Ad Arma di Taggia, la morte sospetta di Tranquillo

Era il 25 agosto del 1962 quando nella pacifica cittadina di Arma di Taggia, primo paese della Valle Argentina, affacciato sul mare, accadde un fatto che scosse tutti gli abitanti e lasciò perplessa l’Italia intera.

Purtroppo, anche nella mia Valle, sono accadute cose molto spiacevoli e questa storia, realmente successa, non è a lieto fine ed è anche molto strana.

Si tratta della morte di un signore, un certo Tranquillo Allevi, chiamato “Tino” dagli amici più intimi, che ricevette per posta un pacco davvero particolare. Fu la moglie di Tino a ritirare quella scatola incartata in modo sgarbato e frettoloso ma il mittente era la nota azienda San Pellegrino e quindi poteva contenere qualcosa di importante.

Marito e moglie pensarono ad un’opportunità lavorativa, ottima a quei tempi. Diventare dipendente di una ditta così importante non era da tutti e furono contenti di aver ricevuto quel regalo.

Ma cosa c’era in quella scatola? Ebbene, quel pacco conteneva una bottiglietta di liquido analcolico prodotto da quella azienda che, in quegli anni, era conosciuta con il nome di Società Anonima delle Terme di San Pellegrino.

Assieme alla bottiglia c’era un biglietto indirizzato a “Tino” Allevi e sul quel foglio veniva dichiarato proprio il sogno del signor Tranquillo, cioè divenire rappresentante di quella specifica bevanda che pareva un Bitter.

Ovviamente però, quella bibita doveva essere assaggiata dal signore in questione, il quale, successivamente, avrebbe potuto parlare con un incaricato mandato dall’azienda proprio per decidere l’assunzione.

Felice e soddisfatto, il destinatario, prima di aprire la bottiglia chiamò due suoi carissimi amici che facevano i commercianti perché voleva condividere con loro la buona notizia e l’avvenimento. Questi, potevano inoltre essergli d’aiuto, dal momento che lui era abituato a vendere solo formaggi, e grazie a loro poteva avere un giudizio sicuramente più preciso.

I due amici accettarono l’invito e, una volta giunti a casa del signor Allevi, vennero a conoscenza di tutta la vicenda. Come promesso, Tranquillo versò in tre bicchieri la bevanda, brindò e tracannò tutto d’un fiato con l’animo di voler festeggiare. Quella bevanda però era talmente amara che i due compagni di Allevi non riuscirono che a berne soltanto qualche goccia ma, verso le 22:30, dopo solo mezz’ora l’aver ingurgitato quel liquido, tutti iniziarono a sentirsi poco bene e ad avere forti crampi allo stomaco.

Tino era, dei tre, quello che stava più male. Vennero portati d’urgenza all’ospedale ma, purtroppo, per Tranquillo Allevi non ci fu nulla da fare e morì per avvelenamento acuto procurato da una sostanza sconosciuta.

I medici supposero si trattasse di Stricnina un potente veleno usato persino per uccidere vari animali.

I due amici del protagonista di questa triste vicenda riuscirono a sopravvivere grazie alla lavanda gastrica e anche per il fatto che avevano mandato giù solo un sorso di quella strana e letale bibita.

Ma poteva la ditta San Pellegrino volere la morte di Tranquillo o essersi sbagliata nel confezionamento di bottiglie?

Gli inquirenti iniziarono le ricerche analizzando soprattutto il pacco arrivato per posta e la casa del povero signore. Come mai quella specie di scatola di biscotti, utilizzata per trasportare la bottiglia, non aveva nessun marchio San Pellegrino? E perché la San Pellegrino si sarebbe dovuta rivolgere proprio al signor Allevi di Arma di Taggia che vendeva formaggi?

Ebbene, purtroppo Topi, ci ritroviamo davanti a un caso di omicidio e quello che fece subito capire questo fu il nomignolo “Tino”, scritto a macchina, su quel biglietto di cui vi accennavo prima. Un diminutivo usato soltanto da chi Tino lo conosceva bene.

Si scoprì presto che il pacco fu spedito da Milano ma anche la San Pellegrino era un’azienda lombarda e, quindi, si era ancora lontani dalla verità. Tuttavia, le ricerche iniziarono ad indirizzare gli inquirenti verso la pista dell’omicidio passionale.

All’improvviso si iniziarono a puntare le luci sulla moglie della vittima, la signora Renata Lualdi, proprio colei che ritirò il pacco quella mattina. Qui si apre un nuovo palcoscenico che vede la moglie di Allevi come una donna bella e affascinante ma sola e trascurata dal marito, per cui divenuta adultera stando alla ricostruzione della Magistratura.

Si dice che gli amanti della signora Renata furono diversi ma quello con il quale la donna aveva trovato un po’ di felicità sembrava essere un giovane veterinario di un Comune lombardo; il Dott. Renzo Ferrari. Pare addirittura che i due conducessero una relazione clandestina già da quando la famiglia Allevi viveva a Novara, paese d’origine, e che il trasferimento ad Arma di Taggia fu voluto proprio dal signor Tranquillo nella speranza di allontanare la moglie dall’amante.

La strategia di Tino Allevi funzionò perché, i due amanti, a causa della distanza e del poco tempo a disposizione da trascorrere assieme, raffreddarono il rapporto portando la signora Lualdi a trovare un altro amante per dimenticare Renzo.

Il Dottore però, nonostante la passione venuta meno, non accettò di essere sostituito e decise di incontrare Tranquillo per proporgli un affare un po’ bizzarro: 4.000.000 di vecchie Lire in cambio della moglie.

A quel punto, Tranquillo Allevi, rispose al rivale in amore che non poteva e non doveva essere lui a scegliere al posto della moglie ma sarebbe stata la stessa Renata a fare la sua scelta. Una proposta che Renata Lualdi rifiutò e questa sua decisione mandò in bestia il signor Renzo.

L’unica chance che restava al veterinario lombardo era uccidere Tranquillo al fine di avere la signora tutta per sé.

Le prove schiaccianti e l’accusa della stessa Renata condussero all’arresto e all’ergastolo del Ferrari che si è sempre dichiarato innocente. Venne poi graziato dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel 1986.

Questo assassinio venne nominato dalla Stampa del tempo “l’Omicido del Bitter” e portò al famoso detto, che ancora oggi si sente nella parlata popolare, e recita << Tranquillo è morto ammazzato >> in risposta a chi ci dice << Ma stai tranquillo! >> senza però infondere nessuna fiducia.

Questo articolo è stato scritto raccogliendo le testimonianze di chi ricorda il fatto e ricercando articoli e video in rete, per cui, se ci fossero degli errori sarei lieta di saperli. Inoltre qui https://m.dagospia.com/quando-dicono-tranquillo-ha-fatto-una-brutta-fine-1962-una-folle-storia-di-corna-153355 potete vedere anche le foto dei protagonisti di questa macabra vicenda.

Avete capito Topi? Un noto proverbio è nato proprio in questo luogo, all’inizio della mia splendida Valle, ma la sua nascita è costata cara ad un uomo che desiderava diventare il rappresentante di una famosa azienda italiana e assicurare così benessere a se stesso e alla sua famiglia. Che storia…

Vi mando un bacio silenzioso nel rispetto di tutti i protagonisti di questa vicenda. Alla prossima!

Alberi e panorami di Carmo del Corvo

Topi, quella che vi faccio fare oggi non è una vera e propria scarpinata. L’aria si è fatta fredda e io per una volta ho preferito salire sulla mia Passepartout per avvicinarmi di più ai luoghi che voglio mostrarvi.

Il naso gelato e i baffi ghiacciati, ci mettiamo sulla topomobile e saliamo su, sopra Triora, sulla strada che porta al Passo della Guardia. Ci fermiamo più o meno in località Gorda Soprana, perché voglio godere insieme a voi della vista dei monti e assaporare i colori del bosco.

Lasciamo l’auto in uno spiazzo che pare dividere a metà la Valle Argentina, perché da qui c’è davvero un panorama spettacolare e mozzafiato. Si vedono il Gerbonte, Cima Marta, il Toraggio e il Pietravecchia, e poi anche il Saccarello.

gorda soprana - carmo del corvo

Dalla parte opposta, invece, abbiamo gli abitati di Corte e Andagna, Passo della Guardia, il Passo della Mezzaluna e poi giù, fino al Faudo. Si vede tutto, si abbraccia l’immensità delle creste velate d’azzurro e sui monti più alti si scorge già una piccola spruzzata di neve.

valle argentina

Tira vento, lo sentite? Ma non lasciamoci intimorire.

Mi piace guardare i raggi del sole che filtrano dall’alto, disegnando scie luminose sulle pendici delle montagne.

valle argentina carmo del corvo

Abbandoniamo la topomobile a bordo strada e ci inoltriamo nel bosco, sulla sinistra, in direzione di Carmo del Corvo. In questi luoghi pascola il bestiame, si sente anche ora il tintinnio dei campanacci. Pecore e vacche sono ancora qui a cibarsi delle ultime erbe rimaste, prima che arrivi la neve a ricoprirle. Ed è proprio questo loro cibo a insaporire i formaggi della mia Valle, dal gusto unico e inconfondibile.

Il bosco di cui vi parlavo non è fitto, ma a tratti si apre in scorci ampi sul baratro che è la Valle Argentina, vista da quassù. Si respira l’atmosfera selvaggia di questi luoghi, è tangibile, e già entrando nel bosco di Pini viene spontaneo abbassare il tono di voce.

 

E quei Pini sono inframezzati da chiazze brulle di macchia mediterranea, dove a farla da padroni sono il Ginepro, il Timo e la Lavanda, i cui cespugli sono ancora ben visibili, nonostante la sua stagione sia trascorsa da un po’.

timo

Qui, nella bella stagione, si trova facilmente anche l’Iperico. L’Estate, da queste parti, fa ronzare le api e gli impollinatori all’impazzata, così affaccendati nel suggere il nettare dai fiori profumati. E non mancano neppure i tafani, quando nelle vicinanze c’è il bestiame.

Eppure ora tutto pare come addormentato, anzi no, sembra tutto in attesa. La Natura riposa e sospira, attende il momento del sonno profondo che le spetterà a breve, quando giungerà l’Inverno col suo abbraccio di candido gelo.

funghi

Sul terreno, adesso, è tutto uno spuntare di funghi, piccoli, grandi, dalle forme più disparate. Sono state le ultime piogge a farli spuntare così generosi.

E alzando il muso all’insù non si può non meravigliarsi di fronte allo spettacolo offerto dalle foglie baciate dal sole!

autunno valle argentina

Raggiungiamo un punto panoramico, Triora è là sotto quella sporgenza, ma da qui non si vede. Ci sono Querce giovani a farci compagnia, insieme ai Lecci e alle Felci ormai ramate.

valle argentina2

E allora me ne resto seduta qui per un po’, su una roccia scaldata dal sole e col naso gocciolante per il freddo. Si sentono i versi dei Caprioli, qui ce ne sono tanti, e alla fine uno mi passa addirittura alle spalle, balzando via come un fulmine.

quercia valle argentina

Infine, dopo essere rimasta per un po’ ad ammirare il dipinto autunnale che si è spiegato per me e per voi, me ne torno indietro, alla topomobile, che il sole sta calando e so che a breve tingerà di rosa certi scorci che voglio mostrarvi prima di lasciarvi andare.

Salgo su Passepartout, la metto in moto e inizio la discesa, finché non trovo la luce giusta al momento giusto, lo scatto perfetto.

Clic!

passo della mezzaluna

Il Passo della Mezzaluna incorniciato dall’ombra scura delle foglie… e un’altra mezzaluna che s’affaccia nel cielo.

Poi non dite che non vi voglio bene.

Vi saluto topi, torno in tana a zampettare sulla tastiera per voi. Un abbraccio panoramico dalla vostra Prunocciola.

Le Selle dei miei luoghi

La Sella è questa specie di casetta in pietra che si trova qui, davanti a noi, dopo che abbiamo parcheggiato l’auto sul bordo delSONY DSC prato che l’accoglie. Un prato bellissimo.

Siamo di nuovo nel parco tematico di Cipressa e, assieme alle Caselle che vi ho mostrato l’altra volta, ci sono queste speciali strutture.

Ci sono tantissime cose qui e, questo progetto, voglio farvelo conoscere pian piano citandovi anche le persone che lo hanno creato e voluto.

Per primo Giampiero Laiolo, che si è occupato di descrivere e raccontare la storia di queste strutture, e il Sindaco di Cipressa, la signora Gianna Spinelli.

Tutto è calmo, contornato dall’azzurro del mare e del cielo. Tutto è rigorosamente in pietra. Uno dei pochi materiali resistenti che si aveva un tempo. Pietra messa a secco, come i nostri famosi muretti che spesso vi ho fatto conoscere. E con questa pietra venivano costruite anche le Selle, come quella che vi mostro oggi; una dimora che era adatta ad accogliere il lavoratore e a dargli un riparo in caso di bisogno. Era costruita apposta nei prati o negli uliveti, presso gli orti, proprio per SONY DSCregalare una zona di sosta comoda e nella quale, la persona, poteva rifocillarsi.

Dalla forma semplice e presente da almeno tre millenni sul territorio ligure è divenuta, col tempo, un tutt’uno con questa aspra terra.

Il nome Sella, come ci spiegano i cartelli posizionati accanto alle opere, in antico, voleva dire “cella”.

Molto più spesso della Casella, nella Sella, apparivano una o due finestrelle, questo anche perchè la porta d’entrata era solitamente bassa e piccola e l’areazione davvero misera. La Sella inoltre era più lunga e senza nessuna finestra sarebbe stato un vero problema. Maggiormente conosciute con il nome di Casai, esse sono importantissime strutture di un’architettura tipica del Ponente Ligure e, a volte, venivano affittate per racimolare qualche soldo. Nella mia zona se ne possono trovare ancora molte, alcune ancora in buono stato ma, oggi, andando indietro con la memoria, ricordo di quand’ero piccola e di quando in vacanza, si correva con gli amici sui prati, girando intorno a queste casupole. E capitava che c’infilavamo dentro per nasconderci! NonSONY DSC ne conoscevamo davvero l’importanza, per noi erano vecchie baracche di Pietra: – Nun stà ad andà in stì casui chi crollan!- (non andare in ‘ste case che crollano!) si preoccupava la mia Topo Zia.

Spettacolari sono quelle di Drego, sopra ad Andagna, che vi avevo fatto vedere in questo post https://latopinadellavalleargentina.wordpress.com/2012/05/06/drego-il-paesaggio-fantasma/  classica abitazione ristoratrice da pastore ma, allora, non sapevo che il loro nome era Selle. E pensate che, in alcune di esse, si possono ancora vedere i tavolacci di legno dove venivano messi i formaggi a stagionare. Durante la transumanza, queste strutture, erano molto utili per frazionare il percorso in più soste e rendere lo spostamento così più sopportabile.

Incavate nel terreno, poteva capitare che una loro parete rimanesse completamente sommersa dalla terra. E guardate quanto è bella, che perfezione nel posare le pietre una sull’altra, ma andiamo ad osservarla meglio anche dentro; ancora la SONY DSCmassima precisione anche per la posa della pavimentazione in lastre d’ardesia appoggiate e battute al suolo e su, sopra le nostre teste, le splendide travi in legno a sorreggere il tetto in ciappe d’ardesia. Una spettacolare riproduzione in questo Parco Didattico e, la Sella, non è l’unica sorpresa.

Un parco che insegna e che spero sia un’attrazione da vedere ma anche da studiare perchè mostra come viveva prima di noi chi ci ha preceduto. Inoltre, ci fa capire come rispettare ancora di più quello che oggi vediamo e ci sembra un semplice rudere. Difficilmente siamo portati a immaginare una storia, reale, che lo riguarda; in questo modo invece, grazie a questa bellissima idea, è molto più semplice.

Spero vi abbia fatto piacere conoscere anche questa costruzione ma non è finita qui, preparatevi a fare, di tanto in tanto, un salto nel passato insieme a me.

Un abbraccio la vostra Pigmy.

M.

Le Caselle, i piccoli e resistenti ripari

Venite topi, venite con me. Oggi faremo un salto nel passato. Vi porterò a conoscere luoghi e strutture di un tempo che ormai stanno scomparendo. In essi vivevano le persone che ci hanno preceduti. Anzi, sarebbe meglio dire che vi lavoravano. Stazionavano al loro riparo per alcuni minuti o, talvolta, per qualche giorno. Alcune di queste importanti strutture si possono ancora trovare intatte, ci si imbatte in esse camminando tra i sentieri, le grange e i boschi della mia Valle. Una splendida ricostruzione di questi edifici presente nel parco tematico di Cipressa ci permette di poterle osservare e studiare ancora più da vicino. La spiegazione della loro funzione è stampata su bellissimi cartelli posti ai loro piedi, permettendoci di ricordare queste vestigia del passato.

Presente nel mio territorio da tantissimi anni, la struttura che vedete in queste immagini e chiamata Casella, ha trovato ottima collocazione un po’ in tutto il  Mediterraneo e, in ogni luogoSONY DSC, assume un nome diverso. Da noi in Liguria, la sua nominazione è quella che vi ho detto poc’anzi. E’ della stessa famiglia dei Nuraghi sardi, dei Trulli pugliesi o delle Casite dell’Istria.

La sua struttura è denominata Tholos e la più celebre si dice sia stata la tomba di Agamennone, edificata nel XIII secolo a. C. presso Micene, in Grecia. Il diametro può variare: ce ne sono di piccole come questa, di soli tre metri, oppure molto grandi. In ta caso, raggiungono anche i quindici metri di diametro e, addirittura, si possono trovare edifici con stanze seminterrate. Più rare, invece, sono quelle a due piani. Se la Casella doveva accogliere e proteggere gli animali, era opportuno costruirla con larghe aperture, le stesse che, però, impedivano il riscaldamento. Per questo motivo, quando si poteva, la si costruiva con un’unica apertura d’entrata e nient’altro. Il tetto a semicupola in terra, in argilla o in ciappe, era messo in modo che l’acqua piovana potesse scorrere via. Se all’interno si riteneva opportuno accendere fuochi, bisognava creare una finestrella nel tetto per farne fuoriuscire i fumi. A queste finestrelle i Celti, tra i frequentatori di queste dimore, appendevano i teschi dei nemici uccisi, un po’ per avvertimento, un po’ per scaramanzia e tradizione: un messagio per gli ospiti, un’abitudine apotropaica, un simbolo di potere.

La lavorazione migliore di queste piccole casette SONY DSCè ben visibile nelle pareti interne. I maestri costruttori tiravano su i muri di pietra alternando la messa in posa dei massi:  in tal modo, ottenevano pietre che di tanto in tanto sporgevano rispetto alle altre. Questo permetteva di avere comode mensole o appendini che potevano servire per il lavoro stesso.

Protette sovente o da un cancello, o da un portale in legno, le Caselle rimanevano più umide e scure negli interni, una caratteristica utile a far stagionare i formaggi, mantenere intatte mele e patate, o conservare per lunghi periodi tutti quegli alimenti che avevano bisogno di ombra e frescura. Il fresco era fornito anche dalla pavimentazione, solitamente costituita di semplice terra battuta, raramente lastricata, sulla quale, molto spesso, poteva direttamente essere acceso un fuoco senza recare danni. Non era usanza fare veri e propri focolari. Le nicchie, eventualmente, venivano costruite come ulteriori depositi. Nicchie, buchi, veri e propri scavi, passaggi ipogei cosiddetti truneie, spesso collegavano con lunghi corridoi la parte interna della Casella con quella esterna.

Insomma, topi, sono opere non da poco. Pensate che, a volte, nella mia regione si costruivano addirittura contro una fascia, tipico terrazzamento ligure formata dal famoso muro a secco, così da ottenere un’estetica ancora diversa. E’ soprattutto per quest’ultimo motivo che si può ritenere la Casella vera e propria parte integrante del valore architettonico del “paesaggio a fascia” e caratterizzante la geografia umana del Ponente Ligure.

Spero che vi siano piaciute. Secondo me sono delle tane fantastiche e dei ripari ancora oggi ricordati dai miei vecchi. Ma non sono le uniche, sapete? I miei avi ne sapevano una più del diavolo e, presto, vi porterò a conoscere le altre. Un bacione a tutti e buon riposo!

Ancora una volta, ho potuto realizzare questo post grazie alle parole di Giampiero Laiolo, che saluto affettuosamente.

M.