Fiori e Trombette

In questo periodo ce ne sono a volontà! Anzi, il vero boom c’è già stato ma continuano ad essere parecchi.

Gli Zucchini sono una verdura estiva e, quando nascono, sono numerosissimi.

La mia Valle ne è letteralmente piena. Ma attenzione, non parlo di tutti gli zucchini esistenti, parlo di quelli lunghi, curvi e di un verde chiarissimo. Sono buoni, buoni davvero. I migliori!

Avranno sicuramente un nome più scientifico ma noi li chiamiamo comunemente: Trombette. Che non è la più conosciuta Trombetta d’Albenga, una vera e propria Zucca, il nostro, è uno Zucchino.

Il nome scientifico degli Zucchini in generale invece è Cucurbita Pepo. Buffo a mio avviso!

Stiamo parlando di una verdura indispensabile nelle diete dimagranti. Pensate, è composta dal 90% di acqua! E di acqua ne fa uscire parecchia nel momento in cui subisce ad esempio un colpo. Un liquido appiccicoso.

Bisogna infatti trattare gli Zucchini con garbo. Ma, nonostante tutto, le loro proprietà sono infinite. Innanzi tutto contengono tantissima vitamina A, B e C e sono prevalentemente antitumorali ed antiossidanti.

Riescono anche ad aiutare contro varie infiammazioni come quelle urinarie e permettono un miglior funzionamento della piccola e grande circolazione.

Non patiscono il sole e coltivarli non è difficile, al massimo, risultano un po’ invadenti ma sono rampicanti, quindi volendo, potrete utilizzare una rete, come ha fatto la mia amica Niky e farli correre in verticale. Vi occuperanno sicuramente meno spazio.

Mio nonno invece ne ha riempito un intero porticato e li fa pendere verso il basso.

In cucina, di questa verdura, si può usare tutto tranne le foglie che pungono e fanno prudere i soggetti più sensibili perchè ricoperte da una peluria folta e rigida. Quindi non serve pelare lo zucchino, vi basterà tagliare le sue due estremità (anzi, la sua buccia, contiene molti minerali come il magnesio e lo zinco). Questo per dirvi che ottimi sono anche i fiori. A parte il fatto che per me sono meravigliosi. Nella prima immagine potete vedere un bellissimo esemplare di fiore maschio in primo piano.

Hanno un colore arancio intenso capace di illuminare un intero orto e sono buonissimi. Molto delicati però, quando si raccolgono andrebbero cucinati subito o messi in congelatore altrimenti patiscono. Con essi si possono fare tantissimi piatti. I fiori ripieni, le frittate, le frittelle (chiamate da noi friscioi e sono squisiti). Molte sagre estive, in vari paesi, dedicano il tema ai friscioi e a mangiarli arriva gente da ogni dove. I fiori si possono fare fritti in pastella, passati in farina e poi fritti oppure crudi. I petali vanno praticamente tagliati fini, fini e messi in insalata.

Ogni giorno ne troverete dei nuovi fioriti nella vostra campagna. Con un pò di fantasia, potrete usare praticamente questa verdura in tantissime maniere senza annoiarvi mai!

Fin dall’antichità, gli Zucchini, venivano utilizzati per favorire il sonno, rilassare la mente ed erano particolarmente indicati per chi si sentiva spossato. Pensate che, ai guerrieri, che facevano ritorno da una guerra venivano messe fette di zucchino adagiate sulla fronte.

E chissà se le dame invece usavano queste fette per la bellezza del loro viso come noi oggi facciamo con il Cetriolo!

Quanti usi questo vegetale!Pensate che tanto tempo fa, quando da mangiare c’era poco o niente, si viveva principalmente di Patate e Zucchine. Da lì, sono nati anche tanti proverbi e modi di dire, come ad esempio a Livorno. L’ospitalità dei livornesi, forse un pò meglio della nostra ligure, indica comunque così gli ospiti “Entrano come zucchini ma escono come cocomeri!“. Oppure li troviamo citare dalla saggezza dei meridionali “Cuocila come vuoi, sempre una zucchina è“, o ancora (e spero di scriverlo bene) “A cocuzza nu tira e nu tuzza ma se la sai cunsari, tira tuzza e lassala stari“, cioè “lo zucchino non è molto saporito ma se lo condisci bene puoi anche mangiarlo”.

E poi ancora “Sei uno zucchino” per indicare, a seconda della regione, una persona molto alta e magra oppure un testone.

Mangiatene a volontà topi perchè è una ricchezza. Io vi lascio alle belle immagini delle tante ricette che si possono fare con loro, se avete richieste in proposito, non esitate a fare domande.

Un bacione, scusate, ma mi è venuta fame! E pensare che da cucciola, gli Zucchini non li sopportavo!

M.

Le lacrime di Topononno

La storia che stò per raccontarvi topi è una storia di guerra. E’ la guerra vissuta da mio nonno. Una vicenda durata tre anni che gli ha regalato un nastrino con quattro stellette d’argento e una croce di merito. E’ la storia di un uomo che, ancora oggi, a distanza di 66 anni, lo fa piangere come un bambino. Spesso non ricorda esattamente, o confonde, i nomi, i numeri, i gradi ma, i rumori, gli odori, i luoghi, le sensazioni, ancora lo terrorizzano. Ancora sente il dolore nello sterno della carriola trasportata. Il fischio delle pallottole nelle orecchie. Il gusto del sangue dolciastro in bocca. Il bruciore e il battito dei colpi in testa.

nonno: – Cale ti voi savé? – (quale vuoi sapere?)

io: – Quella dell’Africa nonno –

Sì, nonno è stato prigioniero in Africa 3 anni.

Sospira, si siede e incrocia le dita sul tavolo. La sua espressione cambia. Forse gli sto facendo del male, forse invece del bene. Il suo sbuffetto dietro la mia testa mi dice che comunque non potevo farlo andar via, il più tardi possibile spero, senza sapere cos’ha vissuto lui che è il padre di mio padre.

93 anni, le palpebre rugose e morbide, cadenti, rimpiccioliscono ancora di più i suoi occhi verdi. Il pollice e l’indice della mano sinistra vanno sovente a stuzzicare il lobo dell’orecchio, come se gli pizzicasse.

Nonno era nell’Areonautica. Aviere al reparto servizi.

Era il 10 giugno del 1943. Ero a Pantelleria. Gli inglesi ci hanno preso e imbarcato su zatteroni dai quali hanno scaricato i carri armati. Ci fu un violentissimo bombardamento e quando finì ci portarono a Susa. Lì siamo stati 15 giorni senza coperte e senza mangiare. Potevamo solo bere da delle borracce di latta. Poi ci trasportarono in Tunisia nel campo di concentramento chiamato Mager El Bab. Lì, dopo un mese circa, incontrai Fausto Coppi che, con la fanteria della Divisione Ravenna, era stato mandato in Africa ed era stato fatto anch’esso prigioniero dagli inglesi. Io ero nella 5° tenda, lui nella 6°. Era un tipo timido e taciturno ma tenace, molto tenace. Dopo qualche mese, egli venne mandato sotto i francesi e non lo rividi più. Lo portarono al sedicesimo campo di Gasban, Gabàs, Ga e qualcosa… (non ricorda bene il nome). Era già un campione. Anche noi, in Africa, lo chiamavamo “campione”. Durante i primi giorni di questa prigionia ci divisero in gruppi di tre persone e ci fecero stare in un deserto senza tende e senza capanne. Ci davano da mangiare un cucchiaio d’olio, un cucchiaio grande ma dovevamo dividerlo in tre e 4-5 ceci a testa che facevamo cuocere nelle latte delle conserve di pomodoro. Queste latte le trovavamo nella loro spazzatura e ci servivano come pentole. A volte ci davano una pagnotta, sempre da dividere. Mangiavamo qualsiasi cosa trovavamo intorno dalla fame che avevamo, anche se non era commestibile, e ci venne la dissenteria. Trovandomi a rapporto dal Comandante fui mandato in infermeria, non stavo bene per niente e, a salvarmi, fu un Capitano genovese, anch’esso prigioniero, che mi sentì imprecare in dialetto ligure. Mi diede 9 gocce di non so cosa da far cadere sulla lingua e mi disse – Se te ne dessi 11, di queste gocce, moriresti -. Dopo qualche mese da questa avventura venni mandato presso la famiglia di qualche Capitano a lavorare nei campi come prigioniero e, il potermi definire poi furbamente “un giardiniere”, mi salvò dai lavori più umili e più faticosi. Due mesi prima del rientro nel campo di concentramento, di Tunisi, questa volta, accadde un fatto che mi fece imbestialire. Le guardie ci facevano salire ogni mattina su quattro camion mettendoci in 25 per camion. Dovevamo stare con le gambe incrociate come un indiano e le mani dovevamo tenerle dietro la testa. Un mio compagno aveva la sinovite alle ginocchia e non poteva piegare le gambe. Aveva due ginocchia gonfie come due meloni. Questo Sergente senegalese, grande e grosso, ha iniziato a battergli con la baionetta sulle ginocchia e questo mio compagno piangeva dal male come un bambino. Il viso di quel Sergente me lo ricordo ancora adesso, se lo vedessi, lo riconoscerei. Ci portavano a tappare, di terra e pietre, i buchi creati dalle bombe. Si trattava di trasportare massi enormi e quintali di terra per molti metri. Era straziante. A mezzogiorno, ci mettevano tutti e 100 in riga sotto ad una tettoia ricoperta di lame di zinco. Quel giorno faceva un caldo devastante, non ce la facevo più e da bere non ce ne davano. Avevo una sete tremenda e così mi avvicinai ad un cancello per vedere se davano acqua. Vedevo grigio e annebbiato dalla sete che avevo. All’improvviso si avvicina a me il Sergente senegalese. Era veramente cattivo quell’uomo. Mi diede uno spintone urlando qualcosa nella sua lingua. Io, non seppi trattenermi. Al mattino aveva fatto male al mio commilitone e, ora, stava per picchiare me. Mi girai e gli diedi un pugno in faccia. Nel centro della faccia. Lui mi tirò immediatamente un colpo con il moschetto ma non mi prese. Poi si mise a gridare forte e in un attimo fui circondato da altre guardie. Mi fecero un processo. Una specie di processo. Un processo in mezzo al deserto, sotto a una tenda grigia. Non ho mai capito niente di quello che dissero quel giorno ma un Sergente Maggiore dei senegalesi, che era di religione cattolica e aveva una scala tatuata sulla guancia sinistra, mise a quietare quegli uomini che contro di me erano violentissimi. Questo Sergente Maggiore mi rimandò a lavorare consegnandomi nelle mani di altre guardie che me la fecero pagare comunque. Tutte le pietre che potevano starmi addosso me le hanno caricate e le portai per 100-150 metri. Poi mi dissero di spingere una bruetta (termine dialettale preso dal francese “broiette” che sarebbe una specie di carriola). Due prigionieri dovevano caricarmela piena di terra che più piena non si poteva e due guardie, se rallentavo il passo, mi tiravano colpi sulla schiena e sulla testa. Sotto ai miei piedi il terreno era tutto fangoso, scivolavo e non riuscivo a proseguire e allora mi mettevo in ginocchio e spingevo con tutta la forza che avevo nello stomaco con lo sterno, con le costole e dai, e dai, e puntavo lo stomaco sempre di più e spingevo e poi, ho sentito il mio cuore scoppiare, una fitta, la gola piena, una pesantezza che voleva uscire dalla cassa toracica e faceva male e…

E qui nonno piange. Piange tanto. Si alza, va a bere un bicchiere di gazzosa e, con il fazzoletto di stoffa bianco e marrone si asciuga occhi, naso, fronte, testa. Respira profondamente e, inconsciamente, si appoggia il palmo della mano in mezzo al seno come a consolare il suo petto con un impercettibile massaggio. Poi riprende. Ora so che nonno, nonostante tutto, ha voglia di parlare. Ha voglia di gridare a tutti cosa è capitato laggiù, in Africa. E lui, nonostante tutto, riconosce di essere stato un fortunato. Ha visto compagni morire nei modi più assurdi. Riprende più forte di prima.

Detto dai miei compagni, questa tortura è durata un’ora e mezza. Quando sentii che stavo per morire, lanciai via la carriola. Morire per morire, non volevo morire con una carriola sulla testa. (Sorride amaramente). Una guardia mi diede dei pugni e mi spaccò il naso e le labbra. Un’altra penso mi picchiasse ovunque. Ero una maschera di sangue e non riuscivo a reagire. Da questo momento ho i ricordi offuscati. So solo che un Caporal Maggiore del mio esercito mi prese a lavorare con lui. Intervenne la Croce Rossa Internazionale di Ginevra, per me e per tutti gli altri che avevano subito le stesse angherie. Questo Caporal Maggiore mi fece poi rientrare nel mio campo dei prigionieri ma stetti tantissimi giorni in infermeria prima. Nel ’46, nel mese di febbraio, venni imbarcato a Biserta sulla nave Toscana e sbarcai a Napoli dove presi il treno per fare ritorno a casa con il foglio del congedo in mano. Mi diedero anche dei soldi verdi (tipo assegni). Quando arrivai, la prima persona che vidi, fu il mio caro amico Elio“.

Ah! Dimenticavo! Mi diedero anche un nastrino con quattro stellette d’argento e una croce di merito!“.

Quelle stellette…. unico orgoglio rimastogli dopo la vita. Oggi, mi chiede dov’è la Tunisia. Gliela faccio vedere sulla cartina e il suo sguardo è incredulo “Me pajeva davè navigau pe tantu, tantu tempo…” (praticamente si stupisce che sia così vicina all’Italia. Povero nonno. Poveri tutti.

Questa di mio nonno non è ne la più violenta storia, ne la meno, di una guerra che, come tutte le guerre, ha sparpagliato migliaia di vittime. Ma non sono qui per fare una gara a chi ha sofferto di più. Solo regalare una preziosa testimonianza. Mio nonno ce l’ha fatta e ne sono estremamente felice. A dare la vita per quattro stellette d’argento.

Bravo nonno. Sei il mio grande nonno.

M.

Viola: la pazienza è la virtù dei forti!

…e un domani i pazienti domineranno il mondo! Quindi, anche lei!

Cari topi, ecco un’altra bellissima abitante della mia Valle.

Sexy, signorile e, soprattutto, da come avrete capito, molto, molto paziente. Ha anche lo sguardo paziente!

E ha anche un pò di ciccia, qua e là. Ma questo non sembra turbare Blue, il suo cavaliere che la considera ugualmente bellissima.

E si, topi, è la compagna e amica di Blue ( e… come sapete… Blue… masculo è!).

Viola, è l’altro cane della mia socia Niky, ossia, la mia nipotina! Bellissima. Sana. Massiccia. E buona come il pane! Anche se si fa sottomettere un pò da Blue. E da tutti i gatti della casa! Piccina! Donne di una volta!

Viola ce l’avevo io insieme ai suoi fratellini, per fortuna sono riuscita a darli via tutti. Me li aveva portati una signora che li aveva trovati abbandonati. Tutti sono finiti in ottime famiglie ma Viola… Viola è stata la più fortunata. Non per altro ma perchè, io, Niky la conosco. La conosco davvero! (Pensate solo che ha fatto prendere il fratello di Viola ai suoi genitori! Un giorno ve lo presenterò).

E Viola è questa qui che vedete nelle immagini.

Di taglia media, tutta nera sopra e tutta marrone chiaro sotto e dallo sguardo tenerissimo.

Un tempo mi stava in due mani, ora pesa quasi quanto me! Da Niky, si mangia bene!

Viola è una cagnolina molto affettuosa e docile. Dolcissima! Adora Blue e i suoi padroni/amici…

Siccome il topomarito di Niky, avendo già mille animali, subito non la voleva, lei ha fatto di tutto per farsi accettare come se lo avesse capito. Il topomarito di Niky è un ragazzo stupendo che adora anch’esso gli animali ma ovviamente i cani, come tutti gli altri, portano via tempo e impegno.

Passava così le serate, tornando dal lavoro, a guardarla di sottecchi e si girava appena lei incrociava il suo sguardo. Come a non volergliela dare vinta. Lei capì e ce la mise tutta per farsi apprezzare da lui, riuscendoci alla grande naturalmente ed ora, ogni volta che lui le si avvicina per farle una carezza lei non sta nella pelle e si vede dall’espressione che è felice!

Adora Blue e lo considera il capobranco o fratello maggiore quindi cerca di imitarlo in tutto e non fa mai nulla senza di lui! Ma solo lui può rosicchiare un osso. Solo lui può avvicinarsi al tavolo. Solo lui può prendere le coccole per primo. Lei è completamente succube. Un amore incondizionato!

Adora correre e annusare e, da poco, ha imparato anche nuotare e quando vanno al fiume, nuota fino a che ha forza! Finchè ha fiato!

È molto giocherellona! È la prima ad abbaiare al primo rumore sospetto o estraneo in lontananza! Inoltre è una gran cacciatrice, molto costante. Assieme a Blue sono la ”super squadra acchiappatopi” (aiutooooooo!!!!) di tutta la Valle e nessuno può sfuggire! Tranne me ovviamente!

Non trovate anche voi che sia bellissima? Ma non è finita qui. La combriccola della mia amica continua, Viola non è l’ultima. Ho ancora tanti amici da presentarvi!

Un bacione Viola!

M.

I miracoli delle mie Alpi

ALTRE NOTIZIE | SABATO 25 AGOSTO 2012, 07:14

Oggi la festa di Sant’Erim: Google Maps ha scattato la foto della valle esattamente due anni fa

Una coincidenza straordinaria, visto che si è trattato dell’ultima volta che i partecipanti sono potuti arrivare in auto.

Incredibile ma vero: dovendo rilevare delle coordinate geografiche per dare la posizione a una ditta specializzata nei trasporti di passeggeri in elicottero, abbiamo scoperto che l’immagine catturata dal satellite, era stata scattata esattamente il 29 agosto 2010, durante la festa di Sant’Erim. In tutto il mondo oggi è possibile vedere, grazie a Google Maps, la Valle dei Maestri indicando le seguenti coordinate: 44.152559, 7.694743.

La sorpresa più incredibile è che è stata evidenziata come punto di rilevamento la chiesetta di Sant Erim, nell’unico giorno della festa che ogni anno all’ultimo sabato di agosto, è organizzata dagli Amici di Sant’Erim. La straordinarietà della foto realizzata dal satellite, è che non solo è stata scattata nell’unico giorno dove la valle si popola di persone, per ricordare quanti hanno perso la vita su quelle montagne, ma anche per ricordare i pastori nei famosi ‘100 giorni dell’Alpe’. Una fantastica coincidenza poiché è stata l’ultima volta che è stato possibile raggiungere la chiesetta di Sant’Erim con le auto, esattamente sabato 29 agosto 2010. Può essere un caso, ma comunque è sempre straordinario, perché in quella data, avevano partecipato centinaia di persone, e ora, in tutto il mondo è possibile vedere (anche se la qualità non è perfetta), la Valle dei Maestri e la piccola chiesetta dedicata a Sant’Erim, nel giorno della Festa.

Molti sono i fatti straordinari accaduti durante i lavori di ristrutturazione della più piccola chiesetta delle Alpi Liguri, alcuni di grande ed intensa emozione, che potrebbero far gridare anche al miracolo. Nulla avviene per caso, forse a oltre 2.200 metri in una piccola valle chiamata dei Signori, ai piedi del Marguareis al Colle dei Signori, si trova una piccolissima chiesetta, che pare e voglia attirare l’attenzione delle persone, con mezzi e fatti impossibili da spiegare. Per accedere direttamente alla pagina di Google Maps è possibile cliccare QUI.

Ecco cos’ha scritto Roberto Pecchinino su sanremonews.it il sito che s’interessa anche della mia valle. Miracolo o no è davvero una bella coincidenza! Ma voi vi chiederete di cosa stò parlando. Sant’Erim è una cappella in terra Brigasca, nella Valle dei Maestri della quale non si riesce a identificare la data relativa alla sua edificazione. Troverete qui tutte le notizie relative a quello che vi stò scrivendo http://www.vastera.it/RIVISTA/40/pagine%2040/ipotesi%20sant%20erim.htm leggetelo è interessante.
Vi assicuro che comunque è una chiesa antichissima e ogni anno raduna un sacco di gente in una onore di una festa a lei dedicata. Siamo nel confine con la mia Valle ma questi fatti misteriosi hanno interessato tutti!
Un bacione!
M.

Andiamo ai Laghetti

Oggi topi vi porto alla scoperta di un luogo davvero incantato della mia Valle.

Siamo nelle vicinanze di Badalucco e, qui, il torrente Argentina, ci mostra il meglio di se. Il palcoscenico che possiamo vedere e vivere è meraviglioso.

Un’acqua limpida e cristallina, dalle tonalità verdi, scende dagli alti monti, e precisamente dai pressi del Monte Saccarello per andare poi a sfociare nel mare tra Riva Ligure e Arma di Taggia. Questa è la casa delle trote, dei gamberi di fiume, delle ranocchie e dei gerridi. Delle ninfee e tante altre piante acquatiche.

E’ l’acqua che brilla sotto il sole che s’infrange contro le pietre bianche e spruzza goccioline rinfrescanti.

Chiamato anche Fiumara della città di Taggia, questo fiumiciattolo è lungo circa 40 km e, nella sua discesa, forma tanti laghetti che d’estate diventano una delle mete preferite da bambini e bisognosi di quiete e divertimento.

Eh già… è bellissimo fare il bagno nel fiume!

Questi laghetti sono, ad esempio, “il laghetto delle Noci” di Molini, o il “lago Verde”, “i laghetti” di Montalto e tanti altri. Tra questi, i laghetti di cui vi parlo oggi.

Delle splendide pozze d’acqua dove, udite udite… ci si possono ovviamente portare i nostri amici animali a fare il bagnetto! E vi assicuro che si divertono un mondo!

Questi laghi, alimentati dai sali minerali delle rocce e, in modo scarso nel nostro caso, anche da nevai e ghiacciai, offrono comunque un’acqua ricca di sodio e magnesio e, ovviamente, hanno anch’essi una salinità se pur bassissima.

Il loro colore è dovuto proprio a ciò che contengono ma anche dal muschietto che si forma sulle pietre del fondo essendo acqua meno corrente.

Fate molta attenzione infatti a fare il bagno in questi posti, il rischio di cadere e fare scivoloni è all’ordine del giorno.

Anche in estate, quest’acqua, è molto fredda, in inverno, impraticabile del tutto. Negli ultimi anni addirittura si forma in superficie uno strato di ghiaccio semitrasparente e i pesci ci nuotano sotto. Mi chiedo come fanno! Mi vengono i brividi solo a pensarci!

E mi vengono i brividi, ma dall’emozione, anche a guardare queste zone. Non le trovate bellissime anche voi? Capite perchè mi considero fortunata?

Questi piccoli laghi e quest’acqua che scorre, tutti gli alberi intorno, i fiori, i cespugli… sono una meraviglia della natura!

Non mi stancherei mai di ammirare ciò che mi circonda. E, a proposito di ciò, vorrei segnalarvi una bellissima poesia intitolata “Penso a…” del progetto scuola elementare – Poesie sull’Acqua

Penso…
ad un animale che salta nel silenzio,
all’ acqua che scroscia
tra le pietre del fiume.
Penso…
ad una tempesta che inonda le navi,
ad un delfino che salta tra una nuvola e l’altra

Penso a…
Un mare con la luna
che splende nel cielo blu
con tante stelle cadenti attorno
che sembrano fuochi d’ artificio.

Penso a…
una notte d’autunno;
le foglie cadono dolcemente
dentro l’acqua
mentre c’è la luna piena.
Un’onda porta via le foglie,
arriva la pace.
E’ un lieve sogno.

Bella vero? Ora però topini vi saluto.

I laghetti mi aspettano e io non resisto. M’infilo il mio costumino fatto di foglie di fragoline rosse e vado a tuffarmi nell’acqua! Chi me lo fa fare di andare al mare dove non c’è nemmeno un buchino per posizionare il mio guscio di noce? E poi qui, possiamo divertirci davvero tutti. Di qualsiasi razza siamo!

Un bacione, alla prossima!

M.

Una bottega molto originale

Oggi topi vi porto ad espatriare. Andiamo a Nizza. Io sono molto fortunata, ci impiego solamente mezz’ora per arrivarci.

Nice è una bellissima città, la parte che però più mi affascina è quella di Nizza vecchia. Un labirinto di viuzze piene di negozietti particolari. Anche una semplice gelateria, in questo luogo, è diversa dalle altre. Ma c’è un punto, un punto particolare, che è la mia meta fissa, dove rimango estasiata per ore ad ammirarne tutti i suoi colori e sentirne i profumi.

E’ il negozio di sali e spezie vicino a Corso Saleya.

Si attraversa prima la piazza dove incredibili ristorantini e un mercatino dell’artigianato regnano sovrani da tempo e, l’ultimo vicoletto in fondo, ci presenta al suo inizio questa bottega fiabesca.

Ci sono, oltre ai profumi naturali della Lavanda messa in ogni tipo di confezione, anche le spezie e i sali.

Sale nero indiano, sale rosa dell’Himalaya, sale grigio delle Canarie e poi sale all’Aglio, sale al Pomodoro, sale alla Menta e ancora tanti, tanti altri. E le spezie… tutte! Potrei scrivere per ore.

Anice, Cardamomo, Coriandolo, Paprika, Senape, Zafferano, Curry, Curcuma, da rifarsi occhi e naso e… anche palato volendo! Meravigliosi.

Solo di qualità di Pepe, ce ne sono mille e più e arrivano da tutti i paesi del mondo.

Ma non è finita qui. All’interno, dove disegnato sul muro c’è un balcone con una vera ringhiera di ferro battuto e panni stesi, ci sono anche varie qualità di zucchero: alla Violetta, alla Rosa, al mou, anch’essi tutti colorati e poi i thè.

Thè e tisane inimmaginabili. Pensate ad una pianta qualsiasi e ne troverete le foglie essiccate per bere il vostro decotto preferito.

Ovviamente, come ogni volta, ho fatto man bassa di tutto. E’ più forte di me, non riesco a trattenermi. Quando cucino mi piace usare queste cosine e non tutte si trovano nella mia Valle!

Vi consiglio vivamente di venirlo a visitare.

La padrona, tra l’altro, è simpaticissima, parla tutte le lingue e sa darvi tutte le spiegazioni per come usare meglio ciò che vende. E, naturalmente, vi darà anche, se lo volete, il macinino giusto se non vorrete acquistare le droghe già polverizzate.

Potrete trovare anche prodotti naturali per l’estetica realizzati con questi gusti particolari come la crema idratante al Finocchietto selvatico, il bagnoschiuma al Peperoncino, la lozione alla Cannella, allo Zenzero, all’Aneto, al Papavero… Insomma, vi sfido a stare meno di mezz’ora in questo negozio!

A mio parere, meritava un post!

M.

La prorompente eleganza dell’Ortensia

Sono tanti i suoi colori. Il rosa, il fucsia, l’azzurro, il bianco, il verde… tanti e tutti meravigliosi. Non saprei quale scegliere.

L’Hydrangea, questo il suo vero nome, proprio grazie alla sua forma particolare, alle dimensioni che raggiunge e ai colori, è spesso la protagonista di belle opere in giardini e parchi.

Coltivarla infatti non è difficile ma ci vogliono alcune accortezze che, tra l’altro, ne determinano appunto il colore. La coltivazione in piena terra richiede clima fresco durante l’estate e sempre la mezz’ombra. Esige terreno di brughiera con aggiunta di terriccio di foglie e sabbia, neutro o acido. L’acidità del terreno, influenza appunto il colore dei fiori: il blu indica un terreno più acido.

Non dimenticate poi che essa ha i gambi vuoti al loro interno e può quindi far rifornimento d’acqua. E’ per questo che non dovete esagerare nel darle da bere o la farete marcire.

L’Ortensia, anche nome proprio di persona, significa voler fuggire, evadere, essere freddi ed altezzosi. Avere una spocchia sopportabile ma pur sempre esistente. E’ per questo che è stato usato spesso per i nobili come nel caso di Hortense Eugeniè Cècile Bonaparte, figlia di Giuseppina e figliastra di Napoleone e, in seguito, consorte di Luigi I, fratello sempre di Napoleone.

Oppure Ortensio, al maschile, personaggio della commedia cinquecentesca –La Bisbetica Domata – di William Shakespeare. Esso però, non era un nobile ma un gentiluomo.

Chi porta questo nome, non sta mai fermo. E’ un sognatore. La sua è una continua lotta per raggiungere una meta e, una volta soddisfatto il proprio desiderio, ne cerca un altro e si rimette in moto.

Seconda regina del giardino, invidiosa probabilmente della sua rivale Rosa, porta il nome della Dea Venere e, la radice del suo nome significa proprio “che sta nell’orto”. Dato ciò, si sente probabilmente in diritto, di poterci e volerci star da sola.

E’ così superba da essere addirittura tossica. Se ne sconsiglia quindi l’uso in cucina ma, in antichità, se ne beveva un thè preparato mettendo a macerare le sue foglie durante matrimoni e riti funebri per poter così evadere con la mente e mettersi in contatto con gli spiriti.

Mi fa sorridere pensare che anche i fiori hanno, per così dire, un loro “carattere”. Una personalità.

Si dice comunque, o meglio, alcuni ne sono convinti, che abbia proprietà diuretiche e antimalariche. Non lo so, vi riferisco semplicemente ciò che alcuni studiosi come, Carl Peter Thunberg, dicono di aver scoperto.

L’Ortensia è coltivata ovunque, come vedete dalle immagini, ce l’abbiamo io, la mia amica Niky che mi ha fornito le sue foto, mio nonno, mio padre e tutti quanti, sia sul terrazzo che in giardino ma la sua origine è orientale e asiatica. Sono infatti la Cina e il Giappone i suoi “genitori”. Le patrie nelle quali è spuntata per la prima volta.

Sono piante molto antiche ma, nonostante ciò, di loro, non si conosce ancora molto. Anche catalogarle in una famiglia è difficile. Facendo una ricerca, noterete che ognuno, la colloca in una famiglia diversa. Facciamo attenzione quindi. Magari usiamola solo a scopo estetico che direi essere l’ideale. Soddisfa pienamente le nostre esigenze da questo punto di vista. I suoi fiori, a forma di ombrello, possono formare composizioni davvero pompose. E’ meravigliosa a mio parere anche se un pò scorbutica a quanto pare!

M.

Nord e Sud

Vi ho parlato tempo fa delle mucillagini e del muschio che si forma sui tronchi degli alberi nel bosco.

Ebbene, quando ero una topina cucciola, topopapà mi portava sempre nei boschi con lui. I sabati e le domeniche, erano dedicati a questa sua passione che mi ha trasmesso con facilità. E’ lui che mi ha insegnato tanto di questi magnifici luoghi pieni di misteri e splendide creature. Ricordo, come se fosse ieri, che spesso m’insegnava a non perdermi. Si sa, il senso dell’orientamento in noi donne spesso, ammettiamolo, lascia un po’ a desiderare, o per lo meno è quello di cui sono convinti i maschietti e, mio padre, ha cercato di ricorrere subito ai ripari. A cinque anni, già mi sentivo chiedere “Bene, da qui Pigmy, come facciamo ad andare a casa?”. Quando mi poneva questa domanda eravamo nel bel mezzo di una foresta di Faggi tutti uguali, e io, che avevo percorso l’andata giocando con le farfalline e inseguendo le lucertoline, ne sapevo assai ora di come si poteva far ritorno alla dimora perduta. Lo guardavo allora con gli occhi sbarrati. Non capivo, le prime volte, se stava scherzando o se si era perso davvero e mò… Ciao!… E chi ci trovava lì?

Erano quelli i momenti in cui mio papà m’insegnava alcuni trucchetti. Osservare bene all’andata ad esempio. Cosa che può sembrare banale ma è la principale di tutte. Un tronco abbattuto, un fiore particolare, una tana, una pietra dalla strana forma. Oppure, creare noi stessi dei segnali. Intrecciare dei rami e lasciarli ben visibili. Legare ad un albero un elastico per capelli o un pezzo di stoffa. Poi c’è anche chi intaglia i fusti o, come Pollicino, fa cadere delle briciole per terra (che immediatamente verranno ingurgitate da qualche animaletto!).

Una delle cose principali per mio padre era insegnarmi a riconoscere anche il Nord e il Sud. Per prima cosa si poteva guardare il sole. Nel caso in cui ovviamente non abbiate con voi la bussola (e io e papà, di bussole, non ne avevamo di certo). Il metodo che permette di orientarsi con il sole è che, nel nostro emisfero, che è il Boreale, il sole proietta un’ombra che, alle ore dodici è esattamente in direzione Nord. Questa cosa è ovviamente da sapere. Se piantate un palo in terra, all’alba, verso le sei del mattino, l’ombra sarà in direzione Ovest perché il sole sorge a Levante cioè a Est. Al tramonto invece, verso le diciotto-diciannove, l’ombra indicherà l’Est poiché il sole tramonta a Ponente, cioè a Ovest, e così via. Ma come si fa a guardare il sole nella macchia più scura di un bosco dove nemmeno un misero raggio caldo riesce a penetrare? Non si può. E quindi? E’ molto semplice. Ci aiuteranno gli stessi alberi.

E si. Il Nord preannuncia umidità. Ombra. Il Sud è più secco invece. E potrà sembrarvi incredibile ma una sola pianta, anche dalla piccola circonferenza di 50 centimetri, sente questa differenza. Sarà per questo che da un lato sarà ricoperta di muschio e, toccandola con la mano, la sentiremo fredda e quasi bagnata, mentre, dalla parte opposta il suo tronco è pulito, asciutto e la corteccia pressochè secca, molto più inaridita.

Se ci guardiamo intorno vedremo che tutti gli altri alberi sono così.

Il lato rivestito di mucillagini è il Nord, il lato pulito è il Sud.

La stessa cosa vale per le rocce del sottobosco ma essendo meno rialzate e completamente all’oscuro, spesso vengono ricoperte dal muschio interamente.

E’ per questo che finora sono sempre riuscita a far ritorno alla tana e potervi scrivere i post. Se un giorno non mi vedrete più, non sarà solo perchè sono finita nel cestino della vostra spazzatura, potrebbe anche essere che il muschio se n’è andato in pensione e… io mi sono persa nel bosco!

Un bacione!

M.

Passeggiata sul Mongioie

Cari topi, oggi andiamo leggermente fuori dala Valle Argentina, ma rimaniamo sempre in terra brigasca. Vi porto in una terra che confina con la mia, bellissima anch’essa. Siamo nella divisione tra la provincia d’Imperia e quella di Cuneo, nel parco naturale dell’alta Valle Pesio e Tanaro. Ho fatto una passeggiata, anzi, una scarpinata in salita, e volevo rendervi partecipi perchè i luoghi che ho visitato sono stupendi.

Siamo partiti io, topoamico e cane da Viozene e siamo saliti sul Monte Mongioie fino al rifugio, a 1550 mt. Sì, lo so, non ci credete, ma topoamico ha camminato senza lamentarsi! In realtà, questo monte è alto 2.630 metri e fa parte delle Alpi Liguri. All’inizio il sentiero è un terreno battuto, poi diventa una vera pietraia di  facile percorrenza.

Il tempo previsto per questa passeggiata è di 50 minuti ed è considerata un’escursione abbastanza facile, di tipo E, noi, ci abbiamo impiegato un’ora e mezza, ma devo anche dire che nessuno ci rincorreva e ci siamo goduti sia l’ombra, che ogni tanto ci regalavano gli alberi di nocciolo e gli abeti, sia la natura incontaminata.

Ho raccolto un po’ di origano e il dragoncello, buonissimi e puri, per fare piattini deliziosi e qualche mela selvatica ancora un po’ acerba. Tante le farfalle ed è stato incredibile vedere una piccola famigliola di Bambi (che dev’essere quello che cercava la mia amica Miss, che era venuto in vacanza). Le farfalle, le api e i calabroni succhiavano nettare ovunque, perchè i lati del sentiero sono circondati da fiori di ogni tipo. A prevalere su tutti era quello che noi chiamiamo carciofo selvatico. Quando ero piccola, la mia topozia li raccoglieva, li faceva seccare e li appendeva come magnifici quadri tridimensionali. E’ un fiore viola con una corona di spine tutto attorno. Il cane andava avanti e poi ci aspettava con quell’espressione come a dire “Ma come siete lenti!”.

Io, infatti, mi perdevo a guardare le meraviglie intorno a me. Dentro ad alcune rocce erano state scavate delle grotte e posizionate delle Madonnine e i fiori messi nei loro vasetti erano veri e appena colti. A volte invece, in qualche angolo si vedevano delle cataste di legna ordinate e pronte per l’inverno. A metà strada, la nostra via era attraversata da un piccolissimo ruscello d’acqua che sgorgava direttamente dalle pietre. Era acqua freddissima e aveva il gusto della neve. Bisognava bere, il sole picchiava davvero. L’ho toccata. Sono stata con la mano a sfiorarla per qualche minuto e a prendermi tutta la sua buona energia. La strada, poi, passa in mezzo a un boschetto prima di arrivare ai prati lassù dove sembrava veder correre camosci e stambecchi. Arrivati quasi alla meta, siamo rimasti minuti interi a guardare le aquile che volavano sopra di noi. Uno spettacolo e una, addirittura, insegnava ai suoi cuccioli a cacciare. Dopo un po’ si vedevano scendere in picchiata e mimetizzarsi nelle creste frastagliate dei monti.

Mi sono stupita nel vedere alcune casette, tutte rigorosamente in pietra e abitate, in un luogo davvero impervio, con tanto di orticello ben coltivato. Complimenti a chi abita lì e ogni mattina deve farsi mezz’ora di scarpinata per scendere in paese. Erano case bellissime. Sembravano quelle di una fiaba circondate da un contorno che mozzava il fiato compreso di ruscello e cascatelle d’acqua. Lo scroscio ci ha accompagnati per gran parte della gita. Stavamo per raggiungere il rifugio che si trova a Pian Rosso, un insieme di prati da perdere la vista sotto la vetta di questo imponente massiccio calcareo. Una vasca di cemento era piena d’acqua, era l’abbeveratoio delle mucche, candide come il latte, di così pulite e muscolose ne ho viste poche nella mia vita. Erano bravissime e docili. Hanno solo avuto un attimo di panico quando il cane si è messo a rincorrerne una. Povera bestia, che spavento si è presa! E’ stata una scena quasi drammatica, una vacca imbizzarita non è il massimo della felicità, ma, a ripensarci, questa scena mi fa sorridere. Il cane aveva trovato semplicemente un’amichetta con cui giocare, ma lei stava tranquillamente brucando l’erba per i cavoli suoi senza disturbare nessuno.

Finalmente eccoci arrivati! Abbiamo cambiato le magliette zuppe e le abbiamo stese sulla staccionata del rifugio. Ci siamo rinfrescati a una simpatica fontanella e ci siamo rilassati. Che pace! Non me ne volevo più andare!

Il rifugio è bellissimo, grande, di pietra e di legno. Offre anche un servizio navetta passando da un’altra strada per le persone che hanno difficoltà a camminare. Si possono anche acquistare una maglietta tutta colorata e una simpatica bottiglietta di Genepy, il liquore fatto con le erbe di montagna. Alcool a 35 gradi. Solo ad annusarlo ti fa digerire! Volendo avremmo potuto  mangiare lì, ma mi sentivo misantropa e ho deciso di allontanarmi dalla massa di gente che era venuta a crearsi dopo un’ora. Con tutto quel paradiso a disposizione mi sembrava assurdo dover star stretti per pranzare! Così, dopo aver chiaccherato di aquile con un simpatico vecchietto, a piedi nudi, ce ne siamo andati sull’erba fresca e abbiamo divorato pane ai cereali, prosciutto crudo e toma di montagna.

Nel pomeriggio, il tempo ha iniziato a cambiare. Le nubi si sono abbassate. Il “dente”, un pezzo di roccia appartenente al monte, era circondato da foschia. In alta montagna i cambiamenti climatici sono all’ordine del giorno e, spesso, la nebbia la fa da padrona. Abbiamo deciso, allora, di riscendere a valle con tutta calma e, quella salita, che era diventata per noi una discesa, era quasi più stancante dell’andata. L’indomani avevo male a un polpaccio, ma è anche normale, non faccio mai inerpicate di questo tipo. Tutti erano attrezzatissimi: bastoni, racchette, scarponi, zaini. Io e topoamico avevamo maglietta, scarpe da ginnastica e basta, però… abbiamo battuto in velocità un gruppo di boy-scouts! Sssst… non ditelo a nessuno.

Abbiamo lasciato quel luogo incantato che, a parte gli scherzi, è l’ideale per chi vuole cimentarsi in questo tipo di hobby, e ce ne siamo tornati in paese.

Cari topi, sono un po’ stanca, ma di un felice che non avete idea! Mi sento piena di emozioni e più forte, più energica. Anche oggi, la natura mi ha regalato tante cose.

Vi abbraccio e auguro buone passeggiate anche a voi. Fatele, perchè fanno bene alla mente e al fisico.

Vostra Pigmy salutista.

M.