Il Toraggio – l’uomo addormentato e il suo nome

Come molti sanno, il Monte Toraggio, è uno dei miei monti preferiti.

In questi due link qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/07/19/saliamo-sulla-vetta-del-toraggio/ e qui https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2019/08/08/scendiamo-dal-toraggio-e-arriviamo-a-fontana-itala/ ho parlato molto di lui, spiegando come raggiungere la sua parte più vicina al cielo e come discendere, da un altro sentiero, ammirando luoghi nuovi e meravigliosi.

Pur non essendo in Valle Argentina, lo si considera comunque un monte “nostro”, in quanto, con la sua solenne presenza, lo si può ammirare da ogni punto della Valle ed è, col passare degli anni, divenuto un caro amico. Come un simbolo. Uno dei tanti che abbiamo e amiamo. Inoltre, appartiene alla Catena Montuosa del Saccarello e alle Alpi Liguri quindi è come se appartenesse anche un po’ a noi.

La cosa principale poi è che, da come lo vediamo noi, o per lo meno dalla maggior parte delle zone della Valle Argentina, appare come la sagoma del viso di un uomo addormentato, con un naso un po’ aquilino e una fronte importante. Ma non è finita qui.

Assieme al Monte Pietravecchia e al Monte Grai, che si trovano accanto a lui verso Nord, quel viso appare congiunto anche a un corpo, tanto da aver assunto nel tempo il nome di “Uomo che dorme” o persino “Il Napoleone addormentato”.

Questo perché, a volte, attraverso varie atmosfere climatiche che si formano attorno a lui, delle nubi spesse e candide alle sue pendici, pare formino i capelli bianchi del noto Imperatore.

Il Monte Toraggio, alto 1.972 mt, ha l’aspetto severo e rude. Le sue pareti non sono morbide e tondeggianti anzi… alcune guglie di pietra gli recano proprio quel fascino brusco che ammalia.

Il suo nome deriva probabilmente da “Torevaius” un termine che, un tempo, soprattutto in ambito pagano, era dedicato a importanti luoghi di culto. Torevaius, infatti, sarebbe il nome antico di un Dio preromano custode delle vette.

Non solo, lo stesso nome “Torevaius”, deriverebbe da un’antica lingua romanica che indica “In Terrabulis” e cioè “Su luogo terribile” perché – terribili – erano considerate le sue cime frastagliate.

Forse è proprio questa sua autorevolezza che mi rapisce. Quella sua bellezza data da certe rocce sporgenti e alte falesie.

Il Toraggio esige molto rispetto e non è conveniente salire su di lui quando Madre Natura non lo permette forse proprio perché, in certi momenti dell’anno, quella natura vuole starsene in totale solitudine.

Sempre da parte di alcune antiche popolazioni preromane, si è ottenuto però anche il vocabolo “Tauraricum” ad indicare un diritto di pascolo che si è poi trasformato, come termine, a causa della lingua provenzale entrata a vivere quelle Alpi. Ovviamente si parla degli ampi prati attorno alla sua base che, in estate, offrono fiori di ogni genere e il verde smeraldino di quell’erba tenera.

Si tratta di luoghi incontaminati, che invitano Cicale e Farfalle.

Il Toraggio offre ovviamente una vista spettacolare. Si vede persino il mare dalle sue vette e una distesa di monti a perdita d’occhio.

Si è quasi a 2.000 mt di altezza e sono poche, nelle sue vicinanze,  le montagne alte quanto lui o più, perciò si gode di una vista aperta da ogni lato. Una vista che non la si dimenticherà più.

E’ sicuramente una meta da raggiungere almeno una volta nella vita, perchè regala emozioni uniche.

Anche lui è magnifico sempre. Visto da ogni dove. Imponente e aspro.

Adoro le sue forme, la personalità che emana. E’, per me, anche un punto di riferimento.

Sono nata guardandolo e continuo a farlo. Così come continuerò a parlarvi di lui.

Vi mando un bacio spettacolare quanto il suo splendore e vi aspetto per la presentazione del prossimo monte. A presto!

La mia Liguria

In quell’arida terra il sole striscia

sulle pietre come una serpe…

Ombra e sole s’alternano

per quelle fonde valli

che si celano al mare…

Il mare in certi giorni

è un giardino fiorito.

Queste le parole di Vincenzo Cardarelli per descrivere una delle regioni più particolari d’Italia, anche se ognuna ha le sue caratteristiche. Queste, quelle della Liguria, terra mia, terra rosa, viola, dalle sfumature arancio. Una tra le più piccole parti di terra su un territorio particolarmenteSONY DSC montuoso e tormentato. E oggi voglio parlarvi della stessa terra che accoglie la mia Valle.

Questa terra che sembra un antico anfiteatro, importante vertice, nella parte di Ponente, la parte in cui vivo, tra la Francia e la regione del Piemonte. E questa parte, a Ovest, attraversata da valli generalmente abbastanza aperte, è forse la parte meno aspra ma alcuni suoi paesaggi scoscesi sono di un fascino superlativo.

Ognuna di queste valli è incisa da un SONY DSCcorso d’acqua e questo fa si che, a vederla dall’alto, possa sembrare un variopinto merletto.

La mia Liguria dalla doppia anima, contesa fra l’intraprendenza dei centri marittimi e dei commerci dei naviganti e la parte più tranquilla e rurale dell’entroterra. Quella viva nel Medioevo e oggi invece più spopolata. Due punti di forza che non hanno mai smesso di rendere vivo l’ambiente che li ospita. Professioni che si tramandano da secoli, e da secoli hanno segnato la nostra personalità. Noi liguri spesso introversi, burberi, asociali. Il mite clima, la bellezza naturale dei luoghi, la mia Liguria conserva una fisionomia autentica di angoli suggestivi che dimostrano come si fa a rimanere in piedi nonostante tutto. La supremazia di vari imperi l’hanno governata, ma non si è lasciata abbattere.

La terra arida che sembra non provare emozioni, non patire, non gioire, è invece un vecchio “con il solco lungo il viso…” (Il Pescatore – De Andrè).

Terra verde dalla linfa che l’attraversa e la rende viva. Abitata da persone che hanno sempre dimostrato e sviluppato grandi doti d’ingegno e iniziativa essendone obbligati, la mia terra ha sempre dimostrato come riesce a cavarsela da sola. Ed è bella, è bella, è lei.

Ha saputo, nonostante tutto, conservare borghi meravigliosi dall’eccezionale fascino ambientale e con grandissimi interessi storici e culturali.SONY DSC Spesso, sia marinari che montani, arroccati su rocce dallo splendido effetto. Vere e proprie falesie e promontori, alternati da prati o piccole spiagge, talvolta naturali. Talvolta irriverenti, talvolta commoventi.

Ed è la mia regione. Ricca di vestigia del passato, ci racconta di storie e leggende ancora vive nei suoi cuori. Ci consente viaggi stratosferici ed escursioni mozzafiato.

E tante le sue arti, il suo artigianato, dalla lavorazione del vetro alla ceramica, la scultura, la lavorazione della filigrana e quella del vimini. Attività non appariscenti ma molto varie, originali, strettamente legate a quello che la Liguria è visceralmente. Oggetti che hanno il potere della rievocazione, la rievocazione del luogo nel quale sono nati. La mia terra, che ha la capacità di risvegliare in noi la pazienza, la tenacia, la voglia di escogitare. Che ha voglia di essere scoperta anche se non lo dimostra. Che è discreta, introversa e talvolta austera, come i suoi abitanti, ma vuole compagnia. Che lo dimostra con l’esplosione delle folcloristiche manifestazioni, con lo scoppiare della bellezza unica del suo territorio.

La mia regione, dalle usanze e dai piatti tipici che trattiene con forza come suoi. Che non vuole cedere a nessuno. No, quello no. La mia regione, che non ci sta troppo a pensare su. E’ la mia Liguria, una bellissima parte di mondo. E’ la Liguria, è la mia tana.

La vostra Pigmy ligure.

M.

Filastrocca di San Carlo

Topoli, perbacco! Questa volta per voi ho una vera chicca!

Una filastrocca. Si ma…. struggente eh! Di quelle che raccontano del vero amore! Oh già!

“Di San Carlo vi canto la scena, dei due amanti vi voglio parlar / che mai nessun li potrà separar, perchè eterno era in loro l’amor.

Giulio Binda era giovane e bello, era figlio di ricche persone / ed appunto dirò la ragione, di sua vita finita così.

Egli amava una cara fanciulla, che a vederla sembrava un tesoro / lei campava del suo proprio lavoro, perchè orfana al mondo restò.

Sulla tomba dei suoi genitori, “tu sei ricco ed io povera sono, non ho padre, ne madre lo sai / ed un giorno così sposerai, una ricca si al pari di te”.

Giulio allora abbracciando Maria,  disse lei “non dir tali parole / io ti giuro che se mamma non vuole, io son pronto a morire con te”.

Era un vago mattino di festa, la sua mamma era andata alla messa / i due sposi entraron in salotto, l’orologio suonava le otto, “oh mia cara uniti sarem”.

Giulio allora impugnava quell’arma, che doveva troncar l’esistenza / e con lieta e tranquilla apparenza, all’amante un colpo sparò.

Quando a terra la vide cadere, l’abbracciò e la baciò sul bel viso / esclamò “sol lassù in paradiso, oh mia cara uniti sarem”.

Rientrava la mamma a casa, i due colpi sentì rintonare / quando ella allor fa per entrare, la tragedia ai suoi occhi le appar.

Si strappava i capelli la donna, nel vedere il cadaver del figlio / bagnò di lacrime e pianto quel ciglio, e si mise a gridare “son io la cagion!”.

Essi scrissero due lettere sole, invocando perdono sincero / e che almeno lassù al cimitero, gli recassero corone di fior”.

Che vi dicevo? Vi siete commossi?

Io si…. sniff! Ora vado a soffiarmi il muso e poi vi scrivo un altro articolo…

M.

 

“Caro squit!”

Questa filastrocca la conoscerete tutti, ma per me, pur essendo molto semplice e senza niente di particolare, riassume in sè un mare di ricordi e me la porterò nel cuore tutta la vita.

È popolare e penso che ognuno di voi, nel proprio dialetto, l’abbia ascoltata. Me la cantava sempre una mia topo-zia, una seconda topo-mamma per me, con la quale son cresciuta e che oggi purtroppo non c’è più. Ricordo ancora il suo muso sorridente, mentre con l’indice della zampa mi toccava il musino indicando le parole della canzoncina. Ricordo il lieve pizzicotto sul naso (momentaneo campanile), che veniva dolcemente scosso a imitare il suono della campana a festa. Sento ancora l’odore delle sue zampe e vedo le rughe intorno agli occhi sollevarsi nel sorriso. Io seduta sul tavolo della grande sala e lei su una sedia di fronte a me. Poi, io facevo a lei lo stesso gioco, ma immancabilmente dopo il verso “l’orecchia e sua sorella“, dimenticavo le parole. Oggi, le ho stampate nella mente.

Ieri, un pò per gioco, un pò per destino, i miei amici di questo blog mi hanno detto di tirare fuori le mie nenie, le mie tiritere, le mie canzoni, come un buon cantastorie della mia terra, tanto da farne nascere una sezione dedicata anche ai ricordi del passato, mio e del luogo in cui vivo. Non potevo non iniziare con questa che, nella sua semplicità, mi commuove, come vedo commuoversi gli anziani in quelle che, con tanto affetto, ricordano.

Ebbene, topini, la sezione si chiamerà “Caro squit!”, spero vi piaccia.

Essendo questa filastrocca particolarmente famosa, mi piacerebbe la scriveste anche voi, nei vostri commenti, come viene cantata nella vostra provincia; è la prima di una lunga serie, dai, rompiamo tutti il ghiaccio per inaugurare la nuova categoria!

Stu chi u l’è l’oeggiu belu, stu chi u l’è so fratellu

sta chi a l’è l’uregetta bela, sta chi a l’è sa surela

sta chi a l’è a gesgetta, cun tuti i soei fratin

e stu chi u l’è u campanin cu fa din, din, din, din, din!

 

Traduzione:

Questo è l’occhio bello e questo è suo fratello,

questa è l’orecchia bella e questa è sua sorella,

questa è la chiesetta con tutti i suoi frati

e questo è il campanile che fa din, din, din, din, din!

Facendo una ricerca, ho trovato questa filastrocca completa e in italiano. È leggermente diversa e, come potrete ben capire, a me dice assai poco sentimentalmente. Ve la posto ugualmente.

Questo è l’occhio bello, questo è suo fratello.

Questa è la chiesina e questo il campanello:

din don din don din don.

La testina bionda,

guancia rubiconda,

bocca sorridente,

fronte innocente.

Din don din don din don.

 

Un dolce abbraccio,

vostra Pigmy.

 

M.