che tinta meravigliosa, topina! Quello del grano è l’oro della rinascita, del Sole che sorge al mattino con tutte le sue potenzialità. E’ la nuova Vita in tutta la sua prorompenza.»

«Il mattino ha l’oro in bocca, come dice il detto popolare!»

«Esatto, ed è davvero così. Come ti dicevo, il grano era protagonista indiscusso dei nostri luoghi…»

«Sì, non per niente Triora era il granaio della Repubblica di Genova» l’ho interrotta per la seconda volta.

farina

Maga Gemma ha annuito: «E non solo! Tutta la Valle abbondava di una qualità di grano particolare e unica per le sue proprietà. Il nostro grano sfamava gran parte della Liguria, e arrivava fino alla Francia. Questa ricchezza si traduceva anche in un’infinità di mulini, i quali funzionavano grazie allo scorrere del torrente Argentina e alla forza della sua acqua. Ora non esistono più, ma un tempo il grano veniva macinato nei numerosi mulini che hanno dato il nome al borgo di Molini di Triora, ma ce n’erano anche in altre località della Valle. Lì si macinava il grano che con fatica veniva raccolto e trebbiato, è in quei luoghi che avveniva la prima Trasformazione: dal chicco si ricavava la farina, e la farina è l’ingrediente essenziale di una pietanza che, come abbiamo già avuto modo di dire io e te, viene consumata quotidianamente.»

pane grano valle argentina

«Certo, il Pane!» ho esclamato.

«Oh, bene! Il Pane è la seconda Trasformazione.» A questo punto, ha spezzato la profumata pagnotta, sfoggiandone l’interno. Aveva lievitato proprio bene, perché l’impasto era ben forato e leggero. «Il Pane, per la gente di questi luoghi, era una ricchezza. Era ed è ancora un vanto, un simbolo di abbondanza e ringraziamento. Col Pane sulla tavola si rendeva Grazie a Madre Terra per il raccolto appena svolto, ma anche a Dio, che permetteva all’uomo di sopravvivere grazie ai doni della Terra che lui concedeva ai propri figli.»

spezzare il pane

«Nel Vangelo al quale gli umani si affidano si dice che Gesù spezzò il Pane e rese Grazie, dicendo che esso è il corpo del figlio di Dio offerto in sacrificio per l’umanità.» La Maga, con quel gesto, mi aveva ricordato le parole che ho udito tante volte recitare passando nelle vicinanze delle chiese. Anche se una topina come me non appartiene alle religioni degli uomini, non ho potuto fare a meno di notare l’analogia tra Gemma e le gestualità dell’eucarestia.

«Ecco, brava, hai fatto proprio una bella considerazione. Il Pane è il corpo della Terra, possiamo leggere così questo passo del Vangelo. E il corpo della Terra, come sapevano bene le antiche popolazioni, è anche quello di Dio, dell’Energia Universale che tutto pervade. E’ un corpo trasformato, poiché dal seme è stata tratta la farina per plasmare poi una forma nuova. E arriviamo così alla terza e ultima Trasformazione…» Mi ha offerto una metà di quel suo pane invitante e io l’ho preso tra le zampe tremanti di emozione. «Riesci a dirmi quale sia? Non mangiarlo, aspetta ancora un momento.»

pagnotte

«Credo… forse la terza Trasformazione avviene dentro di noi?»

«Bravissima! Con il gesto di portarci il Pane alla bocca, introduciamo in noi il frutto della trasformazione, dell’abbondanza e della gratitudine. Ecco la chiave per attraversare nel modo più giusto questo periodo dell’anno. Purtroppo non tutti lo sanno, ma sono sicura che tu saprai fare in modo di divulgare questa importantissima conoscenza. Mangiando il Pane con consapevolezza, possiamo portare dentro e fuori di noi la trasformazione che vogliamo vedere avverata. Ci poniamo nella condizione di ricevere abbondanza, ma possiamo ottenerla davvero nella nostra vita solo se utilizziamo l’ingrediente fondamentale: la Gratitudine. “Spezzò il Pane e rese Grazie”, dice il Vangelo. Se si è in grado di ringraziare per ciò che non si è ancora ottenuto, per ciò che si possiede già e, meglio ancora, ringraziare incondizionatamente, avverrà in noi la terza trasformazione. Come in alto, così in basso: i moti celesti hanno condotto la Terra e i suoi abitanti in questo periodo stagionale, e noi risentiamo delle sue energie. Come dentro, così fuori: mangiando il Pane, che è il frutto della trasformazione, possiamo trasmutare la nostra realtà interiore ed esteriore. Come l’Universo, così l’Anima: l’Energia di questo momento ci spinge a ringraziare e a godere appieno di quello che abbiamo conquistato con fatica. Ti è più chiara, ora, l’affermazione che ti avevo presentato all’inizio?»

«Sì, Maga Gemma, ed è veramente fantastica! Ora il Pane assume per me un significato nuovo, ancor più importante. Grazie per questa condivisione, ti sono profondamente grata.»

«Brava, vedo che ti sei messa sulla giusta lunghezza d’onda per la serata che avevo in mente. Mangiamo, ora. E ricorda: queste caratteristiche si protrarranno fino al periodo autunnale, quando ci sarà un nuovo simbolo trasformativo di cui parlare…»

«… il Vino!»

«Esatto. Buon appetito, piccola amica. E che la tua Trasformazione sia grandiosa!»

Con quelle parole, Maga Gemma ha toccato delle corde talmente profonde dentro di me da lasciarmi senza squittii. Il suo augurio, topi, lo rivolgo a voi quindi. Fate tesoro di quello che avete imparato fin qui, mi raccomando!

E’ americana ma cresce spontanea anche nella mia valle

Oggi vi parlo di una pianta che sicuramente avrete visto milioni di volte.

La Phytolacca Americana, infatti, cresce in quasi tutte le regioni d’Italia. Cresce spontanea, anche ai margini del bosco, e può raggiungere l’altezza di 2 metri.

E’ bellissima e la sua bellezza è dovuta soprattutto ai colori che possiede, vivi, forti e che si distinguono tra gli altri. Un bel verde intenso per le foglie, un bel fucsia vivace per i ramoscelli e un nero violaceo per le bacche. Il suo nome, che comunemente è Fitolacca (ma anche Uva Turca), deriva dal greco e significa “lacca vegetale“. SONY DSCQuesto è dovuto proprio ai suoi acini scuri che, se schiacciati, rilasciano un liquido nerastro che macchia intensamente. Quando ero piccola usavamo le parti di questa pianta non solo per creare le ciliegine sulle torte fatte con la sabbia ma, con il suo inchiostro, disegnavamo sui fogli bianchi che ci davano i nonni. Con lei e con il Gelso creavamo delle vere opere d’arte. Povere nonne poi però a lavare le magliette che non venivano più pulite! SONY DSCMa noi si era artisti e nessuno poteva soffocare il nostro estro!

Rischiando, oltretutto, dal momento che queste bacche sono lievemente velenose, ma da bambini si sa, non si patisce niente.

Che poi gli esperti, comunque, la utilizzano in omeopatia nonostante la sua tossicità. E’ considerata infatti una pianta dotata di azione emetica, purgativa e depurativa e, alcune sue parti, se essiccate, diventano antiinfiammatorie. Attenzione però, perchè di Fitolacca, appartenente alla famiglia delle Phytolaccaceae, ce ne sono anche più di 20 specie! La Dioica, ad esempio, è un simbolo per l’Uruguay e l’Argentina e la sua chioma è molto utile, grazie alla larghezza delle foglie, perche’ offre protezione e riparo dal sole e dalla pioggia.

Tornando però al discorso della tinta che lascia è doveroso dire che, in passato, c’è stato chi si è servito del suo colore per pitturare in modo vegetale i tessuti. No, io e i miei amici non siamo stati i primi a inventare questa pratica. La Clorofilla e la Fitolacca erano tra la flora più utilizzata per questo scopo e, nel 1700, importata fino alle nostre coste e coltivata in Sardegna, veniva adoperata anche per il colorante rosso scuro usato in particolar modo per tingere le ostie chiudi-lettera.SONY DSC La Fitolacca, con quei suoi grappoli pendenti e quella leggerezza grazie alla quale si muove ad ogni venticello, è una pianta bellissima soprattutto durante la sua fioritura che avviene solitamente da luglio a ottobre ma, ovviamente, tutto dipende dal clima. E’ un meraviglioso arbusto ornamentale e, spesso, la si può trovare nei giardini delle case della mia vallata.

Simile per certi versi alla Belladonna, la Fitolacca veniva anche usata dalle dame di corte come oggetto di bellezza. Un accessorio vero e proprio che solitamente veniva posizionato sulle tese dei grandi cappelli, accanto alla cupola, o lavorato nelle acconciature principesche.

Così bella; bella da morire. C’è addirittura chi afferma sia proprio la Fitolacca la causa della morte del giovane Ampelo. Ampelo, giovane mito, era amato da Dionisio (Dio della linfa e del vino in quanto liberatore di sensi ed emozioni) e lo corrispondeva.SONY DSC Morì, accidentalmente, cadendo dal dorso di un toro imbizzarrito sul quale era salito per cogliere un grappolo d’uva, frutto adorato da Dionisio. Quell’uva era la più bella che lui avesse mai visto, però, non era uva. Nella prima variante, invece, riportata da Nonno di Panopoli, poeta bizantino del V secolo, si legge che Ampelo fu in realtà trasformato in vite, recando agli uomini il dono dionisiaco del vino. Insomma, poverino!

Si ritorna sempre a un grappolo e, questo grappolo, era particolare. In realtà la Fitolacca non ha nulla a che vedere con questa bevanda tanto amata ma così fu. E’ vero che la forma dei suoi fiori è a grappolo e che il suo colore può indurre a sbagliare, il suo nome comune poi, è proprio quello dell’uva ma, in verità, è una pianta completamente diversa.

Voi topi, datemi retta, accontentatevi dello splendore che i suoi colori potranno portare nei dintorni di casa vostra. Vi lascio le sue immagini e vi auguro una buona giornata, al prossimo post!

M.

Dialetti per tutti

Ogni volta topini che scrivo un articolo, o una parola, o una frase riguardante il mio dialetto, il Ligure o il Genovese, mi accorgo di essere entrata nella curiosità di gran parte di voi. C’è divertimento e, a volte, voglia di tornare alle vecchie tradizioni. E allora, mi è venuta un’idea; un’idea della quale me ne assumo la completa responsabilità (perdonatemiiii!). Tolte due o tre strofe, tutte le altre frasi che trovate qui sotto elencate, appartengono alla mia memoria e, la scrittura, è quasi sempre di mia immaginazione. Ebbene topi di tutta Italia, oggi voglio espatriare dalla mia Valle e farmi un bel giro da tutti voi e, per ognuno di voi, ho trovato le strofe di una vostra canzone popolare, nella speranza di farvi un lieto regalo. Tra l’altro, sapreste riconoscere i vari dialetti a quale regione appartengono? Vabbè, vi aiuto, li ho divisi per colore e, inoltre, posso dirvi che il primo, è dedicato alla mia terra, la Liguria. E poi? Divertitevi, alcuni son davvero simpatici. E’ stata un’idea impegnativa, ma il risultato mi sembra abbastanza buffo per potervi augurare una buona giornata in allegria, canticchiando, questa specie di “minestrone”! Buon dialetto a tutti!

Ma sa ghe pensu alua mi vegu u ma,

vegu i mei munti e a ciassa d’Anunsià

rivegu Righi e u me se strenze u coe

vegu a Lanterna, a cava, lazzu u moe.

Sei trascinato per via ‘Halzaioli
e pensi ‘he ieri dicevi ai figlioli
“Sarà, ma domani, Maremma Toscana,
ll’è pioggia, c’ho un callo che segna buriana!”

Ma che ccie frega, ma che ccie ‘mporta

se l’oste al vino ccia messo ll’acqua

e noi je dimo e noi je famo

Cciai messo l’acqua e nun te pagamo! “

Staje luntana da ‘sto core

a te volo cu’o penziere

niente vojio e niente spero

ca tenette sempe a fianc’ a mme

Calabrisella mia, calabrisella mia

calabrisella mia facimm’ammuri

tirulallero, lallero, lallà

‘stà calabrisella muriri mi fa!

Vitti ‘na crozza supra nu cannuni

i cu ‘sta crozza mi misi a parlari

idda ma rispunniu cun gran duluri

Sun murtu senza u tuccu di campani”

In sos muntonarzos, sos disamparados
chirchende ricattu, chirchende
in mesu a sa zente, in mesu
a s’istrada dimandende. Sa vida s’ischidat pranghende.

T’amavo nun t’amo cchiu’ t’agge lasciato,

e ringrazio Dio ca ne so asciuto.

Io ero muto, cecare, era ‘nsensato,

cammenavo disperso, ero perduto.

Quannu te llai la facce la matina
L’acqua ninella mia nu l’hai menare
Nu l’hai menare l’acqua na
L’acqua ninella mia nu l’hai menare nu l’hai menare .

Arevié marite mé arevié lu lette
ca te so’ messe li fresca lenzola.
Vattene moglia mé ca nen ce pozzo venire
ca so’ lassate la pecura sola.

E vola, vola, vola

e vola lu cardille

nu vase a pizzichille

‘mo facemme a pruvà.

Affaccete alla finestra o te rompo ‘n vetro,
ardamme la mi’ robba che t’ho deto,
e ardamme la mi’ robba che t’ho deto
e anche qu’ll’anellino che c’hai tu al deto.

Chicchirichì che c’hai per cena
chicchirichì c’ho l’inzalada
chicchirichì chi l’ha combrata
chicchirichì la combrerò.

Ciavarin l’à vendù i bò….
L’à vendù i bò e la cà in montagna ohè,
per comprare ’na mula,d’andare a Soragna.
L’à vendù i bò e la cè in montagna ohè.

Bevè, bevè compare

se no ve mazzeghè.

Piuttost che me mazzeghè,

mi tut ‘l beverò!

Ai preat la biele stele,
duch li Sants del Paradis:
che il Signor fermi la uére,
che il mio’ ben torni al pais.

O Angiolina, bela Angiolina.
innamorato io son di te
innamorato da l’altra sera
quando venni ballar con te.

O mia bela Madunina, che te brillet de lontan
tuta d’ora e piscinina, ti te dominet Milan
sota a ti se viv la vita,

se sta mai coi man in man.

Ô fier Mont Blanc, roi des sommets, salut à ta puissance!
Ô fier Mont Blanc, roi des sommets, salut à ta puissance!
Ta flèche au-dessus des guèrets, des pavillons de nos forêts,
et des glaciers aux bleus reflets, dans le grand ciel s’èlance.

O bundì, bundì, bundì ,‘ncura na volta, ‘ncura na volta.
O bundì, bundì, bundì ,‘ncura na volta e peui papì,
‘ncura na volta sota la porta ,‘ncura na vira sota la riva.
O bundì, bundì, bundì ,‘ncura la volta e peui papì.

Allora, vi è piaciuto questo giro d’Italia? Pant pant! Sono stanchissima. Corichiamoci un po’ ora e riposiamo… domani è un altro giorno! Squit!

M.

Osteria Cavallo Bianco

Taggia, Piazza Cavour, sbito prima dei portici. Si nota il dehor pieno di tavolini ben SONY DSCposizionati, la tenda bicolore e la lavagna che ci permette di leggere prezzi e il menù e ci invita aSONY DSC entrare. E’ un luogo davvero accessibile e molto goloso. L’inaugurazione è appena avvenuta e si percepisce la voglia di dare il massimo, di uscire un po’ dagli schemi e risultare particolari. Le possibilità non mancano, ci sono tutte. Questo locale promette bene.

Entriamo. E’ intimo, SONY DSCaccogliente. Ci sono due bellissime sale, una è per mangiare, l’altra ospita il bar. Tutte e due sono pulite, ordinate, dai colori caldi, tenui, tutte tinte che avvolSONY DSCgono e ben s’intonano con il rame, elemento protagonista di questo nuovo posto. Ad accompagnarlo c’è il legno; un legno classico, non troppo chiaro, nè eccessivamente scuro. A progettare tutto è stato il proprietario, che ha voluto creare per sé il perfetto posto di lavoro.

E’ l’Osteria “Cavallo Bianco”, dove si vuole lasciar spazio al buon vino, a una birra artigianale e, perchè no, a una ben allestita grapperia. La degustazione sarà la principale attività, insieme al buon cibo e alla buona musica. A suggerirlo è una chitarra color crema appesa a una parete.

Il gestore mi fa da Cicerone. Lassù, appeso al muro di fronte a me, sui mattoni SONY DSCrossi delle vecchie volte, c’è un bellissimo orologio composto da ferri di cavallo tagliati e messi in modo da comporre il nome del locale. Un’opera d’arte. Vogliamo parlare dei tavolini? Sono antiche botti, una meraviglia.

Come vi dicevo, il SONY DSCvino regna sovrano, ne hanno una lista infinita, ma voglio rendere il giusto merito anche a una birra nazionale, la “Baladin”, che ho potuto assaggiare ed è una delizia. Tra l’altro questa ditta SONY DSCproduce davvero tantissimi tipi di birra. Ce n’è per tutti i gusti e qui la si può trovare sia nella panciuta bottiglia, sia alla spina.

Ditemi: secondo voi, in un posto così, possono forse mancare Sardenaira, FugassaTurta Virde? (Sardenara, Focaccia e Torta Verde) Ovviamente no! E come sono buone! Somigliano a quelle che faceva la nostra nonna, così squisite da farne una scorpacciata seduti comodamente al tavoliSONY DSCno oppure al bancone, SONY DSCsul quale, ancora una volta, risalta il nome del locale.

Che cosa resta da aggiungere? Non posso fare altro che consigliarvi una tappa qui, perché l’accoglienza che riceverete vi piacerà. E’ anche molto comodo arrivarci, grazie ai parcheggi nei dintorni. Non perdeteSONY DSC l’occasione e dite che vi mando io, la Topina della Valle Argentina! Un abbraccio, la vostra Pigmy.

P.S.: ricordatevi (lo sapete che vi faccio sempre la stessa raccomandazione) di non esagerate mai con il bere.

M.

E l’ultima è Lucy

Non l’ultima arrivata ma, l’ultima che vi presento, per ora, amica fortunella di topononno. Sempre che topononno decida di fermarsi qui in quanto allevamento!

Lei è quella che stà meglio di tutti. Mangia in continuazione, si rotola nella campagna, rincorre i grilli e non ha paura di niente. E’ anche un pò incosciente a mio avviso. Prima fa e poi pensa.

Topononno l’ha presa da suo cugino perchè, di tutta la “nidiata”, era quella mal voluta da mamma gatta. La Signora Gatta la mandava via, la scalciava con le zampe e non le dava da mangiare. Prima hanno provato a farla crescere un po’. Dopo qualche giorno, l’hanno rimessa dalla genitrice che, nel mentre però, non era cambiata anzi, la trattava sempre peggio. E così, tra un “E dai topononno!” e un altro, ecco zampettare giù nell’orto un nuovo felino tutto per noi.

E lei se ne stà lì a ronfare e a giocare, mentre noi in campagna ci diamo un gran da fare a piantare e a raccogliere. Da come potete vedere, lei fa molta più fatica di noi! Mannaggia a lei!

Ma quei suoi occhi, color dell’ambra, quando ti guardano sono in grado di chiederti ogni cosa e di ottenerla anche ovviamente! E quel suo manto dalle mille sfumature. Quel pelo tigrato che assume mille colori e quelle zampette bianche. Come quattro calzette linde di bucato.

E che bello è guardarla addormentata sotto la fila delle pannocchie o a testa in giù a sbirciare qualche strano animaletto.

Il suo passatempo preferito però è nascondersi e porre gli agguati agli uccellini ma, fortunatamente, il suo tentativo fallisce sempre. E prima mangia lei sapete? Prima lei e poi Minuminu. Il famoso micio di qualche post fa, ve lo ricordate?

E Lucy lei… è proprio una femmina. Mentre lui spesso s’inciampa, o cade rotolando dai gradini, sbadato com’è, lei invece ha già una grazia intrinseca inimitabile.

Vive nella campagna più “impervia” ma è di un’eleganza incredibile comunque. E pensare che ha solo quasi cinque mesi. Ma non le manca l’esser buffa nemmeno a lei. Sì, quando chiama dalla finestra e sembra che faccia una serenata. Quando dal nocciolo le piomba qualche frutto in testa e lei si arrabbia e si spaventa, quando la preda riesce a scapparle.

Lucy, con la sua punta della coda rotta. Aveva due giorni quando nella cuccia, assieme ai fratellini e alla mamma, l’abbiamo trovata così. Con la coda ricurva, come stoccata.

Piccola, i baffetti le si sono sistemati solo adesso.

Adora topononno, non so cosa farebbe per una sua carezza e quando lui gliela dà non vuole più staccarsi. Qualche tempo fa ha anche imparato a fare il vino pur di star vicino a lui e, secondo me, un p0′ in cimbali lo era davvero con tutta quell’uva che si è respirata, perchè ha viaggiato a zig-zag per parecchio tempo.

Lucy, color del sole, spesso s’incanta a guardare l’ignoto. Un punto fisso che solo lei conosce e chissà a cosa pensa in quel momento e con quel suo naso all’insù.

Lucy, così piccina che ora ha imparato ad essere affettuosa e a fidarsi.

Lucy, ti faccio un grattino sotto il mento come ti piace tanto, cresci sana e mangia tutto.

Un baciotto!

M.

La preghiera dell’Alpino

Gli Alpini cari topi, nella mia Valle, sono sempre stati una figura importante e, ancora oggi, organizzano raduni e feste per ritrovarsi e sentire ancora quell’ardore dentro nell’aver partecipato a lottare per la propria patria.

Tante sono le canzoni da loro inventate, tanti gli inni, e oggi ho addirittura trovato una preghiera in loro onore.

Una preghiera molto buffa che probabilmente serviva proprio a tirarli un po’ su, con un sorriso, nei momenti di tristezza e malinconia e mi faceva piacere farvela conoscere.

PREGHIERA DELL’ALPINO

Bacco nostro che sei in cantina, sia ricordato il tuo nome.

Venga il tuo vino, purchè genuino.

Sia fatta la tua volontà nello stabilire la quantità.

Dacci oggi la nostra sbornia quotidiana.

Riempi i nostri bicchieri come noi li riempiamo ai nostri bevitori.

Non ci indurre all’astenia ma liberaci dall’acqua e così sia”.

Io la trovo molto divertente e se penso a quante ne hanno passate su quelle montagne… Nonostante tutto riuscivano ad avere la fantasia, per non cadere nella sofferenza, per non lasciarsi andare, per potersi far forza e coraggio con quattro semplici parole.

Pensate, stiamo parlando del Corpo di Fanteria più antico del mondo! E da me, sui miei monti, come già tante volte vi ho spiegato, gli Alpini, hanno vissuto parecchi anni a combattere.

Hanno scavalcato queste montagne a piedi, sotto il sole, sotto la pioggia, al freddo e conoscono ogni piccolo rifugio, ogni falesia, ogni grotta. Non avevano nulla che potesse ristorarli se non un buon bicchiere di vino!

M.

Il Museo Etnografico di Triora

All’inizio del paese di Triora, il primo edificio che incontriamo, sulla nostra destra, è un caseggiato color crema davvero molto importante.

Siamo in Corso Italia n°1 e qui è stato creato e allestito uno dei Musei più significativi della mia Valle.

E’ il Museo Etnografico e della Stregoneria. Se vi va, potete iniziare a farvene una vista andando sul suo sito http://www.museotriora.it e qui potrete anche vedere gli orari e i periodi d’apertura.

Tre piani della vita della Valle Argentina. La vita di un tempo.

Il Museo di Triora non vuole essere soltanto una mera esposizione di oggetti ma soprattutto un invito, uno stimolo a visitare l’antico paese, le sue caratteristiche ed incantevoli borgate e frazioni dove, in qualche caso, si potrà riscontrare l’uso degli attrezzi che si possono notare in queste sale. Si potrà, a contatto con una natura pressochè incontaminata, ritrovare il gusto e il vero piacere della vita.

In questi tre piani infatti, uno a terra, uno interrato e uno addirittura nei sotteranei, sono stati ricreati diversi ambienti che ci permettono di capire come si viveva e come è nata la Valle.

Tutto è al chiuso tranne un piccolo giardinetto all’aperto che invece, è ricco di opere intagliate nel legno.

Stiamo parlando di un Museo così importante da essere riconosciuto come regionale.

Appena si entra e si ha a che fare con la simpatica signora che da’ i biglietti e spiega come proseguire, ci si tuffa subito nel mondo dell’arte, dell’artigianato e del ricamo. Un letto addobbato come un tempo, con un copriletto fatto a mano e degli abitini, anche per i neonati, che veramente si usavano tanti anni fa. Tutto è originale, ci tengo a dirlo.

Da qui si passa alla sala delle macchine da cucire, dalla più vecchia a quella più moderna diciamo, vicino alle quali si possono notare gli strumenti musicali e il vestiario dell’epoca, non solo quello da notte ma tutto quello che serviva per i vari momenti della giornata.

Bellissimo è il reparto dedicato all’archeologia. Tanti sono stati i ritrovamenti preistorici nella mia Valle, tanti e importanti, inerenti anche all’Età del Ferro. Denti, collane, lance e anche qualche graffito ritrovato in qualche grotta sicuramente sotto Verdeggia o Realdo.

A mettere un pò si soggezione invece, ci pensano sicuramente gli animali imbalsamati nelle loro posizioni comuni o nei loro momenti di caccia. Tutta la fauna della mia Valle.

Al piano di sotto la carrellata dei vari mestieri compresa la vita nei campi e tutti i lavori ad essa accompagnati. La lavorazione del latte, quella delle scarpe, quella del vino, delle castagne e poi ancora, dove venivano messi i bambini mentre le loro mamme dovevano lavorare la terra? Tutto è rigorosamente ripreso come ad essere vero. E’ particolare notare come siano riusciti anche ad arredare una casa come lo era al tempo dei nostri nonni. Il focolare, la madia, il grammofono, il macinino e la grattugia per il formaggio. Non so numerarvi tutti gli attrezzi che ci sono. Davvero in abbondanza.

Infine, scendendo ancora più sotto, si entra nell’atmosfera macabra delle streghe, ma non vi posto foto, vi lascio la sorpresa. Sappiate solo che inizierete a sentire delle grida e delle diapositive, riflesse sul muro, vi spiegheranno le usanze di queste particolari donne. Sarete dentro a delle lugubri prigioni e potrete vedere le sale delle torture, leggere i processi fatti e osservare disegni rappresentativi! L’ambientazione è bellissima, da cinema.

Le cose che vi ho detto sono solo una minima parte di questo grande tesoriere. Non posso mica elencarvi tutto! Vi farò solo qualche sorpresa ogni tanto… Dovete assolutamente venirlo a vedere.

Mentre ero dentro ho sentito più di una signora esclamare la frase “Oh mamma mia! Mi vien la pelle d’oca! Guarda che bello!” e Topogiò, la topina che era insieme a me, era entusiasta. Probabilmente erano tutte amanti dell’antiquariato ma credetemi che anch’io ho provato una grande emozione.

Una voce guida vi accompagnerà per tutta la visita. In ogni stanza infatti una voce incisa su un disco parte più volte per poter accontentare tutti i visitatori e svelare i segreti di Triora.

Sarà utile capire anche quel dato oggetto, spesso davvero incomprensibile, a cosa era servito! Il prezzo per entrare è davvero minimo a mio parere. Pensate… solo 2 euro e ne vale davvero la pena.

Ora topi, godetevi queste immagini ma, datemi retta, venite a vedere tutto il resto che c’è, a Triora, in Corso Italia n°1.

La vostra Pigmy.

M.