Facciamo il Mentolino!

Ossia… conoscete il Limoncello no? Il classico liquore fresco che tutti amano bere dopo il pasto, fatto con i Limoni? Bene, anzichè quello, oggi v’insegnerò a fare una vera squisitezza che è così originale da stupire tutti i vostri topospiti e credetemi che è facilissima.

Allora, il primo ingrediente da prendere, è la mia socia Niky. No, no, fermi…. non dovete ne’ farla essicare, ne’ spremerla, semplicemente dovete prenderla e farvi raccontare da lei come si fa perchè io le amiche quando me le scelgo, me le scelgo bene e lei è un piccolo genietto.

Ora, visto che però, l’unica fortunata che la conosce sono io, mi sono fatta svelare in un orecchio tutto il procedimento per raccontarvelo e far si che farete un figurone in ogni stagione ma, d’estate, dopo le cene all’aperto con gli amici, è decisamente più piacevole.

Allora, innanzi tutto bisogna raccogliere la Menta. Bella fresca. Noi siamo fortunati, qui nella Valle Argentina, ne cresce spontanea tantissima ed è una pianta con tantissime qualità benefiche.

La si lava leggermente sotto l’acqua fresca e la si asciuga tamponandola delicatamente con uno strofinaccio pulito. Si separano le tenere foglioline e si mettono in un vasetto di vetro abbastanza capiente.

Si versa un litro di alcool fino a coprire completamente le verdi foglie, si chiude il barattolo e lo si mette per tre giorni, al buio, dentro un pensile in cucina o dove volete voi, purchè il luogo sia fresco e asciutto.

Passati i tre giorni le foglie saranno diventate marroni e cristallizzate mentre l’alcool invece, sarà completamente verde.

Lo annusiamo un pò e lo lasciamo ancora un attimo lì.

Facciamo bollire in una pentola un litro d’acqua con dentro un kg di zucchero. Finita la bollitura lasciamo raffreddare e, nel mentre, filtriamo l’alcool in un colino separandolo così dalle foglie.

Uniamo l’acqua zuccherata all’alcool e ci ritroviamo tra le zampe uno dei digestivi più buoni che ci siano.

Ovviamente possiamo metterlo in congelatore cosicchè sarà sempre pronto e fresco per le serate speciali magari inaspettate.

Questo liquore si può fare con qualsiasi ingrediente, ad esempio anche con le Fragoline o con i Frutti di bosco, l’unica accortezza da usare è quella di mettere meno zucchero perchè questi frutti sono già molto dolci di loro e lo zucchero inoltre accentua la potenza dell’alcool. Questa bevanda deve essere solo leggermente alcoolica e sarà anche più gradevole.

Piace anche alle topine femmine perchè è molto delicato nonostante abbia un sapore deciso e un profumo che non posso descrivervi. E’ sublime. Provate a farlo e poi mi direte.

Inoltre, non sarà male, versarlo su alcuni dolci, come il gelato o la panna cotta. Il suo colore vivo e il suo sapore, esalteranno sicuramente quello del vostro dessert.

Buona bevuta a tutti! Ma andateci piano! Hic!

M.

Le Albicocche di topononno

Premetto che le splendide Albicocche che vedete in queste immagini non sono di Topononno ma sono della mia cara Niky.

Niky ha delle Albicocche squisite e bellissime, il loro profumo si sente anche solo passeggiando in campagna. Ma… allora – Topononno con le Albicocche cosa c’entra? – direte voi.

C’entra perchè voglio raccontarvi una storia, una storia vera. E, per farlo, ho “rubato” queste splendide immagini della mia socia contadina.

Topononno ha 93 anni. 93, non 50, o 60, 0 70. 93. Ebbene, Topononno ha un orto, un bell’orto grande, nel quale coltiva tante verdure e tanti alberi da frutto, tranne però, le Albicocche.

Topononno fino a qualche anno fa, aveva e coltivava tantissime campagne, è sempre stato un grande contadino ma, ultimamente, ha dovuto venderle perchè non riusciva davvero più a starci dietro. Il lavoro nei campi è duro sapete? E alla sua età, tutto gli pesa.

Ebbene, Topononno, da che son bambina, mi ha sempre piantato tutto quello che sapeva che adoravo: i Fichi, le Pesche, le Fragole, il Basilico, le Pannocchie di Mais, gli Asparagi, tutto insomma. Addirittura mi faceva il vino adatto a me. Il vino di Uva-Fragola, quell’uvetta dolce e zuccherina della quale ne coltivava un filare di dieci piante solo per me.

– U ghe fa’ ben! – (gli fa bene) diceva. Insomma, questi vizi me li ha sempre dati. Il pensare di potermi sfamare senza conservanti ne’ coloranti, lo faceva andare fiero. Diceva che era meglio un bicchiere di vino che qualche schifezza. E il suo, credetemi, non era vino, era succo d’uva.

Ora, c’è più poco. I Fichi sono quelli selvatici, le Fragole non ci sono più e quel filare di Uva è seccato. Topononno è stanco. E’ un dolore al cuore ma è così.

Bhè, un mese fa circa, sono andata a trovarlo. Purtroppo abitiamo distanti e non posso vederlo tutti i giorni. Vado giù nell’orto. Quel “mio” orto che racchiude i sogni e i ricordi di quando ero bambina. C’è ancora l’albero di Mandarini al quale Topononno attaccava il foglio di carta e mi faceva sparare con il fucile a pallini. Ah! Noi topi sportivi. Diventiamo grandi in modo alquanto spartano.

C’è ancora il filare. Ormai vuoto. Solo qualche raspo mummificato è ancora lì.

io: – Uh nonno! Da quando hai le albicocche? Che buone! –

nonno: – Ah! Ah! Ah! I nu sun miscimì cirilla! I sun perseghi, ti nu cunusci ciù i perseghi?! – (Ah! Ah! Ah! Non sono albicocche cirilla! Sono pesche, non conosci più le pesche?!)

io: – Ma sono piccolissime! Che razza di pesche sono? –

nonno: – Eh! I sun cuscì, i l’averan patiu a sè – (Eh! Sono così, avranno patito la sete)

io: – Sarà, ma son pesche davvero strane –

E gli tiro un baffo. Topononno ha i baffi che, in punta, svirgolano all’insù.

io: – E quindi Albicocche non ne hai? Che peccato! –

nonno: – Ti gai e fighe! Ti gai i perseghi! Ti gai e susene! Ti gai e ciresce! I nu te bastan? – (Hai i fichi, le pesche, le susine, le ciliegie! Non ti bastano?)

Io faccio una smorfia e gli dico che, a luglio, potrebbe anche evitare di mettersi la canottiera di lana. Lui dice che gli blocca il sudore contro la pelle e così sta più al fresco. (Ognuno ha le sue teorie topi ma è arrivato a 93 anni e quindi sto zitta).

Un pò risentito del fatto che gli avevo detto che mi piacevano le Albicocche, risale in casa e pretende che lo ascolto (più che volentieri) nei racconti di quando era giovane.

Con nonno parlo sempre della sua gioventù.

Dopo qualche giorno mi squilla il cellulare. E’ Topopapà, il figlio di Topononno – Pigmy, cosa fai sabato? -, – Mmmmmh…. non lo so papà, sono abbastanza impegnata in questo periodo ma…. perchè? -, – Niente, dice nonno se andiamo a trovarlo -, – Cavoli mi piacerebbe ma non so…. ma perchè, è forse successo qualcosa? -, – Ti ha piantato un albero di Albicocche, voleva fartelo vedere -, – Vengo papà. Dì a nonno che vengo -.

Questo è il mio Topononno.

M.

Il Museo della Lavanda di Carpasio

Il primo in Italia topini!

Qualche giorno fa, arriva a casa un topoamico con una brochure in mano. Mi conosce e sa quello che mi piace. Con voce sommessa mi dice – Pensa che Libereso lo ha inaugurato -.

Il mio grande sogno, Libereso Guglielmi, vi ricordate? Sigh! E io non c’ero!

Ma di cosa stava parlando il mio topoamico? Bhè, di una novità sensazionale che voglio assolutamente condividere con tutti voi. Premetto di non esserci ancora stata ma sarà una delle mie prossime mete. E’ qui, è nella mia Valle. A Carpasio.

E’ il Museo della Lavanda.

Oh topi, è un sogno! Voi dovete assolutamente andare a vedere questo sito http://www.museodellalavanda.it  perchè io lo trovo meraviglioso.

Ad aver avuto questa grande idea sono state due mie convallesi Ombretta e Michela. Non le conosco ancora di persona ma ci siamo mandate qualche mail e vi posso assicurare che sono gentilissime. Questo Museo però, non tratta solo della Lavanda, una pianta che nasce spontanea nella mia Valle, ma anche di altre piante officinali. Eh… ma non è finita qui, leggete cos’hanno scritto sul loro coupon e poi ditemi se non vi viene voglia di andare a trovarle:

“Il Museo, organizzato sui tre piani di un vecchio asilo, ristrutturato di recente, è stato arredato con materiale di recupero, dando particolare importanza al principio per noi basilare dell’ecosostenibilità. Vi sono tre sale, due dedicate alla Lavanda ed alla sua lavorazione dai mille impieghi, con l’esposizione di magnifici alambicchi, l’altra, destinata alla rassegna di moltissime varietà di piante essiccate. Il piano superiore è stato allestito a biblioteca, con balcone a vista, sul paese e torretta predominante sulla vallata dell’entroterra ligure: la valle Carpasina (che è una sottovalle della Valle Argentina). E poi c’è il Giardino dei Profumi. Un piccolo appezzamento di terra, ove, mediante un simpatico percorso pedonale, si possono vedere e toccare un sacco di varietà di piante officinali profumate e il Giardino delle Lavande con oltre venti varietà differenti”.

Ma non è finita qui topi! Per aprir la mente e rinfrancar lo spirito, nel contesto accogliente e rilassante di questo piccolo borgo montano, vengono proposti anche tantissimi corsi di manualità e creatività:

– cucinare con le erbe piatti gustosi e naturali

– fare con spirito i liquorini di montagna

– pitturare su stoffa fantastiche fantasie floreali

– produrre sapone naturale a impatto zero

– creare rose di carta tinte a mano da ammirare tutto l’anno

– creare bambole di pezza da collezionare

– imparare l’arte del creare pizzi e merletti all’uncinetto

– creare e decorare candele per accendere ogni occasione

– decoupage in tutte le salse e tutte le forme

Insomma, ce n’è per tutti i gusti e non immaginate quanto sia adatto ai topini che possono iscriversi ai corsi estivi e lavorare nei laboratori tematici tutti i giorni dalle 8e30 del mattino, alle 19e30 di sera.

Voglio concludere questo post complimentandomi ancora una volta con Ombretta e Michela e promettendo a voi che avrete un altro articolo su questo tema appena riesco ad andare a Carpasio, e non vedo l’ora!

Un abbraccio profumato a tutti!

M.

Presuntuosa Cipollina

Solo Niky, a mio avviso, poteva avere nel suo orto, un’erba Cipollina così bella e rigogliosa.

Guardatela, sembra un insieme di eleganti fiori da bouquet. E si, devo svelarvi un segreto sulla mia amica: è una bravissima cuoca e tutto quello che può servire per preparare ottimi pranzetti lei deve averlo a portata di mano.

L’Erba Cipollina immagino sia tra i suoi ingredienti preferiti, in quanto, questo vegetale rende i piatti gustosi e particolari. E’ una spezia davvero fuori dalla norma!

E’ per questo che, signora Cipollina, si vanta un pochettino nel suo mondo di piante aromatiche e si crede di essere chissà chi, ma tutti i torti non ce li ha.

L’Allium Schoenoprasum, questo il suo vero nome, difficilissimo, fa parte del genere delle Amarillidacee e della famiglia delle Liliaceae ed è innanzi tutto antichissima. Come lei, anche la Cipolla, l’Aglio e il Porro, appartenenti allo stesso genere, erano conosciuti fin dai tempi dei Romani e dei Greci.

Il suo nome deriva da “irritante” e direi che questo termine le si addice in tutto per tutto. Persino il suo profumo è pungente.

Nasce da un bulbo, i suoi fiori sono a ciuffo e di colore viola. Uno splendido violetto chiaro.

Ha bisogno di parecchia acqua. I suoi delicati tronchetti, al loro interno, sono vuoti, proprio per poter fare rifornimento di liquidi. Ama infatti le zone umide e le regioni più a nord. Nasce un pò ovunque però e, nella mia Valle, abbiamo anche quella di specie alpina, un pò più delicata di quella più comune.

Le sue proprietà sono tantissime, lo sapete che ve le cito sempre. Tra le più importanti, posso dirvi che è antisettica, ipoglicemizzante, cardiotonica e, per la sua azione disinfettante, risulta anche essere un ottimo vermifugo e funghicida. Inoltre essa è parecchio ricca di sali minerali. Ne contiene davvero tanti e in grande quantità.

Io la chiamo il “Prep” del prato, proprio come la pomata. Quella pomata che ha più anni di me ma la si usa ancora. E’ ideale infatti da passare su scottature solari e punture d’insetti. E provate anche a usarla se avete l’acne, vi darà delle soddisfazioni! E’ semplice, ne pestate un pò dentro ad una ciotola e poi, l’intruglio ottenuto, ve lo spalmate sul viso. Se sentite bruciare in modo troppo fastidioso però, sciacquate subito.

Il significato del suo nome indica “qualcosa di caldo” ossia, che si sente, che c’è e infatti, l’erba Cipollina, indica armonia ed equilibrio. Quando ci sono queste due cose tutto è perfetto! E la signora Cipollina crede di essere altrettanto praticamente!

Ma parliamo anche di cucina perchè c’è una ricetta che vi vorrei svelare davvero sfiziosa! La salsa di erba Cipollina! E’ molto semplice, dovete triturare l’erba e farla rosolare con un cipollotto tagliato fine fine e la noce moscata. Aggiungete farina e acqua quanto basta per ottenere la giusta densità. Latte e burro. Salate e pepate. Una volta fredda, aggiungete, solo se vi piace, dello yogurt. E’ buonissima! Adatta per le insalate, da spalmare sul pane o da usare come la maionese.

L’Erba Cipollina topi, nasce spontanea, non stupitevi quindi se nel vostro giardino ieri non c’era e oggi si. Anzi, consideratevi fortunati! Ad esempio, se viveste in qualche nordico paese, sareste addirittura considerati dei privilegiati. I folletti buoni sapete, portano sempre con loro dell’Erba Cipollina per sconfiggere quelli più pestiferi! Secondo me potreste provare anche voi se si avvicina qualche impertinente! Addirittura c’è chi la trita e la lascia poi cadere davanti alla soglia di casa. Tiene lontani gli spiriti maligni e poco desiderati.

L’Erba Cipollina è buona da usare fresca, appena colta, oppure secca e sbriciolata. Ottenerla così non è difficile. Una volta raccolta fatene dei mazzi, legateli e appendeteli a testa in giù al sole. Niente forno e niente sacchetto di carta, datemi retta! Così facendo avrete tutto l’anno a disposizione dell’ottima erba cipollina da usare quotidianamente.

Anche per fare il bagno ad esempio! Si! Riempite la vasca e fate poi cadere nell’acqua, i pezzettini della vostra erba ottenuti, un pò come se fossero sali da bagno. Quando uscirete vi sentirete più freschi e più profumati e… sentitevi anche tranquilli, non puzzerete di cipolla! Un bacione!

M.

Multe di un tempo

Ecco topi cosa vi sarebbe successo, tanti anni fa, nella Valle Argentina, se vi foste comportati in un certo modo:

– DAGLI STATUTI COMUNALI DI TRIORA DEL SEC. XIV, RIFORMATI NEL XVI. (TRAD. P. FERRAIRONI) –

CAP.39

Se una persona, di qualsiasi condizione avrà raccolto castagne o avrà dato danno nei castagneti (quando vi è il frutto) di un altro, sia condannato a lire dodici se il fatto avvenne di giorno e, a lire trentasei se di notte e ciò per la prima volta… Metà della multa spetta al Comune e metà all’accusatore. Il danno sia emendato al triplo e si presti fede al giuramento e alla denunzia del danneggiato“.

Avete capito? Guai quindi a commettere certe cose!

Il modo in cui è scritto mi fa sorridere e a voi?

In realtà c’è poco da ridere, le castagne, un tempo, sfamavano interi villaggi. Erano una fonte di vita, per gli uomini e non solo per i cinghiali o per le bestie come oggi!

Dodici lire di multa topi, vi rendete conto? Un abbraccio.

M.

La Cabotina: dove le streghe…

Par di vederle: eccone una china a raccogliere foglie di Menta. I suoi capelli color mandarino e quel velo nero sulla testa. Sembra triste, forse è solo assorta nei suoi pensieri.

E laggiù un’altra, accarezza il suo gatto nero passandogli le lunghe unghie in mezzo alle orecchie e gli occhi gialli del micio si aprono e si chiudono.

Una stà spazzando sull’uscio di casa, un’altra recita un rituale incomprensibile, un’altra ride, ad alta voce.

Sono le streghe. Le streghe della Valle Argentina. E questo è il loro quartiere, chiamato Cabotina. Un casolare, un piccolo spazio, delle pietre appoggiate con cura. Nella leggenda è considerato un luogo macabro. Qui vivevano le donne più spaventose sulla faccia della terra. Donne terribili che i trioresi descrivono così:

L’umile casolare della Cabotina e la sua prospiciente aia sono da sempre considerate, nella memoria popolare, dimora abituale delle streghe. Qui, le bazue, preparavano i loro allucinanti intrugli, le pozioni di erbe magiche, quali: Belladonna, Giusquiamo e Stramonio; sotto i cui deleteri effetti si abbandonavano ad osceni balli e ad orge sfrenate, accoppiandosi con i diavoli, a volte, sotto sembianze animalesche.

Tra questi muri nascevano formule segrete per rendere infelici quanti ostentassero serenità e benessere. Da quest’aia, in sella più ad un caprone che alla tradizionale scopa, spiccavano il volo verso il Lagudegnu, la Nuje, la fontana di Campumavue o la Rocca di Andagna, o addirittura verso più lontani lidi, spingendosi talvolta, sottoforma di uccellacci, verso l’isola della Gallinara.

Presso la Cabotina le streghe si trastullavano con le colleghe molinesi palleggiandosi i bimbi in fasce, trafugati alle madri che incautamente li avevano lasciati al di fuori delle mura dopo il suono dell’Ave Maria.

Nel buio del casolare si dividevano i compiti: qualcuna avrebbe reso disgustoso il latte materno, qualcun’altra si sarebbe occupata delle mucche inaridendone le mammelle, altre infine, sotto le spoglie di persone insospettabili, avrebbero propinato a chi le avesse in malo modo apostrofate intrugli a base di gatti, rospi, pipistrelli, serpi, scorpioni o altre bestiacce e di bava e materia di appestati e di quanto più immondo si potesse trovare.

Particolarmente perfide diventavano quando si innamoravano. Tramutatesi in zucche, attendevano che i giovani recidessero lo stelo portando a casa l’ostaggio per dare inizio ad un autentico incubo, che invariabilmente si concludeva con la pazzia o il suicidio“.

Capite adesso perchè delle Streghe ne pensano tutti male? Ma come vi ho spiegato nel post precedente, in realtà, spesso queste donne venivano in aiuto alla popolazione e molte volte si sacrificavano tanto per trovare soluzioni valide ad un determinato problema. Erano solo molto istruite e molto capaci. E molto molto sensibili. Diverse dagli altri. Forse era a causa di queste doti che mettevano paura. La natura era loro alleata. E proprio per questo, io le ammiro tantissimo.

Ciao streghe, la vostra Pigmy.

M.

Il sentiero e le case delle streghe

Procuratevi ulteriore coraggio, impavidi topi! Oggi vi porto nel posto più misterioso della mia Valle. Vi ho anche scattato le foto in bianco e nero per aumentare la suspense!

Eccoci, dunque. Lo vedete questo sentiero di pietra? Eh, a Triora ci tengono molto a questo luogo e lo hanno voluto restaurare, mantenendo però il suo stato di conservazione. Hanno rifatto il ciottolato per rendere più praticabile il nostro cammino, tutto il resto è esattamente come un tempo.

Incamminiamoci, andiamo indietro nel tempo.

Siamo agli inizi del 1589. Sentite le urla? Vedete il fuoco dei roghi? Sì, siamo entrati in quello che è il paese delle streghe, dove alcune donne, perché solitarie o capaci di guarire senza bisogno del medico, erano ritenute pericolose e amiche di Satana. Accadeva in particolar modo a quelle con i capelli rossi. A esse, alcuni abitanti, potenti signorotti e l’intero Clero, riservavano torture così violente e dolorose che spesso le poverine erano costrette a confessare peccati in realtà non commessi, per cercare di far cessare certe oscenità. Spesso, dopo essere state torturate, venivano poi uccise. Bruciate (ma non abbiamo fonti certe di questo, a Triora), impiccate. Si cercava di capire come poter raggiungere il diavolo tramite loro e riuscire a sconfiggerlo. Questo era lo scopo principale di coloro che trucidavano queste ragazze chiamate da noi “bazue“. Streghe, megere.

Ma facciamo un passo per volta e, per raccontare bene queste vicende, mi servirò dei documenti esistenti esattamente sul luogo considerato maledetto e di alcune belle parole di Quirino Principe.

Intanto camminiamo, venite con me e guardatevi intorno. Nei ruderi che vedete, la leggenda dice che una volta vivessero queste donne.

Donne solitarie, di grande saggezza, distaccate dal resto del paese e che, incomprese, preferivano vivere tra di loro formando un gruppo a parte. Siamo infatti alla fine dell’abitato di Triora, nella parte più esposta, e da qui possiamo godere di un panorama fantastico. Vado avanti io e vi farò da Cicerone, voi seguitemi:

Leggendo una lettera, datata 28 agosto 1589, scritta dal cardinale di Santa Severina, della Congregazione della Santa Inquisizione di Roma, si può arguire che il tribunale del sant’Uffizio abbia proceduto con minor severità delle autorità ecclesiastiche di Genova e che almeno alcune donne, se non tutte le sopravvissute, siano state liberate. Fra le varie ipotesi sulla sorte delle streghe di Triora, ve n’è una quanto meno suggestiva. Eh già, perchè… Che fine han fatto le streghe? San Martino di Struppa, un paese dell’alta Val Bisagno, nell’entroterra genovese, è storicamente indicato come luogo di deportazione di carcerati. I libri parrocchiali dal 1600 in poi, riportano il nome “bazoro”, oppure “bazora”, che richiamava inequivocabilmente il termine dialettale ligure “bazùra”, “baggiura” oppure “bagiua”, con il quale viene indicata normalmente la strega nell’alta Valle Argentina. Pagine strappate dai documenti censuari, formule magiche contro le malattie tramandate dagli anziani, avvolgono, in un alone di mistero, l’origine di quel borgo. Che se ne siano andate tutte lì le nostre streghette? E’ comunque bello pensare che le donne tioresi, di cui si perde ogni traccia, dalla loro partenza dal paese natio, possano in qualche modo essere sopravvissute, magari rifacendosi una vita e una nuova famiglia, il cui cognome sussiste oggigiorno, seppur trasformato in “Bazzurro”. Triora è la Loudun italiana, la Salem europea. Ma sarebbe più giusto dire che Loudun è la Triora francese e Salem è la Triora del New England, poichè il celebre processo alle streghe, si svolse a triora nel 1588 e indubbia è la sua priorità cronologica, mentre in nulla è inferiore agli altri due in quanto a spaventosa tensione. D’altra parte, questo borgo arroccato sulle montagne liguri, è uno dei punti sul pianeta in cui si rompe la maglia rassicurante intessuta dalla cultura illuministica e in cui le tenebre elementari emergono allo scoperto. Su tutta la superficie terrestre, esiste una rete di luoghi “segnati” e se ne potrebbe tracciare una mappa: gli incroci di sulfuree coordinate, gli aleph di cui non si dovrebbe parlare. Triora, illustre tra gli aleph del pianeta, non è un luogo esclusivo, è soltanto un centro privilegiato di rivelazioni, e la circostante terra incognita, con le sue caverne di cui si sconsiglia l’accesso ai profani e agli sprovveduti, non è poi un mondo a sè -.

Sono abbastanza macabra? Bene andiamo avanti allora:

Quando si pensa alle streghe, si immaginano donne brutte, il naso aquilino, lo sguardo truce, colme di difetti. Lo stereotipo consegnatoci dalla tradizione e dai racconti popolari, tenuto vivo anche dai mass-media e dalla letteratura infantile, è quanto mai errato. Le streghe erano e sono, donne normali, spesso belle, in alcuni casi affascinanti. (Ve l’ho mai detto che dicono che sono un pò strega io? Vabbè, andiamo avanti…). A loro sono state attribuite le più disparate colpe e le più efferate nefandezze. In realtà molto spesso, il loro potere era benefico. Una nobile famiglia triorese, ad esempio, deve le sue ricchezze ad una di queste donne, aiutata in un momento difficile. Il loro sapere nel campo della medicina, la profonda conoscenza delle erbe, la dimestichezza con i fasci nervosi, faceva si che si sostituissero egregiamente ai vari dottori dell’epoca. Basti pensare che la Strigonella (Stachys Recta), pianta che nasce spontanea in vallata, autentica panacea, ma soprattutto indicata contro l’insonnia e l’instabilità nervosa, è volgarmente nota come “pianta della Madonna”. Curiosa contrapposizione fra il male e quanto di più cristianamente immacolato esista. E’ grazie a streghe e stregoni che sono stati curati e si curano tutt’oggi l’erisipola, l’herpes o il mal di denti, semplicemente segnandoli con un anello d’oro (non quello dell’orafo turco), una moneta o altri oggetti metallici, recitando formule e preghiere secolari. E’ grazie infine alle streghe se scompaiono o quanto meno vengono alleviate pene d’amore, turbamenti dell’animo e depressioni ansiose. E scusate se è poco. Ma ora andiamo a vedere dove avvenivano tutti questi prodigi. Eccoci giunti nel punto più importante di questo cammino: la Cabotina. Qui si ritrovavano le donne emarginate. Qui danzavano, studiavano e preparavano i loro intrugli portentosi. E cosa accadeva in questo punto? Sedevi, qui intorno a me, sotto questa lapide. Ora aspettiamo l’imbrunire e continuerò la mia storia…. Riposatevi nel frattempo…. -.

A domani topini!

M.

Il fascino di Triora: il Paese delle Streghe

Ed eccomi alla descrizione della chicca della mia Valle.
Chi conosce la Valle Argentina, ed anche il mio blog, sicuramente si è già chiesto come mai non ho ancora parlato di questo paese. Ma… vedete, di Triora, ne parlano tutti. E’ famosissima. A me piace farvi scoprire i posti invece meno, come si dice, “gettonati”, ma molto importanti.
Però… topi cari, Triora è considerato uno dei borghi più belli d’Italia e i motivi sono tanti.
Triora ha una storia ricca e affascinante di fatti realmente accaduti e di leggende che l’hanno resa famosa ovunque. Ebbene no, ho deciso, non si può non parlare di Triora.
Triora è un paese a 780 metri sul livello del mare. Domina gran parte della vallata. Verso Sud si può ammirare dall’alto Molini, mentre a Nord, si vedono i paesi di Andagna e di Corte. Sembrano piccolissimi da qui.
E’ un borgo circondato da meravigliosi monti, alti e austeri, e orti ordinati che formano verdi puzzle, nel quale vivono circa 400 persone (molte meno rispetto agli ultimi anni dell’800 in cui i residenti erano più di 3.000) e offre alberghi, B&B, e negozi che sono caratteristici e molto originali.
Come si arriva in Triora si respira un’atmosfera particolare.
L’insegna di marmo che ci accoglie, alla fermata dell’autobus, recita “Chi qui soggiorna, acquista quel che perde”.
Famosa per le storie di stregoneria, permette di vivere come dentro ad una fiaba.
Nel centro storico non si può passare in auto, la macchina bisogna parcheggiarla fuori paese e proseguire a piedi per i viottoli e i carrugi dove le case sono state costruite direttamente sulla roccia.
Alcuni di questi passaggi sembrano vere e proprie caverne e, spesso, sboccano in corti ordinate e pulite che le padrone di casa mantengono vivaci con Ortensie, Orchidee e Geranei, ben accuditi.
Trieua, così si chiama in dialetto, è il Comune più esteso della provincia d’Imperia. Fan parte del suo territorio infatti anche i paesi di: Verdeggia, Bregalla, Cetta, Creppo, Realdo, Monesi e altri dei quali non vi ho ancora parlato.
Divenuta appunto famosa per le vicende riguardanti le Streghe, Triora ha saputo mantenere questa tradizione che è cresciuta sempre di più. Ogni giorno infatti, si può passeggiare per il sentiero dove un tempo vivevano le bazue (streghe) e arrivare fino al luogo di Cabotina, la casa principale delle megere.
Si può visitare il Museo Etnografico sulla stregoneria, che si trova all’inizio del paese, si possono acquistare streghette e gatti neri di ogni tipo e, in estate, quest’anno precisamente il 22 agosto, si può partecipare a Strigora, una festa di spettacoli e mercatini tutti dedicati a queste donne un tempo ritenute amiche del diavolo.
Ma le manifestazioni che si svolgono a Triora sono molte altre come “Triora West”, il prossimo week-end, nella quale ci si veste come veri cow-boys e si passeggia a cavallo e la “Sagra del Fungo” a settembre.
Tutto ciò fa si che, il paesaggio di Triora, sia diverso dagli altri a cominciare dai ruderi davvero affascinanti. Esistono ancora i torrioni di vedetta, tra i più importanti, quello di San Dalmazzo, che offre un panorama spettacolare; nome anche dell’adiacente Chiesa, rimasto ancora quasi del tutto integro e rivestito oggi da una rigogliosa Edera.
Ma erano ben cinque le fortezze che difendevano questo paese, rendendolo un nucleo fortificato e inespugnabile. I trioresi erano comunque un osso duro a prescindere dalle cinta protettrici, nemmeno l’Esercito Piemontese dei Savoia riuscì a conquistare il borgo e, devoti a Genova, che li teneva sotto la sua ala, battagliavano a suo favore contro chiunque, senza paura.
La più grande dimostrazione di ciò, la diedero contro Pisa, nella battaglia della Meloria nel 1287.  Tennero sempre duro; solo i nazisti della Seconda Guerra Mondiale riuscirono a raderla quasi del tutto al suolo, bruciando interi quartieri tra il 2 e il 3 luglio del 1944. Nonostante tutto, i trioresi, si ripresero e ricostruirono parte del loro paese ridisegnando anche un nuovo territorio anche se meno vasto di quel che era un tempo. Nel bene e nel male Triora era situata in un punto strategico che faceva gola a molti e la Repubblica Genovese non voleva rinunciare alla sua perla.
E oggi Triora ci appare così. Misteriosa, antica e ogni suo angolo può raccontarci una storia.
Il Castello, ad esempio. I suoi ruderi testimoniano appunto la tenacia di questi abitanti. Il Fortino divenuto oggi il Camposanto e conserva parte delle mura di cinta. L’Oratorio di San Giovanni Battista, vera e propria pinacoteca che, custodisce, fra altre opere, quadri del Cambiaso e dei Gastaldi ed una statua maraglianesca. E poi ancora la splendida Chiesa collegiata di Nostra Signora Assunta, antichissima, ricca di opere d’arte trecentesche di gran valore e altre Chiese, tante, ognuna caratteristica. Case natie di personaggi divenuti noti e legati a questo paese come: Francesco Moraldo, maggiordomo dell’Avvocato Donati che salvò, durante la guerra, la vita a due bambini ebrei, Monsignor Tommaso Reggio, Arcivescovo di Genova, proprietario della stessa casa che appartenne agli annalisti della Repubblica di Genova, Sebastiano Torre fondatore di un noto istituto educativo di Lione e più si ci inoltra tra queste viuzze più si fanno nuove scoperte tutte dettagliate da lastre bianche di marmo.
Case nobili, che riportano indietro nel tempo. Per scoprire queste dimore, si deve passare sotto questa porta denominata “Portico del Masaghìn” così detto dal locale del vicino Comune precipitato nel 1887 dove erano conservati i viveri e il sale del paese. Questo portico, che da accesso alla piazza principale, fu aperto nel 1893. Ma sono tanti i portali. E’ un pò come se Triora fosse cresciuta poco per volta. Si “apriva una porta” e si andava avanti.
Oggi sono proprio questi luoghi ad essere la maggior risorsa di Triora. Non si pratica più il commercio di un tempo, se non quello dell’ardesia, la pastorizia e l’agricoltura. Esso vive grazie al turismo, un turismo che arriva in massa e che nemmeno loro, i trioresi, si aspettavano così numeroso.
Ad essere famoso è addirittura il suo pane, conosciuto proprio con il nome di Pane di Triora. Un particolare pane dalla forma rotonda che mantiene, a differenza di altri, la sua bontà per parecchi giorni e, a comprarlo, arrivano da tutta la vallata. Un pane cotto al forno.
A Triora c’è ancora il Forno Comunale situato appunto in Vico del Forno e conosciuto come “Granaio della Repubblica”. Esso rappresenta una delle attività principali del posto.
Il simbolo di questo paese è il Cerbero, il Cerbero dalle tre teste, dalle tre bocche, che ha dato anche il nome al paese derivante da “tria ora”, ma perchè sia stato scelto lui come emblema non si sa. Forse i tre torrenti che confluiscono in quello principale? Cioè l’Argentina? O per il ramificarsi dei carrugi, le strette e contorte vie che, seppur danneggiate gravemente dagli ultimi avvenimenti bellici, meritano una visita in quanto, spesso, sono formati dalla pietra nera di questo territorio.
Triora è realmente un paese tutto da scoprire e non vi basterà starci solo una giornata anche se può sembrare di sì.
Il vero incanto è da cercare nei suoi meandri, tra le sue strade, sotto a quei tetti e ci vuole tempo. Tempo e passione e… perchè no… anche un pò di coraggio. Eh si, perchè presto, vi porterò nella casa delle streghe! Ma non preoccupatevi, vi divertirete e conoscerete ancora più profondamente questo bellissimo e suggestivo borgo tra i monti.
Tremate, tremate, le streghe son tornate!
M.

Poetico Viburno

Come faceva a mancare, una pianta così, nella campagna di quella romanticona della mia socia? Guardate che bellezza, che trionfo di splendore. E il suo profumo, e il suo candore! Uh! Sto diventando poetessa anch’io!

Topi, vi sto descrivendo il Viburno, una pianta dalla particolare bellezza con meravigliosi fiori che si aprono a ombrello e la rendono ancora più incantevole. Fiori che, data la loro forma, gli conferiscono il buffo sinonimo di “Palla di neve”.

Il suo nome scientifico è Viburnus Opulus. Nella mia Valle ce n’è un po’ ovunque, sia coltivato che spontaneo, e di diverse qualità. Vi parlo della pianta alla quale è stata dedicata la famosa canzone russa “Kalinka”. E’ stata la musa ispiratrice di Giovanni Pascoli ne “Il gelsomino notturno”. Inoltre, è la pianta protagonista de “L’albero delle nebbie” del poeta Umberto Piersanti.

Il Viburno è colui che confessa. “Senza di te potrei morire”: questo è il messaggio che indica nel linguaggio segreto dei fiori. E’ un arbusto che può raggiungere i 10 metri d’altezza, per lo meno quello classico, perché ci sono molte specie assai diverse tra loro, e alcune sono considerate veri e propri alberi.

E’ così bello da essere una delle piante più adatte a ornare parchi e giardini. Robusto, resistente, necessita di qualche ora di sole durante la giornata, ma si adatta facilmente agli ambienti più disparati. E’ una pianta che non patisce nulla, insomma, non per niente era considerata sacra dai Celti e nei paesi nordici.

Un ragazzo, diventato uomo e pronto alla battaglia, se avesse raccolto e tenuto con sè un rametto di Viburno, sarebbe diventato invincibile.

In Emilia Romagna è considerata maledetta perchè si dice che con essa, con le sue fronde potenti, Gesù fu legato alla croce.

In Friuli, invece, si pensava che la forza di questa pianta venisse usata dalle streghe, donne nubili e sole, per non far trovar marito alle altre ragazze del villaggio, invidiose della loro bellezza.

Meno male che, con il passar del tempo, ha avuto la sua giusta rivincita, questa magnifica pianta.

Nonostante la leggera tossicità, le sue bacche vengono ancora oggi, come un tempo, utilizzate per comporre tisane e decotti antiossidanti. Assumendolo in grandi quantità, invece, in tempi antichi procurava visioni profetiche, o almeno così si dice.

La sua maggior virtù è quella di cicatrizzare le ferite, ulcere comprese.

In Italia cresce spontaneo, prediligendo le regioni settentrionali e divenendo meno presente al Sud. Appartiene alla famiglia delle Caprifoliaceae, è cugino della magnifica Magnolia e tinge di bianco il territorio da Aprile a Luglio. Alcune specie sono sempreverdi, altre si spengono alla fine dell’estate per rifiorire l’anno dopo. E ognuna ha le sue forme, una diversa dall’altra. Bellissime.

Inseritelo nei vostri mazzi fioriti da regalare, farete un figurone topi!

M.

Conoscere l’olio

Cari topi, oggi vi presento, direttamente dalla pagina del sito di  http://www.gentecomune.eu/ un’iniziativa non solo divertente, ma anche molto utile. A essere protagonista sarà uno dei nostri più importanti e tipici prodotti.

Qui nella mia Valle, l’olio è pregiato ed essenziale. Aggiungerei anche davvero molto buono. Le olive taggiasche, in fondo, sono famose ovunque per il loro gusto inconfondibile. Potete partecipare tutti e, a mio avviso, non vi annoierete di certo. Leggete e poi pensateci un po’ su:

La collaborazione tra le associazioni “ORODITAGGIA”  e  “GenteComune”  ha dato vita a questo incontro che si rivolge a tutti coloro che amano questo nostro fantastico prodotto ma vorrebbero saperne di più!

IL CORSO DI ASSAGGIO DELL’OLIO ILLUSTRERA’ UN PERCORSO DI CONOSCENZA APPROFONDITA CIRCA LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE E SENSORIALI DELL’OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA, OLTRE A FORNIRE CONOSCENZE DI BASE SU GLI OLII IN COMMERCIO. SI INIZIERA’ CON LA CLASSIFICAZIONE DEGLI OLII VERGINI E CON LA  COMPOSIZIONE DELL’OLIO DI OLIVA, PASSANDO POI ALLA COMPOSIZIONE BASE DELL’OLIO SOTTO L’ASPETTO CHIMICO.

SARANNO EVIDENZIATI GLI ASPETTI SALUTISTICI DELL’OLIO RISPETTO AI GRASSI ANIMALI E IL SUO ATTUALE E POTENZIALE UTILIZZO NELLA CUCINA. IL CORSO PROSEGUIRA’ ILLUSTRANDO I METODI DI ASSAGGIO DELL’OLIO, ACCENNANDO ALLE CARATTERISTICHE POSITIVE ED AGLI EVENTUALI DIFETTI CHE SI POSSONO RISCONTRARE. A QUESTA FASE TEORICA  SEGUIRA’ L’ASSAGGIO VERO  DEGLI OLII CON UN PERCORSO CHE PARTENDO DAGLI OLII LIGURI SI SPOSTERA’ SUI  NAZIONALI E COMUNITARI VALUTANDO LE LORO SPECIFICHE CARATTERISTICHE. PER FINIRE SI SPIEGHERA’ COME LEGGERE UN’ETICHETTA, ED IL CONFRONTO SUI FALSI MITI LEGATI ALL’OLIO. MOLTO INTERESSANTE SARA’ POI LA POSSIBILITA’ OFFERTA AGLI ISCRITTI DI PORTARE NELLA SECONDA SERATA I PROPRI OLII CHE, IN MANIERA ASSOLUTAMENTE ANONIMA, SARANNO DEGUSTATI E VALUTATI;  QUESTO E’ UN MODO PER CONFRONTARSI E PER MIGLIORARE SEMPRE PIU’ LA PROPRIA CONOSCENZA E QUALITA’. IL CORSO CHE SI TERRA’ NEI GIORNI 25 E 27 LUGLIO, ORE 21.00 PRESSO VILLA BOSELLI IN ARMA DI TAGGIA, PREVEDE UNA QUOTA DI RIMBORSO SPESE DI 10 EURO, ED E’ OBBLIGATORIO ISCRIVERSI TRAMiTE SMS AL N. 3343352246 O MAIL AL INFO@GENTECOMUNE.EU.

M.